verso (sost.)
Propriamente, è ciascuno dei membri maggiori in cui, in una poesia, si articola un periodo ritmico e che è regolato dalle leggi della metrica. Nell'uso dantesco il valore del vocabolo non coincide completamente con questa definizione, che è quella usuale.
Nei due esempi della Vita Nuova il termine ricorre infatti esclusivamente a proposito della versificazione quantitativa propria della poesia latina, contrapposta in modo più o meno esplicito alla poesia in volgare, il cui carattere estrinseco distintivo è identificato nella presenza della rima: lo primo che cominciò a dire sì come poeta volgare, si mosse però che volle fare intendere le sue parole a donna, a la quale era malagevole d'intendere li versi latini (XXV 6).
Il contesto potrebbe suggerire anche l'allusione a " componimenti poetici " scritti in latino, e questa interpretazione sembra anzi suffragata da quanto è detto al § 3 anticamente noo erano dicitori d'amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'amore certi poete in lingua latina. L'osservazione non esclude però la necessità che versi implichi un riferimento diretto a un tipo di metrica, quella quantitativa, diversa dalla romanza, perché a tale conclusione ci conduce il § 4 dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino, dove l'espressione dire per versi è esplicitamente contrapposta a quella dire per rima.
Nel Convivio, poi, D. usa sempre v. per indicare la stanza di una canzone. Gli esempi di questo uso sono numerosissimi, perché il termine ricorre in relazione alla ragionata distribuzione della canzone in parti, cui D. si attiene nel commento. Si veda in proposito III I 13 La prima [parte] è tutto lo primo verso... La seconda sono tutti e tre li versi seguenti... La terza parte è lo quinto e l'ultimo verso (dove lo primo verso corrisponde ad Amor che ne la mente 1-18, lo secondo verso alla parte centrale della canzone [vv. 19-72] e lo terzo verso al congedo [vv. 73-90]). Altri esempi in II II 7, 8 e 9, VII 2 (due volte), IX 1, X 1 e 11, XV 2 (due volte), 6 e 10, III V 1, XII 5 e 6, XIV 2, XV 1 e 19, IV II 1, VII 15, XVIII 6.
A questo proposito interessa osservare come in VE II X-XI ‛ versus ' è usato per indicare la suddivisione della seconda parte principale della stanza della canzone, cui, nell'uso corrente, si dà il nome di " volta "; si veda, ad es., VE II XI 10 Pedes quoque versus in numero superant et superantur ab hiis; possunt enim esse in stantia tres pedes et duo versus, et tres versus et duo pedes (v. anche CANZONE; endecasillabo; terzina). Invece, per indicare l'unità ritmica che noi chiamiamo v., nel trattato ricorre il vocabolo ‛ carmen '; si veda, ad es., XII 2 In usu nostro maxime tria carmina frequentandi praerogativam habere videntur, endecasillabum scilicet, eptasillabum et pentasillabum.
Che nel linguaggio dantesco v. indichi un'unità ritmica fondata su ragioni musicali e non sul numero delle sillabe, è comprovato anche dal fatto che il vocabolo ricorre per designare i " versetti " in cui tradizionalmente sono divisi i Salmi biblici. L'esempio più perspicuo si ha in Cv I VII, dove, dopo aver osservato che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia (§ 14), D. aggiunge che questa è la cagione per che li versi del Salterio sono sanza dolcezza di musica e d'armonia (§ 15), appunto perché tradotti dall'ebraico in greco e dal greco in latino. E si veda inoltre III IV 8, Pg V 24 cantando ‛ Miserere ' a verso a verso.
Queste considerazioni non sono contraddette dagli esempi della Commedia. Nel poema il vocabolo compare nell'elogio ad Arnaldo Daniello che versi d'amore e prose di romanzi / soverchiò tutti (Pg XXVI 118), dove, nonostante qualche incertezza suscitata dalla funzione sintattica da attribuirsi alle parole versi e prose (cfr. Porena) e dalla possibilità che tutti, oltre agli scrittori in provenzale, comprenda anche quelli in francese e in italiano (cfr. Chimenz), è indubbio che versi abbia il valore di " componimenti lirici ", contrapposti alle prose di romanzi della narrativa bretone.
Negli altri casi è sempre possibile interpretare " la mia poesia ", " la mia operosità poetica ", in senso generico (If XXXII 10 quelle donne aiutino il mio verso / ch'aiutaro Anfïone a chiuder Tebe) o, più concretamente, al plurale, " questo passo del mio poema ": IX 63 mirate la dottrina che s'asconde / sotto 'l velame de li versi strani; Pd XXXIII 74 per sonare un poco in questi versi, / più si conceperà di tua vittoria; XVIII 87 O diva Pegasëa... / paia tua possa in questi versi brevi (dove il valore collettivo dell'espressione è stato ben colto dal Buti: " in questi mie ternari che sono brevi versetti "). Analogamente, varranno " verseggiare " o " risolvere in materia poetica " espressioni come quelle di If XX 1 Di nova pena mi conven far versi, e Pg XXIX 42 Uranie m'aiuti... / forti cose a pensar mettere in versi. E così Virgilio, accennando al suo poema: If XXVI 82 quando nel mondo li alti versi scrissi (e si confronti l'alta mia tragedia, XX 113).
In senso estensivo vale " emissione di suono " fatta da un essere vivente, e in questo significato probabilmente ricorre in If XVI 20 Ricominciar, come noi restammo, ei / l'antico verso, ricominciarono " il lamento " che avevano momentaneamente tralasciato per parlare a D. (cfr. XIV 20). È questa la spiegazione più comunemente accolta e più convincente anche perché verso ricorda abbastanza da vicino il metro che si gridano l'un l'altro gli avari e i prodighi (VII 33). Invece il Torraca e il Del Lungo interpretano: ripresero " l'andatura solita " smettendo di correre (cfr. XIV 24 e XVI 5).
Nel Fiore entra a far parte di espressioni divenute idiomatiche: CIII 9 Così vo io mutando e suono e verso (col valore di " testo poetico e musica che lo accompagna "), " vado dicendo ora una cosa ora un'altra ", " traviso a seconda delle circostanze il significato di quello che ho detto "; XXVI 12 Ahi lasso, ch'or mi fu cambiato il verso!, " come mutò per me la situazione ! ".