Verona
Città del Veneto, capoluogo di provincia. Abitata in origine da reti o euganei, V. fu colonia di diritto latino nell’89 ed ebbe la cittadinanza nel 49 a.C.; Gallieno vi dedusse una colonia militare e la sua importanza proseguì in età postimperiale (vittoria di Teodorico su Odoacre, 489). Con i longobardi fu residenza di re Alboino, poi sede di un ducato. Centro di un comitato con i franchi, Ottone I, per assicurarsi una via di accesso in Italia, costituì la marca di V. (che comprendeva tutto il Veneto di terraferma, escluse Venezia, Adria e Rovigo, e in più il Trentino e il Friuli) affidandola ai duchi di Baviera; nel corso dell’11° sec. la marca si divise in diversi tronconi e nel 12° scomparve come unità politico-amministrativa. Accanto a una classe feudale si era intanto sviluppato un ceto di ricchi mercanti: dalla loro collaborazione sorse il comune. Legata al Barbarossa sino al 1164, in tale anno V. creò la Lega della marca veronese con Vicenza, Padova e Venezia, fusasi nel 1167 con la Lega lombarda. Avuta con la Pace di Costanza la libertà di commercio con la Germania, dal 1197 fu retta da un podestà. Intanto aveva dato inizio alla sua espansione sul Garda, mentre scoppiavano conflitti interni fra le maggiori famiglie: nel 1226 Ezzelino III da Romano divenne podestà di V. e dal 1236 signore di V., Vicenza e Padova. Alla sua morte (1259), il potere fu tenuto dalle Arti, con Mastino della Scala come capitano del popolo, per difendere il comune dai guelfi e dai fuoriusciti sostenuti da Padova, Ferrara e Mantova. La minaccia esterna sollecitò l’avvento della signoria: ucciso Mastino nel 1277, fu eletto capitano e rettore il fratello Alberto. Con Cangrande la signoria estese poi i suoi domini conquistando Vicenza, Feltre, Belluno, Padova e Treviso, ma una coalizione veneto-fiorentino-lombarda stroncò queste ambizioni (1336-39), riducendo il potere degli Scaligeri alla sola V., che nel 1387 fu assorbita dai Visconti. Dopo un’effimera restaurazione scaligera (1404) e una breve occupazione di Francesco da Carrara, nel 1405 V. si dette a Venezia, il cui secolare dominio – interrotto dall’occupazione dell’imperatore Massimiliano I (1509-17) – ebbe termine nel 1796 con l’arrivo dei francesi, i cui soprusi provocarono la sommossa delle Pasque veronesi. Consegnata dal Trattato di Campoformio agli austriaci (1798), la Pace di Lunéville (1801) la divise fra la Repubblica italiana e l’Austria. Nel 1805 entrò a far parte del regno italico; tornò sotto l’Austria dal 1814 al 1866 quando, con il Veneto, entrò a far parte del regno d’Italia.
Fu l’ultimo dei grandi congressi (ott.-dic. 1822) della Restaurazione e segnò la fine dell’alleanza fra le grandi potenze uscita dalle lotte contro Napoleone. Il congresso avrebbe dovuto trattare solo delle questioni riguardanti l’Italia, cioè dell’occupazione di Napoli e del Piemonte da parte dell’Austria, ma presero il sopravvento la questione greca e quella spagnola. Per l’Italia, si stabilì che il Piemonte sarebbe stato sgombrato dalle truppe austriache; che la successione al trono di Sardegna spettava a Carlo Alberto; che il corpo austriaco di occupazione a Napoli sarebbe stato ridotto; inoltre, fu respinta la proposta di una lega doganale degli Stati italiani sotto il controllo austriaco. In merito alla Grecia, austriaci, inglesi e russi concordarono sul rifiuto di qualsiasi modificazione dell’assetto territoriale della Penisola Balcanica. La Gran Bretagna si impegnò ad appoggiare presso i turchi la nomina dei principi di Valacchia e Moldavia (gospodari), l’evacuazione delle truppe turche da questi territori e il rispetto della religione greco-ortodossa. Forti contrasti sorsero a proposito della decisione di reintegrare con le armi il re di Spagna Ferdinando VII sul trono e il 21 nov. la Francia ebbe mandato di intervenire in Spagna; per quanto concerneva le colonie, la Gran Bretagna minacciò la guerra in caso di ogni ingerenza straniera nell’America latina.
Processo politico intentato, nel genn. 1944, da un tribunale speciale istituito per l’occasione dalle autorità della Repubblica sociale italiana, contro 19 gerarchi fascisti. Erano accusati di tradimento per aver votato a favore dell’ordine del giorno Grandi, che sfiduciava Mussolini, nella seduta del Gran consiglio tenuta nella notte fra il 24 e il 25 luglio 1943. Gli imputati, ritenuti responsabili della caduta del governo fascista, furono tutti condannati a morte; cinque di quelli presenti (tra cui E. De Bono e G. Ciano) vennero fucilati l’11 gennaio.