“Verso” il sistema nazionale
La riforma costituzionale in discussione in Parlamento ed i decreti attuativi della l. n. 183/2014 (in particolare il d.lgs. n. 150/2015) aprono nuovi scenari in materia di servizi per il lavoro e politiche attive. Il presente contributo, pur sottolineando la rilevanza delle proposte di modifica alla Costituzione approvate dal Senato il 13.10.2015, richiama l’attenzione sulle novità contenute nel d.lgs. n. 150/2015. In questo ambito, particolare attenzione è dedicata all’istituzione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) considerata il perno attorno a cui ruota il riordino di una parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di Italia Lavoro S.p.a. e dell’Isfol.
L’anno in corso si chiude con l’entrata in vigore di importanti provvedimenti in materia di politiche attive e passive in attuazione della l. 10.12.2014, n. 183 (v. in primo luogo il d.lgs. 23.9.2015, n. 150, volto al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e politiche attive del lavoro, il d.lgs. 4.3.2015, n. 22, che modifica la normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, nonché il d.lgs. 14.9.2015 n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro).
Si ricorderà che già la l. 28.6.2012, n. 92 aveva manifestato l’ambizioso obiettivo di riformare contemporaneamente la disciplina delle politiche attive e di quelle passive. I nuovi provvedimenti proseguono nel solco tracciato da quella legge, riconfermando, quindi, la validità dell’intuizione in essa contenuta: l’intreccio tra servizi per l’impiego e politiche attive, da un lato, e sostegni al reddito, dall’altro lato (intreccio irrobustito dall’applicazione del principio di condizionalità). È il filo che collega la legislazione in materia dell’ultimo triennio.
Concentrando ora l’attenzione solo sul percorso relativo a servizi per l’impiego ed alle politiche attive, va segnalato che nel corso del 2015 è proseguito il cammino, iniziato in avvio della nuova legislatura, volto al superamento del modello istituzionale ed organizzativo adottato dal nostro Paese nei due decenni precedenti (quello fondato sulla ripartizione di competenze legislative concorrenti in materia, come previsto dalla l. costituzionale 18.10.2001, n. 3, e sulla attribuzione di funzioni e compiti amministrativi alle regioni ed alle province, come previsto dal d.lgs. 23.12.1997, n. 469 e riconfermato dal d.lgs. 10.9.2003, n. 276).
Ha compiuto ulteriori passi in avanti il d.d.l. di riforma costituzionale ed ai fini del presente contributo è d’obbligo segnalare che il Senato della Repubblica, nella seduta del 13.10.2015, oltre a confermare la soppressione delle province, ha apportato rilevanti modifiche al testo approvato dal Senato1 in prima lettura: in particolare, ha previsto l’attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di “politiche attive del lavoro” (v. la nuova formulazione dell’art. 117 Cost., co. 2, lett. o) e, nelle modifiche al vigente l’art. 116 Cost., ha aperto al “regionalismo differenziato” (altrimenti detto “regionalismo a geometria varabile”) anche in materia di politica attiva del lavoro2.
Restano inoltre confermati due disposizioni, già presenti nel testo precedentemente approvato dal Senato, che rafforzano la sfera di potestà legislativa statale, qualunque possa essere l’esito della ripartizione minuta delle materie:
• permane la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», competenza trasversale a tutte le materie, comprese quelle ad esclusiva competenza legislativa regionale (v. art. 117, co. 2, lett. m);
• è previsto, inoltre che, su proposta del Governo, la legge dello Stato possa intervenire «in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale» (v. art. 117, nuovo co. 4).
L’obiettivo che emerge sempre più nitidamente è la costruzione di un “sistema nazionale” in grado di assicurare a tutti cittadini la fruizione dei servizi essenziali nella materia in esame. Si noti, un sistema “nazionale” e non “statale”, in quanto la legislazione ordinaria attualmente deve rispettare i confini tracciati dalla Costituzione vigente per la materia a competenza legislativa concorrente “tutela e sicurezza del lavoro”, nel cui alveo, come è noto, si colloca la disciplina dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro3. Lo Stato e le regioni sono stati dunque chiamati a condividere, mediante intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, l’attuazione dei principi indicati dall’art. 1, co. 3 e 4 della l. n. 183/2014.
Tale intesa è stata raggiunta il 30.7.20154 ed invero proietta la sua luce oltre l’ambito richiesto dalla citata l. n. 183/2014. In una prima parte sono indicati i principi condivisi su cui si ritiene di avviare, a Costituzione vigente, la riforma. In una seconda parte, come prevedibile, sono indicate le modifiche concordate allo “schema di decreto legislativo” approvato dal Governo in data 11.6.2015; si tratta di modifiche rilevanti e puntuali, tanto da consentirci di portare il d.lgs. n. 150/2015 ad esempio di legislazione concertata tra istituzioni. In altra parte, infine, l’intesa si preoccupa di assicurare il governo della transizione al futuro sistema, pur nell’incertezza dell’approdo.
Tale incertezza nasce dalla sfasatura che si è venuta a creare tra i tempi di approvazione della riforma costituzionale e quelli di approvazione della legislazione ordinaria (mi riferisco in particolare alla l. n. 183/2014 e relativi decreti legislativi di attuazione). Un processo ordinato avrebbe reso preferibile, in astratto, la preventiva approvazione della riforma costituzionale a cui far seguire la legislazione ordinaria di riassetto dell’organizzazione del sistema e di innovazione delle politiche.
Come è noto, la successione temporale dei provvedimenti è risultata inversa rispetto a quanto sopra indicato: la legislazione ordinaria ha anticipato la riforma costituzionale, con i vincoli che ne derivano. Nell’attesa della nuova ripartizione di poteri legislativi che emergerà dal Titolo V della Costituzione modificata, ci attende dunque una fase di transizione (calcolabile almeno in un anno e mezzo), come del resto traspare chiaramente dall’Intesa Stato-Regioni del 30.7.2015. Dobbiamo perciò prendere atto che siamo all’avvio di un processo (e non alla fine).
Lo spazio di tempo che ci separa dalla definizione del nuovo assetto riguardante le competenze legislative di Stato e regioni però non è tempo vuoto o perso, ma è impiegato dal d.lgs. n. 150/2015 nella costruzione, con importanti innovazioni introdotte pur nel rispetto della Costituzione vigente, del primo stadio del nuovo “Sistema nazionale di servizi per l’impiego e di politica attiva del lavoro” e del nucleo centrale dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal).
Il disegno di riforma può essere colto nel suo insieme solo se, oltre a prendere in considerazione il d.d.l. di riforma costituzionale di cui si è detto, specie nella parte in cui tende a modificare gli artt. 116 e 117 del vigente Titolo V della Costituzione, si presta attenzione anche all’art. 1, co. 3 e 4, della l. n. 183/2014 ed al relativo d.lgs. n. 150/2015, nonché all’art. 15 del d.l. 19.6.2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali) conv. con mod. dalla l. 6.8.2015, n. 125. In questo contesto assume particolare rilievo il fatto che il citato d. lgs. n. 150/2015 è stato oggetto di una Intesa, invero molto puntuale, raggiunta il 30.7.2015 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome5.
La riforma può essere intesa, dunque, come un mosaico in fase di progressiva definizione ma con forti elementi di innovazione.
Prima di avvicinarci all’esame delle scelte innovative operate dalla legislazione ordinaria in esame, è opportuno segnalare il clima cooperativo che caratterizza questi provvedimenti.
La ricerca di una stretta collaborazione tra Stato e regioni, in netta contrapposizione agli aspri conflitti del periodo 20012005 ed in continuità, invece, con le esperienze derivanti dagli “Accordi sugli ammortizzatori in deroga” e dagli Accordi sulla “Garanzia per i giovani”6, è uno dei punti qualificanti del d.lgs. n. 150/2015. Sono più di uno i punti da cui si evince questa impostazione: basti citare la norma che prevede la condivisione da parte di Stato e regioni di linee di indirizzo triennali e di obiettivi annuali in materia nonché la specificazione dei livelli minimi delle prestazioni che debbono essere erogate su tutto il territorio nazionale (v. art. 2); in questo quadro va collocato anche l’art. 11 che, al co. 1, attribuisce le funzioni e compiti amministrativi in materia di politiche attive e servizi per l’impiego alle regioni, compresi quelli relativi alla l. 12.3.1999, n. 68 ed all’art. 16 l. 18.2.1987, n. 56 (superando, quindi, il d.lgs. n. 469/1997 che, come detto, assegnava tali funzioni e compiti alle province) e che, al co. 2, riconferma («restano assegnate») la competenza delle regioni e province autonome in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro.
Nello stesso solco si colloca la stipulazione di Convenzioni tra lo Stato e le singole regioni o province autonome per assicurare, con la necessaria flessibilità organizzativa, il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni in materia. Tale convenzione, se ci si affida ad uno sviluppo logico del percorso tracciato dal legislatore, dovrebbe essere incardinata nel contesto dell’Accordo-quadro da raggiungere in Conferenza unificata (accordo a cui fa cenno il co. 1 dell’art. 15 d.l. n. 78/2015, conv. con mod. dalla l. n. 125/2015) per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni mediante il «rafforzamento dei servizi per l’impiego».
Tali Convenzioni sono volte ad assicurare, in particolare, che le regioni:
• garantiscano «l’esistenza e la funzionalità di uffici territoriali aperti al pubblico denominati centri per l’impiego» (art. 11, co. 1, lett. a);
• individuino misure di attivazione dei beneficiari di ammortizzatori sociali residenti nel territorio regionale di competenza;
• assicurino la disponibilità dei servizi a tutti i residenti sul territorio italiano.
Le Convenzioni si rivelano fondamentali nella strategia cooperativa di cui si è detto, anche su due punti che in passato si sono mostrati assai delicati nel rapporto Statoregioni: l’esercizio da parte dello Stato di interventi di sussidiarietà verticale e l’accreditamento di operatori chiamati a collaborare con pubblica amministrazione per il raggiungimento di obiettivi discendenti dalla programmazione pubblica.
Al fine di procedere nella costruzione del “Sistema nazionale”, assume notevole rilievo la specificazione che Stato e regione possano concordare l’attribuzione all’Anpal, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale, di compiti e funzioni amministrative in materia; si cerca in tal modo di superare situazioni di endemica debolezza che caratterizzano alcune aree del Paese, grazie all’intervento, “in supplenza”, dello Stato mediante la mobilitazione della Agenzia nazionale (v. infra).
Altrettanto importante è il superamento delle inerzie regionali in tema di accreditamento7 di operatori diversi dai centri per l’impiego. L’art. 12, pur riconfermando al co. 1 la competenza delle regioni a definire «i propri regimi di accreditamento, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 276/2003», stabilisce che le norme regionali sul punto debbano rispettare criteri definiti con D.M., previa intesa in Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni. Ancor più incisiva è la disposizione contenuta nel co. 2 dell’articolo in esame, laddove si prevede che «qualora ne facciano richiesta all’Anpal, le Agenzie per il lavoro di cui alle lett. a) e c) dell’art. 4, co. 1 del d.lgs. n. 276/2003 vengono accreditate a servizi per il lavoro su tutto il territorio nazionale». L’insieme di queste disposizioni è volta a potenziare l’erogazione dei servizi da parte delle regioni consentendo loro di avvalersi non solo delle strutture pubbliche deputate ma anche di soggetti privati accreditati. Si vuole così dare effettività al “sistema misto”, da lungo tempo invocato dai documenti dell’O.I.L.8 ed invece rimasto inapplicato in larga parte del Paese.
Un altro punto di forte innovazione è rinvenibile al Capo II (artt. da 18 a 28) del d.lgs. in esame, interamente dedicato alla definizione di «principi generali e comuni» in materia.
Seguendo uno schema che ricalca linee da tempo sperimentate nella gran parte dei Paesi europei, si prefigura un modello di percorso di servizi per l’impiego così articolato:
• identificazione dei soggetti beneficiari dei servizi e dei trattamenti di sostegno al reddito;
• dichiarazione di disponibilità (DID) da parte del lavoratore;
• presa in carico del lavoratore da parte del centro per l’impiego, profilazione e stipulazione di un patto di servizio;
• Erogazione dei servizi (da parte delle strutture pubbliche o da parte di soggetti privati accreditati) a cui si abbina l’erogazione dei sussidi (su quest’ultimo aspetto occorre avere la consapevolezza che in Italia, contrariamente a molte realtà europee, l’abbinamento delle due funzioni è affidato a convenzioni tra le istituzioni interessate e l’INPS)9;
• Monitoraggio del lavoratore anche a fini dell’applicazione del principio di condizionalità (il lavoratore perde il sussidio nel caso in cui venga accertata la sua indisponibilità o la sua mancata cooperazione al processo di reinserimento al lavoro).
Gli artt. 22 e 25 tendono a chiudere, inoltre, un’ultradecennale “querelle” sorta a seguito delle incertezze interpretative riguardanti la definizione di “stato di disoccupazione” e la definizione di “offerta di lavoro congrua” come disciplinate dalla legislazione previgente. Questi temi, particolarmente rilevanti al fine di dare effettività al principio di “condizionalità”, sono stati oggetto di accese controversie sfociate nel tentativo di fissare regole regionali differenziate10. La pronuncia sul punto della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità di tali norme regionali11, conforta il legislatore statale nello stabilire regole uniformi per tutto il territorio nazionale.
2.1 Nuova organizzazione dei servizi per il lavoro
Il d.lgs. n. 150/2015 si apre con un articolo dedicato alla «Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro». L’ampio elenco di soggetti coinvolti lascia intendere non solo la volontà del legislatore di promuovere un sistema “misto”, seguendo il solco delle raccomandazioni di autorevoli organismi internazionali12, ma anche la consapevolezza che la gracilità dell’attuale sistema italiano richieda la mobilitazione di tutti i soggetti potenzialmente coinvolgibili: il senso della Rete è quello di elencare e dare visibilità a tutti i soggetti che, a vario titolo ed anche con funzioni diverse, possono concorrere al buon funzionamento del “Sistema nazionale di servizi per l’impiego e politiche attive del lavoro”:
• l’Amministrazione centrale (ed in primo luogo il Ministero del lavoro coadiuvato dalle strutture sottoposte alla sua vigilanza quali l’Anpal, l’INPS, l’Isfol, l’INAIL);
• le regioni ed i loro centri per l’impiego;
• i soggetti autorizzati ed accreditati;
• i fondi interprofessionali e gli enti bilaterali.
2.2 (segue) … Riordino dell’amministrazione centrale e l’Anpal
Le linee della riforma descritta nella parte precedente richiedono, a fini della loro attuazione, un nuovo disegno organizzativo, sia a livello dell’amministrazione centrale, sia a livello regionale.
Ne consegue un incisivo riordino dell’Amministrazione centrale al centro del quale sarà collocato, a partire dal 1.1.2016, un nuovo soggetto: l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), dotata di personalità giuridica, autonomia organizzativa, regolamentare, amministrativa contabile e di bilancio. Si noti, a conferma del disegno di stampo cooperativo, che uno dei tre componenti del Consiglio di amministrazione è nominato su proposta della Conferenza Stato-Regioni.
In materia di politiche attive del lavoro vengono dunque rivisitate, in primo luogo, le competenze del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (v. art. 1, co. 1 ed art. 3), competenze ricondotte essenzialmente ad attività di indirizzo politico con riguardo alle strategie, agli obiettivi ed alle priorità da perseguire, alla verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ed infine alla vigilanza sull’Anpal e sugli altri Enti legati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Inps, Inail, Isfol).
In attesa dell’esito della riforma costituzionale (a cui potrebbe far seguito l’attribuzione di più ampie funzioni), l’Anpal assume i compiti della attuale Direzione generale per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione (che viene soppressa) ed è affidataria anche della «gestione dei programmi operativi nazionali nelle materie di competenza, nonché di progetti cofinanziati da Fondi comunitari», cioè delle principali fonti di finanziamento delle politiche attive del lavoro a livello nazionale.
Dall’esame di altre disposizioni l’Agenzia sembra destinata anche a svolgere compiti (ancora da definire con puntualità) assegnati in precedenza alla Direzione generale dei sistemi informativi, innovazione tecnologica e comunicazione13.
Sono, inoltre, affidati all’Anpal compiti e funzioni di diversa natura:
• coordinamento del sistema. In questo ambito spiccano le azioni volte a coordinare le politiche del lavoro relative alla Naspi, ai servizi per l’impiego, al collocamento dei disabili di cui alla l. n. 68/1999, nonché alle politiche di attivazione dei disoccupati con particolare riferimento ai beneficiari di prestazioni di sostegno al reddito collegate alla cessazione del rapporto; per quanto riguarda il profilo finanziario di queste attività è doveroso segnalare che il punto f) dell’art. 9 affida all’Agenzia la promozione ed il coordinamento, in raccordo con l’Agenzia per la coesione territoriale, dei programmi cofinanziati dal Fondo sociale europeo nonché di programmi cofinanziati con fondi nazionali negli ambiti di intervento del Fondo sociale europeo;
• supporto al Ministero del lavoro nella predisposizione di atti (basti citare per tutti l’ammontare dell’assegno di ricollocazione o la definizione di «offerta congrua»), circolari ed interpretazioni di leggi;
• gestione di alcuni compiti e funzioni amministrative (definizione delle metodologie di profilazione dei lavoratori e degli standard di servizio, gestione dell’albo nazionale dei soggetti autorizzati a svolgere servizi per l’impiego di cui all’art. 4 d.lgs. n. 276/2003, gestione dell’albo nazionale dei soggetti accreditati a svolgere attività di formazione professionale, gestione integrata del sistema informativo unitario di cui all’art. 13 del d.lgs. in esame);
• in continuità con l’esperienza di Italia lavoro S.p.a., offre assistenza tecnica e consulenza nella gestione delle crisi di azienda nonché può gestire programmi di reimpiego e ricollocazione;
• infine, a seguito di apposita convenzione tra il Ministero e la regione interessata, può avere la gestione diretta di servizi per l’impiego e di politiche attive del lavoro sul territorio, in applicazione del principio di “sussidiarietà verticale” richiamato in precedenza.
Nell’insieme delle funzioni e dei compiti assegnati all’ANPAL merita una specifica segnalazione la realizzazione, in cooperazione con il Ministero del lavoro, le regioni e le province autonome, l’INPS e l’Isfol, di un Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro. Per esplicita ammissione del legislatore delegato si tratta di un primo passo che dovrebbe portare, nel tempo, alla realizzazione di un sistema informativo unico (come, peraltro, era nelle aspirazioni del Governo14). Il legislatore delegato prosegue nell’opera già avviata dal d.lgs. n. 181/2000, dal d.lgs. 27.12.2007, n. 297 e dalla l. n. 92/2012, con l’obiettivo di far confluire in un’unica sede informazioni preziose per la comprensione dell’andamento del mercato del lavoro. A questo fine prende in considerazione, oltre alle comunicazioni obbligatorie e la banca dati dei percettori di ammortizzatori sociali, anche le schede anagrafico-professionali dei lavoratori elaborate dai centri per l’impiego ed il sistema informativo della formazione professionale istituito dall’art. 15 del d.lgs. in esame.
In questo contesto un cenno va dedicato anche a Italia lavoro S.p.a. Lo schema di d.lgs. in materia, approvato dal Consiglio dei Ministri nel giugno del 2015, nel procedere all’opera di razionalizzazione degli enti strumentali del Ministero del lavoro nel campo delle politiche attive del lavoro, aveva previsto il Commissariamento di Italia lavoro e, contestualmente, l’attribuzione al Presidente dell’Anpal della carica di Commissario straordinario (v. art. 4, co. 13 dello schema di d.lgs.). Nella stessa direzione si muovevano i co. 14 e 16 dello stesso articolo laddove, «al fine di favorire l’integrazione ed il coordinamento delle attività», consentivano all’Anpal ed a Italia lavoro di stipulare, nella fase di commissariamento, apposite convenzioni. L’ipotesi più accreditata sembrava essere quella di una graduale “confluenza” delle attività di Italia lavoro e di parte (più o meno consistente) del relativo personale nell’Anpal.
Il d.lgs. n. 150/2015 muta in parte l’approccio al tema, conferendo all’Anpal la titolarità delle azioni di Italia lavoro S.p.a., attribuendo al Presidente dell’Anpal la carica di amministratore unico di Italia lavoro e configurando quest’ultima quale struttura in house dell’Anpal.
Italia lavoro S.p.a. quindi sopravvive e l’Anpal, perlomeno per la fase di transizione di cui si è detto al paragrafo primo, potrà avvalersene.
Anche l’Isfol è coinvolto nel processo di razionalizzazione del Ministero e dei suoi enti strumentali. L’art. 10 del d.lgs. in esame ridefinisce con puntualità le funzioni dell’Istituto (studio, ricerca, monitoraggio e valutazione) e le aree su cui dovrà svolgere tali funzioni (lavoro, formazione, inclusione sociale e terzo settore).
2.3 (segue) … I centri per l’impiego
La situazione di incertezza che grava sui centri per l’impiego a seguito del progressivo “smantellamento” delle province, non può impedirci di sottolinearne l’importanza (equivalente a quella che svolgono le sedi periferiche delle Agenzie pubbliche negli altri Paesi europei). È indubbio, infatti, che l’Istituzione a cui verrà assegnata la titolarità dei circa 550 centri per l’impiego attualmente esistenti in Italia (ANPAL oppure regione/Agenzia regionale o Città metropolitana o Ente di area vasta) diventerà la principale struttura pubblica di servizi per l’impiego e di politica attiva del lavoro del Paese. Pur in attesa dell’allocazione di queste funzioni, il quadro normativo in esame manifesta immediate ed interessanti evoluzioni. Il più volte citato d.lgs. n. 150/2015 afferma che «le Regioni e le Province autonome costituiscono propri uffici territoriali, denominati centri per l’impiego, per svolgere in forma integrata, nei confronti dei disoccupati e dei lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro e a rischio di disoccupazione …» al fine di realizzare tutti quei servizi e quelle misure di politica attiva del lavoro utili all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro (v. art. 18, co. 1 e, nello stesso senso, l’art. 11, co. 1, lett. a).
L’attenzione nei confronti dei centri per l’impiego (e del personale in essi operante) è rinvenibile anche all’art. 15 d.l. n. 78/2015 conv. con mod. dalla l. n. 125/2015. Quest’ultima normativa, «allo scopo di garantire i livelli essenziali di prestazioni in materia di servizi per l’impiego e politiche attive del lavoro», prevede la predisposizione, mediante intesa in Conferenza Unificata, di un Piano di rafforzamento dei servizi per l’impiego, mediante l’utilizzo coordinato di fondi nazionali e regionali, nonché la stipulazione di Convenzioni tra Ministero del lavoro e regioni finalizzate a regolare i relativi rapporti ed obblighi in relazione alla gestione dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro nel territorio di competenza (v. co. 1 e 2).
Nell’ambito delle Convenzioni sopra indicate, le parti possono prevedere la partecipazione del Ministero del lavoro agli oneri di funzionamento dei centri per l’impiego per gli anni 2015 e 2016 «in misura proporzionale al numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato direttamente impiegati in compiti di erogazione dei servizi per l’impiego»
(v. co. 3 e 4). La citata Intesa Stato-regioni del 30.7.2015 ha poi precisato la ripartizione di tali oneri: 2/3 a carico dello Stato ed 1/3 a carico delle regioni.
La norma in esame, infine, consente alle province ed alle Città metropolitane, nelle more dell’attuazione del processo di riordino delle funzioni connesse alle politiche attive del lavoro ed al solo fine di assicurare la continuità dei servizi erogati dai entri per l’impiego, di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato con scadenza non successiva al 31.12.2016. Viene così affrontato, seppur in via temporanea, il problema del personale precario dei centri per l’impiego.
2.4 Semplificazioni alla disciplina del collocamento mirato
Nell’intento di migliorare l’efficacia della l. n. 68/1999, il recente d.lgs. 23.9.2015, n. 151, sulle disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della l. n. 183/2014, ha apportato significative modifiche alla normativa in materia.
L’impianto della legge resta sostanzialmente integro, ma il legislatore delegato concentra l’attenzione sui numerosi problemi emersi nel corso della ormai quindicennale esperienza applicativa.
Limitandoci a segnalare le principali novità, va in primo luogo posto in evidenza che il d.lgs. in esame persegue il superamento dell’assunzione per “chiamata numerica”, apportando modifiche alla disciplina riguardante le modalità di individuazione dei soggetti da assumere da parte dei datori di lavoro obbligati. Ai fini dell’adempimento dell’obbligo il datore di lavoro privato o l’ente pubblico economico possono procedere, infatti, all’assunzione mediante richiesta nominativa o mediante la stipulazione delle convenzioni di cui all’art. 11 della citata l. n. 68/1999. Solo in caso di mancata assunzione entro i limiti temporali previsti (cioè entro 60 giorni dal momento in cui nasce l’obbligo all’assunzione di lavoratori disabili), gli uffici competenti provvederanno all’avviamento al datore di lavoro secondo l’ordine della graduatoria.
Proseguendo nell’analisi del decreto incontriamo, all’art. 4, la norma per cui nel computo della quota di riserva possono ora essere conteggiati anche i lavoratori già disabili prima della costituzione del rapporto di lavoro, anche se non assunti tramite il collocamento obbligatorio, purché abbiano una rilevante riduzione della capacità lavorativa o gravi minorazioni.
È lecito attendersi benefici e consistenti effetti anche dal radicale cambiamento del farraginoso sistema di incentivazione economica delle assunzioni dei disabili a suo tempo previsto dalla originaria versione dell’art. 13 l. n. 68/1999.
Come è noto tali incentivi sono concessi grazie alle risorse derivanti da un apposito Fondo nazionale alimentato dallo Stato. Con riferimento alle assunzioni effettuate a decorrere dal 1.1.2016, gli incentivi sono graduati, in entità e durata, in rapporto al livello di riduzione della capacità lavorativa del disabile e del tipo di disabilità (“fisica” oppure “intellettiva e psichica” v. tabella).
È opportuno sottolineare, inoltre, che la procedura per l’ottenimento del beneficio risulta molto semplificata dal decreto in esame. Il datore di lavoro che intende assumere un disabile beneficiando degli incentivi sopra indicati può farne richiesta all’Inps, mediante apposita procedura telematica; entro i successivi cinque giorni riceve conferma della disponibilità delle risorse e gli viene assegnato un termine perentorio di sette giorni per provvedere alla stipula del contratto di lavoro con il disabile. L’incentivo viene corrisposto al datore di lavoro mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili all’INPS.
Giudicati alla luce della Costituzione vigente, i co. 3 e 4 della la l. n. 183/2014 ed il d.lgs. n. 150/2015 si configurano come il più ambizioso tentativo fino ad ora intrapreso dal legislatore statale di edificare, mediante una paziente opera di concertazione con le regioni, le fondamenta di un nascente sistema nazionale nel campo dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro.
I meriti di questo approccio alla riforma sono indiscutibili, avendo messo il decreto al riparo da aspri conflitti tra Stato e regioni (come quelli che abbiamo conosciuto in occasione del d.lgs. n. 276/2003). Semmai, la lettura del d.lgs. n. 150/2015 suscita un rammarico per il tempo perduto in precedenza.
Dimostra infatti che, anche in assenza di nuove modifiche al Titolo V della Costituzione, il Paese avrebbe potuto compiere significativi passi nella direzione di un più incisivo ruolo dello Stato e delle regioni per assicurare a tutti cittadini «i livelli essenziali delle prestazione concernenti i servizi per l’impiego» (a partire da quelli promessi dall’art. 4, co. 33, lett. b), della l. n. 92/2012). Però una nuova riforma costituzionale si affaccia e dobbiamo essere tutti consapevoli che l’equilibrio tra Stato e regioni emerso nell’intesa del 30.7.2015 può essere rimesso in discussione. L’esito della riforma costituzionale appare dunque il perno attorno a cui ruota l’assetto del futuro sistema nazionale di servizi per l’impiego e di politica attiva del lavoro e da cui dipendono molti obiettivi del percorso di transizione che ci attende.
1 Per l’illustrazione dei profili attinenti la materia in esame del d.d.l. costituzionale, nella versione approvata dal Senato della Repubblica, in prima lettura, l’8.10.2014, rinvio a Varesi, P., I servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro, in Il libro dell’anno del diritto 2015, Roma, 2015, 347 e ss.
2 La nuova formulazione dell’art. 116, nel testo approvato dal Senato della Repubblica il 13.10.2015, prevede che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materia … (tra cui è espressamente citata la materia politiche attive del lavoro, n.d.r.) possono essere attribuite alle altre Regioni (cioè alle Regioni a Statuto ordinario, n.d.r.) con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, …., purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata».
3 V. C. cost., 28.1.2005, n. 50, in Riv. giur. lav., 2005, con nt. di A., Garilli, La riforma del mercato del lavoro al vaglio della Corte costituzionale, 449.
4 V. Intesa del 30.7.2015 in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, in www.statoregioni.it.
5 V. il testo dell’Intesa del 30.7.2015 in www.statoregoni.it.
6 Ad illustrazione e commento di tali Accordi sia consentito il rinvio a Varesi, P., I livelli essenziali concernenti i servizi per l’impiego e la sfida della Garanzia per i giovani in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 379 ss. e Id., La protezione sociale del lavoro al tempo della “grande crisi” (2008-2009): il caso italiano, in Loy, G., a cura di, Diritto del lavoro e crisi economica, Roma, 2011, 81 ss.
7 A quasi dieci anni dall’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Cost. (l. cost.n. 3/2001), solo otto regioni avevano legiferato n materia, disciplinando, tra l’altro, anche l’accreditamento. Indagini più recenti segnalano che negli ultimi anni, anche a seguito della Garanzia per i giovani, l’area delle regioni coinvolte si è allargata tanto da ricomprendere, al luglio 2015, n. 16 regioni (v. Marocco, M., Modelli regionali di accreditamento dei servizi al lavoro, in Rapporto intermedio, Isfol, Roma, 2015.
8 V. Ufficio internazionale del lavoro, Il ruolo delle agenzie private per l’impiego nel funzionamento dei mercati del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1994, III, 183 ss.
9 In Francia ed in Germania, ad es., l’erogazione de servizi ed il pagamento dei sussidi sono posti in capo ad un’unica struttura (Pole-emploi e Agenzia federale per il lavoro).
10 V. giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1-3 della l. della regione Puglia 9.2.2006, n. 4 (Conservazione dello stato di disoccupazione e dei relativi diritti).
11 V. C. cost.. 13.7.2007, n. 268. A commento v. Liso, F., La disciplina regionale della disoccupazione di fronte alla Corte costituzionale, in Dir. rel. ind., 2008, 2, 330 ss.
12 Sul punto si rinvia al documento citato alla nt. 8.
13 Lo si può desumere dall’art. 4, co. 5, che trasferisce all’Anpal due uffici dirigenziali di livello non generale dell’attuale Direzione generale dei sistemi informativi, innovazione tecnologica e comunicazione.
14 Il testo dell’art. 13 dello schema di d.lgs. approvato dal Consiglio de Ministri nel giugno del 2015 prevedeva la realizzazione di un Sistema informativo unico delle politiche del lavoro, «anche valorizzando e riutilizzando le componenti informatizzate realizzate dalle regioni e dal Ministero del lavoro». La versione definitiva, contenuta nel d.lgs. n. 150/2015, è l’esito dell’intesa tra Stato e regioni del 30.7.2015.