Verso l’Unione bancaria: la lezione di Cipro
La crisi finanziaria che ha investito l’isola nei primi mesi del 2013 è stata affrontata dalla UE con un piano di salvataggio di portata assai maggiore del peso economico del paese. In gioco c’è la realizzazione e la credibilità dell’Unione bancaria, che non si può certo ridurre a un sistema europeo di vigilanza.
La crisi di insolvenza di gran parte del settore bancario e – di conseguenza – dello Stato di Cipro, che è esplosa fra la metà di marzo e i primi di aprile del 2013, è sfociata in un ‘piano di salvataggio’ di enorme portata rispetto alle dimensioni del paese. Tale piano, concordato fra il governo cipriota e le istituzioni dell’Unione Europea, si è incentrato su: il fallimento o la ristrutturazione dei maggiori gruppi bancari nazionali, nuove regole bancarie, temporanee ma rilevanti restrizioni nei trasferimenti monetari e di capitale anche verso l’area dell’euro, inasprimenti fiscali e cessioni del patrimonio pubblico, riforme strutturali, un prestito internazionale di 10 miliardi di euro concesso dal meccanismo europeo ESM e – per un decimo – dal Fondo monetario internazionale, pesanti perdite per i depositanti e per i detentori privati di obbligazioni bancarie.
Quest’ultimo aspetto del piano e, soprattutto, la sua faticosa messa a punto hanno travalicato i problemi di Cipro per investire un cruciale processo di cambiamento della governance economica della UE: l’Unione bancaria, lanciata dal Consiglio europeo di giugno 2012 e varata dal Consiglio ECOFIN di dicembre 2012. Tale processo dovrebbe basarsi su 3 pilastri: a) un sistema europeo di vigilanza delle banche, imperniato sulla Banca centrale europea (BCE) e sul suo coordinamento delle autorità di vigilanza bancaria dei singoli Stati membri dell’Unione economica e monetaria europea (UEM) e degli altri Stati dell’UE aderenti all’Unione bancaria; b) un meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie che assicuri la cooperazione fra i relativi meccanismi nazionali, generati da una direttiva della Commissione europea (in corso di approvazione), o li rimpiazzi creando un’autorità europea ad hoc; c) un’assicurazione dei depositi bancari che coordini le relative assicurazioni nazionali, previste da un’altra direttiva della Commissione, o si trasformi in un fondo europeo di garanzia.
Nei primi mesi del 2013 si sono compiuti progressi relativamente al punto a; sono, invece, cresciute le resistenze (specie tedesche) rispetto alla specificazione normativa e alla realizzazione a breve termine di un’autorità di risoluzione delle crisi bancarie e di un fondo unico di garanzia. Queste resistenze non sono state superate dalla crisi del settore bancario cipriota, che pure ha mostrato l’inadeguatezza sia delle risorse domestiche per un’efficace gestione dell’insolvenza di banche troppo grandi per la dimensione del paese sia delle garanzie nazionali per la tutela dei piccoli depositanti. Prova ne sia che, nel caso di Cipro, la speculativa e distorta concentrazione della ricchezza finanziaria nei depositi bancari (a rendimento eccessivo) ha spinto, in prima battuta, l’Eurogruppo e il governo di Cipro ad addossare (via tassazione) i costi dei fallimenti e delle ristrutturazioni bancarie anche sui possessori di depositi inferiori ai 100.000 euro – ossia, di quella tipologia di depositi garantita da tutti gli Stati dell’UE almeno dalla fine del 2008. Solo la mancata ratifica dell’accordo da parte del Parlamento cipriota ha evitato reazioni di panico fra i piccoli depositanti di tutti gli altri Stati ‘periferici’ dell’UEM. Il caso di Cipro avrebbe dovuto rendere palese la necessità di un’autorità europea di risoluzione delle crisi bancarie e di un fondo assicurativo unico. Viceversa, rappresentanti delle istituzioni europee hanno affermato che il coinvolgimento dei detentori di depositi (pur se, nella versione finale del ‘piano di salvataggio’, di ammontare superiore ai 100.000 euro) non era esclusivamente imputabile alle peculiari distorsioni di un centro di speculazione finanziaria come Cipro, ma era utilizzabile come ‘modello’ per tutte le future possibili crisi bancarie in Paesi dell’UEM o dell’UE. Tali affermazioni, anche se smentite, hanno rafforzato gli ostacoli alla realizzazione del processo di Unione bancaria che non è certo riducibile a un sistema europeo di vigilanza.