atmosferici, verbi
I verbi atmosferici (o meteorologici) sono quei ➔ verbi che esprimono appunto eventi meteorologici. Nella lista appaiono albeggiare, annottare, balenare, brinare, diluviare, fioccare, fulminare, gelare, grandinare, imbrunire, lampeggiare, il raro nevare, nevicare, nevischiare, piovere, sgelare, spiovere, tempestare, tuonare. A questi vanno aggiunti i verbi costruiti con un predicato nominale preceduto da essere o fare in funzione di supporto: essere bel tempo, essere bello / brutto / nuvoloso / sereno, fare bello / brutto, fare / essere scuro, fare chiaro, fare freddo, ecc.
Dal punto di vista morfologico i verbi atmosferici sono perlopiù di origine denominale (➔ denominali e deaggettivali, verbi), cioè aventi per base un nome (brina, grandine, lampo) ottenuto mediante vari processi di formazione lessicale, tra cui il più produttivo è la ➔ conversione (brina, fiocco, grandine, tempesta → brinare, fioccare, tempestare, ecc.), accompagnato dalla suffissazione (alba, lampo → albeggiare, lampeggiare) e dalla parasintesi (notte → annottare). Alcuni dei più tipici e frequenti della famiglia, cioè gelare, nevicare, piovere e tuonare, derivano da verbi latini, ereditari (gelāre, pluĕre, tonāre) o neoformati (*nivicāre, da nix «neve»). Altre formazioni non denominali sono imbrunire (parasintetico deaggettivale da bruno) e spiovere (prefissato da piovere), mentre avrebbe una diversa origine balenare, denominale di etimo discusso (cfr. Rohlfs 1952) ma probabilmente collegato per via metaforica con l’emersione improvvisa tipica della balena, in una catena formativa balena → balenare → baleno.
Quanto ai verbi fraseologici essere bello, fare freddo (➔ fraseologici, verbi), è il caso di notare come in alcuni casi essi siano rimasti i soli verbi italiani a rendere i significati in questione, e non dei sinonimi più o meno ridondanti: accanto ad annuvolare, annuvolarsi, scaldare non esistono più nell’uso italiano verbi sintetici come aggiornare «fare giorno», raffreddare «fare (più) freddo».
Oltre alla somiglianza di significato, la maggior parte dei verbi atmosferici ha un’importante somiglianza grammaticale. È costituita da soli verbi atmosferici la classe dei verbi cosiddetti zerovalenti o avalenti (➔ argomenti), che si costruiscono come impersonali (➔ impersonali, verbi), alla terza persona singolare, senza altri argomenti ad affiancare il predicato, nelle cosiddette frasi non argomentali:
(1) piove
(2) oggi ha grandinato
(3) nel 1956 nevicò forte persino a Roma
(4) a. corre
b. mangia
c. dorme
Le frasi (1-3) non hanno bisogno di soggetto o di altri argomenti espressi per essere ben formate: i sintagmi circostanziali che precisano il senso del predicato nelle frasi (2) e (3) hanno valore modale, temporale o locale. Inoltre, le frasi che contengono verbi atmosferici non hanno bisogno di indicare referenti già noti in precedenza per essere interpretate, come invece accade, ad es., con le frasi monorematiche in (4): si può usare un enunciato come corre, mangia o dorme solo se l’interlocutore sa già, in base al contesto enunciativo o al contesto reale, a chi ci si stia riferendo.
Se alle frasi costruite con predicati atmosferici aggiungiamo un pronome in funzione di soggetto, produciamo frasi non grammaticali e inaccettabili: * esso piove, * egli oggi ha grandinato, ecc. Questo comportamento si confronta utilmente con quello dei verbi meteorologici in altre lingue e dialetti, che hanno invece un soggetto grammaticale costituito da un pronome espletivo di terza persona. Tale pronome è obbligatorio, e la sua omissione rende agrammaticale la frase:
(5) it rains ~ * rains (inglese)
(6) il pleut ~ * pleut (francese)
(7) es regnet ~ * regnet (tedesco)
(8) al pjòf ~ * pjòf (bolognese)
Oltre che in frasi impersonali, alcuni verbi atmosferici possono essere usati anche in frasi personali con soggetto esplicito, la cui sintassi può seguire vari orientamenti, a seconda dei verbi coinvolti: possono allinearsi alle frasi intransitive di tipo inaccusativo, che hanno come argomento unico o principale un nominale il quale, sebbene sia soggetto grammaticale, è coinvolto nell’evento descritto dal verbo in maniera tale da svolgervi semanticamente il ruolo di paziente o tema:
(9) piovono sassi
(10) sulla Lazio sono grandinate le critiche
Oppure possono avere una costruzione intransitiva di tipo inergativo, con soggetti grammaticali che svolgono il ruolo di agente:
(11) la Chiesa non ha tuonato contro il fascismo
Se il predicato conserva un’accezione propria, l’argomento di solito è collegato semanticamente col verbo:
(12) è piovuta una pioggerella fastidiosa
(13) all’improvviso lampeggiano fulmini
Infine, si possono avere verbi costruiti transitivamente, perlopiù in accezioni estese, con soggetto rappresentato metaforicamente come la causa dell’evento «atmosferico»; queste costruzioni sono perlopiù limitate alla lingua letteraria:
(14) le stelle piovevano un barlume latteo sul cortile (Grazia Deledda)
(15) I difensori a grandinar le pietre da l’alte mura [...] incominciaro (Torquato Tasso)
(16) al defunto Papa Pio XII che fulminò la Scomunica contro il comunismo (Giovanni Guareschi)
L’oscillazione nella scelta degli ausiliari (➔ ausiliari, verbi) nei tempi composti è un problema tipico dei verbi atmosferici italiani. Grammatiche e dizionari accettano oggi di solito entrambi gli ausiliari: è piovuto / ha piovuto, era grandinato / aveva grandinato, è tuonato / ha tuonato, ecc. Alcune grammatiche tradizionali razionalizzavano questa oscillazione suggerendo che l’idea «d’una causa assoluta, da cui derivino la pioggia e le altre vicissitudini atmosferiche» (Fornaciari 1881: 160), avesse potuto favorire l’uso dell’ausiliare avere, che sarebbe altrimenti inatteso in costruzioni impersonali. Altri repertori indicano come rilevante, esplicitamente o attraverso gli esempi, l’espressione della durata dell’evento: è piovuto contro ha piovuto tutta la notte.
Quest’ultima notazione, benché insufficiente, coglie un aspetto importante del problema, che è stato studiato di recente anche in quadri teorici più raffinati: a parte le indicazioni normative, nel determinare la preferenza per l’uno o l’altro ausiliare da parte dei parlanti agisce verosimilmente il modo in cui è percepito l’aspetto dell’azione verbale. È stato proposto (Benincà & Cinque 1992; Sorace 2000) di legare la selezione di essere all’espressione esplicita di una ‘telicità’ (➔ aspetto) dell’evento atmosferico: quando piovere ha l’ausiliare essere, ciò avverrebbe perché è interpretato come un verbo di movimento direzionale che denota il cambiamento di luogo di un’entità (nel caso, la pioggia). Ma se ciò spiega la differenza tra (17) e (18), non spiega però la sostanziale equivalenza di (19) e (20):
(17) mi è piovuto sulla testa
(18) mi * ha piovuto sulla testa
(19) è piovuto sul terrazzo
(20) ha piovuto sul terrazzo
Il legame tra aspetto dell’azione verbale e scelta dell’ausiliare coi verbi atmosferici resta pertanto da precisare in termini linguistici obiettivi.
Fornaciari, Raffaello (1881), Sintassi italiana dell’uso moderno, Firenze, Sansoni.
Benincà, Paola & Cinque, Guglielmo (1992), Sur l’ambiguïté structurale des verbes météorologiques en italien, in Hommages à Nicolas Ruwet. De la musique à la linguistique, édités par L. Tasmowski & A. Zribi-Hertz, Ghent, Communication & Cognition, pp. 155-162.
Rohlfs, Gerhard (1952), Über Blitz und Wetterleuchten (Zu Ital. “baleno” ‘Blitz’), «Zeitschrift für romanische Philologie» 68, pp. 294-299.
Sorace, Antonella (2000), Gradients in auxiliary selection with intransitive verbs, «Language» 76, pp. 859-890.