Verginità
Il termine verginità indica la condizione di chi non ha avuto rapporti sessuali completi. Nell'accezione comune il vocabolo è riferito in particolare alla condizione della donna prima della deflorazione, cioè della perdita dell'integrità dell'imene. Al di là della connotazione biologica, il concetto di verginità implica importanti significati sociali e culturali.
Uno dei temi spesso dibattuti in campo antropologico è legato al ruolo svolto dalla biologia nel determinare le differenze tra il genere maschile e quello femminile. Infatti, se appare evidente che alcuni aspetti legati alla riproduzione sono esclusivamente attribuibili alla biologia, altri risultano invece socialmente determinati, come nel caso della paternità e della maternità. In genere, si tende a opporre i 'fatti' della natura a quelli forniti dalla cultura. Quando però si procede a un'analisi di alcuni aspetti correlati con la sessualità, occorre tenere presente che i modelli adottati, anche quelli medici, non sono affatto obiettivi né tanto meno liberi dalla cultura che li ha prodotti. La verginità può essere vista come un semplice aspetto della sessualità femminile, ma il suo significato culturale non può essere spiegato soltanto in termini biologici e soprattutto assume valenze diverse presso contesti culturali differenti. Il concetto di verginità non può pertanto essere analizzato esclusivamente in rapporto al corpo femminile, ma devono essere messe in evidenza le sue connessioni con la società. Molte culture del passato ritenevano le vergini ricche di energia. Nella Bibbia, per es., si narra che al re David, vecchio e in punto di morte, i ministri suggerirono di ricorrere ad alcune vergini per riacquistare energie (1 Re 1, 2). Secondo la cultura tradizionale cinese, lo yin, l'energia femminile, era presente in tale quantità nelle vergini che poteva rendere prospero l'uomo che riusciva ad assorbirla. Per questo gli imperatori disponevano di un abbondante e continuo rifornimento di vergini, allo scopo di mantenere alto il loro yang. In molti culti, antichi e moderni, si celebra un matrimonio rituale tra una fanciulla vergine e una divinità, al fine di propiziarsi quest'ultima. Talvolta il matrimonio viene sancito attraverso il sacrificio della giovane, come accadeva nell'antico Egitto dove ogni estate, per favorire abbondanti inondazioni, veniva offerta una sposa alla divinità del Nilo, gettando una vergine nelle sue acque. Presso alcune popolazioni del Perù si celebrava un matrimonio tra una vergine e una pietra tagliata in forme umane, che rappresentava la divinità Huaca: da quel momento la fanciulla si votava alla verginità e recava offerte al dio a nome dell'intero villaggio. Gli algonchini invece 'sposavano' le loro reti da pesca a giovani vergini perché Oki, il genio dell'acqua, richiedeva donne che non avessero conosciuto altri uomini. In molte società la verginità rappresenta la purezza femminile per eccellenza. Al di là del fatto privato per cui tale purezza può essere 'rubata' a una donna da un uomo, procurandone l'umiliazione, in alcuni casi la verginità assume un significato sociale che coinvolge l'intera comunità (Hastrup 1978, p. 40). Per es., nella società indiana, caratterizzata da un sistema di caste in cui vige un'endogamia piuttosto rigorosa, la perdita di purezza di una donna, dovuta a rapporti illeciti con un uomo, viene concepita come una perdita di purezza dell'intera casta. Analogamente a quanto accadeva nell'Italia meridionale, in molte località dell'India la coppia appena sposata espone un lenzuolo macchiato di sangue fuori dall'abitazione per testimoniare la purezza della sposa al momento del matrimonio. Se si accerta invece una mancata verginità, può accadere che sia il padre della ragazza, o un fratello, a punirla, anche con la morte, per difendere l'onore della famiglia. Tutto ciò appare paradossale se confrontato con quanto accade nella regione indiana del Punjab, dove un giovane non può essere considerato un uomo fino a che non si sia accoppiato con una donna. In ogni caso la purezza della casta, intesa come gruppo sociale, è determinata dalla donna. In modo simile, nelle isole Samoa la purezza della comunità era affidata alla figlia del capo: la sua verginità era il simbolo dell'integrità della società nel suo complesso (Mead 1928). Anche nel mondo arabo tradizionale l'onore della famiglia grava sulle spalle della donna: ogni comportamento femminile, esplicito o implicito, connesso con relazioni sessuali al di fuori del matrimonio legale, si riflette immediatamente sul buon nome della famiglia. Tale globalizzazione dell'onore femminile è una delle principali cause del forte controllo esercitato da genitori e fratelli sulle giovani donne. Poiché il metodo più semplice per salvaguardare la verginità prematrimoniale di una ragazza è quello di anticipare il più possibile l'età del matrimonio, accade che spesso le unioni vengano 'combinate' dalle famiglie dei giovani con una conseguente riduzione delle possibilità di scelta, da parte delle ragazze, del futuro marito (Tucker 1993, p. 197). Non sempre però l'onore rappresenta il principale punto di riferimento morale. J.E. Tucker (1993, p. 201) racconta di due ragazze, appartenenti alle classi alte di Nablus, entrambe sposatesi non più vergini. Curiosamente, il prezzo della sposa pagato dai rispettivi mariti non risultava affatto minore rispetto a quello pagato per ragazze ancora vergini. Infatti, sebbene sul piano morale la verginità perduta potesse risultare un elemento deterrente, sul piano pratico i vantaggi per gli sposi derivavano dall'entrare a fare parte di famiglie abbienti e altolocate. L'importanza del rimanere vergini sino al matrimonio richiede una forte dose di responsabilità nelle giovani donne, soprattutto nei casi come quello degli zulu del Sudafrica, per es., in cui la distanza temporale tra la pubertà e il matrimonio è considerevole a causa del sistema di classi d'età che caratterizza tale società. Le ragazze devono spendere molte energie per difendersi dagli 'assalti' dei giovani e i loro corpi vengono spesso esposti in pubblico quali simboli della purezza conservata. Al contrario, l'esposizione del corpo nudo di una donna sposata viene considerata sconveniente. Sono le ragazze dello stesso gruppo di età a esercitare un controllo reciproco sulla rispettiva verginità. Infatti le giovani spesso controllano le une gli imeni delle altre per accertarne l'integrità. Questo è tanto più interessante in quanto a ogni ragazza è permesso di allacciare una relazione 'esterna' con un partner, relazione che non dovrà mai tradursi in un rapporto completo. Qualora ciò avvenga, le compagne della ragazza si recano all'abitazione del ragazzo 'colpevole', mostrando i loro corpi nudi, mentre la ragazza che ha perso la verginità non può spogliarsi in quanto il suo corpo non rappresenta più la purezza (Krige 1968, pp. 174-75).
L'antropologa K. Hastrup (1978, p. 44) ipotizza una suddivisione della vita di una donna in tre periodi principali: il primo è quello della vergine non sessualmente definita, ma potenzialmente creativa; il secondo è quello della sessualità definita e pertanto della donna che procrea; infine, il terzo rappresenta un ritorno all'indefinitezza sessuale, cioè il tempo della vedovanza o della sterilità; è un percorso che va da una potenzialità sessuale ambigua a una fertilità non ambigua, fino a una condizione di carenza di sessualità e mancanza di fertilità. Su tale divisione si innesta la concezione miracolosa del parto di una vergine, un evento quanto mai anomalo, che viene considerato in molte culture un atto divino, come nel caso della Vergine Maria della tradizione cattolica. La vergine che partorisce diventa spesso oggetto di culto e viene considerata come un'intermediaria tra l'uomo e la divinità. L'adorazione delle vergini è una caratteristica antica anche dell'induismo, risalente fino all'epoca vedica. Tra i newars del Nepal, l'influenza del tantrismo sia sull'induismo sia sul buddhismo ha determinato la grande importanza assegnata alla sessualità delle divinità come Devi; la forma di adorazione più praticata è tuttavia il culto della Kumari, la dea vergine vivente. Il termine kumari indica una ragazza tra i dieci e i dodici anni, oppure qualsiasi vergine fino all'età in cui compaiono le prime mestruazioni (Allen 1975, p. 2). A dispetto di tale definizione, negli antichi testi la Kumari viene descritta come una potente dea madre armata e agguerrita. Verso la fine del 18° secolo i newars occuparono la valle di Katmandu formando tre regni autonomi nelle cui rispettive capitali, accanto al palazzo reale, sorgeva il palazzo della Kumari sacra. Vi erano in passato altre ragazze considerate kumari, ma non erano oggetto di culto. Ancora oggi nella valle della capitale nepalese una commissione di sacerdoti, nominata dal sovrano, è incaricata di scegliere alcune bambine, dell'età di 2-4 anni, sulla base di criteri fondati sulla purezza. Le prescelte devono godere di buona salute, non avere sofferto di malattie gravi e soprattutto non avere mai perso sangue a causa di tagli o ferite. Dopo un'ulteriore selezione, rimarrà una sola candidata, nominata Kumari reale, che diverrà oggetto di culto e dovrà mantenere la purezza fino a che qualche elemento impuro, come la perdita di un dente, con la conseguente fuoriuscita di sangue, oppure la prima mestruazione, non porranno fine al suo ufficio. L'adorazione della vergine rappresenta l'esaltazione della purezza e, per traslazione, del concetto di casta. L'ideologia legata al sistema delle caste si esprime spesso in termini di purezza e contaminazione, e generalmente le donne sono considerate meno pure degli uomini in quanto coinvolte in processi vitali come parto, allattamento, mestruazioni ecc. Poiché lo status degli uomini di una casta dipende in gran parte dalle loro donne (date o prese in moglie), la purezza delle giovani ragazze vergini e non ancora mestruate diventa un elemento fondamentale nelle relazioni sociali, in quanto contribuisce ad accrescere o a confermare il prestigio dei maschi. L'inevitabile contaminazione in cui cadono gli esseri umani nel corso della loro vita può essere combattuta solamente con l'astinenza e la rinuncia, tratti caratteristici dell'esistenza degli yogi e dei sadhu. A loro viene delegato il compito di mantenere intatto il loro corpo. Analogamente la Kumari rappresenta questo ideale di incontaminazione, ma la sua figura rimane ambigua nell'universo religioso induista, nel quale sono esaltate a un tempo sia la purezza legata alla verginità sia la capacità procreativa della donna e quindi la sua contaminazione con rapporti sessuali. La figura della Kumari appare ambigua anche per quanto riguarda i suoi riferimenti religiosi nel pantheon induista. Infatti, viene associata a divinità femminili che non sono affatto caratterizzate da purezza premestruale, e alla dea Taleju Bhavani, una espressione di Kali, che oltre a essere una delle dee più dotate di potenza distruttrice deve essere continuamente soddisfatta con sacrifici animali. Tale apparente contraddizione è però alla base del culto della Kumari. Infatti, secondo l'antropologo australiano M.R. Allen (1975, pp. 9-10), nonostante tutte le dee indù siano pure, è la capacità distruttiva di Taleju, e non il suo mantenere la purezza, che gli adoratori della Kumari vanno cercando. Ed è per lo stesso motivo che i sovrani nepalesi del passato e del presente hanno voluto una Kumari al loro fianco.
bibl.: m.r. allen, The cult of Kumari. Virgin worship in Nepal, Kathmandu, Institute of Nepal and Asian Studies, 1975; Defining females. The nature of woman in society, ed. S. Ardener, London, Berg, 1978; k. hastrup, The semantics of biology: virginity, in Defining females. The nature of woman in society, ed. S. Ardener, London, Berg, 1978, pp. 39-65; e.j. krige, Girls, puberty songs and their relation to fertility, health, morals and religion among the Zulu, "Africa", 1968, 38, pp. 173-98; m. mead, Coming of age in Samoa, London, Penguin, 1928; j.e. tucker, Arab women. Old boundaries, new frontiers, Bloomington, Indiana University Press, 1993.