VETO
. È comunemente detto veto il diritto di opposizione (intercessio) che avevano nel diritto pubblico romano il magistrato e il tribuno: v. intercessione. Si chiama anche veto, la facoltà che il capo dello stato ha di negare la sua sanzione a una legge: v. legge; sanzione. Ma la parola ha assunto una significazione tecnica nel campo del diritto ecclesiastico.
In esso il veto, detto anche esclusiva, era la facoltà - esercitata per alcuni secoli dai grandi stati cattolici (Austria, Francia, Spagna) - di proibire l'elezione al papato di una determinata persona, comunicando tale proibizione mediante dichiarazione formale fatta al Sacro Collegio per mezzo di un cardinale, al momento dell'elezione. In altri termini era la facoltà di dichiarare a ogni elezione di pontefice un cardinale come passivamente incapace, senza peraltro che ciò potesse infirmare la validità della scelta se, nonostante il veto, questa fosse caduta sull'escluso.
Questa forma di ingerenza nell'elezione del pontefice (risalente, secondo alcuni, alla fine del sec. XVII, secondo altri alla metà del sec. XVI), fu esercitata l'ultima volta nel conclave del 1903 mediante una dichiarazione del cardinale Puzyna, con la quale, per mandato dell'imperatore d'Austria iure et privilegio antiquo uti volentis, si poneva il veto all'elezione del cardinale Rampolla. Il pontefice Pio X, eletto nello stesso conclave, con la costituzione Commissum Nobis del 20 gennaio 1904 (annessa poi al Codex iuris canonici) diretta a escludere ogni immistione estranea e a garantire l'indipendenza degli elettori, condannava il veto od esclusiva, comminando la scomunica, latae sententiae, riservata al futuro pontefice, contro il cardinale o altro partecipante al conclave che se ne facesse in qualunque modo portatore al Sacro Collegio.
Si è discusso molto dai giuristi sulla natura del veto. Alcuni lo consideravano come un diritto, per quanto discordi sul suo titolo, se cioè introdotto dalla consuetudine, o acquistato per prescrizione di fronte al conclave, o per privilegio: altri invece lo ritenevano un abuso tollerato dal Sacro Collegio per mere ragioni di opportunità e di prudenza. Attualmente non può più esser messo in dubbio, dopo la costituzione Commissum Nobis, che il veto costituisca una immistione illegittima dell'autorità laica nell'elezione del pontefice, immistione condannata ed espressamente riprovata anche sotto la forma di un semplice desiderio.
Bibl.: Oltre agli studî fondamentali, rappresentativi delle due teorie opposte intorno all'esclusiva, di L. Wahrmund, Das Ausschliessungsrecht der kath. Staaten Österreich, Frankreich, und Spanien bei den Papstwahlen, Vienna 1888, e di J. B. Saegmüller, Die Papstwahlen und die Staaten von 1447 bis 1555 (Nikolaus V. bis Paul IV.). Eine kirchenrechtlich-historische Untersuchung über den Anfang des staatlichen Rechts der Exclusive in der Papstwahl, Tubinga 1890; e le successive numerose monografie dei medesimi, citate nei lavori che seguono, si vedano A. Giobbio, L'esercizio del veto d'esclusione nel conclave, Monza 1897; S. Pivano, Il diritto di veto "ius exclusivae" nell'elezione del Pontefice, in Studi in onore di V. Scialoja, Torino 1905; G. Vidal, Le Veto d'exclusion en matière d'election pontificale, Tolosa 1906; A. Eisler, Das Veto der katholischen Staaten bei der Papstwahl seit dem Ende des 16. Jahrhunderts, Vienna 1907; F. Ruffini, Perché Cesare Baronio non fu papa. Contributo alla Storia della Monarchia Sicula e del "Ius exclusivae", in Per Cesare Baronio: scritti vari nel 3° centenario della sua morte, Roma 1911; J. B. Saegmüller, Lehrbuch des katholischen Kirchenrechts, 4ª ed., I, 4, Friburgo in B. 1934, p. 497 segg.