vespa
Nei mosconi e nelle vespe che tormentano i pusillanimi (If III 66) Guido da Pisa vede " similitudinem et figuram vilissimarum cogitationum ac etiam operationum, quas cogitant et operantur in hoc mundo isti tales miseri et vecordes ", mentre Benvenuto giustifica il ricorso a tali punitori con il fatto che " ista... animalia generantur ex putrefactione et superfluitate ".
Più diffusamente il Boccaccio: " Li quali mosconi e vespe sono da intendere per la memoria di due loro singulari miserie... le quali furono l'una nel brutto e sporcinoso modo di vivere che tennero, l'altra nell'oziosamente vivere... Le vespe s'ingenerano delle interiora dell'asino similemente corrotte, e l'asino essere inerte, ozioso e torpente animale assai chiaro si conosce per tutti; e però per le punture delle vespe, amarissime, assai bene si dee comprendere, per quelle, il morso doloroso della rimembranza della loro oziosità, dal quale sono dolorosamente trafitti ".
In una seconda occorrenza il termine ricorre in sede di paragone col drago / che per lo carro [della Chiesa] sù la coda fisse; / e come vespa che ritragge l'ago, / a sé traendo la coda maligna, / trasse del fondo, e gissen vago vago (Pg XXXII 133). Tra le varie interpretazioni proposte per il drago (v.), Benvenuto accoglie, con numerosi altri, quella che ne fa una figurazione di Maometto, e osserva: " Et est comparatio propria de vespa quae est inimica api, et vastat dulcem fructum eius, sicut Machomettus Christi ".