GAGLIOFFI (de Gallioffis, de Gaglioffis, Gaglioffus), Vespasiano
Nacque con ogni probabilità a L'Aquila nella prima metà del sec. XV da Antonio Battista e da Pasqua di Pietruccio di Bonomo del Corbaro, da famiglia forse nobile, ma senza dubbio agiata. Allo stato attuale delle ricerche, nulla si conosce della sua giovinezza e dei suoi studi, ma è certo che abbracciò la vita ecclesiastica conseguendo gli ordini minori fino all'arcidiaconato: nelle scarse citazioni che di lui fanno le fonti coeve il suo nome appare sempre accompagnato dalla qualifica di arcidiacono della Chiesa dell'Aquila. Il Burckardo, nell'annotarne la morte, lo ricorda anche come "Sedis Apostolice protonotarius"; il Pontani riporta la voce che sarebbe stata intenzione del papa Innocenzo VIII (1484-92) crearlo cardinale (la notizia è stata ripresa dall'erudito settecentesco A.L. Antinori, il quale però, erroneamente, l'attribuisce al cronista Stefano Infessura). Non siamo in grado di valutare l'attendibilità di queste informazioni per mancanza di riscontri. Tuttavia, tenendo presenti le poche tappe della sua vita per le quali abbiamo precisi riferimenti, dobbiamo concludere che il G. intrattenne effettivamente stretti rapporti con la Curia romana e che, in particolare, fu legato al card. Giovanni Battista Cibo, poi divenuto papa col nome di Innocenzo VIII.
Probabilmente nell'ottavo decennio del secolo il G. aveva preso in mano le redini della fazione cittadina di cui la sua famiglia doveva costituire da molto tempo l'elemento trainante. In questa prima fase della sua azione politica egli si dovette mantenere su una linea di stretto lealismo nei confronti del sovrano napoletano, Ferdinando I d'Aragona. L'aquilano Bernardino Cirillo, che scriveva nel 1540, afferma che il G. era "elemosiniere e familiarissimo del re Ferrante". Poiché la notizia non trova riscontro nelle fonti note, non siamo in grado di valutarne il valore e l'attendibilità. Essa ha tuttavia una sua rilevanza, in quanto attesta che, cinquant'anni dopo la tragica morte del G., la memoria storica dei suoi concittadini conservava ancora il ricordo del ruolo di prestigio da lui ricoperto nell'opera di sostegno del sovrano legittimo e della sua politica. D'altro canto, la presenza del G. e della sua fazione nella vita pubblica aquilana appare in realtà strettamente legata agli interventi operati nella città da Ferdinando I, il quale sin dal 1476 aveva avviato una riforma che si proponeva di allontanare il ceto mercantile-industriale della città dalla fazione guidata dal conte di Montorio e dai Camponeschi, per avvicinarlo al popolo minuto e al ceto agrario-mercantile che si riconosceva nelle organizzazioni delle arti e dei mestieri, di cui i Gaglioffi rappresentavano da tempo il nucleo forte. Siamo infatti informati che nel marzo del 1480 Ferdinando concesse alla città dell'Aquila, rappresentata per l'occasione dal G. e da Giambattista Marin, il diritto di creare nuovi conii e di battere moneta (secondo alcuni studiosi questa concessione sarebbe invece stata fatta più tardi, durante il periodo dell'effimero dominio pontificio, in seguito a un intervento del fratello del G., Giovanni Battista, allora vescovo dell'Aquila, e non dal re). Nel febbraio 1481 il G. ricevette da Sisto IV l'incarico di sovrintendere, in sostituzione del vescovo dell'Aquila Ludovico Borgia, in quel momento fuori sede, alla solenne presa di possesso, da parte dei francescani dell'Osservanza, dell'antico monastero di S. Angelo d'Ocre, fino ad allora retto da monaci della Congregazione benedettina degli olivetani. Ancora l'8 giugno 1484 il G. - che fino all'ottobre dell'anno successivo mantenne un rapporto confidenziale con Alfonso d'Aragona duca di Calabria - ricevette i ringraziamenti del sovrano napoletano per aver contribuito al recupero di alcuni castelli occupati dai figli del conte di Maneri (Barone, p. 77; Colapietra, p. 105, alle pp. 108, 118 sono segnalate altre missive aragonesi e una di Virgilio Orsini al Gaglioffi).
L'avvento al soglio pontificio, il 12 sett. 1484, di Innocenzo VIII ebbe un'immediata ripercussione sulla situazione interna dell'Aquila, già turbata dal malcontento generale provocato dagli aggravi delle imposte su alcuni generi di prima necessità - carne, pesce, grano, vino - decisi da Ferdinando I per sopperire alle spese militari richieste dalla lotta contro la rivolta dei baroni. Di fronte ai disordini e al crescente malumore della città il re inviò a L'Aquila Antonio Cicinello con il titolo di luogotenente del principe di Capua, governatore d'Abruzzo, e con pieni poteri. Il duro regime da questo instaurato nel tentativo di ripristinare l'ordine pubblico e riportare la pace nella città, però, fece esplodere le tensioni interne e precipitare la situazione.
Il 25 sett. 1485 il Cicinello fu assassinato e, nel confuso momento che ne seguì, la direzione pubblica fu di fatto assunta dalla fazione capeggiata dal G.: quest'ultima, prevalendo su quella lealista guidata dai Camponeschi e su quella indipendentista, si rivolse immediatamente alla Sede apostolica, chiedendone la protezione e riconoscendone l'alto dominio. In quel momento il G. si trovava a Roma, dove si era recato, ignoriamo esattamente quando, e dove si era trattenuto per un certo periodo di tempo presso la Curia pontificia. Ci viene inoltre riferito che, rientrato in Abruzzo, in modo semiclandestino ma, pare, con il consenso di Alfonso d'Aragona duca di Calabria, egli fece ritorno a L'Aquila solo otto giorni dopo la morte del Cicinello, passando per Sulmona. Tale connettersi di circostanze rende legittimo ritenere, da un lato, che esistessero segrete intese e accordi pregiudiziali tra il pontefice e la fazione del G., dall'altro, che egli si fosse recato a Roma non solo per ottenere al nuovo regime il riconoscimento ufficiale e l'appoggio della S. Sede, ma anche l'invio immediato di un contingente militare necessario a respingere la prevedibile azione repressiva del re di Napoli. Queste ipotesi sono confermate dalle parole dell'oratore fiorentino presso la Curia, Guidantonio Vespucci, il quale, in un dispaccio a Lorenzo de' Medici del 5 ott. 1485 (Pontieri), scriveva che a suo giudizio i fatti dell'Aquila avevano le loro radici a Roma. Lo accerta, d'altro canto, il fatto che il papa, il quale nutriva un forte interesse a far propria L'Aquila, si affrettò a inviare nella città abruzzese non solo truppe e bandiere pontificie, ma anche un suo legato, il card. Giovanni Michiel. Questi entrò a L'Aquila il 30 ottobre, quando già vi erano giunte le sue milizie e quando un altro Gaglioffi, Iacopo, era stato fatto capitano del castello di Stiffe.
Tra la fine del 1485 e la prima metà dell'anno successivo la posizione del G. e della sua fazione si rafforzò sia sul fronte esterno, grazie all'esito vittorioso di una serie di scontri con le truppe regie guidate dal duca di Calabria, sia sul fronte interno, grazie a un progressivo isolamento dei Camponeschi e in particolare del loro capo, l'anziano Pietro Lalle, conte di Montorio. Il G. giunse a una rottura completa con la parte nobiliare intorno alla metà del 1486. Il 23 giugno condusse gli armati della sua fazione contro i suoi avversari politici all'interno dell'Aquila. Nei tafferugli trovarono la morte alcune eminenti personalità, tra cui "Odoardo, e Riccardo [Camponeschi] di Messer Ettore e Francesco Piccolo nelle case vecchie de' Gaglioffi à rumore di popolo", come ricorda il cronista Vincenzo Basili. In seguito numerosi esponenti del partito lealista ritennero opportuno abbandonare la città per cercare rifugio nel feudo dei Camponeschi a Fontecchio.
Nel frattempo la guerra contro i baroni, si era risolta con la vittoria del re Ferdinando, e la conclusione della pace tra quest'ultimo e il papa Innocenzo VIII, portò all'isolamento del G. e del regime da lui instaurato a L'Aquila. Avendo visto fallire, a causa della decisa opposizione degli avversari guidati dal camerlengo della città, Giacomo Antonelli, i tentativi di indurre i concittadini a resistere, da soli, contro le armi regie, ed essendo venuto a sapere che il duca di Calabria era giunto con le sue truppe tra Montesilvano e il fiume Pescara e che a lui si erano unite le soldatesche dei Camponeschi, il G. inviò al re ambasciatori, offrendo la resa della città. Il G. abbandonò la città solo il 10 ott. 1486, quando già vi stavano facendo il loro ingresso le truppe regie (erra il Signorini che pone questi fatti nel mese di settembre).
Datosi, travestito, alla campagna, fu raggiunto e bloccato nei pressi del mulino delle Colombaie, vicino alla chiesa di S. Maria del Popolo, dal conte di Popoli, Restaino Cantelmo e dai suoi armati. Fu giustiziato sul posto come colpevole di alto tradimento, insieme con un cugino, sacerdote, che era anche il suo cappellano. Il corpo fu gettato nel fiume e la casa dell'Aquila fu saccheggiata.
La notizia della morte del G. giunse pochi giorni dopo a Roma, dove, secondo alcune testimonianze contemporanee, egli fu pianto da Innocenzo VIII.
Il G. ebbe almeno quattro fratelli: Giovanni Battista, Costantino, Filippo Angelo e Pietro Paolo.
Giovanni Battista, abbracciata la vita ecclesiastica, era già presbitero nel 1461, quando fu nominato abate secolare di S. Giovanni di Collimento in Lucoli, col compito di riformare questa comunità monastica. Il 9 genn. 1486 (secondo Eubel; il 6 gennaio, invece, secondo Colapietra, p. 126, che cita un breve pontificio del 16 nov. 1485 in cui si annunciava la futura nomina) da Innocenzo VIII fu promosso a succedere, sulla cattedra dell'Aquila, al vescovo Ludovico Borgia, morto il 26 novembre dell'anno precedente. Con tale nomina il papa intendeva con ogni probabilità rafforzare la posizione del partito filopontificio capeggiato dai Gaglioffi. Il nuovo vescovo gli presentò poco dopo, a nome dei suoi concittadini, un'istanza che venne accolta con un breve del 15 marzo. Nell'autunno di quel medesimo anno, quando si profilò inevitabile la caduta dell'Aquila nelle mani del duca di Calabria, Giovanni Battista riparò a Roma sotto la protezione di Innocenzo VIII. Benché fosse stato accusato di collusione con il decaduto governo filopontificio e di essere corresponsabile, insieme con i suoi fratelli, della morte di Odoardo e di Riccardo Camponeschi, avvenuta il 23 giugno 1486, il presule poté qualche tempo dopo far ritorno nella sua sede episcopale, come è attestato dalla circostanza che nel 1488 riuscì a far risolvere un'antica vertenza tra i canonici della cattedrale e l'arciprete di S. Biagio di Amiterno con un decreto delle autorità cittadine, che fu recepito da una bolla pontificia dell'anno successivo. Di indole bizzarra, ma dotato di indubbie capacità e di una notevole cultura, Giovanni Battista si fece stimare soprattutto a Roma negli ambiti della Curia: Innocenzo VIII, che ne apprezzava la prudenza e la saggezza, lo volle infatti presso di sé come consigliere. Proprio a Roma, nel 1493, il presule incontrò tragicamente la morte: il 27 febbraio, secondo il cronista Vincenzo Basili; nella notte tra il 23 e il 24 dello stesso mese, secondo Burckardo (errata è l'indicazione del 1491 fornita dal Signorini e dal Rivera). Egli venne infatti assassinato - probabilmente per errore - mentre dormiva nel palazzo di S. Pietro in Vincoli, dove era ospite del card. Giuliano Della Rovere.
Fonti e Bibl.: G. Pontani, Il diario romano…, a cura di D. Toni, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., III, 2, p. 651; I. Burchardi Liber notarum, a cura di E. Celani, ibid., XXXII, 1, p. 165; M. Sanuto, La spedizione di Carlo VIII in Italia, a cura di A. Fulin, Venezia 1873, p. 42; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], V, Roma 1890, pp. 206, 220, 399 ss.; V. Basili da Collebrincioni, Cronaca (1476-1564), in G. Pansa, Quattro cronache e due diarii inediti relativi ai fatti dell'Aquila dal sec. XIII al sec. XVI…, Sulmona 1904, pp. 65-67, 94; E. Carusi, Dispacci e lettere di Giacomo Gherardi nunzio pontificio a Firenze e Milano (11 sett. 1487 - 10 ott. 1490), Roma 1909, p. XXVI; Id., Alcuni documenti per la congiura dei baroni negli Abruzzi (1485-1486), in Bull. della R. Deputaz. abruzzese di storia patria, s. 3, I (1910), p. 12; L. Cassese, La "Chronica civitatis Aquilae" di Alessandro de Ritiis, in Arch. stor. per le prov. napoletane, n.s., XXIX (1943), pp. 233, 237, 244; B. Cirillo, Annali della Città dell'Aquila con l'historie del suo tempo, Roma 1570, cc. 80v-81r, 83r, 84r, 86rv; Regesti delle fonti archivistiche degli Annali antinoriani…, a cura di A. Clementi - M. Berardi, L'Aquila 1980, pp. 11 s.; G. Albino, De gestis regum Neapolitanorum ab Aragonia qui extant libri quatuor, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli…, V, Napoli 1769, pp. 41, 65 s.; A.L. Antinori, Raccolta di memorie istor. delle tre provincie degli Abruzzi, IV, Napoli 1783, pp. 33 s., 37, 41, 70 ss., 75 ss., 79; A. Signorini, La diocesi di Aquila descritta ed illustrata, II, Aquila 1868, pp. 69-72; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia…, XXI, Venezia 1870, p. 429; N. Barone, Notizie storiche raccolte dai Registri Curiae della Cancelleria aragonese, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XIII (1888), p. 771; G. Rivera, La dedizione degli Aquilani ad Innocenzo VIII meglio dichiarata da alcuni brevi dello stesso pontefice, in Bull. della Soc. di storia patria "A.L. Antinori" negli Abruzzi, I (1889), pp. 33-39, 168, 174; II (1890), pp. 16 s.; R. Colapietra, L'Aquila e l'Abruzzo nell'età aragonese, in Riv. stor. del Mezzogiorno, I (1966), pp. 105, 108, 118-120, 124, 126-130, 133-135; E. Pontieri, La politica mediceo-fiorentina nella congiura dei baroni napoletani contro Ferrante d'Aragona…, Napoli 1977, pp. 75 s.; R. Colapietra, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia dell'Aquila, L'Aquila 1984, pp. 189, 212, 214, 243; C. Eubel, Hierarchia catholica…, II, Monasterii 1914, p. 91.