vero
Ha numerose occorrenze, e copre un campo semantico assai vasto, contrapponendosi spesso a ‛ falso '. È adoperato più frequentemente come attributo che non come predicato; compare anche come sostantivo e dà vita ad alcune locuzioni avverbiali.
1. Come aggettivo, nel suo significato più generale, indica che qualcosa " è in realtà quello che la sua struttura ontologica, definita dalla propria essenza, importa ". La definizione di Dio quale alta luce che da sé è vera (Pd XXXIII 54), nella sua pregnante implicazione speculativa, enuncia il principio dottrinario che nella sostanza divina necessariamente inerisce la verità, che anzi Dio è egli stesso verità e che perciò la luce divina trova in sé stessa il suo fondamento, mentre le altre cose trovano fondamento e modello ideale in Dio (cfr. Tomm. Sum. theol. I 16 5 " in Deo... esse non solum est conforme suo intellectui, sed etiam est ipsum suum intelligere... Unde sequitur quod non solum in ipso sit veritas, sed quod ipse sit summa et prima veritas ". Analogamente, Cristo è uomo vero (Cv II V 2), perché nella sua persona nostra natura e Dio s'unio (Pd II 42).
All'ambito di un'esperienza diversa da quella terrena e umana appartiene anche la definizione di veri morti (Pg XXIII 122) usata a proposito dei dannati dell'Inferno, proprio perché essi sono definitivamente esclusi dalla vera vita (Pd XXXII 59) del Paradiso; e cfr. anche Cv III VII 15 [per] la nostra fede... campiamo da etternale morte e acquistiamo etternale vita.
In Rime CXV si osserva che un tronco tagliato, se non è del tutto secco, può metter foglie ma non produce più frutti perché natura... conosce che saria bugiardo / sapor non fatto da vera notrice (v. 8); qui vera, mentre si contrappone a bugiardo (" illusorio ", " ingannevole "), dà rilievo alla proprietà esclusiva della terra di alimentare con i suoi umori le piante e di renderle idonee alla fecondazione.
E si vedano inoltre i seguenti esempi, nei quali l'aggettivo compare nella medesima accezione: Cv I I 9 coloro che sanno porgono de la loro buona ricchezza a li veri poveri, cioè agl'ignoranti; IV XVI 1 ciascuno vero rege dee massimamente amare la veritade, chi è re non solo per dignità, ma anche per saggezza e senso di responsabilità: nell'uno e nell'altro caso si indica che la realtà risponde al suo modello, espresso dal suo concetto proprio.
Ad Alberto della Scala è mosso il rimprovero di aver fatto nominare abate di San Zeno in Verona suo figlio Giuseppe, un bastardo non sano di corpo e ancor meno di mente: suo figlio... / ha posto in loco di suo pastor vero (Pg XVIII 126). Il Sapegno spiega " legittimo "; sembra però meglio supporre, con il Mattalia, che vero alluda a un'intrusione illecita e violenta, per cui altri sarebbe stato defraudato dei suoi diritti in favore di un pastore, quale Giuseppe fu, non v. né per regolarità di nascita né per qualità morali.
Altre volte v. si contrappone implicitamente a ‛ immaginario ', ‛ fittizio '. Quando Beatrice accerta D. che Piccarda e le sue compagne sono vere sustanze (Pd III 29), la qualificazione si spiega ricordando che il poeta aveva, erroneamente, creduto di vedere immagini riflesse. Analogamente, chiamando le due corone di spiriti sapienti che si muovono circolarmente intorno a lui e a Beatrice vera / costellazione (XIII 19), D. le contrappone alle due Orse che nei vv. 1-18 aveva suggerito al lettore d'immaginare, per fargli capire quale fosse il movimento dei beati. Per la stessa ragione Virgilio assicura gli spiriti penitenti che il corpo di D. è vera carne (Pg V 33, XXIII 123): " carne reale, materialmente reale, non di pura apparenza, come è il corpo aereo delle anime " (Mattalia). E così in Vn XXIII 6 non solamente piangea ne la imaginazione, ma piangea con li occhi, bagnandoli di vere lagrime; XXV 8 (dove le cose vere, gli esseri inanimati effettivamente esistenti, sono contrapposte alle cose non vere, agli esseri immaginati dalla fantasia dei poeti). Nella cornice degl'iracondi D. è preso da una visione estatica: Quando l'anima mia tornò di fori / a le cose che son fuor di lei vere, / io riconobbi i miei non falsi errori (Pg XV 116): quando ripresi contatto con la realtà esterna, con le cose che sono vere perché materialmente esistenti, mi resi conto che le cose vedute da me erano oggettivamente erronee (errori) per rapporto alla realtà contingente, sebbene fossero ‛ vere ' (non falsi) come esperienza soggettiva, realmente vedute e udite da me. E si vedano ancora XXIV 48 le cose vere, " la realtà delle cose ", " i fatti "; Cv I III 11 non è la cosa imaginata nel vero stato, " nella sua realtà ", " così com'è "; III X 1 li nostri occhi... giudicano, la stella... altrimenti che sia la vera sua condizione, in modo diverso da quello che essa è " in realtà ".
In qualche caso (cfr. Pagliaro, Ulisse 654 n. 24) v. indica quella realtà che dovrebbe essere secondo le leggi di natura, e che non si attua per qualche impedimento; così in Pd XXVII 126 la pioggia continua converte / in bozzacchioni le sosine vere, le susine vere sono " il v. frutto, quello che esse sarebbero state se la pioggia non le avesse guastate "; e così al v. 148.
Invitando i fedeli d'Amore a piangere la morte di una donna gentile, D. narra di aver veduto Amore lamentare in forma vera / sovra la morta imagine avvenente (Vn VIII 6 10). Il passo è discusso; secondo alcuni in forma vera varrebbe " sotto l'aspetto di una persona reale " in cui Amore si è impersonato (Casini: " non già per mia fantasia, ma visibilmente, sotto le sembianze di Beatrice "); per Barbi-Maggini vale " in forma reale, in aspetto di vera persona, tanto da essere visibile ai presenti ".
Discusse sono anche la lezione e l'interpretazione di Pg XXXII 94 Sola sedeasi in su la terra vera (per la variante mera, v. Petrocchi e Porena); la terra su cui Beatrice siede è quella del Paradiso terrestre, definita come vera perché " verace e ubbidiente al suo Fattore " (Ottimo) e condegna sede dell'uomo; oppure, secondo i più e con maggior perspicuità, " sulla terra vera e propria ", " sulla nuda terra ", con allusione all'umiltà e povertà della Chiesa primitiva. Un sostegno alla chiosa dell'Ottimo ora citata è offerto dall'uso che di v. si fa in Pg XVI 96, dove la vera cittade è la Gerusalemme celeste, l'agostiniana civitas Dei, della quale solamente può dirsi essere la v. patria dell'uomo peregrino in terra; e così in XIII 95.
In logica antitesi con " apparente " qualifica ciò che all'esperienza sensoriale risulta " effettivamente esistente ": la imagine corporale che lo specchio dimostra non è vera (Cv III VII 10); al salir di prima sera / ... la vista [delle stelle] pare e non par vera (Pd XIV 72). Quindi esperienza vera (Pg IV 13) è quella che consente di accertare con sicurezza la sussistenza e la natura di un fenomeno.
Riferito a ciò che si dice o all'oggetto di un'opinione, indica che esso è pienamente conforme alla realtà o corrisponde a verità; in quest'accezione sono numerosi gli esempi in funzione di predicato: Vn XXII 2 lo suo padre, sì come da molti si crede e vero è, [fu] bono in alto grado; Cv IV XV 12 molti... credono... poter misurare tutte le cose, estimando tutto vero quello che a loro pare, falso quello che a loro non pare; Pd XVI 124 Io dirò cosa incredibile e vera; e così in Cv III IV 2, VII 10 (terza occorrenza), IV XI 4, XV 15, XIX 5, XXIX 8; Pg XXI 128, Pd VII 128. Quindi, come attributo, nelle accezioni di " rispondente al vero ", " verace ", " veritiero ": Pg VIII 115 se novella vera / di Val di Magra... / sai, dillo a me; XI 118 Tuo vero dir m'incora / bona umiltà; Fiore CXCIV 14 non dicea già mai parola vera; e così in If XIX 123, XXXII 111.
Ad alcuni commentatori è parso ozioso che D., in If II 135, definisca vere le parole rivolte da Beatrice a Virgilio, visto che sulla veridicità di quel discorso il poeta non avrebbe potuto avere alcun dubbio; secondo il Pagliaro (Ulisse 114, 755) dietro quella qualifica " c'è tutta una concezione della verità che impegna anche il valore simbolico di Beatrice ", ipotesi questa accolta anche dal Mattalia che parla di " implicazioni inerenti al simbolo-Beatrice, la divina scienza "; ma si vedano le obiezioni mosse a queste interpretazioni da F. Mazzoni che rinvia a Pd IV 95-96 e 116 (Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 310-311).
L'aggettivo assume un valore concettualmente più preciso quando ricorre in riferimento alla dottrina dei quattro sensi delle Scritture: anche il senso letterale di un testo può riferire fatti realmente accaduti, ed essere quindi v., ma la sua verità essenziale va ricercata nel suo senso allegorico o in quello anagogico. Di quest'uso si hanno esempi in Cv II I 7 [il racconto dell'Esodo] avvegna essere vero secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s'intende; XII 1 Poi che la litterale sentenza è sufficientemente dimostrata, è da procedere a la esposizione allegorica e vera; e così in I II 17, II I 6 (in integrazione), XII 8 (prima occorrenza), XV 2, III XV 19.
In altri esempi, concernenti il processo logico attraverso il quale si arriva all'accertamento della verità o alla formazione di un'opinione, l'aggettivo assume varie accezioni a seconda del contesto: Cv II XIV 7 questo non pare avere ragione vera, a proposito di una tesi evidentemente " priva di fondamento "; Pg XXII 30 più volte appaion cose / che danno a dubitar falsa matera / per le vere ragion che son nascose, perché le motivazioni " reali ", " effettive " del loro insorgere ci sfuggono; Cv IV VII 3 la mala oppinione... si cresce e multiplica... [mentre] la vera oppinione [cioè quella " valida "] sì nasconde e quasi sepulta si perde. E si vedano inoltre Pd VI 21, Pg XV 66 (dove Virgilio metaforicamente definisce vera luce la verità insita in un suo ragionamento).
Può quindi assumere l'accezione di " verace ", " veridico ", " veritiero ": Cv I II 14 Agustino... ne diede essemplo e dottrina, la quale per sì vero testimonio ricevere non si potea; in If II 103 Beatrice è invocata come loda di Dio vera perché " la santa teologia... loda Iddio veramente e non fintamente " (Buti); quella cristiana è vera credenza (Pg XXII 77) perché fondata sulla rivelazione divina. Altri esempi in If XXX 113, Pg XIV 57, XVI 84, Pd XIV 76.
Può significare anche " giusto ", sia nel senso di " esatto " (Cv I IV 1 la fama dilata lo bene e lo male oltre la vera quantità) sia in quello di " equanime " (II 8 non è uomo che sia di sé vero e giusto misuratore).
Riferito a sentimenti o ad atteggiamenti dell'animo esprime non solo la sincerità ma anche la profondità, l'intensità: Rime XL 9 aggiate vera spene / che fia, da lei cui desiate, amore; Pg X 133 [una cariatide] fa del non ver vera rancura / nascere 'n chi la vede; e così in Cv I I 18, IV XXVIII 9. Ezechia (v.) morte indugiò per vera penitenza (Pd XX 51); come osserva giustamente il Chimenz, poiché non è chiaro come D. abbia interpretato i testi biblici (IV Reg. 20, 1-11; Is. 38, 1-8), può spiegarsi sia " in conseguenza di un ‛ sincero ' pentimento ", sia " per poter fare ‛ veramente ', ‛ pienamente ' penitenza ".
Un caso a sé è dato dall'uso metaforico di Pg XXX 130 volse i passi suoi per via non vera, / imagini di ben seguendo false; qui non vera è l'opposto di diritta (If I 3) e quindi, in senso traslato, indica una strada che non si dirige direttamente al fine.
Gli esempi più numerosi si hanno quando v. è usato per indicare la pienezza del significato espresso dal sostantivo cui è riferito. Vero ben (Pd XXX 41) è Dio, e vero amore (VI 117, XX 116) quello per lui; esempi più chiari si hanno in Cv I X 8 le grandezze de le vere dignitadi, de li veri onori, de le vere potenze, de le vere ricchezze, de li veri amici, de la vera e chiara fama; III III 11 per la quinta... natura, cioè vera umana... cioè razionale, ha l'uomo amore a la veritade... e da questo amore nasce la vera e perfetta amistade (si noti come nella prima occorrenza v. funge da avverbio); e così in I VII 2, IX 8, IV VIII 15, XIII 15, XIX 8 e 10; Rime LXXXIII 92; If VI 110, Pd XXXII 45.
Il valore concettuale che v. assume in Cv III III 11 (già citato) per il fatto di essere collegato con " perfetto " può essere meglio accertato dall'indagine semantica se quell'esempio è posto in relazione con quello di XI 9 come l'amistà per diletto fatta, o per utilitade, non è vera amistà ma per accidente... così la filosofia per diletto o per utilitade non è vera filosofia ma per accidente (altro esempio nello stesso paragrafo).
‛ Vero ' è dunque ciò che non è per accidente, e poiché questa locuzione serve a designare uno stato privo di rapporto di necessità con ciò che è, quindi estraneo o estrinseco, in tutti gli esempi appena citati e in quelli che seguono v. dà rilievo alle determinazioni sostanziali per le quali, sole, l'amicizia o la filosofia sono " vere ", cioè " per essenza ", o " per sé " (cfr. Tomm. Comm. Eth. VIII lect. III n. 1563 " illi qui amant propter utile... [oppure] propter delectationem... non amant amicum secundum quod in ipso est, sed secundum quod accidit ei, scilicet secundum quod est utile vel delectabile "). E così negli esempi di Cv III XI 10, 11 (due volte), 12 (due volte), 13 (due volte), 14 (prima e terza occorrenza), 15 e 18 è veduto come la primaia e vera filosofia è in suo essere. In quest'ultimo esempio la prima e vera filosofia (che è in Dio per modo perfetto e vero, identificandosi con l'essenzia divina, XII 13) è la Donna gentile che ha per proprio il nome di filosofia, cioè è amore di sapienza in sé, distinta dalle scienze che secondamente... sono Filosofia appellate (XI 17), come le scienze naturali, la morale e la metafisica (cfr. § 16), che sono ‛ in secondo luogo ' designate da quel termine. Questa distinzione chiarisce bene il valore dottrinario con il quale v. ricorre in IV XXIX 9, dove, a proposito di una massa di grano, è detto che è la sua una essenza secondaria che resulta da molti grani, che vera e prima essenza in loro hanno: v., pertanto, si oppone anche a ‛ secondario ', secondo il significato tecnico che questo vocabolo assume nella filosofia del tempo.
2. Oltre che negli esempi già citati v. ricorre come predicato in alcune locuzioni particolari.
‛ Questo è vero ' conferma la conformità di un assunto alla realtà (If XXVIII 51, Pg XXXI 5); con lo stesso senso, in forma parentetica, si ha anche s'egli è vero (Rime LXXV 10); al contrario, non è vero che, seguito da una proposizione oggettiva, nega la validità di un'affermazione in Cv II X 3, III VII 9 (seconda occorrenza), IV XII 12, e anche XIII 7; e così, rispondo che non è vero (§ 3).
Nel Fiore, ‛ ver è ' o ‛ egli è ben ver ' servono a confermare l'esattezza di un giudizio o di una notizia precedentemente espressi, e contemporaneamente introducono frasi con le quali si vuole temperare il già detto; è modo di dire usato solo da Falsembiante, del tutto consono all'atteggiamento di sagace simulazione proprio del personaggio; se ne ha un esempio nel dialogo fra Amore e Falsembiante: - " Predicar astinenza i' t'ho udito "./ - " Ver è, ma, per ch'i faccia il viso tristo, / i' son di buon morse' dentro farcito " (Civ 13); e così in CIV 11, CVI 2.
Esigenze espressive più varie sono soddisfatte dalle locuzioni ‛ vero è che ', ‛ egli è ben ver che ', le quali ricorrono in tutte le opere a eccezione del Convivio, sempre all'inizio di periodo (in un esempio, di proposizione), come reggenti di una proposizione oggettiva. In qualche caso fungono da formula dichiarativa introdotta per sottolineare con una certa solennità l'importanza o la stranezza della verità rappresentata o asserita: Vn XXIII 8 mi parta che lo cuore... mi dicesse: " Vero è che morta giace la nostra donna "; If IV 7 Vero è che 'n su la proda mi trovai / de la valle d'abisso dolorosa; Fiore CXIII 1, CXLVI 12. Altre volte chiarisce il senso di un'affermazione precedente, integrando il già detto: Vn XIV 3 E lo vero è che adunate quivi erano a la compagnia d'una gentile donna, e 14; If IX 22 " Di rado / incontra ", mi rispuose, " che di noi / faccia il cammino alcun per qual io vado. / Ver è ch'altra fiala qua giù fui... "; e così in XXIX 112, Fiore XXXI 9, CC 8. Assume valore avversativo quando la proposizione oggettiva retta dalla locuzione, pur integrando un'affermazione precedente, ne limita e ne mitiga il significato; se ne ha un esempio nelle parole di Manfredi (Pg III 136), il quale, dopo aver affermato che la scomunica ecclesiastica non implica necessariamente la dannazione per chi ne è stato colpito, aggiunge: Vero è che quale in contumacia more / di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta, deve sostare nell'Antipurgatorio; e così in Rime dubbie III 5 7, Pg X 136, Pd I 127, Fiore XXXIX 9, LVIII 9, CLVI 3. Previene un'obiezione del lettore o dell'interlocutore, in Vn XXXVIII 6 Vero è che nel precedente sonetto io fo la parte del cuore contra quella de li occhi, e ciò pare contrario di quello che io dico nel presente; e Fiore XCIX 9 (dove Falsembiante usa egli è ben ver ched con la stessa sfumatura espressiva già illustrata per ‛ ver è, ma ').
In due casi ricorre il sintagma ‛ ell'è vera ', nel quale l'aggettivo è usato in funzione di avverbio: Pg I 56 da ch'è tuo voler che più si spieghi / di nostra condizion com'ell'è vera, qual essa " veramente " è; Rime CXVI 35 La nimica figura... andar mi fane / colà dov'ella è vera, dove " realmente " è (cioè, l'immagine della donna, ipostatizzata nell'animo dell'amante, lo spinge ad andare là dov'è la persona reale della donna); per un altro esempio di uso in funzione di avverbio, si veda anche Cv III III 11 vera umana (già citato).
3. Quando è sostantivo, in poesia cade frequentemente in rima o, se ricorre nel corpo del verso e non è seguito da parola che cominci per vocale, nella larghissima maggioranza dei casi si tronca in ‛ ver '. Dal punto di vista semantico presenta una ricchezza di aspetti maggiore di quella attestata nell'italiano moderno, ricorrendo in nessi per i quali oggi è più comune usare ‛ verità ' (v.).
La filosofia scolastica intese il v. come una delle proprietà trascendentali dell'essere, cioè uno dei caratteri che appartengono alle cose in quanto enti (gli altri sono ‛ ens ' ‛ bonum ' ‛ unum '), con il quale s'indicò l'intellegibilità della cosa. Con questo valore tecnico il vocabolo non ricorre mai; ad esso però possono collegarsi alcuni esempi, nei quali v. indica la " reale condizione " di una cosa, " il suo modo di essere ", " com'essa è in sé stessa ", e quindi la sua verità. Salito nell'Empireo, D. vede una fulgida riviera di luce, dalla quale escono scintille vive, ma non sa cosa esse siano, perché, come gli spiega Beatrice, " il loro vero ", cioè la realtà di cui fiume, faville e fiori sono espressione materialmente visibilizzata, è misteriosamente velata da quel loro modo di apparire, eppure adombrata da esso: Il fiume e li topazi / ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe / son di lor vero umbriferi prefazi (Pd XXX 78). Analogamente il ver di questa corte (XXV 43) è " la realtà " del Paradiso o, meglio, il Paradiso qual è in sé e per sé, nella sua assolutezza.
Con minor pregnanza concettuale, il vocabolo compare in Cv III Amor che ne la mente 82 quand'ella la chiama orgogliosa, / non considera lei secondo il vero, / ma pur secondo quel ch'a lei parea, dove si chiarisce che se ella, cioè la ballata Voi che savete, aveva chiamato orgogliosa la Donna gentile, lo aveva fatto perché l'aveva considerata non come " ella è in sé stessa ", ma solo come appariva all'anima impaurita; e così in X 3. In V 5 e IV IV 1 la locuzione secondo lo vero vale semplicemente " in realtà ", " a dir la verità ".
Più frequentemente indica " ciò che è vero in senso assoluto ", " ciò che è conforme alla reale essenza delle cose ", la " verità " di esse: Cv II XIII 6 'l vero è lo bene de lo intelletto; XIV 20 Salomone... chiama [la divina scienza] perfetta perché perfettamente ne fa il vero vedere nel quale si cheta l'anima nostra; Pd IV 131 Nasce... a piè del vero il dubbio; XVII 118 s'io al vero son timido amico, / temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico; e così in Pg VI 45, XXVI 121, Pd III 27, XIII 51 e 123, XXIV 100.
Fonte ond'ogne ver deriva (Pd IV 116) è Dio; egli è, anzi, il vero in che si queta ogne intelletto (XXVIII 108), il primo vero (IV 96), la Verità assoluta. La stessa locuzione ha valore diverso in II 45 ciò che tenem per fede / ... fia per sé noto / a guisa del ver primo che l'uom crede; alcuni commentatori intendono " l'idea di Dio, principio di ogni verità ", ma il ver primo è da identificarsi meglio con le prime notizie di Pg XVIII 56, cioè con i principi di per sé evidenti, che sono per primi colti dall'intelletto. E si vedano inoltre IV 125-126 e XXVI 36-37, dove la replicazione del vocabolo dà maggior evidenza all'affermazione che solo Dio, in quanto verità assoluta, illumina l'intelletto umano rendendo piana ogni singola verità.
Una volta ricorre al plurale per indicare dottrine ispirate a un concetto superiore e ideale del v.: Pd X 138 Sigieri / ... leggendo nel Vico de li Strami, / silogizzò invidïosi veri (v. SIGIERI di BRABANTE; silogizzare).
Più frequentemente è usato con riferimento a determinati fatti, all'accertamento di singole verità, alla soluzione di dubbi particolari, e così via. I sintagmi in cui entra a far parte sono talora quelli tuttora comuni: Vn XII 13 30 Amor... sa lo vero; Rime dubbie XXIX 3 cosa che sembrasse il vero; Cv I III 8 non si tiene a li termini del vero; IV 12 più che 'l vero non vuole (altro esempio al 5 13); IV II 15 trattare lo vero (altri due esempi nello stesso paragrafo; e ancora al § 16 e in Rime LXXXIII 69); If XXVII 65 S'io odo 'l vero; Pd VIII 95 S'io posso / mostrarti un vero; V 36 lo ver ch'i' t'ho scoperto; XV 61 Tu credi 'l vero; XXVIII 58 al millesmo del vero / non si verria. E si veda inoltre in Cv III X 1 (seconda occorrenza), IV XXI 3, If XXX 114, Pd II 125, VIII 112, XIV 12, XVII 54, XXIX 40. Altre volte la potenza creatrice del linguaggio dantesco imprime vigorosa efficacia innovativa all'espressione: If XVI 124 Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna / de' l'uom chiuder le labbra; Pd IV 60 forse / in alcun vero suo arco percuote; XXVIII 87 come stella in cielo il ver si vide.
Prima di descrivere il dramma liturgico che sta per svolgersi nella valletta dei principi, D. ammonisce il lettore a cogliere con esattezza il significato del rito: Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, / ché 'l velo è ora ben tanto sottile, / certo che 'l trapassar dentro è leggero (Pg VIII 19). Il significato complessivo della terzina è discusso (cfr. Sapegno); qui sarà sufficiente notare come vero indichi il senso allegorico e velo quello letterale (v. SOTTILE) e come l'antitesi sia sottolineata dalla " voluta omofonia delle... parole " (Donadoni, in Lett. dant. 830).
Discussa è anche l'interpretazione di Pg XXVI 126 Così fer molti antichi di Guittone, / di grido in grido pur lui dando pregio, / fin che l'ha vinto il ver con più persone; del passo sono state proposte due spiegazioni che investono anche il significato di ver: " il ‛ vero merito ' ha vinto Guittone, in persona di parecchi poeti; oggi parecchi poeti sono giustamente pregiati più di Guittone " (Porena); " il ‛ veritiero giudizio ' di molti ha offuscato il suo nome " (Mattalia).
In due casi cade in strutture parentetiche: Pd X 113 se 'l vero è vero; Cv IV Le dolci rime 38 a chi 'l ver guata (ripreso in VII 5). La stessa locuzione compare in senso diverso in If XVI 78 i tre... / guardar l'un l'altro com'al ver si guata, si guardarono l'un l'altro in atto di doloroso stupore, come ci si guarda quando dalle parole di un altro udiamo confermare " la verità di un nostro timore ".
Inserito in alcuni contesti, il sostantivo assume accezioni particolari, non sempre facilmente definibili.
Secondo la malinconica constatazione di Guido del Duca, il sangue, cioè la discendenza, di Rinieri da Calboli è fatto brullo / ... del ben richesto al vero e al trastullo (Pg XIV 93). Come sembra logico supporre, qui D. vuol esprimere un concetto analogo a quello espresso altrove con il binomio valore e cortesia (cfr. If XVI 67, Pg XVI 116) e il valore di trastullo (v.), pur se discusso, può esser definito in " tutto ciò che è piacevole ornamento della vita ". La difficoltà verte su vero, su cui maggiormente si sono appuntate le discordi interpretazioni dei commentatori: " retto pensare o esercizio delle virtù morali " (Fraticelli); " la realtà della vita " (Del Lungo, Sapegno); " la vita morale e civile " (Grabher); " la parte seria e strettamente doverosa della vita " (Vandelli); " il dovere " (Giacalone); " l'aspetto più serio della vita " (Porena); " l'oggetto dell'intelletto e del giudizio " (Chimenz); ecc.; secondo il Mattalia, le due parole potrebbero anche costituire un'endiadi ed esser quindi interpretate " verace trastullo ", " un vivere veramente bello e lieto ".
Il tanto secreto ver (" una verità così misteriosa ", in Pd XXVIII 136) è l'ordinamento dei cori angelici descritto da Dionigi l'Areopagita, al quale era stato rivelato da s. Paolo con altro assai del ver di questi giri (v. 139); nonostante la contiguità, qui ver è assunto con un'accezione diversa perché allude alla " vera, reale condizione " degli angeli rotanti intorno a Dio.
Il tema del prossimo rinnovamento del mondo corrotto profetizzato da Beatrice in Pd XXVII 142-148 è sinteticamente ripreso in XXVIII 2, nell'accenno a Beatrice che 'ncontro a la vita presente / d'i miseri mortali aperse 'l vero; il vocabolo ha valore pregnante in quanto implica sia l'idea di un fatto destinato realmente ad avverarsi sia quella della veridicità della rivelatrice.
La rappresentazione della distruzione di Troia nella cornice dei superbi è talmente efficace, che morti li morti e i vivi parean vivi: / non vide mei di me chi vide il vero (Pg XII 68); in quest'unico caso il sostantivo è riferito alla realtà concreta in quanto è oggetto di raffigurazione artistica.
Quando è retto da ‛ dire ', v. non è preceduto da articolo in Vn XVIII 7, Cv II XV 11, IV Le dolci rime 42 dice non vero (ripreso in X 4); If XXX 80 e 112, Pg III 117, V 103, Pd IV 114, XIV 137, XXIX 83; Fiore XXXIV 12, CXXI 11, CLIV 5, CLV 3, sempre con il significato di " dire la verità ", " parlare in modo veritiero "; si ha l'articolo in If II 22 a voler dir lo vero, per dire le cose come stanno realmente; Pg VI 138, XXIII 52, Fiore LXX 13. È del tutto isolato l'uso estensivo attestato in Pd XXVIII 8 sé rivolge per veder se 'l vetro / li dice il vero, " riflette in modo esatto " l'immagine dell'oggetto. Eccezionalmente l'articolo manca anche in Pg XVI 23 Tu vero apprendi; XXVI 109 le tue parole or ver giurano; IV 96 questo so per vero (dove vero potrebbe anche essere aggettivo).
4. Se si prescinde dall'avverbio ‛ da vero ' (v.) e dalla congiunzione ‛ o vero ' (v. OVVERO), da considerarsi a sé stanti nonostante la grafia, le locuzioni avverbiali sono scarsamente attestate. In If XII 111 Opizzo da Esti, il qual per vero / fu spento dal figliastro, la locuzione mira ad accreditare la diceria che attribuiva ad Azzo VIII l'uccisione del padre. In altre tre occorrenze, ‛ di vero ' è sinonimo di " veramente ": Rime LXXII 11 Amore... certo lacrimava pur di vero; Cv II mi 6 e 8 (seconda occorrenza). A qualche incertezza può dar luogo l'identificazione della categoria morfologica in If XXVI 7 presso al mattin del ver si sogna, potendo del ver essere o una locuzione avverbiale (" veracemente ") o un sostantivo retto dalla preposizione in funzione partitiva, come farebbero supporre le varianti il ver e lo ver (v. Petrocchi, ad l.).