VERONA
Nell'agosto del 1236 Verona, in mano a Ezzelino III da Romano, fu occupata da tremila soldati tedeschi. Lo stesso Federico II vi fece tappa, prima di procedere alla volta di Cremona. L'occupazione di Verona preludeva al completo assoggettamento delle altre città della Marca veronese-trevigiana (Padova, Treviso e Vicenza) e, anzi, ne costituiva l'indispensabile premessa politico-militare.
Verona, come si vedrà, rimase per l'imperatore una città d'elezione. Del resto ‒ ubicata sull'asse comunicativo della valle dell'Adige, ovvero la direttrice più importante tra le Alpi, la Pianura Padana orientale e le coste alto-adriatiche ‒ essa aveva sempre goduto di speciali attenzioni da parte dei titolari del Sacro Romano Impero, i quali ne avevano fatto una sede privilegiata del potere pubblico. Richiamando in breve i 'precedenti imperiali' di Verona, occorre risalire all'età di Ottone I. Nel 952, infatti, questo imperatore creò un nuovo ampio distretto pubblico esteso su buona parte dell'attuale Veneto di terraferma, sul comitato di Trento e sulla Marca del Friuli: le fonti lo definiscono, appunto, "Marca veronese" (cf. ad esempio il placito tenuto a Verona nel 993 dal duca di Baviera, Enrico, in I placiti, 1957, nr. 218, p. 302), dal nome della città più importante di questo territorio, vera e propria capitale periferica. Al di là della controversa fortuna amministrativa goduta da tale distretto, risulta chiaro che nella ristrutturazione attuata dal nuovo Impero germanico la città dell'Adige, almeno sulla carta, si vedeva riconosciuto il ruolo di fulcro di un ampio spazio territoriale.
La Marca veronese fu ridimensionata territorialmente già nell'XI sec., con la sottrazione dei comitati di Trento e del Friuli, e ben presto smarrì le proprie competenze giurisdizionali: l'ultimo placito ducale-marchionale risale al 1123. Tuttavia non fu intaccata la centralità di Verona rispetto agli sviluppi politici e all'evoluzione economica, sociale e istituzionale dell'area compresa tra i fiumi Adige e Livenza. Infatti Verona precedette tutte le altre città della Marca nell'avvio dell'esperienza comunale (1136) e nell'integrazione dei gruppi legati alla mercatura nelle funzioni di governo attraverso l'istituzione della Universitas mercatorum (1175), ente destinato a diventare già nel primo Duecento organo comunale di apparato con competenza anche nella 'politica estera' del comune. Verona fu inoltre città capofila nella lotta contro l'imperatore Federico Barbarossa. Com'è noto, infatti, nel 1164 le città della Marca si unirono nella Lega veronese, un'alleanza antimperiale alla cui realizzazione non dovette peraltro essere estraneo il suggerimento di Venezia.
Le ragioni di questo approdo politico di Verona, inatteso, dato il tradizionale imprinting filoimperiale della cittadinanza, possono essere ricondotte a due ipotesi: l'insofferenza verso le richieste dei funzionari pubblici e la pressione di Venezia, motivata dall'atteggiamento minaccioso dell'Impero nei confronti del capoluogo lagunare. Dando credito a questa seconda congettura, poco praticata dalla storiografia ma avvalorata dalla narrazione dell'Historia ducumveneticorum e dalla cronaca di Ottone Morena, ci si prospetta un quadro nel quale Verona funge da ago della bilancia nel confronto tra due grandi potenze ‒ l'una territoriale e militare, l'altra economica ‒ per l'egemonia su uno scacchiere fondamentale per entrambe (e forse, nel caso dell'Impero, per l'attuazione di progetti mediterranei di ancor più vasto respiro, come esplicitamente dichiara l'Historia ducum veneticorum). Per altro verso, va ricordato che tra Verona e Venezia fin dal 1107 erano stati stipulati sodalizi commerciali di portata significativa, soggetti a periodici rinnovi, a riprova della convergenza di interessi e orizzonti politici tra le due città.
Sotto il profilo strettamente militare la scelta di campo veronese era determinante per l'andamento del conflitto in corso: Verona aveva il controllo di una strettoia obbligata per gli eserciti provenienti dalle Alpi, la Chiusa d'Adige. Il blocco della Chiusa, infatti, fu un espediente tattico ricorrente ed efficace tanto nello scontro con il Barbarossa quanto in quelli successivi contro Federico II. Sotto il profilo politico, la promozione della Lega tra le città venete ‒ alleanza quasi subito confluita nella Lega lombarda ‒ non ebbe affatto per Verona il senso di un'opzione ideologica o di una svolta incontrovertibile. Basti pensare che negli anni 1180, 1182 e 1183, ossia nella fase di preparazione della pace di Costanza, la città ebbe come podestà Sauro di San Bonifacio, membro di una delle due famiglie comitali veronesi, ovvero un esponente dell'aristocrazia d'ufficio vicina all'Impero. Nel 1186, poi, come ricordano le cronache, Federico I fu accolto in città, dove già era ospitato Urbano III, tra feste e grandi onori. Il prestigio e l'autorevolezza dell'imperatore, per non parlare delle sue relazioni privilegiate con le grandi stirpi aristocratiche della Marca, non risultavano quindi affievoliti dal recente scontro. Il culmine di questo ritrovato sodalizio si raggiunse nel 1193, quando Enrico VI vendette al comune il castello e il comitato di Garda e i diritti imperiali sul castello di Rivoli e sulla Chiusa d'Adige. Dopo l'insoddisfacente esperienza del conflitto militare, dunque, l'Impero intese recuperare Verona attraverso una pragmatica politica di riconoscimento e promozione delle aspirazioni egemoniche della città sugli accessi orientali al territorio della Marca.
Negli anni della crisi dell'Impero, dopo la morte di Enrico VI, emerse con maggiore chiarezza il contorno della lotta politica interna alla città atesina. Al principio del Duecento si individuano due partes: quella dei conti San Bonifacio e quella dei Monticoli. Si tratta di gruppi che operavano secondo una logica che travalicava i confini strettamente cittadini, dato che entrambi risultano collegati a forze operanti a Ferrara, ovvero rispettivamente ai marchesi d'Este e al casato dei Torelli. Se ne deduce, per inciso, che l'area individuata dal basso corso dei fiumi Adige e Po, per le sue valenze comunicative e commerciali, diveniva uno dei fuochi della lotta per l'egemonia nella Marca.
È stato evidenziato a più riprese dalla storiografia come ai due partiti in questione non corrispondessero blocchi nettamente distinti sotto il profilo sociale e neanche sul piano degli schieramenti ideologico-politici. L'aristocrazia del territorio ‒ un territorio nel quale non emergevano centri minori capaci di esprimere una volontà autonomistica ‒ convergeva verso la città in grazia dei legami feudali intrattenuti dapprima con le chiese cittadine e poi con il comune. Distingueva le due cordate solo la più spiccata vocazione urbana dei Monticoli, peraltro comunque largamente infiltrati da elementi dell'aristocrazia militare e appoggiati, tra gli altri, da Ezzelino II da Romano (v.).
Nel frattempo, la tutela degli interessi regi nella Marca era assicurata dal vescovo di Trento, legato per l'Italia, presente a Verona nel 1215. Gli successe nel ruolo di rappresentante imperiale, nel 1218, l'arcivescovo Corrado di Metz (v.), mai presente nel Veneto. Nel 1220 Federico II compì un primo passaggio nel territorio veronese. Dal suo soggiorno gardense l'imperatore indirizzò al conte Rizzardo un diploma di conferma delle sue prerogative, avallandone così la posizione di privilegio in città. Successivamente le iniziative di Federico II non coinvolsero più Verona fino alla fine del 1225, quando il nuovo protagonismo politico imperiale impose agli eventi che investirono la città un ritmo concitato, al quale corrispose l'adozione di provvedimenti straordinari e in qualche misura sperimentali. Tra l'aprile e il maggio del 1226 Verona, entrata dopo qualche iniziale titubanza nella ricostituita Lega lombarda, tenne bloccate le Chiuse d'Adige, impedendo l'accesso alle truppe tedesche. Nel contempo il raggruppamento aristocratico dei Quatuorviginti, vicini ai conti, si schierò con i Monticoli. Questa nuova alleanza, di marchio antimperiale, promosse la scelta di Ezzelino III da Romano (v.) come podestà cittadino nel giugno del 1226, scelta poi sconfessata dalla Lega che si adoperò per la sua destituzione. A partire dal 1227 e fino al 1229 la città venne quindi retta da un organismo, la comunancia, formalmente super partes. È il triennio nel quale viene messa a punto dal notaio Calvo la celebre raccolta normativa nota agli studiosi col nome di Liber iuris civilis.
Dal 1230 tornò al potere il raggruppamento vicino a Ezzelino e al ferrarese Salinguerra Torelli (v.), una pars di impronta antimperiale (le Chiuse vennero interdette alle truppe tedesche un'altra volta nel 1231), che però non riuscì a vincere la diffidenza della Lega. Fu proprio la Lega, infatti, a ottenere nel 1231 la sostituzione della podesteria di Salinguerra con quella del milanese Guido da Rho e la liberazione del conte di San Bonifacio, imprigionato nel 1230 dai suoi avversari in quel momento al potere.
Le divergenze tra la societas delle città padane e il gruppo dirigente veronese, pure formalmente schierato con la Lega, rendono ragione della non univocità del quadro politico veronese degli anni immediatamente successivi. Evento cardine di quella fase fu il capovolgimento di schieramento dei Monticoli e di Ezzelino, mutamento intervenuto nel 1232 in concomitanza con la seconda dieta imperiale di Ravenna. La conseguenza immediata fu la cacciata del podestà milanese, l'insediamento in città di un "nuncius de Apulia" (Parisius de Cereta, 1726, col. 625) e di fedeli dell'imperatore trentini e tirolesi. Va segnalato, peraltro, che questo non produsse di per sé l'approdo di Verona a una definitiva alleanza con Federico. Infatti, dopo gli effimeri tentativi di pacificazione generale della Marca sotto l'egida del predicatore domenicano Giovanni da Schio, nel 1233, la città atesina fu sottoposta fino al 1235 sia a legati imperiali (come Gerardo di Salm o Ermanno di Salza), sia a podestà di conciliazione proposti dal papa e dalla Lega. L'annuncio della nuova discesa italica di Federico II nel 1236 fece saltare l'instabile equilibrio veronese: i Monticoli, con l'aiuto di Ezzelino, giunto a marce forzate attraverso il pedemonte, presero il potere e, come già detto, ottennero nell'estate successiva anche l'appoggio di tremila cavalieri inviati a Verona dall'imperatore. La pars comitum rimase dunque perdente, ma non per questo interruppe la fedeltà all'Impero, tant'è vero che i conti e gli Estensi, com'è noto, parteciparono a fianco di Federico e di Ezzelino alla battaglia di Cortenuova del 1237.
Risale alla fine del decennio (1239) la ristrutturazione circoscrizionale dell'Italia nordorientale che portò all'individuazione di Padova come fulcro della Marca, ora detta comunemente trevigiana (e talvolta, ancora per qualche decennio, veronese-trevigiana) ed estesa a comprendere ‒ a quanto pare ‒ anche Brescia e Trento. Il riordino non intendeva in realtà declassare Verona; si trattava piuttosto della presa d'atto dello sganciamento della città dal contesto territoriale della vecchia Marchia, e del suo gravitare verso l'area lombarda. La città rimase del resto una delle sedi privilegiate dell'imperatore nell'Italia centrosettentrionale. Nel 1238, davanti al portale di S. Zeno, si svolse il matrimonio tra Selvaggia, figlia naturale di Federico, ed Ezzelino III da Romano. Il palazzo abbaziale di S. Zeno ospita un celebre affresco che la recente lettura dello Zuliani (1992) propone di interpretare come raffigurazione dell'omaggio dei popoli orientali all'imperatore svevo, e che probabilmente fu ispirato proprio dalla presenza federiciana a Verona nel 1238. Ancora, fu dalla concione giurata convocata davanti al monastero benedettino di S. Zeno nel 1239 che fu proclamata la messa al bando dei nemici di Federico, primo tra tutti Azzo d'Este. Infine, Verona fu la città scelta dall'imperatore per la dieta del 1245, che vide la partecipazione di Corrado re dei Romani, di Baldovino re di Gerusalemme e del duca d'Austria, in occasione della quale ancora una volta egli fu ospitato a S. Zeno.
L'influenza federiciana sulla vita politica veronese fu più marcata nel periodo 1236-1240, quando alla guida della città si susseguirono regolarmente podestà e rettori di nomina imperiale. Nel 1241 subentrò nella podesteria veronese Enrico da Egna, nipote di Ezzelino, il quale mantenne la carica fino alla morte, nel 1247. A partire da quell'anno, dunque, Verona divenne il perno della dominazione ezzeliniana in area veneta. Non si verificarono infatti qui le paradossali sovrapposizioni giurisdizionali tra i vicari e i podestà imperiali che governavano Padova (dove nel 1244 Ezzelino rimosse il vicario Galvano Lancia con l'accusa di peculato), Vicenza, Monselice, e il da Romano, grande sostenitore di Federico, privo però di cariche ufficiali. Ezzelino poteva contare a Verona su un solido consenso, maturato fin dai tempi del sostegno ai Monticoli; anzi, a partire dal 1245 il regime coagulò le risorse umane più vitali della città, come alcuni esponenti della domus mercatorum e milites vecchi e nuovi, mentre nel contempo la pars cessava di essere citata esplicitamente. La vita amministrativa, economica e finanche istituzionale della città, dunque, non ne risultò stravolta. Dopo la morte di Enrico da Egna si procedette alla scelta di altri podestà, naturalmente sempre di chiara fede ezzeliniana. Persino dopo la morte di Federico, quando negli altri centri sottoposti al controllo di Ezzelino si verificò una accentuata stretta repressiva, a Verona sostanzialmente si mantenne il rispetto delle forme della legalità. Vi sono anzi delle spie che proverebbero come Ezzelino intendesse fare di Verona una sorta di capitale, nella quale far confluire uomini e beni dall'intero suo dominio.
Federico a Verona lasciò di fatto mano libera a Ezzelino. Qualche incrinatura nella relazione tra i due è adombrata da Rolandino solo nel 1245, in occasione della dieta sopra citata. Il cronista padovano riporta infatti una voce secondo cui il colloquium veronese avrebbe fornito a Federico l'occasione "ut Veronam raperet de manibus Ecelini" (Rolandino da Padova, 1905-1908, p. 80). Ezzelino stesso avrebbe avvertito questo pericolo e avrebbe convogliato in città, senza dare nell'occhio, un gran numero di uomini armati, forse anche per arginare eventuali soprusi perpetrati verso i cittadini dai soldati tedeschi che accompagnavano l'imperatore. Il tenore successivo delle relazioni tra i due ‒ Ezzelino fu al fianco di Federico a Parma nel 1248 e fu presente alla corte imperiale a Cremona nel 1249 ‒, però, non autorizza a pensare a una vera frattura. Anzi, alla morte di Federico, Ezzelino ne raccolse il testimone politico e lo portò fino alla fine.
Verona fece da sfondo alla fase finale della vicenda ezzeliniana, rimanendo sempre fedele al signore della Marca; per questo si è parlato di Verona come della 'capitale' del dominio di Ezzelino. È certo che nel periodo 1236-1260 la città ancora una volta aveva confermato di poter rappresentare il fulcro di quello spazio territoriale che oggi chiamiamo Veneto.
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