veramente
Pur essendo attestato poco meno di ottanta volte, è vocabolo in pratica esclusivo del Convivio e della Commedia, fuori dei quali compare una volta nelle Rime dubbie e due nel Fiore.
In accezioni strettamente connesse con i valori dell'aggettivo ‛ vero ' non è molto frequente. Gli esempi più chiari si hanno quando sottolinea il fatto che il sostantivo cui è riferito è usato nella pienezza del suo significato: Cv II V 2 Maria Vergine, femmina veramente e figlia di loacchino; III II 3 Amore, veramente pigliando e sottilmente considerando, non è altro che unimento spirituale de l'anima e de la cosa amata (dove veramente pigliando vuol dire " qualora si consideri nella sua pienezza il significato della parola ‛ amore ' "); XIII 6 quando l'anima nostra non hae atto di speculazione, non si può dire veramente che sia in filosofia, sarebbe cioè usare un linguaggio improprio il dire che, ecc.
Implica un contenuto dottrinariamente più ricco, connesso al concetto di perfezione intesa quale piena attuazione della potenza o virtù della natura propria a una cosa, in Cv IV XVI 7 " ... allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo ", cioè quando aggiugne la sua propria virtude.
In senso più generico assume le accezioni di " veracemente " (Cv III III 13 E veramente dico; però che li miei pensieri...), " a buon motivo ", " con fondate ragioni " (IV XVI 1 Queste parole posso io qui veramente proponere), " interamente " o " nella loro pienezza " (II V 3 [Cristo] disse a noi la veritade di quelle cose che noi sapere sanza lui non potavamo, né veder veramente). E si veda inoltre III IV 5 e 13.
Più frequentemente ricorre in funzione asseverativa per sottolineare la veridicità di un'affermazione o l'esattezza di un giudizio: Cv I IX 4 lo latino averebbe a pochi dato lo suo beneficio, ma lo volgare servirà veramente a molti; III 5 Veramente io sono stato legno sanza velo e sanza governo; II XV 3 la Filosofia... veramente è donna piena di dolcezza; If XIX 70 veramente fui figliuol de l'orsa, / cupido sì per avanzar li orsatti, / che sù l'avere e qui me misi in borsa (dov'è implicita anche un'allusione diretta all'origine del cognome della famiglia Orsini, cui Niccolò III apparteneva, con un'applicazione - sottolineata da veramente - del principio " nomina sunt consequentia rerum "); XXXIII 12 fiorentino / mi sembri veramente quand'io t'odo. Altri esempi in Rime dubbie I 7; Cv I IX 7, II 15, II IX 5, X 10, XI 6, XV 4, III VI 8, VIII 5, IV VI 4, XII 5, XIII 2, XIX 5, XXIV 3, XXVI 6, XXVII 2; If XX 116, Pd VIII 79; Fiore II 5, CCXXII 10.
In particolare, questa funzione asseverativa è esercitata da v. quando modifica un aggettivo o un participio usato come aggettivo: Cv IV Le dolci rime 13 dirò del valore, / per lo qual veramente omo è gentile; VII 10 è da sapere che veramente morto lo malvagio uomo dire si puote; Pd XXII 138 chi ad altro pensa / chiamar si puote veramente probo (l'esempio è particolarmente significante in quanto " veramente avverte che D. riconduce etimologizzando il vocabolo [probo] al suo primo e più proprio significato " [Mattalia] di ‛ valente '); e così in Cv IV XV 15, XIX 7, XXI 6. Analogamente, con la consueta applicazione del principio-formula dell' ‛ interpretazione ', s. Bonaventura, a proposito del padre di s. Domenico, esclama: Oh padre suo veramente Felice! (Pd XII 79); e si veda anche al v. 80.
Nel Convivio è usato di frequente all'inizio di un periodo in senso lievemente oppositivo per limitare l'ampiezza di un'affermazione precedente o per prevenire un'obbiezione che potrebbe esser formulata contro ciò che è stato detto. Ad esempio, dopo aver enumerato i nove cieli, D. aggiunge: Veramente, fuori di tutti questi, li cattolici pongono lo cielo Empireo (II III 8). Alla descrizione del fenomeno della visione esposta secondo i principi della filosofia aristotelica fa seguito una precisazione: Veramente Plato e altri filosofi dissero che 'l nostro vedere non era perché lo visibile venisse a l'occhio (III IX 10). E così in II I 4, III 4, VIII 4, III VII 3, VIII 18, XIII 8, XV 7 e 9, IV IV 8, VI 15, XVII9, XXI 2, XXIII 12, XXIV 7, XXIX 10.
Talvolta il valore avversativo è più evidente, tanto da far assumere al vocabolo il significato di " ma ", " tuttavia ", " nondimeno ", come si ha anche nel latino verum (cfr. Brunetto Latini Tesoretto 36); anche in questo caso v. è usato all'inizio di periodo. Virgilio ha chiarito a D. un dubbio sulla validità della preghiera, ma subito dopo aggiunge: Veramente a così alto sospetto / non ti fermar, se quella nol ti dice / che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto (Pg VI 43). Analogamente, solo se si tiene presente che poco prima D. ha affermato l'impossibilità per lui di esprimere nella sua pienezza ciò che ha veduto nell'aldilà, si coglie il valore avversativo e limitativo assunto dall'avverbio in Pd I 10 Veramente quant'io del regno santo / ne la mia mente potei far tesoro, / sarà ora materia del mio canto. E si vedano altri esempi in Cv I I 2, IV XII 18, Pg II 98, XXII 28, XXXIII 100, Pd VII 61, XXII 94, XXXII 145. Eccezionalmente l'avverbio è usato con il valore avversativo di " e invece " nel corso del periodo, in Cv II VII 12 è bel modo rettorico, quando di fuori pare la cosa disabbellirsi, e dentro veramente s'abbellisce.
Un esempio illuminante delle possibilità espressive implicite in v. è dato da Cv II IX 4, dove l'avverbio compare due volte, la prima con il significato di " tuttavia " e la seconda con quello di " davvero ", e cioè con funzione asseverativa: avvegna che più cose ne l'occhio a un'ora possano venire, veramente quella che viene per retta linea ne la punta de la pupilla, quella veramente si vede.
Infine, in un ultimo gruppo di esempi, serve semplicemente a indicare il passaggio ad altro argomento o il ritorno a un tema precedentemente trattato al termine di una digressione: Cv I II 12 Veramente, al principale intendimento tornando, dico...; IV XII 11 Veramente qui surge in dubbio una questione, da non trapassare sanza farla e rispondere a quella. E così in VIII 16, XI 8, XXII 10 e 13.