Verso lo statuto della confisca di prevenzione
Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale sulle misure di prevenzione e i sempre più frequenti interventi delle Sezioni Unite, in particolare sulla natura giuridica della confisca di prevenzione, costituiscono un’occasione storica per delineare in modo organico i principi di questo istituto, che consente di espropriare definitivamente i beni illecitamente acquisiti “bonificando” il mercato e ripristinando la legalità. Premesso che devono essere garantiti anche nel procedimento nei confronti del patrimonio il diritto di difesa e al contraddittorio, sono maturi i tempi per una “sistemazione” delle misure di prevenzione, specificamente di quelle patrimoniali, allontanandole definitivamente dall’area del “diritto di serie B”, proponendo istituti coerenti e rispondenti pienamente ai principi della Costituzione e della CEDU.
La confisca di prevenzione, dopo l’introduzione (nel 2008) del principio di applicazione disgiunta e l’estensione a più ampie categorie di persone rispetto ai soli indiziati di mafia, ha assunto particolare efficacia nell’azione di acquisizione in favore dello Stato dei patrimoni illecitamente accumulati. Le frequenti applicazioni hanno sollecitato la dottrina e la giurisprudenza ad approfondire i temi più rilevanti: l’ambito dei destinatari, la giustificazione dell’acquisto del bene con redditi da evasione fiscale e, soprattutto, la natura giuridica della confisca e le questioni che ne derivano.
1.1 La natura giuridica della confisca
I primi argomenti rilevanti riguardano l’applicabilità della confisca di prevenzione all’area dei c.d. colletti bianchi, che si sta consolidando tra i giudici di merito coinvolgendo nuove forme di pericolosità (evasore fiscale, corruttore, bancarottiere), e la possibilità da parte del proposto di giustificare la provenienza del bene con denaro provento di evasione fiscale, esclusa dalle Sezioni Unite (sentenza 29.5.2014, n. 33451).
Vi è, poi, il tema della natura giuridica della confisca di prevenzione, che appare il più complesso perché coinvolge profili teorici cui conseguono rilevanti effetti applicativi, quali l’irretroattività – propria della legge penale e delle misure sanzionatorie, laddove le misure di carattere preventivo sono soggette all’applicabilità della legge in vigore nel momento in cui sono irrogate – e, come si vedrà, la correlazione tra epoca di acquisto del bene e manifestazione della pericolosità da parte del proposto.
Il dibattito e le soluzioni adottate sulla natura giuridica orienteranno l’ambito di applicazione della confisca, verificandone l’efficacia e la rispondenza ai principi costituzionali e della CEDU, e potranno agevolare l’individuazione di principi regolatori dell’istituto che – coinvolgendo non solo la retroattività e la correlazione temporale, ma anche l’estensione a nuove forme di pericolosità e la specificazione della provenienza illecita dei beni (anche da redditi di evasione fiscale) – consentiranno l’ormai indifferibile sistemazione organica delle misure di prevenzione, in particolare patrimoniali. Occorre allontanare definitivamente questo istituto dall’area del “diritto di serie B”, rendendolo coerente e in grado di rispondere ai principi della Convenzione, proponendo un vero e proprio Statuto della confisca di prevenzione.
1.2 La questione rimessa alle Sezioni Unite
L’ordinanza del 30.1.2014, n. 11752 ha rimesso alle Sezioni Unite il tema della retroattività della confisca di prevenzione, quantomeno nel caso di applicazione disgiunta: se si ritiene esteso alle misure di prevenzione patrimoniali l’art 200 c.p., dettato per le misure di sicurezza, trova ingresso il principio di applicabilità della legge in vigore nel momento della decisione; se, invece, vengono in rilievo l’art. 11 disp. prel. c.c. e l’art. 2 c.p. – in ragione della natura sanzionatoria della misura – opera il principio d’irretroattività.
L’ordinanza di rimessione individua il tema “centrale” della questione, rappresentato dalla natura giuridica della confisca di prevenzione, da cui discendono (quanto meno) quelli della retroattività o meno della misura e l’eventuale correlazione temporale tra pericolosità e acquisto del bene; temi da sempre dibattuti e da aggiornare a seguito dell’introduzione nel 2008 del principio di applicazione disgiunta della confisca1.
2.1 Il dibattito in corso vigente il principio di accessorietà
Da tempo si confrontano diverse tesi sulla natura della confisca di prevenzione. La natura preventiva è desunta dalla funzione di neutralizzare «la situazione di pericolosità insita nel permanere della ricchezza nelle mani di chi può continuare a utilizzarla per produrre altra ricchezza attraverso la perpetuazione dell’attività delinquenziale». La natura sanzionatoria è affermata per l’afflittiva degli effetti della confisca, da collocare, indipendentemente dalle etichette adoperate, nell’area della sanzione amministrativa o penale.
La Corte di cassazione ha proposto una diversa tesi: la confisca di prevenzione va ricondotta nell’ambito di quel tertium genus, tra sanzione penale e provvedimento di prevenzione, equiparato a una sanzione amministrativa che produce gli effetti della misura di sicurezza prevista dall’art. 240, co. 2, c.p.
Questa posizione, poi ribadita costantemente2, è stata delineata dalle Sezioni Unite, sent. 3.7.1996, n. 18, per consentire la prosecuzione del procedimento, ai soli fini della confisca, nel caso di morte del proposto, pur operante il c.d. principio di accessorietà secondo cui la misura patrimoniale poteva essere applicata solo unitamente alla misura di prevenzione personale. La tesi sembra delineare, però, una vera e propria sanzione patrimoniale, seppur amministrativa, non derivante dall’accertamento della commissione di un fatto (illecito), con prevedibili conseguenze sull’applicabilità delle garanzie proprie delle sanzioni.
La Corte costituzionale, con la sentenza 8.10.1996, n. 365, si è limitata ad affermare che il procedimento per l’applicazione della confisca «comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al “circuito economico” di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo e, dall’altro, a differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di là dell’esigenza di prevenzione nei confronti di soggetti pericolosi».
La Corte europea, invece, riconosce la confisca antimafia come misura di prevenzione e non sanzione penale, inquadrabile nell’ambito dell’art. 1 del protocollo addizionale n. 1, perciò di cui è consentita l’applicazione retroattiva; diversamente sarebbe snaturato l’istituto e s’imporrebbe l’applicazione di principi tipici del sistema penale, incompatibili col sistema delle misure preventive (in particolare l’art. 7 CEDU).
Secondo la Corte la sanzione penale interviene sulla violazione di una norma penale, ed è subordinata all’accertamento di un reato e della colpevolezza dell’imputato, la misura di prevenzione non presuppone un reato e tende a prevenirne la commissione da parte di soggetti ritenuti pericolosi3.
2.2 Il principio di applicazione disgiunta
Il dibattito sulla natura della confisca di prevenzione non può prescindere dal principio di applicazione disgiunta, introdotto nel 2008, all’esito di una lunga evoluzione legislativa e giurisprudenziale.
Le misure di prevenzione patrimoniali, quando furono inserite nella l. 31.5.1965, n. 575 dalla l. 20.7.1982, n. 646 (nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa), presentavano un inequivocabile carattere accessorio, potendo essere applicate solo unitamente alla misura personale (ai sensi degli artt. 2 bis e 2 ter l. n. 575/1965) ovvero anche successivamente a questa, ma prima della sua cessazione (ai sensi dell’art. 2 ter, co. 6, l. cit.). La giurisprudenza evidenziò il profilo di criticità del principio di accessorietà che non consentiva di disporre la confisca nel caso di mancata irrogazione della misura personale (per morte del proposto nel corso del procedimento) o qualora la misura fosse cessata per decorso del termine o per morte del sottoposto.
La Corte costituzionale affermò la legittimità costituzionale della scelta legislativa, pur quando furono previste deroghe normative al principio di accessorietà (artt. 2 ter, co. 7 e 8, 3 quater e 3 quinquies l. n. 575/1965, introdotti, rispettivamente, dalla l. 19.3.1990, n. 55 e dal d.l. 8.6.1992, n. 306, convertito dalla l. 7.8.1992, n. 356). Per “superare” i limiti imposti dal principio di accessorietà le Sezioni Unite, con la citata sentenza n. 18/1996, affermarono che era
consentita la confisca di beni sequestrati a persona deceduta nel corso del procedimento, pur nell’impossibilità di applicare la misura personale. Altre deroghe furono elaborate dalla giurisprudenza4.
Introdotto dal d.l. 23.5.2008, n. 92, convertito dalla l. 24.7.2008, n. 125, il principio di applicazione disgiunta (poi recepito dall’art. 18 del d.lgs. 6.9.2011, n. 159, c.d. codice antimafia), la giurisprudenza ha evitato possibili forzature, consentite da un testo poco chiaro, richiedendo per la confisca (disgiunta dalla misura personale) l’accertamento, sia pure incidentale, della pericolosità del proposto (o di chi poteva essere proposto per l’applicazione della misura personale), collegando imprescindibilmente la misura reale alla pericolosità della persona.
Si precisa che le nuove disposizioni tracciano una diversa linea di politica criminale di intervento sui patrimoni illecitamente accumulati, attraverso il passaggio da un approccio incentrato sulla “pericolosità del soggetto” a uno fondato “sull’acquisizione illecita del bene da parte di persona pericolosa” (o che è stata pericolosa) e che ha acquistato i beni perché pericolosa5.
2.3 Il dibattito successivo: il contrasto giurisprudenziale
Anche dopo l’introduzione del principio di applicazione disgiunta, benché fossero state proposte diverse opzioni interpretative6, la Corte di cassazione ha inizialmente ribadito la tesi della “confisca tertium genus”7.
La contraddizione presente nell’orientamento consolidato è stata colta dalla V sezione penale che, con la sentenza 13.11.2012, n. 14044, ha proposto la natura sanzionatoria (almeno della confisca disgiunta), non essendo ragionevole applicare alla confisca le leggi entrate in vigore «quando della stessa pericolosità pregressa già non vi era più traccia».
Conferma della tesi proposta viene desunta dalla giurisprudenza che non richiede la correlazione tra la pericolosità del proposto e il momento di acquisizione dell’utilità da confiscare «giacche è la prima che rende pericolosa la seconda in funzione dell’intervento in prevenzione».
La tesi “innovativa” è stata, più volte, disattesa dalla I sezione della Corte di cassazione, inizialmente (sent. 17.5.2013, n. 39204) richiamando i caratteri della confisca quale tertium genus, pur se viene delineata la natura preventiva dell’istituto che «risponde al fine di eliminare dal circuito economico beni provenienti da attività che ... devono ritenersi ricollegate alla ritenuta appartenenza del soggetto ad un’associazione di tipo mafioso»; in seguito (sent. 18.7.2013, n. 44327) richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla natura preventiva della confisca e aderendo al principio di correlazione tra pericolosità della persona e acquisto del bene; infine (sent. 8.10.2013, n 48882), delineando incidentalmente la natura preventiva della confisca, perché rivolta verso un determinato soggetto e, solo come «proiezione dell’agire di tale soggetto, sulle entità economiche (i beni) che rappresentano … il frutto dei suoi comportamenti antisociali», che vengono in rilievo perché «correlati alle manifestazioni di pericolosità delle persone».
2.4 La sentenza S.U. 26.6.2014
Il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalle Sezioni Unite in data 26.6.2014. Secondo l’informazione provvisoria diffusa, la Corte ha risposto affermativamente al quesito: «Se, in conseguenza delle modifiche introdotte dal d.l. n. 92 del 2008 (convertito dalla legge n. 125 del 2008) e dalla legge n. 94 del 2009 all’art. 2 bis della legge n. 575 del 1965, la confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione possa essere ancora equiparata alle misure di sicurezza e se, quindi, ad essa sia applicabile, in caso di successione di leggi nel tempo, la previsione di cui all’art. 200 c.p.».
In attesa del deposito della motivazione, si può affermare che risulta confermato l’orientamento dominante sulla retroattività della confisca di prevenzione, anche nel caso di applicazione disgiunta. Non vi è, invece, nella notizia “provvisoria”, alcun riferimento ai temi della natura giuridica e della correlazione temporale.
La natura preventiva della confisca di prevenzione comporta, non solo l’inapplicabilità della legge in vigore nel momento dell’adozione della misura,ma ulteriori conseguenze sulla ricostruzione e applicazione di altri istituti, consentendo di delineare, come accennato, lo Statuto della confisca di prevenzione.
3.1 La natura preventiva (e la retroattività) della confisca
La lettura della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite consentirà di verificare se è stata rivisitata la precedente tesi sulla natura giuridica della confisca, traendo le necessarie conseguenze in tema di correlazione temporale (e di istituti collegati).
Una prima traccia è rappresentata dalla sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 33451/2014 in tema di evasione fiscale che, oltre a richiamare la giurisprudenza della Corte europea sulla confisca di prevenzione, pone un netto discrimine con la confisca allargata prevista dall’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, evocando la natura preventiva della prima laddove afferma: «È chiaro, infatti, che la finalità di impedire l’utilizzo per realizzare ulteriori vantaggi (non necessariamente reati) – coerente con i profili economici della sostanza della prevenzione – ben si distingue dalla finalità propria di una misura di sicurezza atipica che comunque, attraverso l’ablazione, mira principalmente ad impedire la commissione di nuovi reati». È prevedibile, dunque, che la motivazione della decisione presa nella camera di consiglio del 26.6.2014 ribadiranno questi principi.
È auspicabile, comunque, che si giunga a una “chiara” collocazione sistematica della confisca di prevenzione, anche attraverso un confronto con gli analoghi istituti penali e amministrativi, per ritenere ormai definito il tema della retroattività.
Pur se vi è un graduale allontanamento dal reato commesso, la confisca penale, in tutte le ipotesi previste, richiede la commissione del reato e, salvi casi eccezionali, anche la condanna del destinatario della misura patrimoniale. Solo in presenza di questi imprescindibili presupposti è consentita l’adozione della misura di sicurezza, tipica, atipica, o sanzionatoria, secondo le diverse terminologie adottate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, comunque sempre finalizzata a sottrarre i beni illecitamente accumulati.
Nel sistema della prevenzione patrimoniale non si richiedono nè la previa commissione del reato, né la condanna del responsabile: la persona può anche essere stata già condannata irrevocabilmente, ma ciò non è richiesto. La confisca amministrativa richiede presupposti analoghi a quelli della confisca di prevenzione, ma con riferimento all’accertamento della commissione di uno specifico illecito, comunque tipizzato (art. 1 l. 24.11.1981, n. 689).
Le misure patrimoniali di prevenzione, proprio perché svincolate dall’accertamento del commesso reato o di uno specifico illecito (amministrativo), perciò prive di natura sanzionatoria, penale o amministrativa, hanno un inevitabile connotato preventivo perché adottate nei confronti di soggetti pericolosi, di cui si vuole prevenire la realizzazione di condotte che possono costituire (ma non necessariamente) reato. Alla finalità preventiva si affianca l’esigenza, divenuta negli anni sempre più pressante, di sottrarre dal circuito economico i patrimoni illecitamente acquisiti. In conclusione, le misure di prevenzione patrimoniali sono istituti diretti a contrastare l’accumulazione di beni di illecita provenienza. Essi trovano il loro fondamento giustificativo nel rapporto intercorrente tra i beni in questione e determinati soggetti, socialmente pericolosi, in grado di disporne, con la precisazione che (con l’introduzione del principio di applicazione disgiunta) la pericolosità dei soggetti può anche non essere attuale (o meglio la misura personale può non essere in atto o applicabile), perché il soggetto che era pericoloso (ovvero in certi limiti l’erede o il successore a titolo particolare o universale) continuerebbe a trarre dai suoi beni un vantaggio geneticamente illecito. In tal senso si esprime la Corte europea quando afferma che la misura di prevenzione patrimoniale è «finalizzata ad impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui la provenienza legittima non è stata dimostrata».
Dalla funzione “preventiva” discende la c.d. “pericolosità in sé del bene” che va intesa come caratteristica derivante dall’acquisto operato da persona pericolosa, cui consegue un’illiceità genetica che permane pur se viene meno il proposto o la sua pericolosità, riflettendosi questa (illiceità genetica) sul bene stesso, anche se non può irrogarsi la misura di prevenzione personale (o se questa è cessata), sempre che i presupposti siano accertati. Così ricostruito il sistema, appaiono formule riassuntive quelle che delineano il passaggio a un sistema che pone al centro la pericolosità del bene; questo è neutro e la sua pericolosità è desunta dalle modalità di acquisto, frutto di attività illecite o del suo reimpiego da parte di persona pericolosa. Il bene è confiscato non solo se ricorrono gli ordinari presupposti dell’illecita provenienza, ma anche se è stato acquistato da persona (che era all’epoca) pericolosa. Il decorso del tempo, la cessazione della pericolosità del soggetto o qualunque ragione che non consenta di applicare la misura di prevenzione non può avere “l’effetto positivo” di autorizzare il possesso del bene da parte di chi lo ha illecitamente acquisito (quando era pericoloso) e ne trae la conseguente utilità (ivi compreso l’erede o il successore)8.
3.2 La correlazione temporale
La giurisprudenza, in passato, affermava la necessità della correlazione tra pericolosità della persona e acquisto del bene; la tesi opposta si è gradualmente consolidata, prima fondandosi sull’assimilazione della confisca di prevenzione alla confisca prevista dall’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, successivamente richiamando diversi argomenti, tra cui il dato testuale delle norme su sequestro e confisca e le finalità di politica criminale perseguite dalle misure di prevenzione patrimoniali9.
L’orientamento maggioritario non può essere condiviso10, in primo luogo perché deriva, consapevolmente o meno, dalla giurisprudenza secondo cui la confisca di prevenzione va ricondotta nell’ambito di quel tertium genus, da ritenersi ormai superato per quanto esposto. La tesi maggioritaria rischia di rendere la confisca di prevenzione incompatibile con la Carta costituzionale e la CEDU, con un sacrificio “sproporzionato” dei diritti riconosciuti dagli artt. 41 e 42 Cost. e dell’art. 1, prot. 1, CEDU sulla base di un mero dato indiziario, costituito dalla sproporzione tra valore dei beni e redditi o attività economica, in presenza, non di una condanna, ma di una mera pericolosità tratta da indizi o da giudizi probabilistici.
La necessaria correlazione temporale trova conferma nella natura giuridica della confisca e nel principio di applicazione disgiunta che richiedono uno stretto collegamento con la pericolosità della persona, da accertare almeno incidentalmente. Si è ricordato che la confisca mira a sottrarre dal circuito economico i beni di provenienza illecita acquisiti dalla persona pericolosa. Se la persona non è pericolosa o non era pericolosa all’epoca di acquisizione dei beni viene meno la ragion d’essere della misura di prevenzione patrimoniale perché manca il collegamento con la provenienza illecita dei beni, sia pure indiziaria, che discende dalla pericolosità della persona. Si può prescindere dall’applicazione della misura personale,ma non dai suoi presupposti, e dal collegamento dell’illecita provenienza con la tipologia di pericolosità manifestata, perché al soggetto pericoloso vanno sottratti tutti i beni, qualunque sia la loro origine illecita (come riaffermano le Sezioni Unite con la citata sentenza n. 33451/2014, ma non si può interrompere il nesso tra acquisto del bene e manifestazione della pericolosità, pena la trasformazione della confisca di prevenzione in sanzione, con una scorciatoia probatoria incompatibile con la sua natura preventiva e con i principi costituzionali e della CEDU.
Se l’accertamento della penale responsabilità ha consentito alle Sezioni Unite di affermare che non occorre un collegamento temporale tra epoca del commesso reato ed epoca di acquisto del bene, di valore sproporzionato ai redditi dichiarati o all’attività economica del reato, anche in considerazione della natura di misura di sicurezza della confisca penale prevista dall’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992 (sent. 17.12.2003, n. 920), questo ragionamento non è consentito per la confisca di prevenzione in cui manca l’accertamento della commissione del fatto-reato con le garanzie proprie del processo penale che ha natura preventiva e non di misura di sicurezza atipica, come affermato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 33451/2014.
3.3 Confisca e nuove forme di pericolosità
Sono sempre più frequenti i casi di applicazione della confisca di prevenzione all’area dei c.d. colletti bianchi. Alle prime decisioni relative all’evasore fiscale, sono seguite quelle sul corruttore e sul bancarottiere11.
La Corte di cassazione ha confermato la fondatezza di tale orientamento nel caso di persona dedita – in modo massiccio e continuativo – a condotte elusive degli obblighi contributivi con cui realizza una provvista finanziaria «da considerarsi quale “provento” di delitto (inteso quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato»12. L’assenza di limiti normativi alle tipologie di attività o di traffici delittuosi rivelatrici della pericolosità e la natura della confisca di prevenzione – diretta a contrastare l’accumulazione di beni di illecita provenienza che trovano il loro fondamento giustificativo nel rapporto intercorrente tra gli stessi e determinati soggetti socialmente pericolosi in grado di disporne – consentono di applicare la misura personale ai soggetti pericolosi, qualunque sia l’attività sottostante, con la contestuale possibilità di sequestrare e confiscare i patrimoni illecitamente accumulati. È questo l’approdo delle misure di prevenzione che consente di renderle, allo stesso tempo, compatibili con i principi costituzionali e moderne, intervenendo non con la repressione del commesso reato, ma sulla pericolosità sociale.
Non viene in rilievo il mero evasore fiscale, corruttore o bancarottiere occasionale, ma colui che manifesta una personalità dedita in maniera continua a illeciti ovvero a traffici delittuosi, o che vive col provento di queste attività e di quelle connesse.
3.4 Confisca ed evasione fiscale
Le Sezioni Unite, coerentemente con la natura preventiva della confisca, con la citata sentenza n. 33451/2014 hanno ribadito il costante orientamento secondo cui «Le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre…i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso; con la conseguenza che è sufficiente la dimostrazione dell’illecita provenienza dei beni confiscati, qualunque essa sia», compresa quella derivante da eventuali frodi fiscali13.
La Corte desume tale principio, come ricordato, dalla differenza ontologica tra confisca di prevenzione – con natura preventiva (che non richiede la condanna) – e confisca “allargata” – misura di sicurezza atipica (che presuppone la condanna). La differenza trova riscontro nei diversi presupposti della confisca di prevenzione in quanto la provenienza illecita dei beni può essere desunta, oltre che dalla sproporzione tra valore dei beni e redditi dichiarati (come per la confisca “allargata”), anche da «sufficienti indizi» che emergono dalle indagini svolte. Si afferma che «Sicuramente l’evasione fiscale integra ex se attività illecita (contra legem) anche qualora non integri reato; né si può ignorare che la sottrazione di attività, pur intrinsecamente lecite (e cioè da impresa palese, non da mafia), agli obblighi fiscali (in tutto o in parte), inevitabilmente porta con sé altre connesse illiceità, non essendo neppure immaginabile che l’evasione fiscale non comporti anche altre correlate violazioni che parimenti locupletano il soggetto o sono strumentali all’illecito arricchimento (condotte di falso, in ambito contributivo, sulla disciplina del lavoro, ecc.)». Viene, così, delineato il concetto di “impresa dell’evasore fiscale” analogo a quello di “impresa mafiosa”.
Infine, la Corte non risponde in modo univoco al quesito sulla quota parte confiscabile, se al netto (quota parte dell’imposta evasa al fisco) o al lordo (intero reddito non dichiarato), in quanto il problema potrebbe porsi solo in presenza di «un’evasione puntuale, circoscritta ed unisussistente»14, circostanza che nel caso al suo esame non ricorreva.
1 Questi i più recenti contributi sul tema (ove sono citati riferimenti dottrinari e giurisprudenziali): Maugeri, A.M., La resa dei conti: alle Sezioni Unite la questione sulla natura della confisca antimafia e sull’applicazione del principio di irretroattività, in www.penalecontemporaneo.it, 7.2.2014;Menditto, F., Le SezioniUnite verso lo statuto della confisca di prevenzione: la natura giuridica, la retroattività e la correlazione temporale, in ww.penalecontemporaneo.it, 26.5.2014.
2 Cass. pen., 13.11.1997, n. 5379; Cass. pen., 24.1.1996, n. 7636, Cass. pen., 8.4.2008, n. 21717.
3 Comm. eur., 15.4.1991, Marandino c. Italia. Recentemente: C. eur. dir. uomo, 5.1.2010, Bongiorno c. Italia; C. eur. dir. uomo, 6.7.2011, Pozzi c. Italia; C. eur. dir. uomo, 17.5.2011, Capitani e Campanella c. Italia; C. eur. dir. uomo, 26.7.2011, Paleari c. Italia.
4 C. cost., 23.6.1988, n. 721; C. cost., 28.12.1993, n. 465; C. cost., 8.10.1996, n. 335; C. cost., 29.11.2004, n. 368.
5 Inizialmente Trib. Napoli, 20.4.2009, citato in Trib. Napoli, 9.12.2010, in www.penalecontemporaneo.it, 9.12.10.
6 Menditto, F., Le misure di prevenzione, cit., 282 ss., 358 ss.
7 Cass. pen., 22.4.2009, n. 20906; Cass. pen., 20.10.2010, n. 39798; Cass. pen., 14.3.2012, n. 21894.
8 Menditto, F., Le misure di prevenzione, cit., 359 ss. Gli stessi argomento sono ripresi quasi testualmente da: Cass. pen. n. 10153/2013, cit.; Cass. pen., 17.7.2013, n. 41452.
9 Per la necessaria correlazione temporale: Cass. pen., 2.5.1995, n. 2654; Cass. pen., 23.3.2007, n. 18822. In senso contrario Cass. pen. n. 21717/2008, cit.; Cass. pen., 15.1.2010, n. 4702. Recentemente, pur se non mancano sentenze che riaffermano la necessità della correlazione temporale (Cass. pen., 15.1.2013, n. 3809; Cass. pen., n. 41452/13, cit.; Cass., pen., 18.7.2013, n. 44327), spesso fondate – con grande intuizione – sulle ricadute dell’introduzione del principio di applicazione disgiunta, la giurisprudenza dominante è attestata sull’opposta tesi (Cass. pen., 27.6.2013, n. 35240; Cass. pen., 22.3.2013, n. 3538).
10 Cfr. i contributi citati in nt. 1.
11 La prima applicazione dell’evasore fiscale socialmente pericoloso può trarsi da Trib. Chieti, 12.7.2012, in www.penalecontemporaneo.it, ove è pubblicata anche la proposta della Procura della Repubblica di Lanciano. Sono seguiti Trib. Roma, 28.5.13, inedita, e Trib. Roma, 2.10.14, inedita, su corruttore e bancarottiere socialmente pericolosi.
12 Cass. pen., 10.6.2013, n. 32032.
13 Sull’applicabilità della confisca di prevenzione e sulla rilevanza dei redditi non dichiarati al fisco cfr.Menditto, F., La rilevanza dei redditi da evasione fiscale nella confisca di prevenzione e nella confisca “allargata”, in www.penalecontemporaneo.it, 9.3.2014;Maugeri, A.M., La confisca allargata: dalla lotta alla mafia alla lotta all’evasione fiscale?, ibidem, 9.3.2014.
14 In tal senso,Menditto, F., Le misure di prevenzione, cit., 335 ss.