vergognarsi [vergognasse, cong. imperf. I singolare. La forma assoluta prevale su quella pronominale, con lo stesso significato: cfr. F. Brambilla Ageno, Il verbo nell'italiano antico, Milano-Napoli 1964, 136]
Nelle poche occorrenze del verbo, distribuite fra Vita Nuova e Commedia, prevale l'accezione di " provar vergogna " per la coscienza di una colpa. Questa può essere il ‛ vaneggiare ' degli occhi di D., i quali si sono lasciati attrarre dalla vista di una gentile donna giovane e bella molto (Vn XXXV 2), onde il poeta scrive il sonetto Lasso! per forza di molti sospiri (e dissi ‛ lasso ' in quanto mi vergognava di ciò, che li miei occhi aveano così vaneggiato [XXXIX 6; cfr. vergognoso cuore, § 3]); o la colpa indeterminata dei fanciulli, [che] vergognando, muti / con li occhi a terra stannosi, ascoltando / e sé riconoscendo e ripentuti (Pg XXXI 64: a loro si paragona il poeta rimproverato da Beatrice), o quella più grave dei lussuriosi che nel settimo girone del Purgatorio aiutati l'arsura vergognando (XXVI 81: " la vergogna, che viene in aiuto all'arsura, è immagine molto icastica ", Petrocchi).
Il verbo acquista particolare vigore nella frase con cui D. conclude la serie d'inviti ad Alberto d'Asburgo, colpevole di non curarsi dell'Italia: Vieni a veder Montecchi e Cappelletti ... / Vien, crudel, vieni, e vedi... / Vieni a veder... / Vieni a veder... [Pg VI 106, 109, 112, 115] / e se nulla di noi pietà ti move, / a vergognar ti vien de la tua fama (v. 117), " cioè vieni al meno, per mostrare che tu ti vergogni d'avere sì fatta fama; cioè che per avarizia tu stii ne le parti de la Magna e lassi disfare Italia " (Buti). È un " invito paradossale ma, come ultima misura, se le precedenti ragioni non sono sufficienti, per Dante il più efficace; sempre che nell'animo di Alberto sia rimasto un minimo di amor proprio e di dignità " (Mattalia, che registra anche la lezione a vergognarti vien).
Ma non è sempre la consapevolezza di una colpa che induce a v.: l'azione può essere determinata anche da un senso di ritegno, dal pudore dei propri sentimenti (v. VERGOGNA). Le due occorrenze di questo tipo appartengono alla Vita Nuova e riguardano D. che si trova, suo malgrado, a tradire il sentimento d'amore che vorrebbe tener celato. La trasfigurazione in cui cade, incontrando Beatrice a una festa, lo espone al ‛ gabbo ' delle donne presenti (Vn XIV 7); riavutasi, mi ritornai ne la camera de le lagrime; ne la quale, piangendo e vergognandomi, fra me stesso dicea, ecc. (§ 9). La situazione si ripete nel cap. XXIII, nel quale è descritto il sogno della morte di Beatrice: il poeta si sveglia pronunciando il nome di lei, con voce sì rotta dal singulto del piangere, che le donne che lo assistono non arrivano a comprenderlo; e avvegna che io vergognasse molto, tuttavia per alcuno ammonimento d'Amore mi rivolsi a loro (§ 13). Si veda la descrizione di questo momento nella canzone che segue: con tutta la vista vergognosa / ch'era nel viso mio giunta cotanto [" quantunque la vergogna fosse tanto evidente sul mio viso ", Barbi-Maggini], / mi fece verso lor volgere Amore (519 18-20).