sintagmatici, verbi
I verbi sintagmatici sono verbi polirematici (cioè composti da più elementi; ➔ polirematiche, parole) come andare giù, tirare su, venire fuori, mettere sotto, ecc., che hanno la struttura verbo + particella. Il verbo è di solito un verbo di movimento (➔ movimento, verbi di), la particella un avverbio locativo (➔ avverbi).
In generale, la particella locativa indica la direzione del movimento codificato dal verbo: andare su «salire», andare dentro «entrare». In altri casi il significato della costruzione è idiomatico, cioè non più derivabile dalla somma dei singoli significati: mettere sotto «investire», tirare su «allevare» (➔ modi di dire); in taluni casi, infine, l’aggiunta della particella è pleonastica: uscire fuori, entrare dentro. L’alto numero dei verbi sintagmatici caratterizza l’italiano tra le lingue romanze (➔ lingue romanze e italiano): inoltre, questi verbi sono frequenti nell’italiano informale e parlato, come in molti dialetti, specie settentrionali. Verbi sintagmatici esistono d’altro canto anche nelle lingue germaniche.
Benché segnalati sporadicamente (De Mauro 1963: 385-386 parla, per es., di «particelle locative aggiunte al verbo, in posizione accentata»), i verbi sintagmatici sono oggetto di studi a sé solo a partire dai contributi di Schwarze (1985) e specialmente di Simone (1997; lavori recenti in Cini 2008a). Lo stesso termine verbo sintagmatico (ormai affermatosi a scapito di soluzioni precedenti, come verbo complesso, verbo composto, verbo perifrastico o verbo analitico) è quello proposto da Simone, sul modello dell’inglese phrasal verb.
I verbi sintagmatici sono per lo più verbi di movimento generici e di alta frequenza, sia intransitivi, come andare e venire in (1) e (2), sia transitivi, come tirare e mandare in (3) e (4):
(1) s’alzò e andò fuori facendoci spostare tutti (Fenoglio 1991: 24)
(2) il tedesco veniva su di cattivo umore (Calvino 1993: 7)
(3) tutte le volte che vedevo nostra madre tirar fuori dei soldi (Fenoglio 1991: 6)
(4) io mandavo giù la roba senza sentirci il gusto (Fenoglio 1991: 17)
Della categoria fanno parte anche verbi di movimento più specifici che codificano esplicitamente o il modo del movimento (come sgattaiolare e scantonare negli esempi 5 e 6) o la direzione (uscire e salire negli esempi 7 e 8), che illustrano il tipo pleonastico di cui sopra:
(5) sgattaioli via per una porta oltre alla quale c’è una neutrale sala (Baricco 1995: 78)
(6) Pin ha scantonato fuori dal mucchio delle vecchie case (Calvino 1993: 23)
(7) identici a quelli che dal bar biliardi escono fuori (Baricco 1995: 31)
(8) sono salito su fino all’ultima galleria (Baricco 1995: 33)
Si hanno inoltre verbi di stato in luogo, quali essere e stare:
(9) il Posillipo è sotto di due gol (Baricco 1995: 65)
(10) è lo stesso che è stato dentro per falsa testimonianza (Genna 1999: 43)
C’è infine un gruppo più eterogeneo di verbi che non sono né di movimento né di stato in luogo, ma generici e molto frequenti, come fare, dare, tenere:
(11) e quando hanno fatto fuori Benedetto (Genna 1999: 44)
(12) l’idea di sceneggiatura che teneva su il tutto (Baricco 1995: 69)
Gli avverbi di luogo che operano da particella sono circa 20 (Iacobini & Masini 2006): accanto, addosso, appresso, attorno, avanti, contro, dentro, dietro, fuori, giù, incontro, indietro, intorno, lontano, oltre, sopra, sotto, su, via, vicino. Nei dialetti settentrionali, però, in cui i verbi sintagmatici sono molto diffusi, il numero delle particelle è più alto: Vicario (1996: 190), per il friulano, parla di una quarantina di avverbi. I verbi per parte loro sono nella gran maggioranza verbi generici di altissima frequenza; alcuni formano verbo sintagmatico con quasi tutte le particelle. Simone (1997) presenta una lista aperta di 131 verbi sintagmatici; Iacobini & Masini (2006) includono nel loro corpus 165 verbi, tratti dai dizionari GRADIT e DISC; Cini (2008b) rileva dai più recenti dizionari italiani oltre 220 verbi. Queste cifre indicano che i verbi sintagmatici italiani, benché non numerosi rispetto al vocabolario generale, occupano per frequenza, specie nei registri informali e nel parlato, un ruolo di primissima importanza.
A essere precisi, la maggior parte delle particelle rientra nel gruppo di lessemi polivalenti classificati a volte come avverbi e a volte come preposizioni improprie (➔ preposizioni; circa l’ambiguità grammaticale della particella, cfr., per es., Venier 1996: 155 e Jansen 2004: 130-135). La natura parzialmente preposizionale della particella è evidente nei verbi in (13 a.) e (14 a.), che richiedono un complemento sotto forma di sintagma preposizionale, come anche negli esempi paralleli (13 b.) e (14 b.), in cui il complemento è estratto tramite pronominalizzazione, procedura tipica appunto delle preposizioni improprie:
(13)
a. Io avevo capito che lei stava dietro a mio marito (www.nostrofiglio.it)
b. Calimani gli stava dietro per tenerlo d’occhio (Genna 1999: 113)
(14)
a. la TV dà addosso a drogati e stranieri (forums.myspace.com)
b. la vita ti dà addosso con dei castighi (Fenoglio 1991: 25)
I due componenti hanno forte coesione (➔ coesione, procedure di), che li fa percepire come concetto unico, con un sovrappiù semantico rispetto ai singoli significati: stare dietro a qualcuno «inseguire qualcuno»; dare addosso a qualcuno «infierire contro qualcuno».
La percezione dei verbi sintagmatici come portatori di significati unitari è confermata dalla presenza di numerosi corrispondenti monorematici, dai più trasparenti (andare fuori «uscire» o tirare fuori «estrarre») a quelli più idiomatici (fare fuori «uccidere» o mettere dentro «imprigionare»). Come indicano le riformulazioni in (15) e (18), dal corpus di parlato LIP, i parlanti sono coscienti della sinonimia fra le forme analitiche (in corsivo) e quelle sintetiche (sottolineate):
(15) è partita è andata via la mia macchina (LIP: MB36)
(16) è andato via non dico scomparso del tutto [un gonfiore] (LIP: RE4)
(17) digredisco vado fuori (LIP: ND5)
(18) non c’è i bottoni va giù cala così (LIP: FE4).
La classificazione semantica di Simone (1997) distingue tre tipi di verbi sintagmatici:
(a) quelli in cui la particella ha valore direzionale (andare fuori);
(b) quelli in cui la particella ha valore di intensificatore (uscire fuori);
(c) verbi dal significato metaforico o idiomatico (fare fuori).
Nei verbi del tipo (a) la particella aggiunge il tratto direzione al movimento espresso dal verbo e il significato della costruzione è largamente composizionale (cfr. 1-6). Nei dialetti settentrionali sono frequentissimi i verbi sintagmatici direzionali: ligure-parmense takàr sy, lett. «attaccare su» > «appendere», friulano lâ sot, lett. «andare sotto» > «affondare»; spesso non esistono equivalenti sintetici, come è invece il caso nell’italiano.
I verbi del tipo (b) possono considerarsi una sottocategoria di (a): la particella conserva il valore direzionale, ma è un puro intensificatore (➔ intensificatori), essendo la direzione già codificata nel verbo. È il tipo che Schwarze chiama pleonastico, riscontrabile in costruzioni frequentissime quali uscire fuori e salire su (cfr. 7-8), ma anche in contesti in cui il parlante evidentemente sente il bisogno di rafforzare l’elemento direzionale:
(19) un impiccato che pende giù da un albero (Baricco 1995: 10)
(20) aveva iniziato a gocciolare giù [l’acqua] (LIP: RB34)
(21) può derivare fuori un giudizio positivo da dalle iniziative (LIP: NC4)
Con i verbi del tipo (c), dall’originario dominio locativo la costruzione si estende ad altri domini, acquistando una vasta gamma di valori metaforici e idiomatici (cfr. 9-14), come nei seguenti verbi: ligure-parmense tirar sy «caricare» (un orologio) e star sy «alzarsi dal letto, svegliarsi», e friulano fâ jù «sedurre», «tagliare» (capelli o barba), bevi su «assorbire» e dâ daûr (letteralm. «dare dietro» > «imitare»). Il significato non è più derivabile dai significati dei suoi componenti, con una gradazione che va dalla semitrasparenza metaforica (come stare dietro in 13 a. e 13 b.) fino alla completa idiomaticità (come fare fuori in 11).
Va notato che molti verbi sintagmatici hanno secondo i casi valore locativo-direzionale, metaforico o idiomatico (come in 22 a.-c.), una versatilità d’uso che spiega la preferenza che si manifesta verso i verbi sintagmatici nella lingua colloquiale e parlata:
(22)
a. te lo sei portato via dall’America (LIP: RA2)
b. se uno si lascia portar via l’onestà (LIP: MD13)
c. son con un raffreddore che porta via (LIP: MB36)
Alla tripartizione appena vista, Masini (2005) e Iacobini & Masini (2006) aggiungono una quarta categoria, in cui la particella acquista valori aspettuali (➔ aspetto): si tratta di una sottoclasse di verbi costituiti con via, dal significato generico di «rimuovere», quali grattare, lavare, cacciare, ecc. La funzione di via in queste costruzioni è di indicare che il processo di rimozione è compiuto con buon risultato:
(23) il liquido ce l’avevano tolto via (LIP: NB55)
In altri casi via aggiunge il tratto telico / risultativo a un verbo che all’origine non lo possiede. Ciò risulta dal fatto che, a una frase con un verbo sintagmatico aspettuale, come raschiare via in (24 a.), è impossibile aggiungerne una che smentisca che la rimozione sia stata ottenuta come risultato. In (24 b.), invece, essendo il verbo raschiare di per sé atelico, ciò è possibile (esempio da Iacobini & Masini 2006):
(24)
a. Marco raschia via la vernice [*ma questa non si stacca]
b. Marco raschia la vernice [ma questa non si stacca]
Di verbi sintagmatici in cui la particella abbia una funzione puramente aspettuale («portare a termine un’azione»), abbondano molti dialetti settentrionali. Nel friulano, nel ligure-parmense e nel veneto troviamo così una serie di verbi sintagmatici in cui la particella, invece di aggiungere al verbo un tratto direzionale, indica solo che l’azione è compiuta fino in fondo. Gli esempi seguenti hanno la traduzione letterale: magnar fora «mangiare fuori», serar / siarâ su «chiudere su», bulî su «bollire su», bevar fora / bevà sy «bere fuori / su», brusar fora «bruciare fuori», cirî fûr «cercare fuori = trovare», polsâ fûr «riposare fuori». Tutte queste costruzioni sono sorprendentemente simili a verbi sintagmatici tipici dell’area germanica (cfr. Jansen 2008).
I criteri proposti da Simone (1997) si basano sulla coesione interna della costruzione: coesione semantica, che porta alla non-composizionalità del significato; coesione sintattica, che implica la nulla o ridotta separabilità di verbo e particella; coesione prosodica che imprime al verbo sintagmatico un unico contorno intonazionale (➔ intonazione; ➔ prosodia). Gli esempi seguenti illustrano la coesione interna a livello sintattico e fonologico. In (25), che contiene il verbo far fuori col significato idiomatico «eliminare» / «uccidere»:
(25) vado a far fuori la torta che è avanzata (clode81.splinder)
si vede come si possano inserire nei verbi sintagmatici pronomi ➔ clitici, come in (26) e (27), o avverbi monorematici, come subito e quasi in (28) e (29):
(26) Il suo ex alleato voleva farlo fuori (faidadiscampia.blogspot.com)
(27) qualcuno sta cercando di fargliela fuori, la nostra asti (www.finanzaonline.com)
(28) forse era lui l’uomo giusto ... ma l’hanno fatto subito fuori (www.beppegrillo.it)
(29) oggi ho fatto quasi fuori un pacchetto di Alpenliebe (www.forumsalute.it)
L’inserzione, comunque, è possibile solo quando si tratti di costituenti leggeri. Se sono inseriti invece oggetti diretti lessicalmente pieni (come nell’es. 30: la torta) o avverbiali pesanti (come nell’es. 31: il più delle volte), la lettura della combinazione fare e fuori come verbo sintagmatico è esclusa:
(30) siamo riusciti a fare la torta fuori in un momento di tregua della pioggia (www.matrimonio.it/forum)
(31) in porto non si potrebbe pescare quindi, dovendo farlo il più delle volte fuori, ti consiglio di pescare a fondo (fishingforum.freeforumzone)
In entrambi i casi fuori non è più parte integrante di un verbo sintagmatico, ma abbiamo a che fare con costruzioni sintattiche libere. Ciò accade anche in (32), in cui l’avverbio è stato separato dal verbo tramite dislocazione a sinistra:
(32) in due settimane sicuramente un pasto fuori lo facciamo! (forum.pianetamamma.it)
L’inseparabilità si osserva anche a livello prosodico: «gli avverbi che sono parte di un verbo sintagmatico sono tonici, tendono a formare parola fonologica con la parte verbale del verbo sintagmatico e, in posizione finale, portano il rilievo maggiore» (Simone 1997: 167), come illustrano sia l’esempio (25), in cui il ➔ troncamento dell’infinito porta inequivocabilmente l’accento sulla particella (far fuòri), sia (33 a.), ripreso da Simone, in cui la pausa intonazionale dopo la particella blocca la possibilità di fondere particella e articolo (come avviene invece in 33 b. dove il verbo tirare mantiene il suo accento):
(33)
a. i commercianti tirano su | il prezzo [«alzano il prezzo»]
b. i commercianti tirano | sul prezzo [«non cedono sul prezzo»]
Per segnalare la presenza di un verbo sintagmatico, si può ricorrere anche alla coesione grafica (➔ univerbazione), come illustra l’uso di molti scrittori in dialetto friulano della «lineetta tra verbo e avverbio (cjoli-vie «prendere in giro», fâ-su «costruire», ecc.), a indicare un’unità particolare tra due lessemi» (Vicario 1996: 190).
È da notare comunque che nei verbi sintagmatici direzionali, dove la particella ha ancora il valore originario locativo, l’inserzione dell’oggetto, benché rara, non è esclusa. Ciò avviene però quasi sempre in presenza di un ➔ sintagma preposizionale che attrae la particella, facendole scavalcare l’oggetto: si confrontino (34 a.) e (34 b.):
(34)
a. hanno subito tirato fuori il bambino dall’acqua (www.arezzoweb.it)
b. hanno tirato il bambino fuori dall’acqua (www.mbnews.it)
In (35), in cui la lettura di tirare fuori è chiaramente metaforica/idiomatica, l’ordine continuo è invece intoccabile. L’eccezione a conferma della regola – il solo caso di ordine discontinuo rispetto alle più di 2700 occorrenze (trovate via Google) di ordine continuo, cioè tirar(e) fuori la verità – è (36), in cui il sintagma preposizionale dal cassetto, oltre ad attirare la particella, porta a una apparente lettura concreta di tipo locativo:
(35) il coraggio di tirare fuori la verità manca (www.facebook.com)
(36) è meglio non fare troppo baccano per tirare la verità fuori dal cassetto (blogghete.blog.dada.net)
L’inseparabilità di verbo e particella è quindi il criterio cruciale per delimitare i verbi sintagmatici. Tale criterio però diventa forse meno vincolante (portando così i verbi sintagmatici italiani più vicino a quelli germanici), come suggerisce Masini (2008) presentando una serie di esempi quali i seguenti:
(37) qui bisogna pensare a buttare la palla dentro
(38) più spesso accadeva che tirasse la scala su
A prescindere dalle restrizioni rilevate da Masini, e dalla selettività delle particelle coinvolte nelle costruzioni in esame, è suggestiva l’ipotesi dell’emergere dell’ordine discontinuo che «la nostra intuizione di parlanti […] fino ad oggi ha bollato come agrammaticale» (Masini 2008: 99).
Sono state avanzate varie ipotesi per spiegare il comportamento dell’italiano, atipico nel quadro romanzo. L’ipotesi germanica o di contatto, a lungo quella prevalente, fa leva sul fatto che i verbi sintagmatici sono particolarmente frequenti nei dialetti settentrionali, più a contatto, appunto, con le lingue germaniche. Come accennato sopra, i verbi sintagmatici nei dialetti settentrionali spiccano non solo per quantità, ma anche per la varietà delle modalità d’impiego (come, per es., il tipo puramente aspettuale), e per il fatto che spesso costituiscono il prevalente, se non l’unico, pattern di ➔ lessicalizzazione dei verbi di movimento, dato che non esistono corrispettivi monorematici come nell’italiano standard.
Ma nonostante i paralleli, spesso vistosi, con i verbi sintagmatici germanici, la maggior parte degli studiosi ormai concorda che l’espansione dei verbi sintagmatici in italiano standard non si spiega se non marginalmente con l’influsso germanico tramite i dialetti e le varietà regionali del Nord. Studi recenti sottolineano che esistono verbi sintagmatici nei dialetti meridionali, e si mette ormai in dubbio anche che sia il contatto con l’area germanica a intaccare il tipico modello romanzo, cioè la forma sintetica. Così Vicario (1997: 241) fa notare che nel periodo di maggior influsso germanico in Friuli, il Quattrocento, i verbi sintagmatici erano quasi inesistenti in friulano, e solo nel Cinquecento se ne hanno le prime sporadiche attestazioni: bisogna aspettare fino alla metà dell’Ottocento per la piena affermazione della costruzione analitica. A sfavore dell’ipotesi germanica è anche il fatto che normalmente i cambiamenti linguistici avvenuti per spinte esterne, cioè per calchi di strutture straniere, si manifestano prima nello scritto e da lì si estendono ai registri informali, mentre i cambiamenti che partono dal parlato sono motivati dall’interno. Nel caso dei verbi sintagmatici non c’è dubbio che l’espansione sia partita dal parlato, al quale i verbi sintagmatici sono particolarmente adatti.
L’ipotesi diamesica (per es., Jansen 2004) vede così il fenomeno come una re-integrazione nell’italiano standard di tratti tipici del parlato, per molti secoli accantonati dalla norma scritta, benché presenti già nell’italiano antico: si vedano (39)-(40), rispettivamente dal Decamerone e dai Fioretti di San Francesco (cfr. Jansen 2004), come numerose attestazioni in Dante (come abbondantemente documentato da Masini 2005) e in tutta la storia della lingua:
(39) avvenne che, sembianti faccendo d’andare fuori della città a diletto
(40) avendo compassione santo Francesco agli uomini della terra, sì volle uscire fuori a questo lupo
Entrambe le ipotesi non si spiegano però se non si prende in considerazione anche la disponibilità del sistema linguistico italiano ad accogliere i verbi sintagmatici. Secondo l’ipotesi tipologico-strutturale (cfr. Iacobini & Masini 2006; Simone 2008), infatti, lo sviluppo di verbi sintagmatici nell’italiano è dovuto principalmente a fattori tipologici e strutturali interni, in conseguenza a mutamenti della lingua verificatisi nel passaggio dal latino all’italiano (➔ latino e italiano). Così, il cambiamento dall’ordine delle parole soggetto + oggetto + verbo (SOV) del latino all’ordine SVO dell’italiano (➔ ordine degli elementi) porta con sé una generale tendenza all’ordine testa-modificatore anziché modificatore-testa, che intacca tra l’altro il sistema di prefissazione verbale latino. Tale sistema, cioè l’aggiunta di prefissi locativi al verbo a indicare la direzione del movimento (come in ex+īre > uscire; ex+trahĕre > estrarre) già in latino volgare comincia a incrinarsi. Infatti, per una progressiva opacizzazione della forma prefissata, il parlante non percepisce più il significato direzionale, e l’italiano trova nelle particelle locative post-verbali un rimedio alla perdita del sistema della prefissazione (cfr. Vicario 1996, 1997; Iacobini & Masini 2006; per un confronto con il francese, Simone 2008).
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