fraseologici, verbi
I verbi fraseologici sono verbi (come mettersi, stare, andare, cominciare, continuare, finire) che, combinati con un altro verbo di modo non finito (il verbo lessicale o nucleare) con l’interposizione di una preposizione (a, di, per, da), ne precisano una particolare modalità tempo-aspettuale (➔ aspetto). Insieme al verbo nucleare il verbo fraseologico (chiamato anche ausiliare tempo-aspettuale: Serianni 1997; ➔ ausiliari, verbi) forma una perifrasi verbale (➔ perifrastiche, strutture) che designa tipicamente una fase del processo indicato dal verbo nucleare stesso. Il termine fraseologico allude al fatto che il verbo fa parte di un’unità fraseologica, cioè della combinazione di due verbi (il fraseologico e il nucleare), nella quale il primo manifesta un significato diverso da quello usuale.
I verbi fraseologici designano una fase del processo verbale indicato dal verbo, il suo grado di realizzazione a un dato momento, nonché il suo carattere più o meno puntuale, durativo, iterativo, ecc. Si distinguono in genere le seguenti fasi:
(a) la fase imminenziale (sta per mangiare / si accinge a mangiare);
(b) la fase incoativa (si mette a mangiare / incomincia a mangiare);
(c) la fase progressiva (sta mangiando / sta a mangiare);
(d) la fase continuativa (continua a mangiare);
(e) la fase terminativa (finisce di mangiare).
Per es., il valore ingressivo dell’aspetto perfettivo del verbo sapere (il passato remoto seppe contrapposto all’imperfetto sapeva) può essere espresso anche dalla perifrasi aspettuale venne a sapere:
(1) ma intanto sono venuto a sapere un bricco di cose (Beppe Fenoglio, La malora, Torino, Einaudi, 1991, p. 51)
Analogamente, la specificazione lessicale dell’inizio e della fine del processo nei verbi addormentarsi (rispetto a dormire) e sbollire (rispetto a bollire) può essere resa con perifrasi quali rispettivamente mettersi a dormire e smettere di bollire:
(2) quando mi misi a dormire quella notte, sapevo che l’indomani, ... (Fenoglio, La malora, cit., p. 9)
In questa voce si terrà conto dalla categorizzazione di Bertinetto (1991), che usa come criterio primario la rilevanza tempo-aspettuale, sottolineando in particolare le «perifrasi fasali» (sulla linea di Coseriu 1976, cui si deve il concetto di «fase»). Saranno però prese in considerazione anche altre costruzioni perifrastiche con valore affine.
Per quanto riguarda l’inventario, i verbi fraseologici si possono dividere in due gruppi secondo il loro significato di base: i verbi fraseologici lessicali e grammaticali.
La prima classe è formata da verbi (come accingersi, avviarsi a, cominciare, iniziare, continuare, seguitare, proseguire, finire, smettere, ecc.) che già a livello lessicale esprimono un significato fasale d’imminenza, inizio, continuazione o conclusione:
(3) Era scesa la notte, e ci accingemmo a partire (Carlo Levi, Le parole sono pietre, Torino, Einaudi, 1955, p. 55)
(4) si avviava a discendere col suo bambino (ivi, p. 59)
(5) Quando richiuse gli occhi cominciava a entrare la luce dalla finestra (Luigi Malerba, La scoperta dell’alfabeto, Milano, Mondadori, 1990, p. 49)
(6) iniziò a contare il denaro in tutta calma (Massimo Carlotto, Nessuna cortesia all’uscita, Roma, e/o, 2000, p. 38)
(7) Continuavo ad aspettare anche solo un cenno con gli occhi (Luciano Ligabue, La neve se ne frega, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 87)
(8) e non si arretrò di un sol passo, non chinò gli occhi, seguitò ad andargli incontro (Giovanni Verga, La lupa, in Id., Opere, Milano-Napoli, Ricciardi, 1955, p. 128)
(9) Vi dico, non smette mai di pensarci (Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Milano, Mondadori, 1993, p. 6)
(10) Va be’... finiamo di brindare (Ligabue, La neve se ne frega, cit., p. 69)
In casi siffatti non si può parlare di un vero e proprio processo di desemantizzazione. Analogamente, a livello sintattico le unità fraseologiche costruite con questi verbi sono meno integrate di quelle costruite con quelli grammaticali (come si vede sottoponendole a test che ne misurino il grado di perifrasticità, come quello di omissione o di sostituzione del verbo nucleare; Strudsholm 2000).
Per contro, i verbi fraseologici grammaticali (verbi generici come fare, stare, prendere, mettersi, andare, venire, lasciare, ecc.) perdono il loro significato di base (movimento o localizzazione spaziale) e prendono invece un valore temporale, statico o dinamico. Il significato lessicale si indebolisce per un processo di ➔ grammaticalizzazione, come si vede negli esempi qui sotto.
Da notare che coi verbi fraseologici grammaticali non troviamo perifrasi continuative (equivalenti a continuare a + infinito), ma perifrasi progressive indicanti il pieno svolgimento e la durata dell’azione verbale (evidenziati anche dall’uso frequente del gerundio):
(11) faccio per prendere un po’ d’uva (Ligabue, La neve se ne frega, cit., p. 69)
(12) Stava per arrivare la prima bufera dell’estate (Francesca Sanvitale, La realtà è un dono, Milano, Mondadori, 1987, p. 88)
(13) Ora si mette a spiegare tutti i disegni dello story board (Ligabue, La neve se ne frega, cit., p. 33)
(14) Lo fissò per qualche istante, prima di prendere a ruotare la testa e a sorridere (Giuseppe Genna, Catrame, Milano, Mondadori, 1999, p. 49)
(15) ‘Papà!’ chiamò la figlia che stava a ascoltare dietro la finestra (Malerba, La scoperta dell’alfabeto, cit., p. 61)
(16) andava spegnendosi il crespucolo iridescente sopra la piazza (Genna, Catrame, cit., p. 31)
(17) Ei come la scorse da lontano [...] lasciò di zappare la vigna (Verga, La lupa, cit., p. 128)
Anche altri verbi non originariamente fasali, ma dal significato più specifico (scoppiare, sbottare, ecc.), possono essere usati in maniera desemantizzata, benché in combinazione con un ristretto gruppo di verbi nucleari:
(18) La ragazza scoppiò a ridere (Malerba, La scoperta dell’alfabeto, cit., p. 10)
(19) Di solito io e FaMo sbottiamo a ridere (Ligabue, La neve se ne frega, cit., p. 23)
Ci sono comunque restrizioni dovute a incompatibilità semantica fra il verbo fraseologico e il verbo nucleare (Bertinetto 1991; Squartini 1998; Amenta 2003): per es., di solito è richiesto che l’azione indicata dal verbo nucleare abbia una certa durata. Ma anche verbi puntuali possono in determinate circostanze (a seconda dell’ottica di chi percepisce l’azione) esser visti come costituiti da fasi:
(20) Cominciò a uscire sul ballatoio una ragazza (Fenoglio, La malora, cit., p. 16)
(21) continuo a svegliarmi poi mi ha morsicato sul braccio sulla gamba sul sedere (LIP NB32)
L’incompatibilità fra il valore imperfettivo del ➔ gerundio e il valore perfettivo del ➔ passato remoto impedisce costruzioni quali * stettero aspettando (possibili in spagnolo), mentre non è interdetto l’uso dei tempi perfettivi se la perifrasi gerundiale è sostituita con la perifrasi stare a + infinito, anch’essa di valore progressivo:
(22) i due vecchi stettero a aspettare alla finestra finché non lo videro (Malerba, La scoperta dell’alfabeto, cit., p. 39)
Le due perifrasi progressive presentano interessanti differenze soprattutto in prospettiva diatopica (➔ variazione diatopica): stare + gerundio è la forma più diffusa nell’➔italiano standard; a livello dialettale è però assai raro al Nord, poco diffuso al Centro, mentre è diffusissimo al Sud (Amenta 2003: nota 2). La costruzione stare a + infinito, che rispetto alla perifrasi gerundiale appartiene a un registro più colloquiale, si è estesa a tutto il paese a partire dalle varietà regionali del Centro, in particolare dalla parlata di Roma (➔ Roma, italiano di), ove ormai insidia la perifrasi gerundiale (sulla diversa distribuzione delle due costruzioni nelle varietà regionali toscane, si veda Squartini 1998: 128-30). Che le due forme coesistano anche nel parlato colloquiale della varietà regionale di Roma, è illustrato dai due esempi seguenti, tratti da corpora di lingua parlata di Roma:
(23) perché quello che stai a fa’ te adesso l’ho fatto io per dieci anni quindi so perfettamente quello che stai provando tu (LIP RC4)
(24) pensa che stamattina ti stavo chiamando mi sa che era occupato stavi a parla’ con Stefano chissa’ bo (LIP RB2).
Le cinque fasi distinte prima possono essere distribuite su un continuum secondo la natura dell’azione espressa dal verbo nucleare, come mostrato in tab. 1.
A queste perifrasi se ne possono aggiungere anche altre che in diversa maniera si collocano sull’asse.
Anzitutto vanno menzionate le perifrasi che collocano l’evento in un futuro immediato (l’evento non si è ancora realizzato, e si può parlare quindi di fase di pre-realizzazione; cfr. Jansen & Strudsholm 1999), e le perifrasi che collocano invece l’evento in un passato recente (quindi fase di post-realizzazione). In molte lingue, infatti, il futuro immediato e il passato recente si esprimono per mezzo di verbi fraseologici grammaticali:
francese spagnolo inglese
futuro aller ir a be going to
immediato + infinito + infinito + infinito
passato venir de acabar de
recente + infinito + infinito
Perifrasi italiane equivalenti a queste (andare a + infinito e venire di + infinito) sono segnalate nel Settecento (appunto sotto l’influsso francese), ma sembrano sparire in seguito per effetto del ➔ purismo ottocentesco (Amenta & Strudsholm 2002: nota 2; Serianni 1997: 280); venire di + infinito per indicare la fase che segue subito dopo la realizzazione dell’evento è assente in italiano (e non va confusa con un’altra perifrasi verbale, di carattere modale: venire da + infinito, indicante l’impulso a compiere una certa azione: mi viene da piangere, ma anche mi viene di darti un ceffone).
Non di rado, invece, la costruzione andare a + infinito opera come alternativa sia al futuro morfologico sia a costruzioni analitiche con i verbi modali (➔ modali, verbi) potere, dovere e volere. Nell’esempio seguente, accanto all’espressione idiomatica andare a finire, dal valore esclusivamente tempo-aspettuale, si nota anche la costruzione andarsi a vedere:
(25) e poi andatevi a vedere una partita che tutti sanno come va a finire (Ligabue, La neve se ne frega, cit., p. 23)
Sebbene in questo caso il verbo andare abbia ancora il significato di verbo di movimento, è evidente che l’azione indicata dal verbo nucleare è proiettata in un futuro prossimo; a spingere verso l’interpretazione del costrutto in senso unitario, cioè come perifrasi, contribuisce inoltre la posizione del pronome clitico vi.
Anche negli esempi seguenti è evidente che il valore di azione futura è l’unico possibile o è comunque più importante che non quello di «recarsi in un luogo» (altri esempi, anche in prospettiva diacronica e diatopica, in Amenta & Strudsholm 2002):
(26) non ha senso che poi lei vada a parlare della legge di Grimm dei mutamenti fonetici di questo e quest’altro se non sa che cos’è una consonante (LIP NC11)
(27) Avevo appena sotterrato mio padre e già andavo a ripigliare in tutto e per tutto la mia vita grama (Fenoglio, La malora, cit., p. 4)
Anche la perifrasi avere da + infinito può indicare un futuro immediato. Come si vede dagli esempi qui sotto, il suo valore è insieme modale e di futuro (coincidenza non sorprendente, dato che sono numerose le lingue che impiegano i verbi modali per esprimere il futuro). Avere da + infinito con valore di futuro è usato più spesso nelle varietà meridionali: in certi dialetti del Sud è del tutto grammaticalizzato come forma analitica di futuro (Squartini 1998: 30):
(28) Io sono contenta e sarò pronta. Tu hai solo da parlare (Fenoglio, La malora, cit., p. 66)
(29) eh c’abbiamo da passa’ la pubblicità devi aspetta’ un minuto (LIP FB18)
(30) senti tornatene via insomma che t’aggie ’a dicere che ti posso dire (LIP NB32)
Tornando all’oscillazione, o meglio alla sovrapposizione, fra significato spaziale e significato temporale, che si riscontra in andare a + infinito, essa si incontra anche nella perifrasi progressiva stare a + infinito. In (15) e (22) la presenza di una determinazione spaziale (dietro alla finestra; alla finestra) suggerisce che è ancora presente la semantica originaria del verbo fraseologico; la stessa cosa accade anche negli esempi seguenti, che illustrano un caso molto frequente, in cui l’avverbio di luogo sottolinea il valore spaziale di stare, che però proprio per il suo significato di base («restare dove si è, rimanere fermo, immobile») conferisce valore durativo all’azione designata del verbo seguente:
(31) Io sto qua a studiare il punto giusto per fare il buco (Malerba, La scoperta dell’alfabeto, cit., p. 29)
(32) Non star lì a cabalizzare se lo vedi ancora o se non lo vedi più (Fenoglio, La malora, cit., p. 27)
Altre perifrasi degne di nota sono quelle come cominciare (o continuare o finire) con + infinito (Bertinetto le chiama ingressiva, estensiva e egressiva) che hanno «la funzione di indicare la collocazione di un determinato evento in rapporto ad una sequenza di altri eventi consimili» (Bertinetto 1991: 159):
(33) non mi sono troppo stupita del fatto che tu abbia finito col ricorrere alla violenza (Ligabue, La neve se ne frega, cit., p. 73).
DISC 1997 = Il Sabatini Coletti. Dizionario della lingua italiana, Firenze, Giunti.
LIP = Lessico di frequenza dell’italiano parlato: http://languageserver.uni-graz.at/badip/badip/20_corpusLip.php.
Amenta, Luisa (2003), Tra lingua e dialetto: le perifrasi aspettuali nell’italiano regionale di Sicilia, in Il verbo fra italiano, dialetto, lingua straniera, a cura di I. Tempesta, M.R. Buri & G. Tamburello, Galatina, Congedo, pp. 59-89.
Amenta, Luisa & Strudsholm, Erling (2002), “Andare a + infinito” in italiano. Parametri di variazione sincronici e diacronici, «Cuadernos de filología italiana» 9, pp. 11-29.
Bertinetto, Pier Marco (1991), Le perifrasi verbali, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 129-161.
Coseriu, Eugenio (1976), Das romanische Verbalsystem, hrsg. von H. Bertsch, Tübingen, Narr.
Jansen, Hanne & Strudsholm, Erling (1999), I costrutti fasali e la loro funzione testuale, in Linguistica testuale comparativa. In memoriam Maria-Elisabeth Conte. Atti del Convegno interannuale della Società di Linguistica Italiana (Copenaghen, 5-7 febbraio 1998), a cura di G. Skytte & F. Sabatini, København, Museum Tusculanum Press, pp. 373-388.
Serianni, Luca (1997), Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, con la collaborazione di A. Castelvecchi; glossario di G. Patota, Milano, Garzanti.
Squartini, Mario (1998), Verbal periphrases in Romance. Aspect, actionality and grammaticalization, Berlin - New York, Mouton de Gruyter.
Strudsholm, Erling (1999), Perifrasi verbali ed altri modificatori del processo verbale, in La langue, les signes et les êtres. Actes du colloque de l’Institut d’etudes romanes de l’Université de Copenhague (3 octobre 1998), édité par H.P. Lund, Københaun, Museum Tusculanum Press, pp. 47-60.
Strudsholm, Erling (2000), Perifrasi verbali italiane. Una discussione di differenti criteri di identificazione, in Atti del V Congresso degli italianisti scandinavi (Bergen, 25-27 giugno 1998), a cura di K. Blücher, con la collaborazione di P. Caru & G. Nencioni, Bergen, Universitetet i Bergen, pp. 305-314.