VETRATA
Intendendo con questo termine l'insieme di frammenti vitrei commessi secondo un disegno prestabilito e tendenti a un effetto estetico, le origini della vetrata vanno ricercate nel mondo bizantino-medievale.
Si potrebbero ricordare come precorrimento delle vere e proprie vetrate quelle chiusure delle grandi finestre basilicali del secolo IV e V ottenute con numerosissimi frammenti di gesso trasparente (selenite) sostenuti da complessi graticci di malta a disegni geometrici (Roma, Santa Sabina) od altre chiusure di alabastro sottilissimo (Ravenna). Scrittori antichi come Prudenzio e Sidonio Apollinare parlano già di vetrate ma dovettero essere semplici frammenti di vetro di varî colori collegati insieme, non sappiamo con quale preordinato effetto estetico. Non mancano invece notizie sull'uso di vetri colorati in finestre di certa ampiezza, nel mondo cristiano-bizantino, e si ricavano dal Liber Pontificalis dove si ricordano vetri colorati di finestre del tempo di Leone III (795-816) e di Benedetto III (855-858) come anche da antichi trattati dell'alto Medioevo che indicano il modo di fondere i vetri colorati e connetterli insieme per effetti decorativi, essendo ovvio del resto che, in un ciclo di civiltà artistica tendente alle più alte armonie cromatiche, attraverso i musaici, gli smalti, le miniature, si dovesse ricercare anche nella splendente materia usata per trasparenza altrettanta ricchezza di effetti.
Ragioni tecniche, dovute alla sostituzione degli antichi telai di pietra, di malta cementizia, di legno, con veri e proprî sostegni di metallo e liste di piombo, pongono l'origine della vetrata medievale alla fine del sec. X. Con il progredire della tecnica dei piombi in liste, che possono seguire con relativa facilità la forma dei pezzi di vetro e costituire insieme il disegno delle figure rappresentate nella vetrata stessa, s'ebbe il mirabile sviluppo di quest'arte che dal sec. XII al XV raggiunse il massimo splendore. Si indica la notizia che Adalberone, vescovo di Reims (960-988), fece rinnovare la cattedrale con finestre "continentibus historias" come una delle più antiche testimonianze dell'arte vetraria applicata artisticamente a decorare le aperture delle nuove chiese, e si sa che a Cluny esisteva un laboratorio di vetri colorati fin dalla metà del sec. XI, ma bisogna giungere al sec. XII per trovare qualche opera stilisticamente imponente.
Documenti notevoli delle prime vetrate religiose di tipo romanico sono, in ogni modo, la solenne e ieratica figura del profeta Mosè nel duomo di Augusta (fine del sec. XI) e la bella Madonna del sec. XII, nel museo di Zurigo.
In Italia sembra che quest'arte si praticasse più tardi che nei paesi del nord, per ragioni varie alle quali non fu certo estraneo il carattere delle costruzioni romaniche italiane, con aperture non sempre ampie come nel nord, dove è più necessario immettere luce nell'interno del tempio.
Di questi primi anni è la vetrata del museo di Cluny, proveniente da San Timoteo di Neuweiler: questo avanzo, come molti altri, sempre del sec. XII, fa pensare che presto in Francia si sviluppasse e si diffondesse con caratteri proprî l'arte della vetrata. Nell'abbaziale di Saint-Denis, dove sono notevoli le vetrate della metà del sec. XII, si può fissare, anzi, il punto d'arrivo di tutta una vasta tradizione vetraria che, partendo da questi luoghi, si diramò a Chartres, Angers, Poitiers, Rouen, passando in Inghilterra, nella cattedrale di York.
La vetrata romanica è quasi costantemente ottenuta con un graticcio metallico regolare, spesso del tutto indipendente dal disegno della scena, in modo da costituire, nel suo complesso, piuttosto un insieme di "formelle" che un vero e proprio tessuto disegnativo. Nei frammenti di vetro (ritagliati col ferro rovente, giacché solo più tardi venne usata la punta di diamante) dominano i colori blu, rosso, verde, arancione, talvolta accostati secondo accoppiamenti complementari per esaltarne la luminosità. L'insieme di queste vetrate (che si conserverà del resto a lungo, specialmente in Francia) tende a suggerire l'impressione di un grande smalto policromo. Di questo carattere sono anche le vetrate del sec. XIII di tipo sassone od olandese, diffuse fin nell'estremo nord europeo.
La vetrata gotica, sorta da Saint-Denis e dalla scuola dei vetrai di Notre-Dame, passa e si sviluppa a Chartres: intorno al 1250 Parigi è il centro del nuovo gusto, che ha i suoi capolavori nelle vetrate della Sainte-Chapelle. Mentre si sviluppa sempre più la duttilità dell'impalcatura, data ormai dai piombi, e si complicano i disegni, già ricchi di storie vivamente rappresentative, il colore obbedisce ad armonie più sottili (come si vede a Soissons e Clermont-Ferrand), tendenti al violaceo, mirabilmente intonate con l'architettura, che invita al raccoglimento.
All'inizio del sec. XIV, col diffondersi dell'architettura ogivale in tutta l'Europa e quindi con il complicarsi delle finestre verso forme floreali o geometriche ripartite in più settori da colonnine e pilastri esilissimi di pietra, terminanti in rose o a lobi, la vetrata gotica segue le nuove forme giovandosi dei campi ristretti riserbati dalle architetture e sviluppando le scene come in rotuli miniati. Anche in Germania, per il diffondersi del gotico francese, come è dimostrato dal duomo di Bamberga e dal coro di Ratisbona, le vetrate assumono maggiore complessità, pur conservando, assai più che in Francia, un solido e brillante colorito con effetti dì smalto multicolore. In Italia sembrerebbe ovvio che l'arte della vetrata sorgesse a Venezia, per lo sviluppo vivace dell'industria vetraria muranese (v. vetro), ma pare accertato che l'industria di Murano non annoverasse, specie all'inizio di quest'arte, tra le sue molteplici specializzazioni, l'arte della vetrata. Questa, invece, venne introdotta dal nord, attraverso la Francia, per quanto assai presto i nostri pittori sapessero imprimere, con i loro cartoni, un carattere originale e personale alle composizioni destinate ad essere tradotte in vetrate policrome. Mentre nella cattedrale di Aosta già s'incontrano frammenti di vetrate del sec. XIII di carattere francese, maggiori centri di sviluppo e di diffusione furono Siena, Firenze, Assisi.
Per Siena si hanno documentazioni di lavori vetrarî anche alla metà del sec. XIII: nel 1262 si ricorda un pittore-vetraio Dono, ma i nomi ricorrono più numerosi nel secolo successivo. Frate Magio nel 1316 lavora a una finestra sull'altare della Vergine in duomo; tra il 1325 e il 1330 Andrea di Mino Senese lavora a Orvieto per il duomo, mentre è notissimo Iacopo da Castello, detto appunto "del vetro". Assisi con il nuovo tempio di S. Francesco, Orvieto con la cattedrale, assorbono l'attività di maestri vetrai italiani e stranieri, ma soprattutto toscani. Nella chiesa inferiore di San Francesco, in Assisi, sono su disegno senese le tre bellissime vetrate con diciotto figure di santi, della cappella di Santa Caterina o del Crocefisso, quelle della cappella di S. Ludovico, del braccio destro della crociera (sec. XIV), più antica e pure senese quella della cappella di S. Pietro d'Alcantara (sec. XIII-XIV) e su cartone dello stesso Simone Martini le bellissime vetrate della cappella di S. Martino, dove i celebri affreschi dello stesso pittore offrono più elementi di confronto per l'attribuzione. Ma su queste vetrate le ipotesi sono diverse: alcuni studiosi vi riscontrarono l'opera di maestri tedesehi altri vi videro modi disegnativi di Cimabue, Pietro Cavallini, Iacopo Torriti: mentre vi dominarono i Senesi, influenzati dal gusto gotico di Francia, salvo in alcune, ad esempio quelle della quadrifora del biaccio destro del transetto, dove fu giustamente notato il carattere umbro della seconda metà del sec. XIII.
Si può credere che, educati da maestri senesi, attraverso la collaborazione, anche vetrai assisiati e di Orvieto sviluppassero rapidamente quest'arte. In Orvieto s'incontrano, infatti, dal 1322 al 1330 Andrea di Mino da Siena, Tino di Biagio, Buccio Leonardelli, ma anche Giovanni di Bonino d'Assisi, che crea un capolavoro nella vetrata della tribuna del Duomo (1334).
A Pisa, nel 1222, aveva lavorato frate Andrea Polacco in una finestra di carattere prevalentemente araldico, in Santa Caterina; forse lo stesso Simone Martini preparò il cartone per una finestra, poi danneggiata, in San Francesco; più tardi Antonio da Pisa, sullo scorcio del Trecento, opera in Firenze: lo stesso maestro scrisse un trattato d'arte vetraria.
La vetrata trecentesca è spesso opera di collaborazione: i pittori, talvolta tra i maggiori, dànno solo la composizione dell'opera, con accenni di colore quando si tratti di armonizzare la vetrata con gli affreschi da loro eseguiti; è invece il vasto artigianato che contribuisce all'esecuzione della vetrata, per la quale si ricorre anche a maestri stranieri, francesi o tedeschi: per il duomo di Firenze si eseguono vetrate disegnate da Agnolo Gaddi nel 1388, ma nel 1394 lavorano Niccolò di Piero e Piero di Niccolò teutonici. Il Cennini (Libro dell'arte, cap. CLXXI), indica chiaramente la tecnica della vetrata, separando l'opera del pittore, che disegna il cartone come per un affresco, da quella dei maestri vetrai che "hanno più pratica che disegno". Il pittore, disegnato il cartone al vero, indica i colori al vetraio, che, ponendo le lastre del vetro sul disegno, ne ritaglia le varie parti. Il chiaroscuro, i particolari di lettere si tracciano con un colore, fornito dal vetraio, composto di rame ben macinato: infine i vetri vengono cotti "temperatamente" perché il colore metallico faccia presa. Il Cennini ammette anche, nelle figure piccole o nei particolari, il ritocco ad olio, senza cottura.
Molto maggiore importanza assume in Firenze l'arte vetraria nel Rinascimento.
Il Ghiberti, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, lo stesso Donatello, compongono cartoni per le vetrate nuove del duomo di Firenze: dell'autore della "porta del Paradiso" sono l'Assunta sul portale mediano, San Lorenzo e angeli sul portale destro; e, per quanto notevolmente deteriorate, la Presentazione, l'Orazione nell'orto, l'Ascensione negli occhi della cupola brunelleschiana, dove anche si riconosce lo stile di Paolo Uccello nella Natività e nell'Annunciazione (1443), mentre la Deposizione è di Andrea del Castagno, dello stesso anno.
Il compito d'innestare nel cerchio dei grandi occhi della cupola fiorentina la composizione delle varie scene fu variamente assolto dagli artisti celebri: in Paolo Uccello è sintomatico il colorito che sembra ritornare a un astratto gusto di smalto, come nelle antichissime vetrate; in Andrea del Castagno il disegno della Deposizione si fa complesso e sembra che l'artista si trovi a comporre con fatica il gruppo delle otto figure, d'intento plastico. Chi sembra interpretare meglio il gusto cromatico e fastoso dell'arte vetraria è ancora Paolo Uccello: la sua Resurrezione, in cui è evidente lo slancio falcato della figura del Cristo, offre nella fiammante aureola, nelle armature dei soldati, nello stesso sepolcro aperto un esempio bellissimo dell'innesto spontaneo d'un gusto individuale nelle necessità d'una tecnica essenzialmente stilizzatrice delle forme. Degli stessi anni, il S. Andrea, solennemente inquadrato nella preziosa finestra della cappella Pazzi, forse di Alessio Baldovinetti, offre il miglior gusto fiorentino nell'arte della vetrata e, nella felice armonia tra la figura plasticamente drappeggiata e il sereno tempietto, brillante di colori, sembra segnare uno degli estremi raggiungimenti possibili dell'arte vetraria quattrocentesca.
A cominciare dal sec. XV, con il complicarsi degli effetti pittorici, nella volontà di ottenere il chiaroscuro e il rilievo della figura, la prospettiva nel paesaggio, l'espressione psicologica dei volti, l'arte vetraria tenta di gareggiare con la pittura a tutto effetto: aumentano le vere e proprie sovrapposizioni disegnative e cromatiche, per definire i singoli particolari non più soltanto limitate ai volti, e la vetrata s'avvia lentamente a perdere il suo perfetto nitore, fondato sulla purezza dell'applicazione dei vetri e dei piombi.
A Venezia basta citare la vetrata di Ss. Giovanni e Paolo, disegnata da A. Vivarini e da G. Mocetto, mentre in Lombardia, che durante il sec. XIII e i primi del XIV non sembra portare notevole interesse a quest'arte, il ritardo sarà compensato dall'opera vasta e intensa attorno al duomo di Milano, le cui vetrate costituiranno scuola ed esempio durante il Quattrocento e il Cinquecento.
Le vetrate del duomo di Milano, illustrate da documenti di archivio, rivelano due periodi: il primo dal 1400 al 1450, il secondo, dal 1500 al 1515. Nel primo si trovano i nomi stessi dei pittori già celebri a Milano: Michelino di Besozzo, gli Zavattari, ecc., nel secondo si definisce una vera e propria scuola di maestri vetrai che disegnano anche i cartoni per le loro opere.
Mentre si delinea all'inizio del Quattrocento un primo sviluppo locale d'industria vetraria lombarda, la pittura italiana, attraverso gli scambi con le regioni renane che fornivano vetri, aveva già influito profondamente sullo stile della Baviera, dell'Alsazia, dell'Alto Reno. Le finestre dei Minoriti a Ratisbona, quella del coro nella cattedrale di Ulma, testimoniano di questo importante influsso stilistico sulla Germania del sud. Per questi stretti rapporti, Milano diviene il centro di attività di maestri vetrai, attorno al duomo. Ma, scomparse quasi interamente le vetrate gotiche, appare più imponente nel duomo di Milano l'opera dei vetrai del Rinascimento, tra cui primeggiano Cristoforo de Mottis e Antonio da Pandino.
Nella seconda metà del Cinquecento lavorarono vetrate per il duomo di Milano Corrado de Mochis, Corrado da Colonia, Carlo Urbini, lo stesso Pellegrino Tibaldi e Valerio Diependale di Lovanio, morto nel 1598.
Ma il gusto e l'industria delle vetrate dipinte erano fioriti intanto un po' per tutto; hanno lasciato capolavori a S. Petronio e a S. Giovanni in Monte di Bologna, in opere cui si possono anche associare i nomi di maestri: di Francesco Del Cossa, del Francia.
A Roma, al tempo di Giulio II fu giustamente celebre Guglielmo di Marcillat (v.) che, come dice il Vasari, ricercò "figure non meno unite che se elle fossero d'una vaghissima e unitissima pittura a olio". Egli era giunto in Italia padrone di una tecnica che oltralpe aveva avvicinato sempre più l'effetto delle vetrate a quello della pittura mediante il chiaroscuro, diminuendo il frazionamento dei vetri, e fu, come si vede nelle vetrate di S. Maria del Popolo a Roma, e in quelle di Cortona e d'Arezzo, un felice interprete delle tendenze coloristiche del "manierismo" fiorentino.
Il Sei e Settecento, nel sempre maggiore sforzo d'imitare la pittura parietale, distrussero la bellezza della vetrata come puro colore e disegno lineare: quando non gareggiarono con l'affresco, si giovarono largamente della "grisaille" o decorazione chiaroscurata con poche inserzioni cromatiche, sviluppando molto, per il sentimento enfatico del tempo, gli elementi araldici e i pesanti festoni di fiori e frutta, specialmente in Germania dove questi motivi rimasero carissimi ai maestri vetrai attraverso tutto il Cinquecento, notevoli solo quando pittori o architetti ne disegnarono i cartoni.
Dopo un periodo di stasi per l'arte delle vetrate, durato all'incirca dal Seicento a tutto l'Ottocento (giacché i rari tentativi isolati non giovarono in nessun paese d'Europa a riportare la vetrata al suo vero significato), ci si discosta dall'imitazione servile (pur talvolta preziosa dal punto di vista tecnico) del Medioevo, continuata per tutto il sec. XIX. Furono tra i primi i preraffaelliti, i "nazzareni", i puristi di Francia, con la loro adorazione per l'arte del Trecento e del primo Rinascimento, a comprendere il valore della tecnica vetraria in rapporto al loro particolare gusto lineare e coloristico. Un esempio è offerto dalla vetrata di W. Morris su disegno di E. Burne Jones per la cappella del Jesus College di Cambridge. Aboliti i forti contrasti chiaroscurali con cui si cercava, nel tardo Cinquecento e nel Barocco, d'imitare la pittura di decorazione con vetrate più dipinte che incastonate, riprende rapidamente valore la linea, il vero "cartone", anche se Dante Gabriele Rossetti, Burne Jones e gli altri preraffaelliti accolgano troppo spesso reminiscenze gotiche o quattrocentesche. Si diffuse poi il gusto "floreale" nelle arti decorative, e questo diede notevole impulso (anche se in un malinteso naturalismo) alla vetrata moderna, più spesso per case di ricche abitazioni che di chiese.
L'Italia ha il merito d'aver inteso spontaneamente e vivacemente la rinascita della vetrata e d'aver riportato, per la tenace e industre fatica di Cesare Picchiarini, la tecnica alla sua antica purezza, escludendo quasi totalmente il ritocco o limitandolo a qualche tratteggio lieve, reso luminoso da opportune raschiature. Ricordiamo a Firenze l'officina De Matteis di cui è animatore Ezio Giovannozzi, a Roma intorno al Picchiarini un gruppo di artisti fra cui: U. Bottazzi, D. Cambellotti,V. Grassi, P. Paschetto, e ancora B. Biagetti e C. Mezzana. Nel 1929 il Cambellotti disegnò le grandi vetrate per la Cappella della Flagellazione a Gerusalemme. Oggi esempî frequenti e talvolta grandiosi mostrano come l'arte vetraria trovi nell'architettura moderna la naturale alleata non solo nell'abitazione, ma nei grandi edifici di carattere pubblico: esempio, la vetrata, su cartone di M. Sironi, per il Ministero delle corporazioni in Roma.
V. tavv. LIX-LXII e tavv. a colori.
Bibl.: Una bibliografia generale notevolmente completa si trova in J. L. Fischer, handbuch der Glasmalerei, Lipsia 1914. Orientamenti per l'origine della vetrata, come per la vetrata italiana nel Medioevo, in P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I: Il Medioevo, Torino 1927, p. 1072 segg., note 18 e 19. - Notizie tecniche sull'antica vetrata si ricavano dai trattati: Diversarum artium schedula di T. Monaco e dal Libro dell'arte di Cennino Cennini. Per il Rinascimento e il Cinquecento, nelle Vite di G. Vasari.
Sulla storia della vetrata, si veda, più particolarmente: E. H. Langlois, Essai historique et descriptif sur la peinture sur verre ancienne et moderne, Rouen 1832; E. Lévy, Histoire de la peinture sur verre, Bruxelles 1860, I e II: A. Westlake, History of design in painted glass, Londra 1881; L. Ottin, Le vitrail, Parigi 1896; A. Marquand, Two windows in the Cathedral of Florence, in American Journal of Arch., 1900, p. 192; J. B. Lazaro, El arte de la vidriería en España, in La lectura, 1901; R. Bruck, Elsässische Glasmalerei, Strasburgo 1901; G. Mancini, G. de Marcillat, Firenze 1909; A. Salinas, Trafori e vetrate nelle chiese medioevali di Sicilia, Palermo 1910; H. Oidtmann, Die rhein. Glasmalerein von XII. bis XVI. Jahrh., Düsseldorf 1912; U. Monneret-de-Villard, Le vetrate del duomo di Milano. Ricerche storiche, I e II, Milano 1918 (parte generale, cap. I); P. Toesca, Vetrate dipinte fiorentine, in Boll. d'arte, 1920, pp. 3-6; A. Haseloff, Die Glasmalereien in der Kirche zu Breitenfelde und die deutsch-nordischen künstlerischen Beziehungen im 13. Jahrh, Breslavia 1931; C. Picchiarini, Tra vetri e diamanti. Appunti di vita, di mestiere e d'arte, Amatrice 1935; E. Müntz, Les Marcillat et la peinture sur verre en Italie, Parigi s. a.