SICARDO, vescovo di Cremona
SICARDO, vescovo di Cremona. – Appartenne alla famiglia cremonese dei Casalaschi. Nulla è noto a proposito della sua data di nascita, così come della sua formazione intellettuale e giuridica (a Parigi, si suppone, ma si tratta di una mera ipotesi; o forse a Bologna), attestata tra XII e XIII secolo, e con esponenti entro le istituzioni comunali.
Come egli stesso ricorda nella Cronica, nel 1179 ricevette dal vescovo di Cremona Offredo gli ordini minori (Cronica, ed. O. Holder-Egger, 1903, p. 168). Fu l’inizio di una rapida e brillante carriera: già nel 1183 Lucio III lo accolse fra i suddiaconi papali, affidandogli nell’autunno del medesimo anno una difficile e non breve missione diplomatica in Germania, che ottenne buoni risultati in preparazione alla discesa in Italia di Federico I. Soggiornò a Magonza; contrariamente a quanto sostenuto da Holder-Egger (ibid., pp. 23 s.) è da identificarsi con lo scholasticus Sigehardus membro del capitolo di San Pietro di Magonza (1184); nella Summa Canonum da lui composta durante la permanenza nella città tedesca si sottoscrive «Ego vero Sigehardus Cremone filius natione et Maguntine ecclesie filius spiritualis translatione» (Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. Lat. 653, c. 112r).
Rientrato in Italia nel luglio 1184, ricompare a Cremona l’8 maggio 1185, col titolo di magister, fra i canonici della cattedrale. Di lì a breve, dopo il decesso di Offredo (9 agosto 1185), fu eletto vescovo di Cremona. L’avvio di una intensa attività pastorale fu immediato.
Il 23 agosto 1185 stabilì le constitutiones del capitolo della cattedrale, fissando il numero dei canonici a un massimo di 15, nonché le modalità di distribuzione e assegnazione delle prebende; ancora come vescovo eletto, il 28-29 settembre, presenziò nel palazzo vescovile davanti al tribunale dei pari incaricati di pronunciarsi riguardo alla causa che l’opponeva ai da Melegnano per il castello di Maleo. La consacrazione fu celebrata forse il 21 dicembre 1185, come risulta da una lettera di Urbano III a proposito delle esenzioni decimali dei cistercensi di Chiaravalle della Colomba (4 gennaio 1186), ove è chiamato vescovo.
Negli anni seguenti, i due filoni più significativi dell’attività di Sicardo, che solo per strumentale chiarezza espositiva si debbono esaminare separatamente, essendo in realtà strettamente connessi e intrecciati, sono – sulla falsariga delle sue esperienze precedenti – per un verso l’attività di legato papale (con funzioni arbitrali e di composizione), e per altro verso l’attività politica a sostegno del (e in dialettica con) il Comune cittadino.
Coi quattro papi che si succedettero fra 1185 e 1197 (Urbano III, Gregorio VIII, Clemente III, Celestino III) le sue legazioni e arbitrati documentati furono una decina. Urbano III lo nominò il 18 dicembre 1185 giudice delegato nella vertenza fra l’arciprete della pieve piacentina di Polignano e l’abate di Nonantola per la chiesa di San Giorgio di Monticelli d’Ongina, dipendente dal priorato nonantolano di Santa Croce di Cremona. La risoluzione si ebbe due anni dopo, nel maggio del 1187, quando Sicardo riconobbe salomonicamente ambedue i diritti. Nel frattempo il 17 aprile 1187 aveva presenziato alla stesura del precetto di Enrico VI, che da Borgo San Donnino (oggi Fidenza), estese la propria protezione al monastero di San Benedetto di Polirone. Rientrato in Cremona, il 23 maggio 1197 Sicardo ottenne un nuovo incarico da Urbano III, che lo pregò di far restituire alle benedettine pavesi di Santa Maria Teodote i beni ingiustamente alienati e infeudati. Il 30 maggio 1190 Sicardo fu designato arbitro da Clemente III, insieme a Bergondio, abate di San Lorenzo di Cremona, in una lite fra la pieve di Sorbolo e l’abate di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia per la cappella di San Siro in curte Casalis Sancti Petri. Il 28 marzo 1192 ancora con con l’abate di San Lorenzo Bergondio dette esecuzione a una precedente sentenza in una lite fra il vescovo di Lodi Arderico e Gandolfo abate di San Sisto di Piacenza. Nel luglio, su mandato papale, ebbe l’ordine di verificare le prerogative della chiesa di Tolla, posta entro i confini della pieve di Castell’Arquato. L’anno seguente, al 7 di giugno 1194, si trovava a Roncaglia, dove presenziò a un diploma di Enrico VI per San Prospero di Reggio. Il 26 luglio 1194 con l’incaricato papale Dionisio, abate di Cerreto, confermò quanto disposto relativamente alle nomine canonicali della chiesa di Bergamo. Il 4 giugno 1196 ricevette l’incarico di risolvere la diatriba che opponeva il priorato nonantolano di Santa Croce ai vicini dell’omonima parrocchia, e sempre nell’estate, il 23 agosto, raggiunse Pavia al seguito di Enrico VI. Per l’anno 1197 si segnalano il recupero di parte dei diritti sulla corte cremonese di Casalbuttano, e nell’ottobre la conclusione della vertenza tra l’arciprete di Sorbolo e la badessa di Sant’ Alessandro di Parma, sottoposta al suo giudizio.
Sul versante interno, costante fu il suo affiancamento al Comune cittadino, accompagnandone, e a tratti dirigendone, la politica, ma anche difendendo vigorosamente – ogni volta che poteva – la libertas ecclesie. Nel 1186 cercò di pacificare i Cremonesi con Federico I (che aveva avallato la ricostruzione di Crema), vantandosene poi nella sua Cronica: «grazie al mio operato tra l’imperatore e i miei concittadini avvenne la riconciliazione» (Cronica, ed. O. Holder-Egger, p. 168, trad. personale).
Su richiesta di Sicardo, Urbano III gli assicurò (4 novembre 1186) la giurisdizione spirituale sull’intero territorio diocesano, impedendo che la cura d’anime potesse essere esercitata da religiosi privi dell’approvazione vescovile. L’anno successivo, a Ferrara (2 novembre 1187) ottenne da Gregorio VIII un precetto solenne in difesa delle chiese e dei patrimoni economici della diocesi cremonese. Messo a posto così il quadro generale, fu possibile prendere una miriade di iniziative.
La collaborazione con il Comune continuò negli anni successivi, anche se l’imperatore negò ai Cremonesi la ricostruzione di Castel Manfredi (dopo un fallito tentativo di intercessione da parte di Sicardo stesso, appositamente recatosi di nuovo in Germania). Sempre in accordo con i Cremonesi il vescovo predispose l’allestimento di una buza, una nave da carico per persone e merci, che, terminata nel medesimo 1189, salpò da Casalmaggiore in direzione della Terrasanta. Sicardo recuperò poi (novembre 1188) il controllo della curtis di Bressanoro sulla quale fu eretto il borgo franco di Castelleone. Nel settembre 1189 permise la fondazione del castello nella corte vescovile di Fornovo (già dotata, al pari del borgo di Soncino, di libertates, e sulla quale egli, a nome dell’episcopato, si riservò i diritti giurisdizionali e fiscali), ottenendo anche una cospicua donazione da parte dell’arciprete di Fornovo, che assegnò alla Chiesa cremonese la propria quota, ereditata dal padre, sul castello e il territorio di Masano. In seguito, il 23 agosto, assegnò alla badessa del cenobio benedettino di San Leonardo de Capite Mose l’ospedale omonimo, fatti salvi i diritti episcopali.
Speciale attenzione fu posta da Sicardo ai cenobi femminili in diocesi. Il 20 settembre del 1192 consacrò la chiesa di San Giovanni in Deserto di Grontardo, e stabilì l’adozione della regola benedettina per la comunità di religiose, che egli stesso aveva incentivato e sostenuto, non ostacolando l’indulgenza plenaria sul modello crociato, promossa dalla mistica Matilde di Pontevico. Sempre per delega di Celestino III, Sicardo e Bergondio l’11 dicembre 1192 si occuparono della causa insorta tra la pieve di Castell’Arquato e gli abitanti di Metti. Il medesimo giorno, entrambi presero visione del breve imperiale inviato al vescovo di Trento e a una commissione di giudici, con il quale era a questi ultimi sospesa la facoltà di sentenziare nella causa con i Cremaschi riguardo all’Insula Fulcheria. Nel maggio 1193 definì i confini della parrocchia facente capo alla chiesa dei Templari in Cremona, separandola da quella di Ognissanti. Nel dicembre dello stesso anno ottenne la possibilità di giudicare tutte le cause ecclesiastiche di appello in diocesi, che non superassero il valore di 40 soldi. Tra il 1194 e il 1195 fece importanti investiture a favore dei propri vassalli, in particolare ai de Burgo e ai Dovara.
Favorì infine la ripresa della devozione per sant’Imerio, protettore della diocesi, le cui reliquie, unite a quelle del martire Archelao, nel giugno del 1196 furono riposte in un’arca nella cripta della cattedrale, solennemente consacrata. La cerimonia fu preceduta da una processione, con 130 vessilli ecclesiastici, e i due santi assunsero da quel momento il ruolo di defensores civitatis. Ma intuendo anche che i tradizionali modelli di santità non rispondevano pienamente alle esigenze religiose circolanti presso gli ambienti laicali, Sicardo, costantemente alla ricerca della coesione fra i gruppi interni alla città e l’insieme del popolo, nel 1198 si fece artefice della promozione a santo del cremonese Omobono, deceduto il 13 novembre 1197. Con una apposita delegazione, egli si recò a tal fine personalmente a Roma presso Innocenzo III, recentemente eletto. Il processo di canonizzazione del cittadino cremonese, conclusosi il 12 gennaio 1199, promosse Omobono a esempio di cristianesimo attivo, incentrato sulle opere di carità. Non si esclude inoltre che (come vuole la tradizione locale) sia stato Sicardo a favorire la creazione (1200 circa), a seguito di un evento miracoloso, del cenobio femminile di S. Lorenzo di Genivolta.
Il primo triennio del pontificato innocenziano trascorse tra le consuete legazioni e arbitrati: a Parma nel dicembre 1199, per una lite che coinvolgeva il capitolo della cattedrale; e – ben più importante – a Pinerolo nel 1201, per un tentativo di pacificazione fra le città lombarde, insieme con l’arcivescovo di Milano e il priore di Camaldoli. I suoi buoni rapporti col papa non vennero meno nel 1201, quando Innocenzo III scomunicò Cremona per questioni connesse alla fiscalità ecclesiastica. Già crucesignatus, prima della partenza per l’Oriente Sicardo sistemò varie questioni concernenti le comunità religiose femminili di S. Leonardo Ponte Petre e di S. Sisto, rinnovò i feudi ai Sommi, riformò la chiesa di Sabbioneta, traslò il corpo di Omobono in cattedrale (con esposizione delle reliquie nell’anniversario della morte). Ottenne dal pontefice di continuare le celebrazioni, nonostante l’interdetto a cui era sottoposta la città. L’assenza per la Quarta crociata, ove operò come legato papale insieme ai cardinali Pietro Capuano e Soffredo di Pisa, durò oltre tre anni (settembre 1202-dicembre 1205).
Raggiunta Acri a fine aprile 1203, Sicardo e Pietro accolsero a Seleucia il giuramento di Giovanni VI Medzabaro, cancelliere del Regno e Cattolico d’Armenia; questa chiesa riconobbe pertanto il primato di Roma. Nei mesi successivi, tra 1203 e 1204, coi predetti cardinali compare ad Acri in diversi atti di ordinaria amministrazione (collazione di diritti decimali, testamenti) ed ebbe parte nel tentativo di comporre le controversie fra Leone re di Armenia e Boemondo conte di Tripoli circa la successione al principato di Antiochia. Tra l’ottobre e il novembre del 1204, sempre al seguito dei predetti cardinali, si trasferì a Costantinopoli (ove il 18 dicembre celebrò in S. Sofia col cardinale Capuano). Rimase a Costantinopoli anche l’anno successivo, sino a che Pietro Capuano (senza autorizzazione papale) pose fine alla legazione e alla crociata.
Al rientro in Cremona, Sicardo continuò a manifestare tanto le proprie attitudini alla buona amministrazione della diocesi (sia sul piano economico che disciplinare; nel giugno 1206 ad esempio ridusse d’imperio il numero dei chierici e dei benefici nella pieve di Arzago), quanto la piena disponibilità a farsi solerte strumento delle tattiche e delle strategie di Innocenzo III in Lombardia e in generale nell’Italia settentrionale.
Su questo secondo fronte, nel 1206 impedì al Comune di Mantova di erigere il castrum di San Leone sul fiume Zara, contro i Reggiani, e ancora a Mantova si occupò di una questione concernente le benedettine di San Giovanni Evangelista di Mantova (1207). Successivamente si occupò, col vescovo di Parma Obizzo Fieschi, delle prebende di Borgo S. Donnino, arbitrò un contrasto fra il vescovo di Bobbio e il monastero di S. Colombano, sovraintese (dicembre 1208) alla rielezione dell’abate di S. Stefano al Corno nel lodigiano insieme col vescovo di Ivrea Pietro e con Gerardo da Sesso abate di Tiglieto, coi quali l’anno successivo (dicembre 1209) fu designato come collettore di fondi per la crociata. Nell’aprile 1210 fu di nuovo a Borgo S. Donnino (è presente come teste a un diploma di Ottone IV per il monastero della Colomba).
Sul fronte interno, oltre ad assestare definitivamente il sistema prebendale del capitolo, conformemente a quanto accadeva un po’ in tutte le diocesi (maggio 1210), Sicardo fu protagonista (pur sempre in veste di delegato papale) di un celebre lodo fra i partiti cremonesi (11 marzo 1210). Pose fine alla contrapposizione fra le due societates dei milites e del Popolo, escludendo i magnati presenti fra i populares, e assicurando a questi ultimi un terzo delle cariche all’interno degli organismi comunali; ma subordinò il podestà nominato dalla Societas populi, al podestà del Comune di Cremona, e ordinò inoltre un’equa distribuzione del carico fiscale, proporzionale all’effettiva ricchezza dei cittadini.
Gli ultimi cinque anni di vita dell’ormai anziano vescovo furono contrassegnati ancora da un frenetico susseguirsi di incarichi papali e di legazioni, sempre in Lombardia, visto che non aderì a due onerose, pur se onorifiche, proposte che l’avrebbero portato in Oriente.
Nel 1210 non svolse la legazione in Terrasanta per arbitrare, con l’eventuale collaborazione dei patriarchi di Gerusalemme e Antiochia, il contrasto fra Leone II re d’Armenia, Boemondo di Tripoli e i Templari, per il controllo di Antiochia. L’anno successivo insieme col cardinale Pietro Capuano e Robert de Courson fu proposto, dal capitolo di Santa Sofia e dal clero latino di Costantinopoli, ma senza il consenso di Innocenzo III, come candidato alla successione a Tommaso Morosini come patriarca latino.
In Italia, l’incarico più significativo del 1210 fu la designazione di un nuovo vescovo per la sede di Ferrara, ma ben più rilevante fu l’attività svolta nel 1211 per sabotare il sostegno delle città padane allo scomunicato Ottone IV di Brunswick. Questa linea, per giunta, coincideva appieno con gli interessi di Cremona: la diocesi di Sicardo fu sottratta alla giurisdizione arcivescovile (in funzione antimilanese), e si vide accresciuta dei diritti giurisdizionali sul territorio cremasco (in funzione antipiacentina: marzo 1212). Con il passaggio da Cremona, il 30 luglio 1212, del giovane Federico II, per la città si aprì una nuova e decisiva fase, alla testa dello schieramento filoimperiale.
Sicardo seguì l’eletto imperatore, che era riuscito a sfuggire alle insidie dell’esercito milanese, e si diresse in Germania. Il 22 di agosto era a Mantova, dove, come legato papale, partecipò alle trattative che videro i consoli di Cremona ricevere tre giorni dopo a Verona, dal vescovo di Bari Berardo, rappresentante del sovrano, il precetto con il quale si rinnovavano ai Cremonesi le concessioni già rilasciate riguardo al castrum di Crema e alle terre dell’Insula Fulcheria. Durante tale viaggio si fermò presso l’ospedale di passo di Santa Maria di Campiglio, tra la val Rendena e la val di Sole, al quale rilasciò un’indulgenza.
In quel biennio, l’attività di governo ecclesiastico di Sicardo, vero e proprio “proconsole” innocenziano più che legato, fu particolarmente intensa. Occuparsi di nomine e di deposizioni di vescovi, del resto, significava gestire questioni legate, in modo molto variegato da città a città, ma con mille fili – alla politica imperiale.
In questo quadro rientrano la deposizione, con l’assenso o la richiesta di Innocenzo III, dei vescovi di Vicenza (Uberto II) e di Brescia (Giovanni da Palazzo, per età e stato di salute inabile a ricoprire l’ufficio). Sicardo inoltre confermò la decisione di Innocenzo III di sospendere dalla carica Tiso da Vidor, vescovo dilapidatore di Treviso (gennaio 1213) e indusse Niccolò Maltraversi, eletto vescovo di Reggio, ad assumere la cura temporale e spirituale della diocesi di Vicenza.
Tra il 2 e il 19 maggio del 1213, stando in Cremona, Sicardo assistette all’emanazione dei bandi pronunciati dal vicario di Federico II e dai suoi rappresentanti contro le città aderenti alla lega anticremonese, capeggiate da Milano. E il 4 giugno il pontefice confermò la scomunica comminata dai legati, tra i quali vi era lo stesso Sicardo, contro gli Alessandrini, sostenitori di Ottone IV. Con la funzione di legato svolse il suo ultimo incarico il 10 giugno 1213, quando ricevette l’ordine di obbligare alle dimissioni Gerardo Ariosti, vescovo di Bologna.
Di ordinaria amministrazione è invece una miriade di altri provvedimenti disciplinari presi fra 1212 e 1215, sul duplice fronte della problematica situazione di tanti monasteri padani e del governo della diocesi cremonese.
Tra l’aprile e l’agosto 1212 Sicardo si era occupato della sistemazione delle disastrate finanze del monastero di S. Benedetto di Leno (Brescia), della chiesa di S. Ulderico di Piacenza, delle prevaricazioni dell’abate S. Tommaso di Cremona. Nel 1212 incaricò Gualterio, abate di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, per sentenziare riguardo alla causa che opponeva le monache di Santa Maria de Campis di Acqui alla priora di San Michele di Zibido, la quale negava la propria dipendenza da tale cenobio.
Nel contempo aveva continuato a porre attenzione alla situazione patrimoniale delle chiese della propria diocesi, recuperando nel marzo del 1211 i diritti di decima detenuti dal gruppo vassallatico dei Casali sulla pieve di San Maurizio di Casanova. Sul versante cremonese non si affievolì la spinta caritatevole, e il 16 aprile 1213 il presule ebbe in dono da un gruppo di donne guidate da Bellacara Gadio un’area di loro proprietà per innalzarvi una chiesa nei pressi di quella di San Lazzaro. Riuscì ancora tra il novembre del 1213 e l’aprile del 1214 a definire i confini delle circoscrizioni ecclesiastiche di San Maurizio di Casanova, Santo Stefano di Casale e San Pietro di Pieve Gurata, nonché di Rivarolo Mantovano.
Già gravemente debilitato, morì l’8 giugno 1215, il lunedì dopo la Pentecoste, come fu annotato nell’Obituario della Cattedrale (Novati, 1881, pp. 52 s.).
L’estensore del suo necrologio, certamente un chierico della cattedrale, volle tramandare ai posteri un vivo ricordo del grande vescovo. Ne esaltò la religiosità dagli accenti mistici, e la fama universale raggiunta con il suo indefesso operare nell’interesse della Chiesa romana e della città, a cui rese onore dotandola di sante reliquie, come il braccio di S. Massimo, nonché ornando la Cattedrale, la cui costruzione fu da lui condotta a termine, alla quale lasciò una grande croce e due candelabri. Il testo non manca di ricordare la promozione del culto di S. Omobono e l’offerta ai Cremonesi dell’opera di maggior valore agli occhi di un chierico, il Mitrale, un ampio trattato di prassi liturgica in nove libri.
La produzione di scritti, da parte dell’operosissimo vescovo, è notevole per quantità e varietà. Tra le opere perdute, si ricorda una giovanile raccolta di narrazioni mitologiche, il Liber Mythologie, da lui citato nel prologo della sua Cronica, nonché nella Summa canonum (Cronica, ed. O. Holder-Egger, p. 78). A lui è attribuita la stesura della vita di Omobono, da identificarsi forse con l’anonimo testo agiografico riferito al santo intitolato Cum orbita solis. Le sue competenze canonistiche sono ravvisabili nella Summa canonum, anche nota come Concordantia discordantium canonum, ancora inedita. Il commento scolastico, destinato a facilitare gli studenti nello studio del Decretum di Graziano, fu redatto durante il suo periodo di insegnamento a Magonza, tra il 1179 e il 1181, e terminato senz’altro prima della sua elezione a vescovo nel 1185.
La Summa è indirettamente citata anche nel Mitralis de officiis ecclesiasticis, l’opera che gli dette maggiore fama, avviata durante il suo episcopato, tra il 1185 e il 1195, e conclusa entro il 1205. Intriso di spiegazioni simboliche e allegoriche, il Mitrale è incentrato sulla pastorale liturgica e sui riti della Chiesa, di cui sono mostrati la ricchezza di significati e il valore nel favorire la pietà e la formazione dei fedeli. Vi si racchiudono in armoniosa sintesi teologia, arte, diritto e morale, e tale compilazione esercitò un’influenza decisiva sulla successiva storia della liturgia.
Ampiamente utilizzata dalla storiografia è la sua Cronica, la seconda cronaca universale italiana dopo quella di Romualdo Salernitano. Composta in gran parte anteriormente al 1202, prima della sua partenza per l’Oriente, è una storia teologica, nel quale si sviluppa il tema agostiniano del conflitto fra la città di Dio e la città terrestre, e in cui è percorsa tutta la storia dell’umanità, suddivisa in sei età. Gli schemi storici correnti sono ripresi per i tempi più antichi, mentre le osservazioni risultano originali e più personali relativamente alla storia di Cremona e agli avvenimenti a lui contemporanei. Vi si conserva lo stile spoglio delle cronache, ancor più sintetico dopo il 1200. La cronaca sicardiana s’arresta al 1213, e il seguito, fino al 1220, è dovuto a dei continuatori, che per l’anno 1215 aggiunsero tale annotazione: «Obiit presul Sighardus mense iunii, huius presentis operis compilator» (Cronica, ed. O. Holder-Egger, p. 181).
Si deve inoltre a Sicardo l’avvio della riorganizzazione del materiale documentario del fondo episcopale cremonese, confluito in parte nel Liber privilegiorum episcopii, noto come Codice di Sicardo, ove si trascrissero i maggiori privilegi concessi dagli imperatori e gli atti più significativi per il recupero di beni persi o la difesa di aree soggette a contese relative alle proprietà della Chiesa cremonese.
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