Vescovi/3: la Cei e la collegialita italiana
Dalla collegialità multipolare degli antichi Stati, suscitata dai processi rivoluzionari, dalla creazione dello Stato unitario e dalla successiva articolazione dell’Italia cattolica in conferenze episcopali regionali, si passa, nel 1952, alla sperimentazione di una conferenza episcopale per l’intero territorio nazionale. È un passaggio articolato, perché i vescovi italiani hanno un legame diretto con il papa e con le strutture vaticane, più che fra loro. Inoltre l’Italia presenta un’antica e assai frammentata articolazione diocesana per secoli valorizzata e protetta. Nella seconda metà degli anni Quaranta del Novecento iniziano a profilarsi esigenze di una organizzazione centrale per i vescovi, distinta dalle strutture della Santa Sede. La prima idea di conferenza risale al 1946 e si rivela all’interno della Commissione episcopale nominata dalla Santa Sede per la preparazione dei nuovi statuti dell’Azione cattolica. Viene presentato un progetto per una commissione di presidenti delle conferenze regionali allo scopo di studiare i problemi della Chiesa in Italia e di sottoporre le soluzioni alla Santa Sede. Il progetto è giudicato prematuro e si nomina invece una Commissione episcopale per l’alta direzione dell’Azione cattolica italiana1. Fra il 1947 e il 1948 il gesuita Riccardo Lombardi lancia un progetto per rinnovare il cattolicesimo2, e lo invia al papa3. Nel progetto c’è l’istituzione di un organo ecclesiastico nazionale per l’intero episcopato; le conferenze regionali non sono più sufficienti, molte questioni sono ampie, «si dovrà arrivare a periodiche Conferenze nazionali dell’episcopato»4. Alla fine del 1950 una lettera dell’arcivescovo Giuseppe D’Avack di Camerino a Lombardi tocca il tema. D’Avack ritiene indispensabile una conferenza che affronti i problemi comuni ai vescovi, perché il «sacro Ministero dei Vescovi è diretto in Italia dall’Azione cattolica». Le idee di D’Avack arrivano al papa5. In una udienza di Pio XII a Lombardi e Virginio Rotondi dell’aprile del 1951 sul tema «maggiorare il governo di Roma sui vescovi» ritorna la questione. Pio XII lamenta la difficoltà di governo del papa sui vescovi, affermando che «non sono mica dei prefetti». Lombardi suggerisce un esperimento per l’Italia, Pio XII ipotizza l’ampliamento dei poteri della Commissione episcopale per l’Azione cattolica6 che potrebbe essere «costituita con alcuni Ecc.mi Vescovi fra i più aderenti all’ora che viviamo e possibilmente mettendo al loro capo un uomo nuovo, molto capace e coraggioso, con funzioni assai ampie per la fiducia personale del S. Padre»7. Dai colloqui si ricava la propensione vaticana per una nuova istituzione collegiale idonea a favorire un diretto intervento di Pio XII sui vescovi italiani. Lombardi appoggia questa ipotesi, perché nota una certa sfiducia fra i vescovi sulla possibilità di una azione pastorale autonoma8. Nel 1951 il cardinale di Palermo Ernesto Ruffini compie passi decisivi per la costituzione di un organismo unitario dell’episcopato italiano. Negli ultimi anni aveva avanzato questa idea a Roma, ma con risultati negativi, pur essendo «uomo di Roma»9. Il papa, però, riteneva che l’episcopato italiano non avesse bisogno di una struttura nazionale, dato che c’erano gli uffici vaticani10. Ruffini, convinto della necessità, ne parla con diversi vescovi. Ai primi di giugno 1951 ne parla con Giovanni Battista Montini e l’11 dello stesso mese con Pio XII, chiedendo di farsi promotore di una riunione dei presidenti delle conferenze regionali. Il papa acconsente. Ruffini scrive ai cardinali responsabili di diocesi in Italia. Ai colleghi cardinali Ruffini propone un incontro da tenersi in una località dell’Italia centrale (Montecassino, Camaldoli, Loreto); questo incontro servirebbe di incoraggiamento agli stessi vescovi e a dare occasione per decisioni comuni da sottoporre alla Santa Sede o al Governo. Visto il positivo sondaggio, Ruffini scrive nell’ottobre 1951 a Montini per sottoporre definitivamente la proposta al papa11. Pio XII approva. L’organizzazione è affidata alla Congregazione concistoriale12. A firma del cardinale Adeodato Giovanni Piazza, responsabile del dicastero, viene inviata il 12 dicembre 1951 una lettera riservata personale a tutti i cardinali e i vescovi presidenti delle conferenze regionali. Si comunica che l’8, 9 e 10 gennaio 1952 sono convocati a Firenze. Il tema dell’adunanza sarà l’esame dei problemi del clero e del laicato cattolico. Segretario è designato Giovanni Urbani, che è segretario della Commissione episcopale per l’Azione cattolica, assistente generale della stessa e consultore della Concistoriale. L’incontro fiorentino presenta le caratteristiche delle riunioni vaticane con le spese a carico della Concistoriale. A Firenze arrivano tutti i presidenti delle conferenze conciliari13. Presiede Alfredo Ildefonso Schuster, cardinale più anziano di creazione, introduce Ruffini che espone la natura e gli scopi dell’incontro, tracciando l’itinerario che ha portato a Firenze e auspicando che il papa tenga conto delle conclusioni e che ognuno dei presenti intervenga con la «massima libertà di parola». Inizia così la vicenda della Cei, denominazione che il presidente Schuster utilizza già nel 1952, riportata nel verbale dell’incontro14. L’assemblea, rappresentativa di una collegialità più ampia, si dimostra l’organo centrale della nuova istituzione, perché esprime nelle analisi, riflessioni, dibattiti e nelle conclusioni, le dinamiche interne e le tendenze dell’episcopato italiano. La Cei appena nata non è autonoma dal Vaticano. All’ufficio del sostituto non è stato tolto alcuno spazio sulle questioni italiane e la Concistoriale organizza e controlla gli sviluppi della nuova struttura attraverso Urbani15.
Dopo Firenze una nuova riunione si svolge a Sestri Levante nel gennaio 1953. La procedura non cambia: predisposizione a cura della Concistoriale su mandato del papa, presidente Schuster, segretario Urbani. Nello stesso anno Montini dispone una riunione straordinaria per i soli cardinali italiani, una sorta di direttivo, dove viene preparato un piano di lavoro comune e si parla di statuto. Da questa riunione, che si tiene a Venegono Inferiore nel settembre 1953, parte l’idea di una lettera pastorale collettiva16. A novembre 1953 si tiene un’assemblea a Pompei. I lavori sono preceduti da una riunione di soli cardinali, col fine di delineare la lettera collettiva, ma il dibattito si sposta sulla natura e finalità della Cei. Schuster vede nella pubblicazione di una lettera l’inizio di una erosione del ruolo del papa da parte di un organismo poco rappresentativo. Ruffini è dello stesso parere, Siri è favorevole, Lercaro e Roncalli riscontrano che, se la Cei avesse uno statuto, tutto sarebbe più regolare. Il nodo viene sciolto da Piazza che riferisce il pensiero del papa, trasmesso attraverso Montini: la lettera può essere redatta, ma sottoposta alla Santa Sede. L’idea della lettera era partita della Segreteria di Stato per la riunione di Venegono. Nei lavori della plenaria Urbani tocca un argomento sub secreto, non oggetto di discussione a Pompei, cioè lo statuto della Cei. Non trova la commissione per le attività catechistiche nello statuto preparato dalla Concistoriale in accordo con gli Affari ecclesiastici straordinari17. A Firenze, Sestri Levante, Venegono e Pompei le analisi e i dibattiti sono assai fitti sui problemi religiosi e politici dell’Italia. I primi quattro incontri della Cei rappresentano un osservatorio di interesse estremo per leggere l’Italia cattolica dei primi anni Cinquanta. Si riscontrano poche vocazioni perché, secondo i vescovi, è diminuito il senso cristiano delle famiglie che vogliono un introito economico immediato dai figli. C’è il reclutamento degli ordini religiosi che hanno disponibilità economiche maggiori dei vescovi, e poi c’è la propaganda comunista fra le famiglie contadine, tradizionale serbatoio di vocazioni. Le condizioni economiche dei preti preoccupano, i sacerdoti non sono assicurati contro le malattie, l’invalidità e la vecchiaia. C’è molto imbarazzo nell’affrontare il problema dell’eccessivo numero delle diocesi, quasi trecento e molto diverse fra loro. Al centro del laicato organizzato c’è l’Azione cattolica forte e capillare, rispetto ad altre realtà meno sviluppate e che da questa hanno attinto aderenti e dirigenti. Preoccupa l’ignoranza sulle verità religiose: i vescovi vorrebbero una revisione del catechismo di Pio X e una maggiore presenza degli adulti agli incontri. Alla nascente televisione, vista con sospetto, vengono preferiti gli oratori organizzati. Nei primi dibattiti si trova molta attenzione per la situazione politica, soprattutto per il partito dei cattolici e per il comunismo. Per i vescovi la Dc, che pure sostengono, ha perduto parte del credito fra gli elettori cattolici, perché vuole mantenersi «un circolo chiuso di pochi», non vuole aprirsi a «persone stimate e sinceramente cattoliche» non appartenenti organicamente al partito. Il comunismo viene considerato un avversario forte. I vescovi riconoscono che la tattica è sottile, complessa ed efficace: i comunisti conquistano cattedre universitarie, posti chiave nelle banche, nelle grosse imprese e negli uffici pubblici, rappresentano una ‘massoneria rossa’ forse segretamente alleata con altre massonerie. Per i vescovi l’incalzante indifferentismo religioso è collegato alla diffusione di orientamenti politici lontani dalla fede e dalla morale18. Su questi problemi inizia a sperimentarsi una collegialità concreta per l’Italia.
I primi passi della Cei sono fortemente condizionati e diretti dagli uffici vaticani. Una funzione decisiva è svolta da Montini e dal segretario della Concistoriale Piazza, che si occupa dei vescovi e dirige l’unica struttura episcopale nazionale, la Commissione per la direzione dell’Ac. Il problema che si pone per l’Italia è quello del rapporto tra il ministero del papa e l’azione collettiva dell’episcopato, ma è un problema già risolto in partenza, visto che l’episcopato italiano non esprime una volontà di distacco da Roma, anzi moltiplica durante le prime riunioni della Cei gli attestati di fedeltà al papa19. Il problema che interpella Roma e i vescovi italiani è invece quello della definizione istituzionale di questi rapporti e degli ingranaggi formali da approntare. Montini e Piazza si spendono su questa costruzione di nessi. Dal 3 novembre 1954 Montini è arcivescovo di Milano e così potrà partecipare personalmente alla Cei. Piazza, invece, vigila e regola i lavori delle prime riunioni attraverso una persona di sua fiducia, Giovanni Urbani. Il rapporto fra i due è di antica data. Piazza affida a Urbani incarichi di rilievo, prima nella diocesi di Venezia e poi in campo nazionale20. Urbani considera Piazza «padre, amico e benefattore»21. Urbani viene designato da Piazza segretario della Cei22 e prepara l’incontro, dirige i lavori a Firenze, invia il verbale a Roma chiedendo segnalazioni per le riunioni venture, segue gli sviluppi della Cei sollecitando delucidazioni. È segretario della seconda riunione a Sestri e qui legge e illustra le direttive superiori sulle vicine elezioni, che egli stesso aveva richiesto al papa con lettera riservata del gennaio 195323. Alla riunione di Pompei nel novembre 1953 il segretario è Giuseppe Antonio Ferretto, assessore della Concistoriale, coadiuvato da Lauro Governatori, officiale. A Pompei Urbani è relatore, ma si dimostra uomo assai interno alle pieghe vaticane, tanto da accennare al segreto statuto. A conclusione della conferenza di Pompei Urbani, con Giuseppe Siri e Girolamo Bartolomeo Bortignon, viene incaricato di redigere il testo della prima lettera collettiva dell’episcopato italiano24. In questo periodo Urbani è di sicuro uomo di fiducia di Piazza e ha necessari rapporti con Montini. Per questi anni non è documentabile un profilo di organicità di Urbani al progetto di Montini per il cattolicesimo italiano25, anche se, in tempi lontani e poi nel suo assistentato nazionale dell’Ac, Urbani frequenta i due movimenti intellettuali vicini a Montini, la Fuci e i Laureati cattolici26. Urbani non manca di annoverare Montini del periodo romano, fra coloro per i quali ha nutrito i «vincoli sacri dell’amicizia, che per me fu sempre rara»27. Il ruolo vaticano nella Cei non cessa dopo l’applicazione nel 1954 di uno statuto provvisorio con l’affidamento della segreteria ad Alberto Castelli, ausiliare di Piazza a Sabina e Poggio Mirteto. Dallo statuto la Cei è definita riunione dei presidenti delle regioni conciliari che rappresentano tutti i vescovi della nazione. Cardinali e vescovi presidenti formano l’assemblea, mentre i soli cardinali costituiscono il direttivo. La presidenza è attribuita al cardinale più anziano di creazione. Il pericolo che la Cei oscuri il ruolo della Santa Sede è scongiurato dalle molte approvazioni e nulla osta che la Conferenza deve chiedere al Vaticano28.
Negli anni della modernizzazione dell’Italia i vescovi della Cei studiano intensamente i temi emergenti dalla realtà ecclesiale e dalla società civile. Negli anni Cinquanta l’anticomunismo è fermo e indiscusso; non è solo la risposta alla realtà consistente del Pci, ma si innesta in quegli intendimenti pastorali che vedono nella ricerca dei lontani e nella loro conversione il fine proprio della Chiesa. Profonde trasformazioni stanno cambiando l’Italia. Alcuni fenomeni legati all’economia segnano questa svolta. Inizia la spinta migratoria verso il Nord, la Germania e altri paesi. Nella transizione troviamo anche le diocesi italiane. Sono guidate da vescovi che hanno governato le loro chiese durante il fascismo, negli anni della guerra e nel periodo della ricostruzione, ma arrivano anche vescovi più giovani29. Durante gli anni Cinquanta alla Cei si discute sui cambiamenti del costume, le migrazioni, la disgregazione della famiglia, le condizioni delle periferie urbane e la scristianizzazione, le difficoltà dei preti, l’adeguamento dell’istruzione religiosa, la situazione del Sud. Alla Cei sono preoccupati della trasformazione della campagna30, ma ci sono problemi anche nel laicato organizzato31. I mutamenti sociali interpellano la Chiesa. Le sicurezze degli anni Quaranta si vanno sgretolando. Lo sforzo di analisi dei vescovi alla Cei è notevole e talvolta spietato. Emerge mediocrità nella vita quotidiana dei preti e viene notata anche crisi nell’autorità del vescovo32. Vengono preclusi gli interventi politici ai sacerdoti, solo ai vescovi è consentito intervenire33. Alla Cei più volte si parla del Mezzogiorno, ma per accenni. Il vescovo di Reggio Calabria, Giovanni Ferro, propone uno scambio di energie e di uomini nel campo pastorale chiedendo ai preti del Sud, più intellettuali, di andare al Nord e ai preti del Nord, più pratici, di scendere al Sud34. Alle riunioni della Cei negli anni Cinquanta partecipano sei cardinali e ventidue vescovi. Le questioni politiche sono molto intrecciate con i problemi religiosi. Sul numero di settembre 1953 della rivista «Vita e Pensiero» dell’Università Cattolica di Milano appare un articolo sulla ‘apertura a sinistra’ del partito cattolico verso i socialisti. Ne è autore il teologo Carlo Colombo35. L’articolo suscita un dibattito vasto. Il tema dell’apertura a sinistra arriva alla Cei nell’ottobre 1956 quando ne parla Enrico Nicodemo, arcivescovo di Bari. È teorico e secco, non fa discorsi retrospettivi, guarda marxismo e comunismo «di oggi», conclude affermando che ogni apertura a sinistra costituisce un «pericolo gravissimo» non solo per la religione, ma per la democrazia stessa e per le istituzioni italiane36. Luigi Carlo Borromeo di Pesaro individua infiltrazioni del socialismo nella fede dei cattolici37. Sergio Pignedoli, ausiliare di Montini a Milano, fotografa la condizione religiosa degli italiani e le loro mentalità. I concetti fondamentali (Dio, Gesù Cristo, Provvidenza, peccato) sono radicati, ma c’è poca coerenza tra idee religiose e pratica; c’è coerenza nella vita individuale e familiare, ma è assente nella vita sociale e politica. Pignedoli vede gli italiani inclini a un culto «decorativo e teatrale», ma non è pessimista, perché «i cattolici italiani sono usciti dall’età minore e sono entrati in maggiore età». L’ausiliare di Montini vede due Italie, una nazione pagana e materialista che si mescola alla nazione cristiana, due popoli che vivono uniti con idee e vocabolari opposti. Fra le due Italie è lotta38. Sul finire degli anni Cinquanta Placido Maria Cambiaghi, vescovo di Crema, guarda oltre l’ottimismo delle massicce presenze alle manifestazioni religiose, è convinto che la presenza dei cattolici al governo ha mascherato una identità laicista della vita italiana «molte zone della nostra Italia possono considerarsi zone di missione»39. Siri e Montini colgono gli ammodernamenti sociali e li rapportano ai cammini religiosi. Montini si chiede se «questa trasformazione sociale avverrà senza la Chiesa, o contro la Chiesa; ovvero con la Chiesa madre e maestra, al suo fianco»40. L’Italia sta entrando nel boom economico e i vescovi della Cei capiscono che molti equilibri tradizionali stanno per essere sconvolti. Giudicano positivamente la modernizzazione italiana, che provoca avanzamento e miglioramento generale delle condizioni economiche, ma criticano gli effetti: allontanamento dalla religione, diffusione di orientamenti morali distorti, laicizzazione della vita collettiva. Alla Cei si sforzano di stare concretamente dentro la storia, insieme ai limiti e alle vischiosità tipiche dei momenti di trasformazione, con la consapevolezza che i percorsi dei cambiamenti sociali non sono già tracciati, ma si compiono non sottraendosi allo studio e al confronto con i problemi reali di una società in crescita41.
Il 9 ottobre 1958 muore Pio XII; viene eletto il patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, che ha partecipato alle riunioni della Cei42. A dicembre riceve la Cei, raccomanda una vera e profonda liturgia; invita all’esercizio costante di fede, carità, pazienza, perdono; insiste sullo studio del catechismo; suggerisce il contatto permanente con tutte le categorie di persone. Nel 1959 la Cei ha un nuovo statuto, in cui c’è una parziale elettività del presidente. Rispetto al vecchio criterio che dava la presidenza al cardinale decano, questo statuto stabilisce che il direttivo indichi il nominativo del candidato al papa, al quale rimane riservata la nomina. Con questo criterio viene designato Giuseppe Siri e nominato il 12 ottobre 195943. Il giorno seguente questi apre l’assemblea della Cei rendendo noto che il papa, senza diminuire le competenze vaticane, desidera che «gli affari di indole pastorale» siano esaminati e discussi dalla Cei. Le prese di posizione di Siri sulla politica costituiscono una dimensione della Cei, quella legata alla personalità di Siri44. Il lavoro pastorale della Cei, e delle sue commissioni, è più vario e documentato45. La tradizionale pastorale italiana è scompaginata dal boom economico, c’è un mutamento radicale di usi, costumi, mentalità. Molti sacerdoti hanno l’impressione che le parrocchie siano dormitori e il loro linguaggio non aggiornato ai tempi. Le nuove abitudini degli italiani portano a disertare il precetto festivo per la diffusione del week end, soprattutto al Nord. Avanza in Italia un cattolicesimo di nome46. Il rapporto della Cei con la politica è sconvolto dal pensiero politico di Aldo Moro, che ritiene necessaria l’apertura alla sinistra. Siri non condivide lo stile del cristianesimo di Moro che «brucia dentro, ma non compare fuori»47, ma soprattutto non condivide l’apertura a sinistra, e interviene più volte sulla Dc e su Moro48. Giacomo Lercaro si fa interprete dello stile pastorale di Giovanni XXIII, che nei confronti dei comunisti ha assunto «uno spirito di paternità e di carità», ma è preoccupato dell’unità politica dei cattolici. A gennaio 1962 Moro vince il congresso di Napoli e si avvia a realizzare l’apertura a sinistra, per lui fondamentale per uno sviluppo italiano più completo49. A giugno 1962 il direttivo della Cei discute della situazione politica, ma l’imminente concilio non offre la possibilità di allargare la discussione all’assemblea50. All’annuncio del concilio, nel 1959, i responsabili dell’episcopato sono disorientati. Solo Lercaro propone una commissione per discutere i pareri delle regioni conciliari, mentre Montini ritiene insufficiente la conoscenza dei temi conciliari per farne oggetto di studio. Urbani nota un discostamento fra i grandi temi del concilio e i problemi discussi alla Cei. Per Siri ci sono necessità più immediate come l’unità dei cattolici e la lotta al comunismo. L’apertura del concilio annulla l’assemblea sul tema delle elezioni politiche del 1963. Siri vorrebbe farla, il Vaticano la nega e la rinvia a data da destinarsi. Al concilio l’Italia presenta l’episcopato più numeroso del mondo, con 430 convocati. Dopo tre giorni dall’apertura tutti i vescovi d’Italia si incontrano alla Domus Mariae per accordarsi sulla composizione delle commissioni: è la prima riunione dell’intero episcopato italiano. In seguito viene deciso di tenere ogni martedì una riunione fino alla conclusione dei lavori conciliari51.
Al concilio la Cei arriva con una struttura in via di consolidamento52. Gli incontri alla Domus Mariae rappresentano una massiccia immersione nella collegialità. Nella prima sessione sono fragili e disorganici, ma a partire dal 1963 la Cei predispone incontri più organizzati, costituendo una Commissione episcopale teologica di supporto ai vescovi e invitando esperti teologi. Favoriscono una frequentazione quasi quotidiana dei vescovi italiani e sollecitano la maggior parte di questi ad uscire dagli abituali percorsi diocesani per aprirsi a reciproci rapporti personali, teologici e culturali. Il confronto con le conferenze di altri paesi è deludente. La Cei rappresenta l’episcopato del papa, ma si trova a vivere con fragilità e isolamento il paragone con collegialità più solide e teologicamente più avanzate. Al Vaticano II la Cei non produce interventi collettivi e concordi, come altri episcopati. In Italia avevano una più lunga tradizione le conferenze regionali, ma al concilio non ebbero una parte di spicco. Ci fu, però, una leadership settentrionale. A partire dalla prima intersessione, Montini, presidente della conferenza lombarda, e Urbani, di quella triveneta, progettano incontri congiunti dei due episcopati per esaminare gli schemi conciliari e formulare osservazioni comuni. L’elezione a papa di Montini non interrompe l’asse Milano-Venezia, che risulta funzionante ed efficace53. Alla fine del concilio Urbani individua uno stile italiano, cercato e avviato dalla Cei. Nel primo periodo l’episcopato vive una fase di adattamento alle novità. Nel proseguimento dei lavori, la Cei non ricerca un forzato concerto di intenti, ma assume un ruolo leggero e le sue strutture si configurano snelle, ma presenti. Diventa questo il metodo e lo stile che la Cei indica ai vescovi italiani. Il concilio porta l’episcopato italiano a uscire dal lungo periodo del particolarismo istituzionale per accedere a punti di riferimento unitari e capaci di approfondimenti, proposte e sintesi per l’intero paese.
È al Vaticano II che si delinea la fisionomia di una Chiesa italiana, dovuta allo sforzo di Paolo VI che vive intensamente il ruolo di primate d’Italia. Tutti gli interventi del papa alla Cei sono di fine significato pastorale54. A due mesi dall’elezione scrive alla Cei una lettera riservata con precise direttive pastorali e con indicazioni sul contributo dell’episcopato italiano al Vaticano II. Nell’aprile 1964 stimola l’episcopato per una pastorale comune. Prima che i vescovi italiani lascino Roma li riceve e chiede a tutti di essere vescovi rinnovati, perché quello che segue il concilio non è un periodo di ordinaria amministrazione55. Il 16 dicembre 1965 Paolo VI approva un nuovo statuto che tiene conto delle indicazioni conciliari. Scompare la prima Cei dei presidenti regionali. La nuova comprende tutti i vescovi italiani, che costituiscono l’assemblea generale, massimo organo dell’episcopato. A questa Cei tocca il compito quotidiano e complesso di lavorare per la recezione del concilio fra problemi delicati e in anni carichi di fermenti innovatori in campo ecclesiale e civile. Il cammino postconciliare inizia con la prima assemblea a giugno 1966, presenti sei cardinali e 273 vescovi. Per Paolo VI ha inizio un nuovo periodo nella storia della Chiesa italiana. L’impostazione di una pastorale globale per l’intero paese dovrà essere il vero punto di arrivo. Una delle tappe imprescindibili per il papa è il riordino delle diocesi. Alla Cei già nella prima riunione del 1952 i vescovi avevano avvertito il problema del numero rilevante delle diocesi56. Nell’immediato postconcilio organismi vaticani e Cei vengono investiti del problema. Fra il 1966 e il 1967 viene approntato da una commissione della Cei un piano di revisione che viene consegnato alla Santa Sede nel giugno 1968. Nei successivi due anni il progetto viene rivisto dalla Congregazione dei vescovi e discusso nel Consiglio per gli affari pubblici. Nel giugno 1970 la Cei viene informata degli incontri tra le commissioni della Santa Sede e del Governo italiano. Nel 1971 le trattative si intensificano, ma si interrompono per la mancata disponibilità del Governo che non ritiene opportuna una ridiscussione dei confini diocesani in un tempo di confusione e di incertezza politica e sociale. Sul riordinamento interviene all’assemblea di giugno 1973 il cardinale Sebastiano Baggio, prefetto della Congregazione per i vescovi, che conferma lo stallo. Nel 1976, vista la perdurante difformità delle regioni ecclesiastiche con quelle civili, la Congregazione dei vescovi provvede a mutare i confini di alcune regioni conciliari, istituendo la regione Basilicata, sopprimendo le regioni beneventana e salernitanio-lucana e unificando quelle emiliana e romagnola. Nell’ottobre 1986 verrà varato un definitivo riordinamento che ridurrà da 325 a 228 le diocesi57.
Il 4 febbraio 1966 Paolo VI nomina Giovanni Urbani presidente della Cei. Non è una sorpresa. Negli anni dell’Azione cattolica si era accreditato a livello nazionale come figura di mediazione, attento più alla formazione delle coscienze che alle dimostrazioni di forza. Nel postconcilio Montini ha bisogno di capacità di mediazione, di disponibilità a smussare, a fare passi avanti, a capire le situazioni: per questo lo nomina alla presidenza in sostituzione di Siri. Il papa intuisce le tensioni del postconcilio e l’equilibrio tutto veneziano di Urbani gli sembra adatto più della «arcigna guida» di Siri58. Urbani godeva di un ritorno di prestigio dopo la nomina voluta da Giovanni XXIII a patriarca di Venezia, la elevazione al cardinalato e l’inserimento nella cerchia ristretta dei nuovi protagonisti del Vaticano II, anche se non da leader59. Al conclave Urbani non ha dubbi, annota nel suo diario il 18 giugno 1963: «Le mie previsioni sono tutte per Montini perché mi sembra il migliore sopra di tutti e perché non vedo altri che possa raccogliere l’eredità di Papa Giovanni senza divenirne una copia e quindi una brutta copia»60. Urbani arriva alla presidenza dopo l’uscita di Siri, che rassegna le dimissioni prima della scadenza naturale del mandato. Paolo VI le accetta e nomina temporaneamente Urbani, Ermenegildo Florit e Giovanni Colombo, con il solo compito di assistere i vescovi durante la quarta sessione del concilio e di predisporre un nuovo statuto. Chiuso il concilio e approvato lo statuto il 16 dicembre 1965, Paolo VI chiama Urbani alla guida di una conferenza che raccoglie tutti i vescovi61. Il patriarca di Venezia è l’uomo giusto non solo per equilibrio e capacità di mediazione, ma perché convintamente sostiene il progetto montiniano teso a realizzare il concilio in Italia62. Nella prima assemblea generale Urbani reputa la Cei strumento idoneo per costruire una dimensione nazionale della Chiesa italiana e per svolgere un’azione pastorale di ampio respiro; per questo deve rifuggire dal pericolo di inflazione di uffici e apparati, non deve essere un centro di potere, «bensì un servizio pastorale, un fattore di convergenza e di irradiamento di quanto può essere utile alle diocesi»63. Al centro del piano di Urbani c’è l’attuazione del concilio, con la consapevolezza che in Italia c’è un «distacco dalla vita cristiana che in molti avviene non per motivi di crisi spirituale, ma per suggestione dei beni materiali. Non c’è tempo per Dio»64. Urbani vive alla Cei tutte le questioni più scottanti dell’immediato postconcilio. Il tema dell’introduzione del divorzio sollecita la Cei a parlare dell’unità dei cattolici in politica. Urbani non vuole cambiare linea, i vescovi devono sostenerla perché potrebbe esserci lo spettro di più partiti cattolici65. Nel 1967 Paolo VI preannuncia alla Cei l’arrivo della contestazione66 e Urbani nel 1969 vede l’inizio degli anni del terrorismo violento67. Alla Cei si discute di cultura teologica italiana68, di clima anticoncordatario69, contestazione studentesca all’Università Cattolica70, scelta socialista delle Acli71. Urbani con pazienza e mediazione tiene insieme le tessere della Chiesa italiana e traghetta la Cei dai vecchi incontri di cardinali e presidenti alle nuove assemblee, diventando uno degli esponenti più caratteristici della ‘via italiana’ alla recezione del Vaticano II72.
La Cei degli anni Settanta è guidata da Antonio Poma, arcivescovo di Bologna. È uomo di disciplina e riserbo, che segue con diligenza i fatti della società e della Chiesa73. In questi anni la Cei elabora il piano pastorale pluriennale Evangelizzazione e sacramenti, che segna la fine esplicita del collateralismo alla Dc. È anticipato dal documento Vivere la fede oggi del 1971, preparato da Carlo Colombo e Enrico Bartoletti. Il piano pastorale è per una nazione in crisi e afferma il primato dell’evangelizzazione. Nel febbraio 1972 la Cei lega il piano a una lettura della situazione italiana. Emerge che l’Italia si trova «nel periodo più difficile, oscuro e pericoloso del dopoguerra» e che ci sono tre crisi che si intrecciano, tanto che «i loro effetti si sommano e, sommandosi, aggravano la situazione». C’è la crisi politica di una nazione che non può fare a meno del centro-sinistra, ma non ne individua uno «serio ed efficiente». C’è la crisi sociale che colpisce famiglia, scuola, sindacati, comportamenti. Infine c’è la crisi economica che evidenzia gravi squilibri fra città e campagna e tra Nord e Sud; aumento dei costi della produzione legati agli scioperi dell’autunno caldo del 1969; disaffezione e scoraggiamento degli industriali. Alla Cei si avverte la necessità di maggiore attenzione ai problemi morali e pastorali posti dalla vita economica74. Il cambiamento conciliare porta al rinnovamento della catechesi, con la stesura di nuovi catechismi che modificano in profondità l’educazione alla fede delle nuove generazioni e all’approvazione dei nuovi libri liturgici e del nuovo messale che rinnovano l’immagine della Chiesa che prega. C’è anche la nascita della Caritas che modifica l’impegno sociale dei cattolici. In questo cammino si inserisce il 4 settembre 1972 Enrico Bartoletti, nominato da Paolo VI segretario generale in sostituzione di Andrea Pangrazio. Il nuovo segretario, che saluta i vescovi con stile montiniano75, prende immediatamente in carico il piano Evangelizzazione e sacramenti. All’assemblea di giugno 1973 c’è la proposta di «un congresso nazionale delle varie componenti ecclesiali, al fine di approfondire il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana». La Cei risponde così al «vento della metamorfosi sociale» che sembra non spirare più in favore della cristianità e del mondo cattolico76. Bartoletti imprime un forte impulso alla Cei77, ma non si allontana dagli sfondi montiniani di Urbani. La sua segreteria assume un ruolo di coordinamento e propulsione, il suo rapporto con il papa è di fiducia personale, obbedienza e leale libertà; il papa lo ascolta e lo utilizza per compiti e contatti spesso lontani dal suo ruolo istituzionale78. La sconfitta cattolica al referendum del 1974 conferma la ‘metamorfosi sociale’ che il papa aveva intravisto l’anno prima e svela un cattolicesimo non più guida dei comportamenti collettivi. La partenza dei piani pastorali e la stabilizzazione statutaria postconciliare concorrono fortemente a una primaria definizione di coscienza unitaria dei vescovi. La Cei è ormai un organismo consolidato, articolato, funzionale ed è ormai matura per assumere la guida della Chiesa italiana. L’ingresso nella definizione istituzionale è quasi simboleggiato dal passaggio, nel gennaio 1974, dalla vecchia sede di via della Conciliazione alla Domus Aurea in via Circonvallazione Aurelia a Roma.
Il progetto pastorale di Bartoletti non coincide col piano Evangelizzazione e sacramenti. La visione teologico-pastorale di Bartoletti si impernia sulla centralità della parola di Dio, non disgiunta dai sacramenti, e sulla insostituibilità pastorale della Chiesa locale. La linea di Bartoletti privilegia l’evangelizzazione, ha come sfondo non il piano del 1972, ma il documento ispiratore Vivere la fede oggi del 1971 del quale è stato coestensore. Bartoletti privilegia l’evangelizzazione, mentre il piano sceglie i sacramenti presi in considerazione anno per anno79. Il momento di maggiore affermazione del progetto di Bartoletti è rappresentato dal primo convegno ecclesiale Evangelizzazione e promozione umana organizzato a Roma nel 197680. Il documento base del convegno, firmato da Bartoletti, è il manifesto della sua linea81. Ma il convegno di Roma non sarà l’inizio dell’applicazione del progetto, perché la sua morte improvvisa nel marzo 1976 non lo permetterà, e anche perché durante la preparazione del convegno, e dopo, si manifestano altre direzioni di marcia. Una parte dell’episcopato prende le distanze dal convegno, soprattutto sul tema riguardante il pluralismo politico82. Nei documenti episcopali della seconda metà degli anni Settanta l’attenzione è posta sull’unità dei cattolici, sull’identità cristiana, sull’apporto del credente alla vita sociale e sulla coerenza delle sue scelte. Si interrompono le prospettive pluralistiche di Bartoletti e del convegno del 1976. Non c’è più tensione anti-istituzionale nella Chiesa italiana. Gruppi di base e nuovi movimenti ecclesiali non manifestano più contrapposizione all’autorità ecclesiastica, perché l’istituzione accoglie le spinte spontanee che esprimono l’esigenza di una Chiesa visibile, non percepita in molte chiese locali. Ai capisaldi del progetto di Bartoletti, tesi fra evangelizzazione e riforma delle chiese locali, subentrano quelli della presenza nel sociale e dell’affermazione dei movimenti83. Con il convegno del 1976 Bartoletti aveva avviato una riforma fondata sulla pratica della sinodalità allargata, sul confronto fra chiese locali col coinvolgimento di vescovi, sacerdoti, religiosi e laici. Una esperienza non immaginabile prima del Vaticano II. Il disegno montiniano, realizzato in Italia con la Cei attraverso Urbani e Bartoletti, era diretto alla trasformazione della religiosità degli italiani da un tradizionalismo individualista e ritualista verso una consapevolezza personale ricca di senso ecclesiale e di assunzione di responsabilità nutrita dalla Scrittura e dalla liturgia. Questo processo rallenta e si blocca con l’arrivo della contestazione nella Chiesa e con il cattolicesimo non più alla guida dei comportamenti collettivi. La prospettiva della ‘presenza’ appare più efficace rispetto alla ‘mediazione’84. Alla fine del pontificato di Paolo VI alla Cei c’è una stasi progettuale.
L’elezione di un papa non italiano non porta al cambiamento immediato della Chiesa in Italia. Molte delle tendenze presenti prima dell’elezione di Giovanni Paolo II nel 1978 continuano ad agire, soprattutto quelle legate alla scelta ‘religiosa’ dell’Azione cattolica, alla quale molti vescovi rimangono fedeli. L’avvento del nuovo papa rappresenta un crinale per i rapporti fra Chiesa e società. L’impostazione del nuovo pontefice è alternativa rispetto alla linea della Cei voluta da Montini. Giovanni Paolo II attende dal cattolicesimo italiano un annuncio esplicito delle verità cristiane e un ruolo attivo dentro la vita della nazione. L’episcopato italiano non risponde subito e unanimemente85. Il 18 maggio 1979 il papa nomina presidente della Cei il carmelitano e mistico Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino86; nel 1985 gli succederà Ugo Poletti, vicario del papa per la diocesi di Roma87. Per gli anni Ottanta la Cei vara un piano pastorale sul rapporto fra comunione e comunità88, seguito dal documento La Chiesa italiana e le prospettive del paese89 che qualifica in modo nuovo la presenza e il coinvolgimento della Chiesa nei problemi del paese. I cattolici perdono il referendum sulla legge dell’aborto del 1981: si compie il distacco della società italiana dalla morale tradizionale cattolica. Questi anni si caratterizzano per un inedito ruolo della Cei rispetto all’attuazione del codice di diritto canonico, uscito nel 198390, e all’accordo di revisione del Concordato stipulato tra Santa Sede e Governo italiano nel 198491. Nel 1985 questi avvenimenti portano all’approvazione di un nuovo Statuto, che va a collocarsi in un quadro istituzionale modificato, sia in riferimento al diritto universale della Chiesa, sia in riferimento a quello particolare italiano92. Il nuovo statuto del 1985 sostituisce quello conciliare del 1965, rivisto nel 197793. La Cei organizza il secondo convegno ecclesiale a Loreto nell’aprile 1985 non discostandosi dalla linea pastorale montiniana. Ne è conferma la relazione introduttiva di Bruno Forte che ripropone una prospettiva teologico-pastorale non toccata dagli indirizzi del nuovo pontificato94. A Loreto il papa interviene e sottolinea che l’identità storica del popolo italiano non è separabile dal cristianesimo e che la secolarizzazione pone come obiettivo l’impegno di «inscrivere la verità sull’uomo nella realtà di questa nazione italiana». La Chiesa è chiamata ad operare «affinché la fede cristiana abbia, o recuperi, un ruolo-guida e un’efficacia trainante nel cammino verso il futuro». Di conseguenza i cattolici italiani non farebbero il loro dovere «se non si impegnassero a far sì che le strutture sociali siano o tornino ad essere sempre più rispettose di quei valori etici, in cui si rispecchia la piena verità sull’uomo». Da questo impegno il papa fa scaturire l’unità, che prevale al di sopra di ogni pur legittimo pluralismo95. Il discorso del papa suscita ampia eco tra i membri del convegno, che si entusiasmano o si scoraggiano, e rimbalza sulle prime pagine dei quotidiani96. Dopo Loreto per la Cei e per la Chiesa italiana si apre una nuova fase.
Il papa intende seguire da vicino le vicende della Cei97 e ha un progetto per l’Italia98, delineato a Loreto. Nel giugno 1986 il vicepresidente del comitato preparatorio del convegno di Loreto, Camillo Ruini, viene nominato dal papa segretario generale della Cei, diventandone subito punto di riferimento essenziale. Uomo di intelligenza lucida e di carattere determinato99 entra immediatamente in consonanza col papa e inizia ad attuare nel concreto le indicazioni del papa a Loreto. Il suo punto di partenza teologico è il tomismo insieme alla ‘teologia dello specifico cristiano’ di von Balthasar, Ratzinger e Kasper. Pastoralmente crede che alla Chiesa italiana competa la responsabilità di dimostrare che il cristianesimo è vivibile anche in una società industriale avanzata. Per Ruini la Chiesa è la forza di riscatto per l’umanesimo moderno rispetto alle sue stesse contraddizioni. La politica è una realtà ‘penultima’, mentre il luogo proprio degli interventi ecclesiali sono i valori etici, sia individuali sia collettivi, e l’unità politica dei cattolici, realizzata nella storia, va riproposta attraverso l’unità dei riferimenti etici100. Queste convinzioni si compenetrano non solo con le espressioni del papa a Loreto, ma anche con il deciso invito dello stesso pontefice alla Cei nel 1980 ad assumere «in modo sempre più organico e sicuro» le proprie responsabilità «per la valorizzazione di tutte le forze presenti nella comunità ecclesiale in Italia, per tutta la Nazione, nella quale la Conferenza stessa deve esistere e lavorare, essere ed agire»101. L’impostazione di papa Wojtyla alla Cei si armonizza e si incontra con la revisione del Concordato del 1984 e con l’attuazione per l’Italia del Codice del 1983. Ruini prende in carico il progetto del papa e i cambiamenti istituzionali della Cei che si avvia ad essere protagonista delle relazioni fra Chiesa e Stato. Nell’accordo del 1984, dopo la Santa Sede viene menzionata la Cei. D’intesa con le autorità dello Stato, la Cei è chiamata a determinare i profili dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e a salvaguardare e valorizzare i beni culturali a essa appartenenti. La Cei viene riconosciuta come interlocutore legittimo e accreditato per disciplinare ulteriori materie per le quali si manifesta l’esigenza di collaborazione, sottoscrivendo intese direttamente con lo Stato. L’attuazione di queste comporta funzioni di natura permanente. L’importanza della Cei emerge ulteriormente riguardo alle «norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici» del 1985. Da queste norme viene attribuita alla Cei personalità giuridica agli effetti civili e un ruolo determinante nell’attuazione del nuovo sistema di sostentamento del clero. La Cei erige l’Istituto centrale, determina lo statuto di quelli diocesani e stabilisce la remunerazione spettante ai singoli sacerdoti, oltre alle destinazioni dell’otto per mille assegnato alla Chiesa dai contribuenti. Un complesso di funzioni vasto e articolato102. Per far fronte a questi compiti la Cei formula una complessa normativa e si dota di una organizzazione adeguata alle nuove responsabilità103. Nel nuovo statuto del 1985 si evidenzia la responsabilità dell’episcopato italiano nei confronti dell’intera società e si riconosce alla Cei una competenza distinta da quella della Santa Sede per trattare con le autorità civili. Fino a questo momento la Cei era ignorata dalla legislazione italiana, mentre dal 1984 lo Stato si trova ad avere due distinti interlocutori, la Santa Sede e la Cei104. Nelle relazioni con lo Stato italiano alla Cei vengono attribuiti ‘speciali mandati’ concessi dalla Santa Sede in base agli accordi del 1984, cioè specifici poteri che la Cei esercita sotto la propria responsabilità105. Questa composita valorizzazione della Cei non è estranea al progetto di Giovanni Paolo II per l’Italia che nel 1980 aveva definito i vescovi «una rappresentanza legittima e qualificata del popolo» e «una forza sociale che ha una responsabilità nella vita dell’intera nazione»106. Ruini governa questi complessi processi che ridisegnano la Cei in conformità con i desideri e le sensibilità del papa e che trasformano la conferenza da struttura pastorale snella a complessa organizzazione moderna e funzionale. Questa struttura porta a soluzione problemi come il numero delle diocesi107 e, grazie all’8 per mille, all’autonomia dalla Santa Sede per il finanziamento del quotidiano «Avvenire», il sostegno all’Università Cattolica, il funzionamento del vicariato di Roma. Tutto passa a carico della Cei, che rafforza il suo peso amministrativo, disponendo di una autonomia finanziaria e di una facoltà di controllo mai avuti nel passato. Nel 1989 nasce una agenzia di stampa della Cei, nel 1998 una tv satellitare con quaranta emittenti locali che ritrasmettono i suoi programmi; nel settore radiofonico, si producono e distribuiscono programmi a un circuito di 200 emittenti. A fine anni Ottanta inizia il declino della Democrazia cristiana, insieme a una decattolicizzazione della società italiana, di cui si occupa il documento pastorale sulla missionarietà108. Nello stesso periodo la Cei riprende le settimane sociali109, si occupa del Mezzogiorno110 e lancia gli orientamenti pastorali per gli anni Novanta sul tema dell’evangelizzazione e della testimonianza della carità111. Il segretario generale Ruini guida con mano ferma il potenziamento della Cei che coincide con il processo di rinnovamento wojtyliano della Chiesa italiana.
Agli inizi del 1991 il passaggio della presidenza da Poletti a Ruini non comporta alcun cambiamento di linea. È una presidenza che nasce robusta, perché affidata a un uomo già segretario generale della conferenza, che risiede a Roma e che ha una consonanza col papa sugli obiettivi della Cei e la loro attuazione112. All’avvio del mandato Ruini ritiene che l’episcopato, e per esso il vertice della Cei, abbia ormai ripreso in mano la conduzione dei rapporti fra Chiesa e società e afferma
«la necessità di una presenza pubblica della Chiesa in Italia che abbia una vera e adeguata dimensione nazionale, ruolo che in via principale, anche se certamente non esclusiva, può essere esercitato soltanto dal corpo dei vescovi e, quindi nella pratica quotidiana attraverso lo strumento della Conferenza Episcopale»113.
Questa forte affermazione del ruolo dei vescovi ha un riflesso sulla condizione dei laici. Dalla Cei questi ricevono indicazioni e orientamenti. Il ponderoso ruolo dei vescovi produce il silenzio di una buona parte del laicato cattolico sulle questioni della vita pubblica italiana. La scomparsa della Dc nel gennaio 1994114, sostenuta fino all’ultimo dalla presidenza della Cei115, accentua questo silenzio laicale. Il 6 gennaio 1994 il papa invia una lettera ai vescovi italiani sulle responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide del momento, invitandoli a una «grande preghiera per l’Italia»116. Ruini non ritiene di circostanza le espressioni del papa che affermano «all’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo»117. È evidente la necessità di individuare un approccio nuovo per cercare di realizzare gli obiettivi di incidenza storica della fede indicati a Loreto, tenendo conto dei cambiamenti politici e di quelli culturali118. Il presidente della Cei avverte l’esigenza di una nuova inculturazione della fede. Nella prolusione al consiglio permanente del 19 settembre 1994 parla della necessità di «un progetto culturale ispirato e orientato in senso cristiano» per «riproporre con grande forza l’evangelizzazione e l’inculturazione della fede come momenti essenziali e irrinunciabili della missione propria della Chiesa». Nel comunicato finale dei lavori il progetto culturale viene definito «una grande sintesi del credo cristiano e della visione dell’uomo»119. Scaturisce l’invito a un impegno sul versante della cultura che appare come il contributo più significativo che la Chiesa e i cattolici possono dare alla crescita complessiva del popolo italiano e come la premessa indispensabile per una motivata e qualificata presenza sociale e politica dei credenti120. Il progetto culturale viene riproposto al convegno ecclesiale di Palermo del 1995121. Nello stesso convegno si chiariscono gli atteggiamenti da assumere dopo la fine dell’unità politica dei cattolici. Il progetto culturale di Ruini all’inizio suscita il sospetto di essere una riproposizione mascherata dell’unità appena finita. In realtà rappresenta, secondo lo stesso Ruini, «un modo di rapportarsi con il mondo politico meno diretto, più libero e articolato»122. Questo nuovo rapporto viene orientato dal discorso del papa a Palermo, dove ribadisce che i cambiamenti intervenuti in ambito politico non fanno venire meno i compiti e gli obiettivi di fondo che egli aveva indicato a Loreto, aggiungendo:
«La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito [...] ma ciò nulla ha a che fare con una diaspora culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongono, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace»123.
Il disegno di Giovanni Paolo II per l’Italia viene rilanciato a Palermo. Dopo l’assemblea straordinaria della Cei del 1996 dedicata al progetto culturale124 e dopo un prima proposta di lavoro della presidenza125, questo progetto spinge facoltà e associazioni teologiche a un confronto su nodi tematici riguardanti l’identità nazionale e l’identità cristiana, i nuovi saperi, la crisi della politica, i nuovi spazi della società civile. La settimana sociale di Napoli del 1999 si interroga su «quale società civile per l’Italia di domani?». È una domanda che proietta la Cei, e con essa la Chiesa italiana, nel terzo millennio.
La Chiesa italiana entra nel primo decennio del Duemila con una «pastorale integrata», cioè un processo «di avvicinamento reciproco, di maggiore disponibilità alla collaborazione e in ultima analisi di riscoperta del significato pieno e concreto della Chiesa come unico corpo di Cristo». Un processo che collega diocesi, parrocchie, clero, laici, movimenti, organizzazioni popolari, avendo come punto di riferimento le istituzioni centrali della Chiesa italiana126. Sul piano politico la mediazione è una prerogativa del vertice ecclesiastico, che rappresentando l’unità e le esigenze della presenza sociale della Chiesa, può trattare con le istituzioni e le forze politiche, sia sugli interessi ecclesiastici, sia sulle implicazioni del discorso antropologico-culturale della Chiesa127. Nel 2005 muore Giovanni Paolo II. Ruini all’assemblea di maggio ricorda il ruolo di guida esercitato da questo papa per la Chiesa italiana e per il suo vertice ecclesiastico128. Benedetto XVI nella stessa assemblea chiede alla Cei di «proseguire nel lavoro che avete intrapreso perché la voce dei cattolici sia costantemente presente nel dibattito culturale italiano» e incoraggia i vescovi «impegnati a illuminare e motivare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum ormai imminenti in merito alla legge sulla procreazione assistita»129. Sui temi bioetici Ruini punta sulla riconoscibilità dei cattolici. Nel confronto referendario sulla procreazione assistita del 2005 sostiene l’astensione, determinando il fallimento delle consultazioni130. Per il primo decennio del 2000 le linee pastorali della Cei riguardano gli aspetti della comunicazione del Vangelo in un mondo che cambia131. Il quarto convegno ecclesiale di Verona dell’ottobre 2006 costituisce un momento di questo piano pastorale in cui domina l’attenzione alla speranza132. Il 7 marzo 2007 termina la presidenza di Ruini. È stato per vent’anni ai vertici della Cei, prima come segretario generale e poi come presidente. Traccia quasi un bilancio di quello che ritiene il filo di unione della sua presidenza, il progetto culturale. Partito fra polemiche e incomprensioni, ha compiuto un cammino piuttosto faticoso «riuscendo comunque a coinvolgere progressivamente non poche istanze ecclesiali ma restando piuttosto estraneo al tessuto parrocchiale e a maggior ragione all’opinione pubblica laica». La situazione migliora successivamente,
«non quanto al suo nome, che rimane sconosciuto ai più, ma quanto alla sostanza e allo scopo che si propone, quello cioè di colmare la distanza che separava da gran tempo la capillare presenza cristiana a livello della carità vissuta e dell’attenzione concreta alle persone e alle famiglie, dall’incidenza assai minore che la fede e la Chiesa avevano nella cultura pubblica»133.
Nei suoi anni la Cei è divenuta soggetto della politica ecclesiastica italiana. Giorgio Rumi ha asserito che «Ruini è emiliano, ma ragiona come un cardinale tedesco»134. Certamente ha dato alla Cei una nuova dimensione di funzionalità legata a scopi operativi pastorali, che non ha messo a rischio lo spessore identificante il compito episcopale. Ha costruito una prospettiva che non si è contrapposta in modo frontale, pur evidenziando discontinuità, con il cammino postconciliare del progetto montiniano135. Con lui il vertice della Chiesa italiana ha rafforzato le strutture istituzionali e ha vissuto senza sobbalzi le sollecitazioni nuove di un papa non italiano come Giovanni Paolo II136. Dopo la lunga presidenza di Ruini, il papa sceglie Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, uomo della continuità, della mediazione e del dialogo, impegnato a tenere insieme le tante ‘anime’ della Cei. In sessanta anni di vita la Cei ha rafforzato la dimensione collegiale dei vescovi, favorendo la circolazione delle riflessioni, dei pensieri, degli orientamenti e la coscienza di implicazioni reciproche e comuni che arricchiscono il modo di considerare i problemi. Difficilmente sarebbe avvenuto tutto questo senza la Cei.
1 L’itinerario è riferito da Urbani, protagonista degli avvenimenti, in G. Urbani, Relazione introduttiva all’Assemblea generale della CEI, in Cei, Dei Agricultura Dei aedificatio, 25, 1966, p. 24; sulla difficoltà di reperimento della documentazione riguardante la Commissione del 1946 per la preparazione dei nuovi statuti dell’Azione cattolica e la Commissione per l’alta direzione dell’Azione cattolica cfr. L. Osbat, Giovanni Urbani assistente generale dell’Azione cattolica (1946-1955). Materiali di ricerca sui primi anni di attività, in Giovanni Urbani patriarca di Venezia, a cura di B. Bertoli, Venezia 2003, pp. 96-97, 99.
2 Su Lombardi cfr. G. Zizola, Il microfono di Dio. Pio XII, Padre Lombardi e i cattolici italiani, Milano 1990; i progetti in R. Lombardi, Per una mobilitazione generale dei cattolici, Roma 1948.
3 G. Zizola, Il microfono di Dio, cit., pp. 166-167.
4 Ibidem, p. 170.
5 Ibidem, pp. 245-246.
6 Ibidem, p. 256.
7 R. Sani, Da De Gasperi a Fanfani. La “Civiltà Cattolica” e il mondo cattolico italiano nel secondo dopoguerra (1945-1962), Brescia 1986, p. 166.
8 Ibidem.
9 Il 31 marzo 1946 Ruffini entra a Palermo cfr. A. Romano, Ernesto Ruffini cardinale arcivescovo di Palermo (1946-1967), Caltanissetta-Roma 2002, p. 257.
10 Il pensiero di Pio XII in B. Lai, Il papa non eletto. Giuseppe Siri Cardinale di Santa Romama Chiesa, Roma-Bari 1993, p. 91.
11 La ricostruzione di questo itinerario in Lettera di Ruffini a Elia Dalla Costa, 21 giugno 1951 e di Ruffini a Montini, 18 ottobre 1951 riprodotte in A. Romano, Ernesto Ruffini, cit., pp. 258-259; in un colloquio di Siri con Benny Lai il 12 aprile 1985, lo stesso Siri riferisce che fin dal 1946 era convinto che l’Italia dovesse avere una conferenza episcopale nazionale come i tedeschi, anche perché «c’era la necessità che l’Italia, abitata da genti profondamente diverse tra loro, fosse religiosamente unita». Siri dice che nel 1946 non era cardinale e allora ne parlò con Ruffini che fu entusiasta dell’idea, cfr. B. Lai, Il papa non eletto, cit., p. 91, n. 50; dei contatti di Siri con Ruffini cenni in Il Cardinale Giuseppe Siri arcivescovo di Genova dal 1946 al 1987, a cura di R. Spiazzi Bologna 1990, p. 51; F. Sportelli, La Conferenza Episcopale Italiana (1952-1972), Galatina 1994, p. 12; N. Buonasorte, Siri. Tradizione e Novecento, Bologna 2006, p. 149; D. Veneruso, Il card. Giuseppe Siri e l’ONARMO, in P. Gheda, Siri. La Chiesa, l’Italia, Genova-Milano 2009, p. 155.
12 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., p. 28 n. 57.
13 Un elenco completo in F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., p. 12, n. 12.
14 Un resoconto dettagliato dell’incontro ibidem, pp. 12-20.
15 Urbani, nell’approssimarsi di nuove riunioni della Cei, non convinto delle procedure usate a Firenze, chiede in maniera riservata al papa a chi spetti la presidenza, quale dovrà essere l’ordine del giorno del successivo incontro e «su quali argomenti si desidera far conoscere ai presenti l’Augusto pensiero del Santo Padre come direttiva», ibidem, p. 22.
16 Il 2 febbraio 1954 esce il primo documento pubblico della Cei, in Enchiridion della CEI, 1, Bologna 1986, pp. 41-55.
17 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 39-41; il testo del progetto di statuto alla n. 126, pp. 50-53.
18 Ibidem, pp. 13-55.
19 Su questo tema si veda, per ultimo, A. Riccardi, I cinquant’anni della Conferenza Episcopale Italiana. Alle origini di una storia, in Atti della XLIX Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Roma, 20-24 maggio 2002, Roma 2002, p. 43.
20 Nel 1928 Urbani è nominato vice Assistente diocesano della Gioventù femminile di Ac; nel 1937 vice Presidente della Giunta diocesana di Ac e nel 1939 Delegato patriarcale per l’Ac; nel 1943 Piazza lo nomina Cancelliere patriarcale; l’11 gennaio 1945 Pio XII, Segretario della Commissione episcopale, presieduta da Piazza, per lo studio del nuovo statuto dell’Aci e il coordinamento delle opere cattoliche; il 22 maggio 1946 trasformatasi la Commissione per lo statuto in Commissione episcopale per l’alta direzione dell’Azione cattolica, il papa lo nomina segretario della stessa e Assistente ecclesiastico generale dell’Ac; l’8 dicembre 1946 è consacrato vescovo in S. Marco dal patriarca Piazza; nel 1950 è presidente del comitato italiano per l’Anno santo e nello stesso anno è nominato Consultore della congregazione Concistoriale; cfr. Giovanni Urbani. Cardinale Patriarca di Venezia. Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Nell’anniversario a ricordo. Venezia 17 settembre 1970, Venezia 1970, pp. 18, 22, 24, 26, 28, 34.
21 Ibidem, p. 149.
22 Negli appunti di Urbani per il verbale di Firenze si legge: «il card. Piazza mi ha detto che dovevo essere il Segretario di questa Conferenza», nel verbale della seduta fiorentina è riportato che Urbani «funge da Segretario per mandato della Santa Sede». Nella lettera di invito di Piazza ai partecipanti, Urbani è indicato come arcivescovo titolare di Sardi e assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana; la prima lettera di Urbani ai vescovi invitati a Firenze è su carta intestata personale e il titolo sotto la firma è quello arcivescovile; la lettera di invio del verbale è su carta intestata del segretario della Commissione episcopale per l’alta direzione dell’Ac e sotto la firma viene riportata la qualifica di Assistente ecclesiastico generale della stessa cfr. F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 9-13.
23 Ibidem, pp. 19-26.
24 Ibidem, pp. 50, 54.
25 G. Battelli, La partecipazione/ruolo al concilio e la presidenza CEI, Giovanni Urbani patriarca di Venezia, a cura di B. Bertoli, cit., pp. 196-197.
26 Urbani nel 1929 fonda a Venezia il gruppo delle Laureate cattoliche e nello stesso anno diviene Assistente diocesano della Fuci femminile, mentre Montini era a Roma Assistente ecclesiastico centrale della Fuci maschile; partecipa spesso, nel suo ruolo di Assistente centrale dell’Ac, alle settimane di studio dei Laureati che presiede e anima a Borca di Cadore (1951), Camaldoli (1952 e 1957), Pejo (1953), Mendola (1954 e 1958); cfr. Giovanni Urbani. Cardinale Patriarca di Venezia. Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cit. p. 40, unitamente a Il Movimento Laureati. Appunti per una storia, Roma 1960, pp. 225-235.
27 Cfr. G. Urbani, Da “Ricordi ai miei Cari”, Villa Immacolata – Torreglia Alta, 18 maggio 1956, riconfermati il 10 maggio 1967, in Giovanni Urbani. Cardinale Patriarca di Venezia. Presidente della Conferenza Episcopale italiana, cit. pp. 148-150.
28 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 57-61.
29 Una sintesi su società e politica nell’Italia degli anni Cinquanta in P. Ginsborg, Storia d’Italia 1943-1996, Torino 1998; sui vescovi in Italia G. Battelli, Santa Sede e vescovi nello Stato unitario. Dal secondo Ottocento ai primi anni della Repubblica, in St.It.Annali, IX, 1986, pp. 807-854; G. Alberigo, Santa Sede e vescovi nello Stato unitario. Verso un episcopato italiano (1958-1985), ibidem, pp. 855-879; anche A. Riccardi, La Chiesa cattolica in Italia nel secondo dopoguerra, in Storia dell’Italia religiosa, III, L’età contemporanea, a cura di G. De Rosa, Roma-Bari 1995, pp. 335-359; A. Melloni, Da Giovanni XXIII alle Chiese italiane del Vaticano II, ibidem, pp. 361-403.
30 Si discute a Pompei nel 1953, F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 45-47.
31 Ibidem, pp. 47-49.
32 Ibidem, pp. 68-70.
33 Ibidem, pp. 70-72.
34 Ibidem, p. 75.
35 C. Colombo, Giudizi teologico-politici sui risultati delle elezioni, «Vita e Pensiero», 36, 1953, pp. 460-464. Cfr. E. Versace, Montini e l’apertura a sinistra. Il falso mito del vescovo progressista, Milano 2007, pp. 49-56. La vicinanza di pensiero fra Colombo e Montini diventa collaborazione dal 1955, quando Montini è arcivescovo di Milano e Colombo suo consulente teologico; nel periodo del pontificato, Colombo, che dal 1964 è vescovo, continua ad essere consigliere di Montini.
36 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 94-96.
37 Ibidem, pp. 96-98.
38 Ibidem, pp. 99-100.
39 Ibidem, p. 110.
40 Ibidem, p. 117
41 Uno sguardo su Cei e sviluppi delle modernizzazioni in Italia in F. Sportelli, Vescovi nel cambiamento. Chiesa italiana e modernizzazioni degli anni Cinquanta, «Odegitria. Annali dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Bari», 3, 1996, pp. 277-294.
42 La presenza di Roncalli alla Cei in Edizione nazionale dei diari di A.G. Roncalli – Giovanni XXIII, a cura di A. Melloni, Bologna 2008, voll. 6.1-6.2.
43 Su Siri e la Cei cfr. G. Feliciani, Siri e lo statuto della Conferenza Episcopale Italiana, in P. Gheda, Siri. La Chiesa, l’Italia, cit., pp. 96-106.
44 Su questo aspetto cfr. N. Buonasorte, Siri, cit.; F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit.
45 Si veda la circolare Dei Agricultura Dei Aedificatio nata nel 1960 e antesignana del Notiziario della Cei.
46 Sulla Cei in questi anni cfr. F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 118-154.
47 G. Baget Bozzo, G. Tassani, Aldo Moro. Il politico nella crisi 1962-1973, Firenze 1983, p. 7.
48 Una sintesi del pensiero di Siri in F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 134.
49 Su Moro e questa fase della Dc cfr. A. D’Angelo, Moro, i vescovi e l’apertura a sinistra, Roma 2005; R. Orfei, L’occupazione del potere. I democristiani 1945-1975, Milano 1976; A. Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia Cristiana dal 1942 al 1994, Roma-Bari 1996.
50 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 119-166.
51 Su queste riunioni cfr. F. Sportelli, I vescovi italiani al Vaticano II: il ruolo della Conferenza Episcopale Italiana, «Rivista di scienze religiose», 12, 2008, pp. 37-90, in appendice gli ordini del giorno delle riunioni plenarie dell’episcopato italiano a Roma e gli elenchi della documentazione consegnata dalla segreteria Cei ai vescovi durante il concilio; cfr. P. Gheda, Il card. Giuseppe Siri e la Conferenza Episcopale Italiana al Concilio Ecumenico Vaticano II, «Synaxis», 23, 2005, pp. 69-104.
52 Sulla partecipazione italiana al Vaticano II, cfr. Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Typis Poliglottis Vaticanis, Città del Vaticano 1970-1980; G. Caprile, Cronache del Concilio Vaticano II, voll. 1-5, Roma 1966-1969; Storia del concilio Vaticano II, voll. 1-5, a cura di A. Melloni, Bologna 1995-2001; R. Morozzo della Rocca, I “voti” dei vescovi italiani per il concilio, in Le deuxième concile du Vatican (1959-1965), Roma 1989, pp. 119-137; G. Battelli, Alcune considerazioni introduttive per uno studio sui vescovi italiani al Concilio Vaticano II, ibidem, pp. 267-279.
53 Sulla leadership settentrionale cfr. F. Sportelli, I vescovi italiani al Vaticano II, cit., pp. 46-47.
54 Gli interventi di Paolo VI alla Cei in Paolo VI ai vescovi d’Italia. Discorsi alla Conferenza Episcopale Italiana 1964-1973, Roma 1973; Paolo VI ai vescovi d’Italia. Discorsi alla Conferenza Episcopale Italiana 1974-1977, Roma 1977; Paolo VI. Discorsi ai vescovi italiani, a cura di C. Ghidelli, Roma 1997; i discorsi ora in formato elettronico in http://www.agensir.it/sir_new/s2magazine/index1.jsp?idPagina=1101 (25 agosto 2010).
55 Una visione più puntuale in F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 169-224.
56 Ibidem, pp. 15-16.
57 Per la revisione delle diocesi in Italia G. Feliciani, Il riordinamento delle diocesi in Italia da Pio XI a Giovanni Paolo II, in L. Vaccaro, Storia della Chiesa in Europa, Brescia 2005, pp. 283-300.
58 G. Romanato, Il cardinale mediatore, «L’Osservatore romano», 17 settembre 2009; la definizione della presidenza di Siri in G. Battelli, La partecipazione/ruolo al concilio, cit., p. 215.
59 G. Battelli, La partecipazione/ruolo al concilio, cit., p. 220.
60 C. Urbani, “Nell’obbedienza al Santo Padre”. I diari del Concilio (1962) e del conclave (1963) di Giovanni Urbani, patriarca di Venezia, in Storia della vita religiosa a Venezia. Ricerche e documenti sull’età contemporanea, a cura di G. Luzzatto Voghera, G. Vian, Brescia 2008, p. 147.
61 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 216, 223, 228-229; in vista della terza sessione del concilio e date le condizioni di salute di Siri, Paolo VI nomina il 12 agosto 1964 Traglia propresidente della Cei, ibidem, p. 193.
62 G. Battelli, La partecipazione/ruolo al concilio, cit., p. 230.
63 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 228-229, 234.
64 Prolusione di Urbani all’assemblea del 1966 in Enchiridion della CEI, 1, cit, pp. 225-249.
65 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., p. 250.
66 Allocuzione del papa alla seconda assemblea generale della CEI, 1967, in Paolo VI ai vescovi d’Italia, cit., p. 51.
67 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., p. 268.
68 G. De Rosa, Crisi religieuse en Italie: problémes et prospectives, «Etudes», 7-8, 1964, pp. 118-192; della cultura teologica italiana si discute all’assemblea Cei del 4-7 aprile 1967.
69 G. Martina, La chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Roma 1977, pp. 238-239; G. Spadolini, La revisione del concordato, Firenze 1979, p. 69.
70 Università Cattolica. Storia di tre occupazioni, repressioni e serrate, Milano 1968; M. Malpensa, A. Parola, Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986), Bologna 2005.
71 M.C. Sermanni, Le ACLI alla prova della politica (1961-1972), Roma 1986; M. Maraviglia, Acli, 50 anni al servizio della Chiesa e della società italiana, Milano 1996.
72 G. Battelli, La partecipazione/ruolo al concilio, cit., p. 193.
73 P. Rabitti, Ricordando il cardinale Poma, «Segno nel mondo. Sette», 37, 1985, pp. 2-3; gli anni di Poma alla Cei in Il volto e lo spirito della Chiesa in Italia. Discorsi del card. Antonio Poma dal 1969 al 1979, Roma 1981 (in particolare L. Maverna, Presentazione, pp. 9-25).
74 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 292-294.
75 «Assumo oggi con trepidazione e timore, il delicato incarico, che la benevolenza e la fiducia del Santo Padre ha voluto affidarmi», Bartoletti ai vescovi, 2 ottobre 1972; su Bartoletti cfr. Un vescovo italiano del Concilio. Enrico Bartoletti 1916-1976, Genova 1988; Enrico Bartoletti. Raccolta di scritti, voll. 1-4, a cura di G. Gianneschi, Roma 1980-1982; L. Lenzi, Concilio e post-Concilio in Italia. Mons. Enrico Bartoletti arcivescovo a Lucca (1958-1973), Bologna 2005; V. Lessi, Enrico Bartoletti. Vescovo del Concilio. Testimone della speranza, Milano 2009.
76 F. Sportelli, La Conferenza Episcopale, cit., pp. 296-298; l’espressione del papa é pronunciata all’apertura dell’assemblea.
77 G. Alberigo, La Chiesa italiana tra Vaticano II e nuovo millennio, in Il Vaticano II nella Chiesa italiana: memoria e profezia, Assisi 1985, p. 60.
78 A. Melloni, Da Giovanni XXIII alle Chiese italiane del Vaticano II, cit., p. 380.
79 A. Acerbi, Dinamiche ecclesiali in Italia 1965-1978, in A. Acerbi, G. Frosini, Cinquant’anni di Chiesa in Italia. I convegni ecclesiali da Roma a Verona, Bologna 2006, pp. 56, 64, n. 14.
80 Cei, Evangelizzazione e promozione umana, Atti del Convegno ecclesiale Roma (Roma 1976), Roma 1977; A. Acerbi, G. Frosini, Cinquant’anni di Chiesa, cit., pp. 121-129.
81 Evangelizzazione e promozione umana. Documento-base e Traccia di riflessione del Comitato preparatorio del convegno ecclesiale, in Enchiridion della CEI, 2, cit., pp. 677-707.
82 Si veda Consiglio permanente della Cei, Presentazione, ibidem, pp. 20-24.
83 A. Acerbi, Dinamiche ecclesiali, cit., pp. 61-62.
84 A. Acerbi, La Chiesa italiana dalla conclusione del Concilio alla fine della Democrazia Cristiana, in La Chiesa e l’Italia. Per una storia dei loro rapporti negli ultimi due secoli, a cura di A. Acerbi, Milano 2003, pp. 486-487; si vedano anche G. Tonini, La mediazione culturale. L’idea, le fonti, il dibattito, Roma 1985; G. Zannoni, Oltre il cattolicesimo democratico, Milano 1986.
85 A. Acerbi, La Chiesa italiana, cit., p. 490.
86 Su Ballestrero cfr. C. Ghidelli, Come ciottolo di fiume. Anastasio card. Ballestrero o.c.d., Cinisello Balsamo 2004; A.A. Ballestrero, Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, Roma 1985.
87 Cfr. A. Monticone, Mons. Poletti nuovo presidente dei vescovi. Continuità e sviluppo della linea pastorale della CEI, «Segno nel mondo. Sette», 28-29, 1985, pp. 1-2.
88 Varato il 1° ottobre 1981, in Enchiridion della CEI, 3, cit., pp. 346-391.
89 Varato il 23 ottobre 1981, ibidem, pp. 427-445.
90 Codice di diritto canonico, Roma 1984, cann. 447-459.
91 In Enchiridion della CEI, 3, cit., pp. 1631-1721.
92 Statuto della CEI. 18 aprile 1985, ibidem, pp. 1328-1349.
93 Enchiridion della CEI, 3, cit., pp. 1328-1349; 1450-1480.
94 B. Forte, Il cammino della Chiesa in Italia dopo il concilio. Contributo al discernimento teologico-pastorale alla luce del vangelo della riconciliazione, in Cei, Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, Atti del II Convegno ecclesiale (Loreto 1985), Roma 1985, pp. 93-126; cfr. A. Acerbi, G. Frosini, Cinquant’anni di Chiesa, cit., pp. 151-159.
95 Allocuzione del Santo Padre. 11 aprile 1985, ibidem, pp. 45-60.
96 A. Acerbi, La Chiesa italiana, cit., p. 494; M. Guasco, Chiesa e cattolicesimo in Italia (1945-2000), Bologna 2001, pp. 141-142; A. Acerbi, G. Frosini, Cinquant’anni di Chiesa, cit., pp. 131-149; «la Repubblica» titola in prima pagina il 12 aprile 1985 Wojtyla suona la carica. Il papa ‘per il bene supremo della nazione’ chiama tutti i cattolici all’unità politica; «Il Manifesto» nello stesso giorno titola in prima pagina Il papa scudocrociato. A Loreto Wojtyla apre la campagna elettorale DC. Ma non entusiasma, anzi divide; a fine convegno, il 14 aprile 1985, «Il Giornale» titola in prima pagina Il Papa secondo Ballestrero non ha invitato a votare DC.
97 A. Acerbi, La Chiesa italiana, cit., p. 495.
98 C. Ruini, La Chiesa in Italia: da Loreto ai compiti del presente, in C. Ruini, Nuovi segni dei tempi. Le sorti della fede nell’età dei mutamenti, Milano 2005, p. 8.
99 A. Acerbi, La Chiesa italiana, cit., p. 495.
100 L. Prezzi, Per capire il segretario della CEI, «Il Regno. Attualità», 14, 1989, p. 370; l’articolo di Prezzi fa riferimento a C. Ruini, Il Vangelo nella nostra storia. Chiesa, cultura e società in Italia, Roma 1989; si veda anche C. Ruini, Futuro della Chiesa italiana e impegno sociale dei laici, in Come si è giunti al Concilio Vaticano II, a cura di G. Galeazzi, Milano 1988, pp. 126-143.
101 Allocuzione del Santo Padre, Atti della XVII Assemblea generale (Roma 1980), Roma 1980, p. 15.
102 G. Feliciani, La Conferenza episcopale come soggetto della politica ecclesiastica italiana, «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica», 12, 2004, 1, pp. 249-256.
103 M. Calvi, La produzione normativa della Conferenza episcopale italiana, «Quaderni di diritto ecclesiale», 9, 1996, pp. 449-475.
104 G. Feliciani, La Conferenza episcopale come soggetto, cit., p. 252.
105 Ibidem, p. 254; anche G.P. Milano, Santa Sede, Conferenza Episcopale Italiana, Conferenze episcopali regionali, province ecclesiastiche, vescovi diocesani: gerarchia delle fonti e ripartizione delle competenze, in Confessioni religiose e federalismo, a cura di G. Feliciani, Bologna 2000, p. 140; R. Astorri, La Conferenza episcopale italiana, in La nazione cattolica. Chiesa e società dal 1958 a oggi, a cura di M. Impagliazzo, Milano 2004, pp. 117-146.
106 Allocuzione del Santo Padre, Atti della XVII Assemblea, cit., pp. 11-23.
107 Riordinamento delle diocesi in Italia. Nota della presidenza. 8 ottobre 1986, in Enchiridion della CEI, 4, cit., pp. 176-178.
108 Comunione e comunità missionaria. Documento pastorale dell’episcopato italiano. 29 giugno 1986, ibidem, pp. 114-148; singole vicende del laicato italiano e della caritas in A. Acerbi, La Chiesa italiana, cit., pp. 496-499.
109 Ripristino e rinnovamento delle settimane sociali dei cattolici italiani. 20 novembre 1988, in Enchiridion della CEI, 4, cit., pp. 696-706.
110 Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno. Documento dei vescovi italiani, 18 ottobre 1989, ibidem, pp. 978-1006.
111 Evangelizzazione e testimonianza della carità. Documento pastorale dell’episcopato italiano. 8 dicembre 1990, ibidem, pp. 1357-1405.
112 A. Acerbi, La Chiesa italiana, cit., p. 496; L. Accattoli, La CEI da Tettamanzi ad Antonelli, in Chiesa in Italia. Annali de Il Regno, supplemento a «Il Regno» 14, 1996, p. 182.
113 C. Ruini, Chiesa del nostro tempo. Prolusioni 1991-1996, 1, Casale Monferrato 1996, p. 15; su Chiesa e politica cfr. M. Reina, Verso un nuovo rapporto tra Chiesa e politica, «Aggiornamenti sociali», 2, 1994, pp. 87-100.
114 A. Giovagnoli, Il partito italiano, cit., pp. 281-282.
115 Appello alla speranza e alla responsabilità. Comunicato della Presidenza della CEI. 30 giugno 1992, in Enchiridion della CEI, 5, cit., pp. 446-450; Evangelizzare il sociale. Orientamenti e direttive pastorali dell’Episcopato italiano. 22 novembre 1992, ibidem, pp. 497-560; Il significato della presenza rinnovata e unita dei cristiani nella vita sociale e politica. Messaggio della Presidenza della CEI. 30 giugno 1993, ibidem, pp. 891-895.
116 La responsabilità dei cattolici nell’ora presente. Lettera di Giovanni Paolo II ai Vescovi italiani. 10 gennaio 1994, Milano 1994.
117 C. Ruini, La Chiesa in Italia: da Loreto ai compiti del presente, in C. Ruini, Nuovi segni dei tempi, cit., p. 24
118 Ibidem, p. 10.
119 C. Ruini, Proposta di un “progetto culturale”. CEI, Consiglio Episcopale Permanente, Montecassino 19 settembre 1994, in C. Ruini, Chiesa del nostro tempo, 1, cit., pp. 272-285; Comunicato dei lavori del Consiglio episcopale permanente. Montecassino 22 settembre 1994, in Enchiridion della CEI, 5, cit., pp. 1149-1160; M. Guasco, Chiesa e cattolicesimo in Italia, cit., pp. 166-167.
120 C. Ruini, La Chiesa in Italia: da Loreto ai compiti del presente, in C. Ruini, Nuovi segni dei tempi, cit., p. 11.
121 Cei, Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia, Atti del III Convegno ecclesiale (Palermo 1995), Roma 1997 (in particolare C. Ruini, Una Chiesa che testimonia l’amore di Dio. Intervento conclusivo, pp. 567-588, il progetto culturale alle pp. 574-575).
122 C. Ruini, La Chiesa in Italia: da Loreto ai compiti del presente, in C. Ruini, Nuovi segni dei tempi, cit., p. 11.
123 Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II all’assemblea del Convegno. 23 novembre 1995, in Cei, Il Vangelo della carità, cit., pp. 62-63; l’ultimo decennio (1985-1995) in A. Melloni, Povera Chiesa in povero Stato, «Il Mulino», 1, 1996, pp. 86-95.
124 Il Progetto culturale. Sintesi dei lavori di gruppo della XLII assemblea generale (Collevalenza, 1996), in Enchiridion della CEI, 6, cit., pp. 226-240.
125 Progetto culturale orientato in senso cristiano. Una prima proposta di lavoro a cura della Presidenza della CEI, ibidem, pp. 277-289.
126 C. Ruini, La Chiesa in Italia: da Loreto ai compiti del presente, in C. Ruini, Nuovi segni dei tempi, cit., pp. 21-22.
127 G. Formigoni, La lunga stagione di Ruini, «Il Mulino», 54, 2005, 5, p. 839.
128 C. Ruini, Prolusione, Atti della LIV Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (Roma 2005), Roma 2005, pp. 13-14.
129 Allocuzione del Santo Padre Benedetto XVI, ibidem, p. 35-36.
130 C. Giuliodori, La Chiesa italiana di fronte al referendum 2005 sulla fecondazione medicalmente assistita, in Direzione strategica della comunicazione nella Chiesa, a cura di J.M. Mora, D. Contreras, M. Carroggio, Roma 2007, pp. 67-87.
131 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del 2000. 29 giugno 2001, in Enchiridion della CEI, 7, cit., pp. 90-155.
132 A. Acerbi, G. Frosini, Cinquant’anni di Chiesa, cit., pp. 161-171, 187-195; i testi ufficiali in Una speranza per l’Italia, IV Convegno ecclesiale nazionale (Verona 2006), supplemento ad «Avvenire», novembre 2006; cfr. anche www.convegnoverona.it (25 agosto 2010).
133 C. Ruini, Premessa, in C. Ruini, Chiesa del nostro tempo, 3, cit., p. 8; sul progetto culturale C. Ruini, Per un progetto culturale orientato in senso cristiano, Casale Monferrato 1996.
134 A. Cazzullo, Ruini, il personaggio, «Corriere della sera», 7 marzo 2007.
135 G. Formigoni, La lunga stagione, cit., p. 843.
136 A. Acerbi, La Chiesa italiana, cit., pp. 487-490.