VERNAZZA DI FRENEY, Giuseppe
– Nacque ad Alba il 10 gennaio 1745, dal medico Francesco Antonio (1713 ca.-1783) e dalla sua prima moglie, Cristina Vietti, figlia di un notaio.
Il padre era figura di un certo rilievo sulla scena albese (nel 1755 fu presidente della locale Accademia Filarmonica), ma le origini della famiglia erano, comunque, nella piccola borghesia provinciale. Destò quindi una certa sorpresa quando, nel 1779, Vernazza fece pubblicare a Cagliari (Stamperia Reale) il Blasone dell’arma del nobile Giuseppe Vernazza di Alba, recante le armi inquartate dei propri genitori.
Dopo avere frequentato ad Alba i corsi di filosofia e retorica, s’iscrisse all’Università di Torino, dove si laureò in legge il 2 agosto 1765. Negli anni dei suoi studi, mostrò una spiccata passione per la storia e si legò in amicizia, fra gli altri, con il letterato e storico Jacopo Duranti, che gli fu mentore nei non facili ambienti della capitale. L’anno successivo fu chiamato come applicato volontario alla Segreteria di Stato alla Guerra, a capo della quale era allora il conte Giovan Battista Bogino. Nel 1769 passò, sempre come volontario, alla Segreteria di Stato agli Interni. Nello stesso anno pubblicò a Torino il trattato Degli studi del diritto pubblico e le traduzioni di opere di Benjamin Franklin e di James Boswell. L’anno dopo stampò all’estero la voce Alba per le Città d’Italia di Cesare Orlandi (Perugia 1770) e, soprattutto, la Lettera di un piemontese al [...] conte di Charlemont sopra la relazione d’Italia del [...] Baretti (Milano 1770), in cui si fece portatore del risentimento dei più angusti e provinciali ambienti della cultura subalpina verso quanto il grande letterato torinese aveva scritto nell’Account of the manners and customs of Italy; with observations on the mistakes of some travellers, with regard to that country (1767).
Nel 1773, Vittorio Amedeo III, da poco salito al trono, nominò Vernazza custode degli archivi della Compagnia di Gesù, allora soppressa (un incarico che svolse sino al 1807). Nello stesso tempo, lo trasferì alla Segreteria di Stato alle Finanze, dove lavorò all’Ufficio per il Censimento. Nel frattempo, era entrato a far parte dell’Arcadia, dove risulta almeno dal 1766 con il nome di Iblesio Nafilio. Nel 1775 fu coinvolto nella realizzazione dell’iconografia per gli Epilthalamia exoticis linguis reddita editi a Parma, per i tipi di Bodoni, in occasione delle nozze del principe di Piemonte Carlo Emanuele. Nel 1778 uscì a Cagliari (Stamperia Reale), la Lezione del signor Giuseppe Vernazza gentiluomo di Alba, sopra la stampa. Si trattava del primo esito di quello che sarebbe stato uno dei principali e più fortunati filoni di ricerca di Vernazza.
Gli anni 1780-83 furono centrali per la sua carriera. Il 3 aprile 1780 sposò a Mondovì Giacinta Virginia Faussone di Montelupo (1762-post 1821), con una cerimonia in duomo celebrata da monsignor Michele Casati, legandosi così a una casa d’antica nobiltà. Dopo le nozze, restò tre mesi ad Alba, al termine dei quali si trasferì a Torino. Qui il 6 ottobre 1780 il re gli conferì il titolo di segretario di Stato.
Si trattava – è bene notarlo – di un titolo meramente onorifico, che non era appoggiato su alcuna carica effettiva nella burocrazia dello Stato, ma che garantiva a Vernazza uno stipendio. Ancora nel 1785 egli si rivolgeva al primo ufficiale degli Interni Giacomo Francesco Chionio, chiedendo che gli fosse «convertito in effettivo il titolo, che ho semplice, di segretario di Stato» (lettera da Alba, 29 novembre 1785, in Vernazza, 1984, p. 122). La richiesta però non fu accolta. Il nuovo titolo, comunque, lo indusse a dimettersi dalla segreteria perpetua dell’Accademia di Fossano (che passò a Vincenzo Marenco). Il 30 gennaio 1781 il re investì il padre di Vernazza del piccolo villaggio di Freney (in Moriana), con il titolo di barone (l’infeudazione avvenne il 2 maggio). Si trattava di un favore verso Vernazza, che tuttavia il padre non apprezzò: i due ruppero, infatti, i rapporti. Il 17 febbraio 1781 nacque il primogenito Vittorio, che però morì dieci giorni dopo. Vernazza allora pensò di ritirarsi ad Alba, ma ritornò presto sul suo proposito. Il 9 gennaio 1782 nacque il suo secondogenito Ettore. In questo periodo scrisse le vite di Petrino Belli e di Bartolomeo Cristini.
Nel 1783 la morte del padre e quella della matrigna lo resero unico padrone dei beni familiari, e lo indussero a trasferirsi ad Alba. Lo stesso anno ebbe occasione di accogliere nella sua abitazione albese prima i principi di Piemonte (il 12 giugno) e poi lo stesso sovrano (2 ottobre), cui mostrò un’ara romana, ritrovata nel Tanaro e cui dedicò in seguito la Germani et Marcellae ara sepulcralis commentario illustrata (Torino 1787). Nel triennio 1785-87 fu cooptato nel Consiglio comunale di Alba, divenendo sindaco della città nel 1786. Fu inoltre priore dell’Accademia Filarmonica. In questi anni scrisse la Vita di san Teobaldo (Vercelli 1786), dedicata al santo patrono di Alba.
Fece ritorno a Torino alla fine del 1787. Il re, infatti, lo aveva incaricato di lavorare alle ricerche sulle origini sassoni della dinastia insieme a Melchiorre Rangone. Il sovrano lo volle allora fra i collaboratori della Segreteria di Stato agli Affari esteri e gli chiese, inoltre, di aiutarlo nella scelta dei temi di pitture per la decorazione di Palazzo Reale (come nel caso delle Storie di Agesilao, dipinte da Giovan Domenico Molineri per l’appartamento della duchessa d’Aosta).
Divenne allora un protagonista dell’erudizione subalpina. Il 17 gennaio 1788 entrò nell’Accademia Filopatria, dove negli anni successivi lesse numerosi suoi lavori, fra cui diverse biografie e, nel 1792, la Bibliografia lapidaria patria. Fu cooptato nella redazione della Biblioteca oltremontana, la rivista della Filopatria che, dopo l’uscita dei fratelli Francesco Dalmazzo e Giovan Battista Vasco, aveva abbracciato un carattere conservatore, più in linea con le posizioni di Vernazza. Per la rivista scrisse diversi articoli, fra cui le Notizie patrie spettanti alle arti del disegno. Almeno dal 1790, poi, fu socio della Compagnia di San Luca, e alla fine del 1791 entrò nell’Accademia degli Unanimi, con il nome di Conforme. Allo scoppio della guerra contro la Francia rivoluzionaria fu trasferito all’Ufficio generale del Soldo, che gestiva le spese dell’esercito. Il 24 luglio 1796 Carlo Emanuele IV lo destinò all’Ufficio generale delle Finanze, con una pensione annua di 500 lire, che si aggiungeva a quelle che già riceveva per gli incarichi precedenti. Gli fu affidata, inoltre, la stesura del testo dell’iscrizione da porsi a Superga sulla tomba di Vittorio Amedeo III.
Durante l’occupazione francese, nonostante le autorità cercassero di coinvolgerlo nel governo, si mantenne lontano dalle cariche pubbliche (nell’aprile del 1801, per esempio, rifiutò l’ascrizione alla Municipalità repubblicana di Torino). Nel 1802, anzi, fece stampare dall’editore torinese Briolo i Pieces choisies concernant le Piemont con la falsa indicazione «a Londres, chez Nours». Si trattava di un manoscritto lasciato da Emmanuel de Grouchy a Torino al momento della sua fuga dopo l’arrivo di Aleksandr Suvorov, che Vernazza sperava mostrasse ai torinesi le violenze usate dai francesi contro i Savoia.
Privo di incarichi, in gravi condizioni finanziarie (a causa di alcuni investimenti sbagliati aveva persino dovuto vendere la biblioteca), nel dicembre del 1804 partì per Roma e Napoli, per incontrarsi con Vittorio Emanuele I. Il viaggio si rivelò un fallimento: non riuscì infatti a trovare un lavoro né per sé né per il figlio Ettore (che sperava di fare entrare in quel che restava dell’esercito sabaudo). Rientrò in Piemonte nel giugno del 1806, stabilendosi ad Alba, dove sin dal 27 maggio 1805 era stato nominato presidente cantonale. Mentre si trovava nella sua città natale, grazie all’interessamento di Prospero Balbo e Tomaso Valperga di Caluso, ottenne sia una pensione annua – con cui poté rimettere in sesto le sue assai compromesse finanze – sia la nomina a vicebibliotecario della Biblioteca imperiale di Torino, città dove si trasferì nel maggio del 1807, per assumere le sue nuove funzioni. La mattina del 23 giugno, però, come egli stesso racconta, fu «arrestato nella pubblica libreria dell’Università» e messo agli arresti domiciliari, per gli incontri avuti con il re durante il viaggio in Italia (Torino, Biblioteca Reale, Mss., M.V.III, n. 6, Vernazza a Rolle, 31 agosto 1807). La prigionia durò oltre un anno, sino al 14 maggio 1808. Liberato e rientrato a Torino, il 19 ottobre 1808 fu approvato il decreto di nomina a vicebibliotecario, cui si aggiunse poi anche la cattedra di paleografia all’Università. Lo stipendio era basso (950 franchi), nemmeno la metà di quello del bidello, ma era comunque un segnale della ritrovata libertà e di prestigio. Il 10 maggio 1809 fu chiamato a far parte dell’Accademia delle scienze di Torino, nella classe di scienze morali. Lesse il suo discorso di ringraziamento il 18 marzo 1810 e da allora fu uno degli accademici più attivi.
Egli divenne così uno dei principali esponenti di quel gruppo di nobili, intellettuali-funzionari, che, pur accettato il nuovo ordine napoleonico, cercarono di preservare la tradizione del riformismo sabaudo, mantenendone, ove possibile, anche i simboli. Egli, per esempio, fece porre nell’atrio dell’Ateneo le statue di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III, opera dei fratelli Ignazio e Filippo Collino, e mise nella sala manoscritti della biblioteca un busto di Vittorio Amedeo II proveniente dalla basilica di Superga: «le persone che non hanno frequentato la biblioteca nelle sale interne» – scriveva al rettore Prospero Balbo – «penseranno che vi sia stato sempre» (Torino, Biblioteca Reale, Mss., M.V.III, n. 56, 1° ottobre 1810).
Il 15 marzo 1811 ottenne anche la cattedra di storia, ma iniziò il corso solo nel 1814, quando l’Università imperiale venne poi travolta dalla caduta di Napoleone. La Restaurazione segnò per Vernazza una nuova fase della sua carriera. Anche se ebbe l’incarico di scrivere il testo dell’arco che accolse Vittorio Emanuele I il 20 maggio al suo rientro a Torino e pur se suo figlio Ettore fu tra i militari inviati ad accogliere il sovrano, inizialmente incontrò difficoltà. Il conte Carlo Giuseppe Cerruti, primo ministro di Vittorio Emanuele I, nutriva per lui un’antica inimicizia e già il 27 maggio gli revocò tutti gli impieghi. In luglio il conte Gerolamo Vidua, successore di Cerutti, gli restituì la direzione della biblioteca dell’Università, ma senza stipendio. Nel dicembre del 1814, Vernazza scrisse una lunga supplica al sovrano, ma dovette attendere la fine del 1815 perché la situazione cambiasse. Il 2 ottobre 1815 il diciassettenne Carlo Alberto di Carignano lo nominò «consigliere [...] e istoriografo» di Casa Carignano. Fra i suoi compiti, d’intesa con il re, vi era l’insegnamento della storia al principe, erede al trono sabaudo (segno di riconoscenza al principe fu la scelta nel 1817 di chiamare Carlo Alberto il figlio di Ettore e di Teresa Lunel di Cortemiglia, sposatisi nel 1815, figlio che però morì già nel 1818; una prima figlia, nata nel 1816, era stata chiamata Clotilde, in omaggio alla regina di Sardegna, morta a Napoli nel 1802).
Il 25 novembre, Vittorio Emanuele I lo riammise fra i membri dell’Accademia delle scienze. Alla caduta del ministro Vidua (dimessosi la notte di Natale), Vittorio Emanuele I diede a Vernazza una serie di cariche e onori, che gli restituirono rango e sicurezza. Il 22 febbraio 1816 lo nominò docente di storia all’Accademia militare. Il 17 marzo 1816 lo pose nella classe di scienze morali dell’Accademia delle scienze (di cui divenne vicesegretario). Il 2 aprile lo nominò «consigliere di stato». Il 15 maggio gli commissionò la stesura di una storia dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (con una pensione annua di 600 lire), di cui il 5 ottobre 1819 lo creò cavaliere. Anche per mostrare il rientro nelle grazie del re, all’inizio del 1816 pubblicò gli Studii di monsignor di Carignano, la cui stesura era datata 5 dicembre 1815. Il 29 febbraio 1817 il re lo chiamò a fare parte dell’Accademia di agricoltura. Gli restituì, inoltre, le pensioni di cui aveva goduto durante l’antico regime. L’11 gennaio 1820 fu nominato, su consiglio di Balbo, professore di paleografia all’Università.
Morì a Torino il 13 maggio 1822.
L’archivio, ricco di opere inedite, e l’importantissimo carteggio furono acquisiti dalle principali istituzioni culturali torinesi e si trovano oggi divisi, in particolare, fra la Biblioteca Reale e l’Accademia delle scienze. La città di Torino ordinò che fosse sepolto a spese pubbliche nel cimitero di S. Pietro in Vincoli, con un’epigrafe scritta dal suo allievo Ludovico Costa.
L’opera di Vernazza è costituita da un amplissimo numero di trattati e memorie. Per comprenderla, bisogna tenere presente che, come scriveva il 26 marzo 1777 a Girolamo Tiraboschi, egli si «dilett(ava) assaissimo nella storia patria», che dichiarava esplicitamente di preferire ai «discorsi filosofici»: «quali considerazioni o politiche o letterarie faremo noi sulle cose nostre, se non ne precede la sicura notizia?» (Levi Momigliano, 2004, p. 4). Ciò aiuta a capire perché Vernazza non abbia scritto alcuna grande opera, ma sia stato autore, invece, di una vasta e proteiforme produzione, che può considerarsi fra le fondamenta della ricerca storica e storico-artistica sul Piemonte sabaudo. La storia di Casa Savoia fu un tema costante, ma affrontato attraverso approcci particolari quali la sfragistica e la numismatica (si pensi al Della moneta secusina, Torino 1793, in cui provava il diritto a battere moneta da parte dei primi conti della dinastia). La storia dei monumenti antichi fu oggetto di una delle sue opere certo più importanti: la Bibliografia lapidaria patria. Ma il suo tema di ricerca principale fu forse la storia della stampa, cui dedicò numerosi scritti e il fondamentale Dizionario dei tipografi e dei principali correttori ed intagliatori che operarono negli Stati sardi di Terraferma e più specialmente in Piemonte sino all’anno 1821, pubblicato postumo, a cura di Costanzo Gazzera, nel 1859. Epistolografo instancabile, fu in corrispondenza con quasi tutta la cultura italiana dell’epoca.
Fonti e Bibl.: C. Boucheron, Vita del barone Giuseppe Vernazza, Torino 1837; G. A., Giuseppe Vernazza, in Biografia iconografica degli uomini celebri che [...] fiorirono nei Paesi [...] componenti la Monarchia di Savoia, Torino 1843, pp. 137-148; G. Claretta, Memorie storiche intorno alla vita e agli studii di G.T. Terraneo, A.P. Carena e G. Vernazza, Torino 1862, pp. 199-303; Il primo secolo della R. Accademia delle Scienze di Torino. Notizie storiche e bibliografiche, Torino 1883, passim; G. Roberti, Il carteggio erudito tra G. Vernazza e G.A. Ranza, Torino 1894; A. Manno, Il patriziato subalpino, I, Firenze 1895, p. 227; V. Armando, Bibliografia dei lavori a stampa del barone Giuseppe Vernazza, Alba 1913; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento. Gli studi e la letteratura in Piemonte nel periodo della Sampaolina e della Filopatria, Torino 1935, passim; Id., I filopatridi, Torino 1941, pp. 261-280; Id., Le adunanze della Patria Società Letteraria, Torino 1943, passim; F. Patetta, Il barone Giuseppe Vernazza, in Id., Venturino de Prioribus, umanista ligure del secolo XV, Roma 1950, pp. 359 ss.; F.B. Gianziana, Un epistolario familiare. Lettere di Giuseppe Vernazza alla moglie, in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici nella provincia di Cuneo, LXXXIII (1980), 2, pp. 161-166; G.C. Sciolla, Le ricerche storiche sulle arti nei manoscritti del barone Giuseppe Vernazza conservati all’Accademia delle scienze di Torino, Classe di scienze morali, in Memorie della Accademia delle scienze di Torino, s. 5, VII (1982), pp. 4-97; G. Vernazza, Lettere al conte Gaschi, a cura di L. Maccario, Alba 1984; L. Guerci, La Sposa obbediente: donna e matrimonio nella discussione dell’Italia del Settecento, Torino, 1988, pp. 218 s.; G.P. Romagnani, Prospero Balbo, intellettuale e uomo di stato..., I-II, Torino 1988-1990, passim; L. Ariotti, Lettere inedite di Domenico Moreni a Giuseppe Vernazza, in Studi piemontesi, XXI (1992), pp. 479-484; A. Giaccaria, Le antichità romane del Piemonte nella cultura storico-geografica del Settecento, Cuneo 1994, passim; P. Gerbaldo, Tra Arcadia e riforma. Storia dell’Accademia di Fossano nel Settecento, Torino 1998, passim; A. Giaccaria, Giuseppe Vernazza e il fondo manoscritto della Biblioteca dell’«Imperiale» Università di Torino, in Bollettino della società per gli studi storici, archeologici ed artistici nella provincia di Cuneo, CXXX (2004), pp. 177-198; L. Levi Momigliano, Giuseppe Vernazza e la nascita della storia dell’arte in Piemonte, Alba 2004.