vespero
È la penultima delle sette ore canoniche, fra nona e compieta, corrispondente a circa le 15 pomeridiane (cfr. A. Quaglio, Appendice all'ediz. 1964 Busnelli-Vandelli del Convivio, II 409).
D. la ricorda in Cv IV XXIII 14 (due volte) insieme col mezzo vespero (§ 16), corrispondente a circa le 16,30. Il vocabolo ricorre anche in Rime CIII 69, dove il poeta immagina di afferrare le trecce della sua donna, per averla in dominio un'intera giornata, da prima della terza ora, corrispondente alle nove antimeridiane, fino a quando non suonassero le squille della campana di compieta: pigliandole anzi terza, / con essa passerei vespero e squille.
Negli altri esempi, ricorre come determinazione di tempo piuttosto larga, per indicare tutto il periodo di tempo che si estende dal momento in cui le campane suonavano il vespro fino al calar della sera. Poiché nel momento in cui egli parla, all'orizzonte del Purgatorio il sole è ormai sorto da un certo tempo, Virgilio, osservando che vespero è già colà dov'è sepolto / lo corpo dentro al quale io facea ombra (Pg III 25), viene a dire che a Napoli si era a pomeriggio inoltrato. Altri esempi in XV 139 Noi andavam per lo vespero, attenti / oltre quanto potean li occhi allungarsi / contra i raggi serotini e lucenti, e al v. 6.