VETRO
La produzione vetraria del Medioevo europeo può essere suddivisa in tre distinte categorie, che sono state studiate con differenti metodologie. Il primo gruppo è rappresentato dalle vetrate (v.), il cui studio ha prodotto una vasta letteratura specialistica. Il secondo gruppo è costituito dai mosaici, composti per la maggior parte da tessere vitree, che adornavano i muri e i soffitti delle chiese - in particolar modo nel mondo bizantino -, e, in misura minore, dalle icone note come 'mosaici portatili' o 'micromosaici' (v. Mosaico).Il terzo gruppo, qui descritto, comprende invece il vasellame, un settore della produzione vetraria medievale poco studiato fino a epoca recente, perché relativamente pochi erano gli esemplari sopravvissuti in contesti extra-archeologici. Di conseguenza, la conoscenza della varietà e della qualità della suppellettile vitrea del Medioevo dipendeva da un piccolo numero di oggetti, cui si aggiungevano le descrizioni e le illustrazioni presenti nei manoscritti medievali. Questi dati sono stati riassunti, rispettivamente per gli ambiti tedesco e francese, da Rademacher (1933) e da Barrelet (1953; 1959).Più recentemente, lo sviluppo delle ricerche archeologiche ha cambiato il modo in cui gli studiosi considerano il vasellame medievale in v., giacché gli scavi sull'intero territorio europeo hanno trasformato le conoscenze sulla fabbricazione del v. nel Medioevo, come dimostrano le due grandi mostre di Monaco (Baumgartner, Krueger, 1988) e Rouen (Foy, Sennequier, 1989). Ciò nonostante, la conoscenza relativa ai recipienti medievali in v. rimane ancora molto frammentaria: non si sa quasi nulla circa l'uso del v. nel mondo bizantino e poco per quanto riguarda la penisola iberica e quella balcanica.
Alla fine dell'epoca romana, la produzione vetraria in Europa declinò. In Italia, per es., la fabbricazione di v. di lusso cessò con il sec. 4°; in seguito, la maggior parte dei recipienti venne realizzata in un v. color verde pallido pieno di bolle e il repertorio delle forme si ridusse considerevolmente. Allo stesso modo si ridusse il repertorio delle tecniche e scomparvero la colatura a stampo, l'intaglio e la manifattura del v. a foglia d'oro. Nel sec. 6° o 7° si colloca l'attività di una bottega a Torcello, che produceva tessere da mosaico, bottiglie e bicchieri a calice con coppa emisferica o semiovoidale, stelo e piede allargato. Botteghe più o meno contemporanee nell'Italia centrale producevano bicchieri a calice, bottiglie e corni potori, alcuni dei quali decorati con tralci colorati.In Germania e in Francia, così come in Italia, la produzione di v. continuò nel primo Medioevo, ma su scala ridotta. La varietà delle forme si limitò a bicchieri, bottiglie, coppe e tazze emisferiche, la maggior parte realizzate in v. trasparente verdastro o marrone. In Germania la forma più elaborata fu il c.d. bicchiere a proboscidi (Rüsselbecher), che era decorato con file sovrapposte di proboscidi o artigli cavi.In Inghilterra, la presenza in contesti del sec. 7° di vasellame di forme particolari, che non appaiono sul continente, suggerisce che nel Kent fossero attive una o più botteghe, probabilmente nei pressi della residenza reale di Faversham. Nella stessa epoca, gioiellieri e artigiani del metallo inglesi e irlandesi adoperavano sezioni di canna di v., mosaico e smalti colorati per produrre ornamenti policromi. Ciò nonostante, nell'Inghilterra settentrionale, Benedetto Biscop (628-690) fu costretto a chiamare artigiani dal continente per realizzare i v. delle finestre della propria chiesa a Monkwearmouth, nel 674, e anche Cutberto, vescovo di Lindisfarne, nel 685, si rivolse al continente per avere artigiani del v. (Beda, Hist. Abbatum, 5).
Molti dei dati relativi al vasellame vitreo nei secc. 8° e 9° provengono dagli scavi presso gli insediamenti commerciali (emporia) e presso i monasteri. Uno degli empori meglio conosciuti è il sito vichingo a Birka (Svezia), dove l'usanza di collocare oggetti nelle tombe sopravvisse più a lungo rispetto all'Europa occidentale. Tra i ritrovamenti provenienti dai cimiteri di Birka (Stoccolma, Statens historiska mus.) c'è un bicchiere decorato con tralci blu e gialli e con nervature verticali ottenute applicando canne ritorte di v. bianco opaco, giallo e incolore. Canne di questo tipo, che assomigliano a quelle dei periodi ellenistico e romano, fanno la loro comparsa nel sec. 7° e sembrano aver goduto di larga popolarità nei secc. 8° e 9°: ne sono stati rinvenuti esemplari in molte parti d'Europa, dalla Scandinavia all'Italia meridionale.Altri oggetti di lusso che ebbero una larga distribuzione furono i recipienti in v. blu decorati con triangoli applicati in oro. Ne sono stati trovati frammenti a Helgö (Svezia), Niedermünster e Paderborn (Germania), Dorestad (Paesi Bassi) e Liegi (Belgio). Al momento, questi v. di lusso sollevano più problemi di quanto non forniscano risposte: non è noto dove fossero prodotti né se venissero commerciati e usati per decorare recipienti in botteghe di altri luoghi.Il v. cominciò ad avere una più larga diffusione nel sec. 12° e in molte regioni, per la prima volta dall'epoca romana, esso si ritrova in ogni tipo di sito. La varietà delle forme, in ogni caso, continua a essere ristretta. In Germania, il materiale scavato comprende bicchieri e fiaschette biconiche con decorazioni filiformi; in Francia, le bottiglie con alti colli erano comuni nelle regioni meridionali, mentre in quelle settentrionali la forma più diffusa era una coppa con un corpo nervato e un piede cavo di forma conica.Per tutto l'ultimo periodo del Medioevo, i fabbricanti di v. delle regioni del Mediterraneo e dell'Europa settentrionale usarono differenti tipi di fornaci. La fornace di tipo mediterraneo o meridionale era una struttura circolare con tre camere sovrapposte: la più bassa conteneva il fuoco; al di sopra c'era una camera con diverse aperture, attraverso le quali i maestri soffiatori raccoglievano il v. fuso dai crogioli e introducevano gli oggetti parzialmente formati per riscaldarli di nuovo; la camera superiore era usata per la tempratura. La più antica testimonianza europea di fornaci di questo tipo è costituita da un'illustrazione in una copia del De Universo di Rabano Mauro, eseguita nel 1023 e conservata nell'abbazia di Montecassino (Bibl., 132; Foy, Sennequier, 1989, tav. II, 45).La fornace di tipo settentrionale aveva invece tre camere poste in linea sullo stesso livello: la forma e la disposizione delle camere erano variabili. Secondo Teofilo (De diversis artibus, II, 1), le tre camere formavano una fornace composita con un solo canale per il fuoco che correva all'interno di essa. Un manoscritto boemo dell'inizio del sec. 15°, contenente i viaggi di John Mandeville (Londra, BL, Add. Ms 24189) d'altro canto, contiene un disegno (c. 16) di una fornace per il v. nella quale il calore veniva trasmesso lateralmente al contiguo forno di tempratura (Five Thousand Years, 1991, p. 156).In molte regioni d'Europa la fabbricazione del v. si sviluppò rapidamente nel tardo 13° secolo. Tra i recipienti fabbricati in questo periodo, quelli probabilmente più noti sono i bicchieri smaltati del c.d tipo Aldrevandin, che trae il suo nome da un famoso esemplare conservato a Londra (British Mus.), che reca l'iscrizione "Magister Aldrevandin me feci[t]" ed è decorato in smalti colorati con stemmi araldici. Altri bicchieri nel gruppo sono decorati con figurazioni religiose e profane, uccelli e animali, motivi araldici, talvolta accompagnati da iscrizioni latine con il nome dell'autore.
Le iscrizioni, le raffigurazioni di soggetto cristiano e l'araldica sono tutte di ambito europeo, mentre non lo è la tecnica decorativa a smalto: d'altro canto, in quest'epoca, la produzione vetraria (fatta eccezione per il gruppo Aldrevandin) è in larga misura islamica. Per questa ragione, studiosi come Lamm (1929-1930) cercarono nel Mediterraneo orientale le origini dei bicchieri Aldrevandin. In effetti, Lamm sviluppò l'ipotesi che essi fossero stati realizzati in Oriente per committenti occidentali. Più di recente, essi sono stati attribuiti a Venezia, in parte a causa della loro rarità nei siti del mondo islamico, in parte perché documenti negli archivi veneziani attestano la produzione locale di bicchieri dipinti nel sec. 13° e in parte perché le analisi chimiche hanno rivelato affinità tra i bicchieri di questo gruppo e v. più tardi certamente di produzione veneziana. I documenti d'archivio dimostrano inoltre una stretta connessione tra i vetrai veneziani e il Mediterraneo orientale: i riferimenti all'importazione di v. frammentari dall'Oriente cominciano nel 1233, mentre al 1255 si data la prima menzione dell'importazione di cenere vegetale, che divenne l'agente di fusione preferito per generazioni di vetrai veneziani.L'affermarsi delle ricerche di archeologia medievale in Italia, negli anni Sessanta, determinò un significativo ampliamento delle conoscenze sul v. medievale, soprattutto nel settore del vasellame da mensa. Sebbene molti dei bicchieri e delle bottiglie di produzione italiana siano di un v. giallognolo trasparente, gli esemplari migliori sono quasi incolori, grazie a un'accurata selezione del materiale grezzo e, in seguito, all'aggiunta di manganese alla mescola. Molti di questi oggetti erano decorati con costole e motivi a diamanti, ovali ed esagoni ottenuti soffiando il bolo di v. fuso in uno stampo aperto o applicando bugne e filamenti. Sulla base della loro attestazione in contesti databili, questi oggetti possono essere ricondotti al 13°-14° secolo.Non solo in ambito italiano erano presenti abili fabbricanti di v., ma produzioni di alto livello sono attestate anche nelle regioni dell'Europa centrale e occidentale nel 13°-14° secolo. A Costanza, nel Baden-Württemberg, gli scavi hanno restituito migliaia di frammenti di recipienti vitrei databili dal tardo sec. 13° al 14°: mentre la maggior parte dei frammenti era costituita da Waldglas verde pallido trasparente, spesso decorato con bugne, molti altri erano incolori e presentavano ornamenti in rilievo, nervature e motivi filiformi blu scuro.
Per molti anni i bicchieri decorati a rilievo e i bicchieri e le bottiglie soffiati a stampo sono stati posti a confronto con i materiali ritrovati a Corinto (Grecia), dove nel 1937 vennero rinvenuti i resti di due botteghe per la produzione del vetro. Tra i recipienti prodotti in queste botteghe vi erano bicchieri decorati a rilievo, bicchieri con nervature verticali e coppe con motivi geometrici soffiati a stampo. Monete bizantine e altri reperti provenienti dalle aree adiacenti alle botteghe hanno condotto alla conclusione che queste ultime furono attive nell'11° e 12° secolo. I bicchieri decorati a rilievo e altri oggetti sono stati perciò ritenuti tipici prodotti bizantini del periodo tra il 1100 e il 1150 e precursori di oggetti simili rinvenuti in Italia e in altre aree dell'Europa occidentale (Davidson, 1940; Harden, 1971, pp. 101-103).Oggi è tuttavia evidente che questi reperti non sono tipici del mondo bizantino; inoltre, scavi successivi a Corinto hanno portato alla luce materiali identici in depositi del tardo sec. 13° e dell'inizio del successivo, e studi numismatici hanno rivelato che molte delle monete già identificate come bizantine e del sec. 12° sono in realtà di produzione francese e databili al 13° secolo. Si può dunque ritenere che le botteghe 'bizantine' di fabbricazione del v. siano state in realtà impiantate e gestite da maestranze italiane durante l'occupazione franca del Peloponneso, così com'erano maestri italiani a dirigere le botteghe vetrarie di Dubrovnik sulla costa adriatica. Quindi, sebbene vi sia ancora molto da conoscere circa il v. europeo nei secc. 13°-14°, è ragionevole supporre che, con tutta probabilità, la produzione vetraria non fosse ispirata dal v. bizantino della Grecia meridionale (Foy, 1991); i dati disponibili suggeriscono, infatti, che il nuovo repertorio di forme ed elementi decorativi fosse italiano.Un'altra innovazione del sec. 13° che sembra essere di origine italiana fu la produzione di placchette e medaglioni in v. incolore coperti sul retro da una foglia d'oro decorata con disegni graffiti. Tra i primi esemplari databili vanno ricordate le placche che decorano i pulpiti di Nicola Pisano, nel battistero di Pisa (1260) e nel duomo di Siena (1267-1268), e due borchie del corredo funerario di papa Clemente IV (m. nel 1268), provenienti da S. Francesco a Viterbo. La tecnica produttiva di queste placchette venne descritta nel sec. 14° da Cennino Cennini (Libro dell'arte, CLXXII): l'artista preparava un pezzo di v. incolore, ricopriva la superficie con chiara d'uovo e quindi applicava la foglia d'oro; il disegno veniva graffito con un ago e poi l'oggetto veniva chiuso sul retro, in genere con un materiale dipinto di nero (Bertelli, 1970).Questo non significa che l'influenza bizantina fosse del tutto assente in Italia. Un legame tra la lavorazione del v. a Costantinopoli e a Venezia è segnalato dall'esistenza di medaglioni di v. stampato, decorati da scene della Vita di Cristo e della Vergine, e da figure di evangelisti, apostoli e santi. I medaglioni si dividono in due gruppi: quelli realizzati in v. traslucido con immagini di santi ortodossi e iscrizioni in greco, e quelli in v. opaco rosso che hanno iscrizioni sia in greco sia in latino. Il primo gruppo è generalmente ritenuto di provenienza costantinopolitana, mentre il secondo gruppo sembra essere veneziano.Altrove in Europa cominciarono a emergere distinti stili locali. Tra i reperti rinvenuti in Boemia, per es., si ritrovano poche delle forme che erano diffuse in Germania: il recipiente per bere più comune, in uso dalla metà alla fine del sec. 14°, era un calice alto e sottile, decorato con numerose e piccolissime bugne. Nei Paesi Bassi, in Belgio e in Francia settentrionale, d'altra parte, il repertorio dei recipienti per bere era dominato da coppe con alti piedi conici, da calici con coppe nervate, stelo alto e sottile e piede a cono basso o a forma di campana. Artigiani del v. erano attivi in Inghilterra già dal 1240, ma le più antiche fabbriche di v. scavate, nel Surrey e nel Sussex, sono datate a partire dal 1330. Esse producevano bottiglie, recipienti per bere, lampade, orinatoi e recipienti usati per le pratiche alchemiche e per la distillazione. Scavi condotti a Londra, Southampton, Winchester e in altri luoghi hanno portato alla luce sia esempi di Waldglas, presumibilmente di fabbricazione locale, sia di v. incolore, compresi bicchieri del tipo Aldrevandin, importati dal continente.Oltre al vasellame in v., divennero piuttosto comuni anche gli specchi. La citazione nelle fonti scritte di specchi in v., per la prima volta attestati nel sec. 9°, diviene abbastanza frequente nel tardo sec. 12° e comune nel Duecento. Le prime transazioni commerciali registrate che contengano riferimenti a specchi risalgono al 1215, quando Arnulfo di Basilea inviò in Germania v. destinato alla fabbricazione di specchi (Krueger, 1990). Uno studio recente suggerisce che la Germania in generale e Norimberga in particolare venissero considerate le zone d'Europa più importanti per la fabbricazione degli specchi nel Tardo Medioevo (Krueger, 1990; 1995).Stando alle fonti scritte, il numero delle fabbriche vetrarie e l'uso del vasellame in v. aumentarono nei secc. 14° e 15°, anche se la tecnologia vetraria attraversava un periodo di stagnazione: il v. incolore sembra fosse meno comune che in precedenza e vi furono meno innovazioni nel campo della decorazione.
Le informazioni disponibili sul vasellame in v. di produzione bizantina dopo il sec. 7° sono assai scarse: non è quindi possibile sapere, per es., se a quest'ambito vadano o meno ricondotti oggetti quali i c.d. v. di Edvige o i v. con intaglio a rilievo conservati a Venezia (Tesoro di S. Marco). Inoltre, il vasellame vitreo bizantino ritrovato negli scavi, anche a Costantinopoli, non mantiene generalmente le aspettative generate dai riferimenti letterari a oggetti raffinati.Il Tesoro di S. Marco a Venezia contiene un buon numero di recipienti vitrei che si ritiene siano stati portati da Costantinopoli a seguito del saccheggio crociato del 1204. Tra di essi vi sono una coppa dorata e smaltata e diversi recipienti in v. incolore: la coppa è realizzata in v. purpureo ed è decorata con grandi medaglioni contenenti figure, piccoli tondi con teste di profilo e due iscrizioni che imitano la scrittura araba. Le figure sono state identificate da Cutler (1974) come scene mitologiche e di vita quotidiana, di ambiente grecoromano, evidentemente copiate da gemme antiche. Figure simili si trovano sugli avori bizantini dei secc. 10°-11°, mentre le iscrizioni pseudo-arabiche costituiscono un motivo decorativo comune nel mondo bizantino. Non vi è quindi dubbio che la coppa sia bizantina e databile al 10°-11° secolo.
Tra gli altri recipienti vitrei del Tesoro di S. Marco a Venezia vi sono lampade pensili e una coppa di v. incolore con decorazione intagliata costituita da dischi, alcuni dei quali hanno una terminazione appuntita. Una lampada presenta una montatura bizantina in bronzo dorato dell'11° secolo. Alcuni studiosi, tra cui Grabar (1971), sostengono che gli oggetti vennero prodotti a Costantinopoli, mentre altri, come Saldern (1967), suggeriscono una fattura sasanide.Le conoscenze del v. prodotto in area bizantina nei secc. 12°-13° sono in qualche modo migliori. All'inizio del sec. 12° Teofilo (De diversis artibus, II, 13) riferisce che i 'greci' fabbricavano v. dorato e smaltato, facendo forse riferimento agli antesignani di un gruppo di bottiglie e altri oggetti realizzati in v. blu scuro e di altri colori, con decorazioni dorate o dorate e smaltate. La forma più comune è una bottiglia cilindrica con un collo corto e stretto, la cui decorazione consiste in fregi, quadrati e tondi contenenti motivi vegetali, uccelli, animali ed elementi geometrici (Megaw, 1959; 1968; 1980). Sebbene gli oggetti di questo gruppo siano tra loro assai simili, possono essere distinti almeno due stili di decorazione: uno presenta medaglioni accuratamente dipinti con uccelli e altri animali che hanno il corpo in oro puro con dettagli graffiti; l'altro ha un'ornamentazione affollata e poco rifinita.Molti dei luoghi di ritrovamento di questi recipienti sono nel Mediterraneo orientale, ma sono stati rinvenuti esemplari anche in siti archeologici italiani, britannici, svedesi e in Bielorussia. Almeno cinque esemplari (Pafo, Archaeological mus.) furono recuperati nell'isola di Cipro durante gli scavi a Saranda Kolones, un castello di Pafo costruito nel 1191/1198 e distrutto da un terremoto nel 1222. A Istanbul gli scavi di Saraçhane hanno restituito due frammenti (Istanbul, Arkeoloji Müz.), forse pertinenti a questo gruppo, in strati del 12°-13° secolo. A Nicosia venne rinvenuta una bottiglia nello stesso strato di una moneta di Ugo I di Lusignano (1205-1218; Nicosia, Cyprus Mus.). Quindi, se il primo frammento proveniente da Istanbul è realmente di questo tipo, tali v. vennero apparentemente in uso durante il sec. 12° e furono certamente ancora disponibili all'inizio del Duecento. Infine, le figure sulla bottiglia di Nicosia mostrano una forte somiglianza con le figurazioni della ceramica cipriota del sec. 13°, circostanza che lascia intravedere la possibilità di una fabbricazione locale di alcuni di questi vetri.
La produzione vetraria in area islamica durante il Medioevo può essere divisa in due grandi periodi: il primo, dal sec. 7° all'11°, che include i regni delle dinastie omayyade (661-750) e abbaside (750-940); il secondo, dal sec. 12° al 15°, quando la principale produzione di v. di lusso si concentrò in Siria e in Egitto.Per il primo periodo, la conoscenza delle più antiche produzioni vetrarie islamiche deriva da oggetti ritrovati casualmente, da scavi clandestini o da regolari missioni archeologiche. Il sito archeologico meglio conosciuto è quello di Samarra (Iraq), capitale dei califfi abbasidi dall'836 all'892, dove comunque i primi scavi vennero condotti senza riguardo per la stratigrafia e dove quindi pochi reperti possono essere datati con certezza all'occupazione califfale. Più di recente, scavi regolari hanno avuto luogo in siti quali Hama, in Siria, al-Fusṭāṭ (Cairo) e Siraf, in Iran.I gruppi di antichi v. islamici datati con migliore approssimazione vennero tuttavia rinvenuti nella 'cripta' della pagoda di Famen (nella provincia cinese dello Shaanxi), sigillata nell'874, e nel relitto navale di Serçe Limani, nei pressi di Bodrum (Turchia), dove gli archeologi hanno portato alla luce recipienti integri e un carico di v. frantumato proveniente da una nave che naufragò intorno al 1026.Nei primi due secoli successivi alla conquista islamica, i maestri vetrai della regione siro-palestinese, dell'Egitto, dell'Iran e dell'Iraq seguirono le tradizioni esistenti. Nella regione siro-palestinese essi adattarono l'ampolla cosmetica romana riducendo la sua misura e sistemandola sulla schiena di un cammello ottenuto manipolando il v. bollente e adornandolo con motivi filiformi. Queste 'fiaschette a dromedario' erano estremamente popolari e sono stati ritrovati esemplari in Egitto, Siria, Iraq e Iran. Tra le forme con decorazioni applicate vanno ricordate anche bottiglie e fiaschette ornate con gocce di v. che, mentre era ancora bollente, veniva lavorato per assomigliare al manto di veri animali.In Egitto, i vetrai sperimentarono la decorazione pinzata e stampata. La prima veniva ottenuta pizzicando il v. ancora caldo con tenaglie le cui ganasce erano decorate con iscrizioni o motivi zoomorfi. La varietà più comune di v. stampato consiste nei c.d. pesi a moneta, prodotti in gran numero in Egitto tra il sec. 8° e il 15°: si tratta di una sorta di marchi - recanti il nome dei governanti o ufficiali e la capacità che essi garantivano - che venivano applicati ai recipienti usati per le misurazioni; il più antico esemplare conosciuto porta la data 90 a.E./708-709. Nella stessa epoca i vetrai in Asia occidentale producevano recipienti con medaglioni stampati, decorati con teste umane, uccelli e cavalli alati di derivazione sasanide.Il v. venne usato ancora più estesamente nel sec. 9° e i prodotti spaziavano dai recipienti di uso quotidiano, alcuni dei quali avevano ornamenti applicati o modellati a soffio, ai pezzi di lusso squisito. I vetrai islamici impiegavano una grande varietà di decorazioni, usando la tecnica della soffiatura in stampo: dai motivi geometrici (comuni nei reperti di Serçe Limani) a uccelli, animali e iscrizioni. Un altro tipo comune di decorazione era quella prodotta a graffito, che presentava motivi geometrici o vegetali ed era talvolta accompagnata da iscrizioni. Molti di questi recipienti erano di v. traslucido blu scuro e diversi esemplari vennero ritrovati nella 'cripta' del tempio buddista di Famen.Tra gli oggetti di lusso che furono prodotti nei secc. 9°-11° vanno ricordati v. a mosaico, v. aureo, v. decorato a lustro e v. intagliato. La produzione di Samarra, per es., comprende frammenti di mattonelle di v. a mosaico. Questo tipo di tecnica è attestata raramente nella prima epoca islamica, ma gli oggetti superstiti comprendono piatti, coppe e bottiglie di profumo, molti dei quali sono realizzati da canne 'a occhio di bue'.Il v. aureo è anche più raro e se ne conosce solo un piccolo gruppo di esemplari. A parte i frammenti scavati ad Antiochia, nessuno di questi oggetti proviene da un contesto archeologico controllato; la loro datazione si basa quindi solo su criteri stilistici. Due degli esempi più significativi (Copenaghen, Davids Samling; Corning, NY, Corning Mus. of Glass), hanno iscrizioni in oro ravvivate da gocce di smalto blu e presentano una scrittura simile a quella che si trova in manoscritti dei secc. 9-10°; è quindi verosimile che i v. aurei fossero fabbricati in epoca abbaside. Un esemplare è ritenuto provenire dall'Iran, mentre un altro mostra somiglianze con v. molati di provenienza iraniana; probabilmente, quindi, gli oggetti vennero realizzati nell'Asia occidentale.Un'altra varietà, più comune, di v. di lusso è quella decorata a lustro. Il particolare effetto di lucentezza, che sembra sia stato una scoperta islamica, era ottenuto dipingendo prima la superficie con una sospensione di ossido di rame o di argento, finemente polverizzata, e poi cuocendo l'oggetto in atmosfera priva di ossigeno a una temperatura di ca. 600°. Questa temperatura era abbastanza alta da fondere il metallo sulla superficie, ma insufficiente ad ammorbidire il v. e a causare il disfacimento dell'oggetto. Il lustro poteva essere marrone, giallo, verde o rosso e i colori venivano usati singolarmente oppure anche in combinazione tra loro. Un frammento di v. dipinto a lustro, proveniente da al-Fusṭāṭ (Cairo, Mus. of Islamic Art), reca il nome del governatore che fu in carica negli anni 772-773, mentre un altro frammento (Cairo, Mus. of Islamic Art) è datato 163 a.E./779-780. Un terzo oggetto (Corning, NY, Corning Mus. of Glass) presenta un'iscrizione che indica come luogo di realizzazione Damasco: non è però possibile stabilire se questa città fosse l'unico centro di produzione, né sapere quanto a lungo la pittura a lustro venisse praticata prima e dopo le date indicate da questi oggetti.Le tecniche d'intaglio, come la molatura - praticata estesamente da Romani e Sasanidi -, furono riprese nel sec. 9° e fino all'11° vennero usate per produrre alcuni dei più raffinati capolavori dell'arte vetraria islamica. Gli oggetti di epoca abbaside comprendono recipienti decorati in stile bevelled, con contorni tagliati di sbieco e senza più un piano distinto a formare il fondo. Un secondo stile consiste nell'intaglio a rilievo, con rimozione dell'intero fondo per evidenziare l'ornamento: molti v. intagliati a rilievo sono stati ritrovati in Iran settentrionale e gli studiosi spesso associano questo stile alla città di Nishapur. È altamente improbabile, comunque, che Nishapur fosse l'unico luogo di produzione, mentre altri centri dovevano esistere in Asia occidentale e in Egitto.La maggior parte dei più antichi intagli a rilievo islamici venne realizzata su oggetti monocromi, generalmente di pasta incolore; sono però da ricordare un gruppo di v. in verde brillante e una coppa in turchese opaco (Venezia, Tesoro di S. Marco).
Gli intagliatori decorarono i recipienti anche con la tecnica del cammeo, per cui uno strato di v. di un colore veniva applicato su una base di colore differente; in seguito, la maggior parte dello strato esterno veniva rimossa meccanicamente, lasciando l'ornamento in rilievo su uno sfondo di colore diverso; il v.-cammeo islamico in genere ha una decorazione colorata su uno sfondo incolore. Il v.-cammeo era stato prodotto già dai Romani, ma non vi è ragione di pensare che la produzione persistesse fino al periodo islamico; presumibilmente, la tecnica venne riscoperta in Asia occidentale o in Egitto.Il v.-cammeo islamico si divide in due gruppi. Nel primo, al recipiente da decorare venivano applicati riquadri di v. colorato: questa tecnica a intarsio permetteva al vetraio di produrre oggetti con piccoli disegni isolati, ma non era adatta per decorazioni che si estendessero all'intera superficie. Per realizzare ciò era invece necessario che il recipiente fosse completamente coperto da uno strato esterno, il che poteva essere ottenuto o immergendo il bolo di v. in un contenitore di v. fuso o soffiandolo in una 'coppa' preformata, realizzata da v. del secondo colore. Probabilmente il primo esemplare superstite di questo secondo tipo è una bottiglia conservata a Copenaghen (Davids Samling), decorata con uccelli e motivi vegetali. Tra gli altri esemplari integri o restaurati vi è la c.d. brocca Corning (Corning, NY, Corning Mus. of Glass), decorata con figure di animali e uccelli da preda: l'oggetto, secondo l'opinione comune, proviene dall'Iran e la sua forma trova numerosi confronti nella produzione vetraria, nella ceramica e negli oggetti in metallo provenienti da quella regione. Essa presenta somiglianze anche con analoghi oggetti in cristallo di rocca attribuiti a botteghe del Cairo, la capitale della dinastia fatimide (969-1171), e quindi il suo luogo di manifattura rimane incerto.I più misteriosi recipienti vitrei di questo periodo (in realtà, forse i più misteriosi di tutti i v. medievali) sono i v. di Edvige, così chiamati a causa del loro leggendario legame con s. Edvige di Slesia (m. nel 1243). La maggior parte dei tredici v. di Edvige pervenuti integri è conservata nei tesori delle chiese o nelle collezioni aristocratiche europee; altri frammenti sono stati ritrovati durante scavi archeologici in Europa. Tutti questi oggetti sono fabbricati con v. totalmente incolore o quasi: la decorazione, che include leoni, grifoni e aquile, è ad alto rilievo, con particolari definiti a tratteggio. I v. di Edvige sono stati spesso considerati di provenienza egiziana e datati al sec. 12° (Lamm, 1929-1930, I, p. 171), benché, secondo le attuali conoscenze, il v. a rilievo intagliato non fosse più da tempo fabbricato nel mondo islamico. Rimanendo incerti tanto il luogo di manifattura quanto la datazione, alcuni studiosi li attribuiscono ad area bizantina (Philippe, 1970, pp. 125-131) o all'Italia meridionale (Pinder Wilson, in Five Thousand Years, 1991, p. 126).Tra i più caratteristici v. islamici tardomedievali di uso quotidiano vi sono bottiglie, ciotole, aspersori, recipienti a forma di uccello e pezzi da gioco, formati da v. colorato e con una decorazione filiforme in bianco opaco, stesa a ottenere una sorta di marmorizzazione; i colori più diffusi per il v. di base erano porpora, blu e verde. Talvolta il cilindro di v. fuso veniva soffiato in stampi per produrre un effetto nervato e disegni simili a penne venivano ottenuti manipolando i fili; alcuni oggetti erano abbelliti con una doratura. V. di questo tipo venivano prodotti nella regione siro-palestinese e in Egitto.Altri v. comuni erano i recipienti con decorazione soffiata a stampo. Tra gli oggetti più conosciuti vi sono bottiglie, caraffe e altri recipienti di v. colorato, considerati di provenienza nordiranica. La decorazione comprende costolature e motivi a nido d'ape e a reticolo formati in stampi aperti, ornamenti vegetali e iscrizioni.La produzione più spettacolare di questo periodo è costituita da recipienti decorati con dorature, smalti o, più spesso, con una combinazione di entrambi. Tra i v. decorati soltanto con dorature vi è una fiaschetta conservata a Londra (British Mus.) che reca l'iscrizione con il nome di Imad alDin Zangi, che governò l'Iraq settentrionale e la Siria dal 1127 al 1146. A differenza dei v. dorati protoislamici, che erano decorati a foglia, questi oggetti venivano dorati dipingendo il v. con oro in sospensione in un liquido; il metallo veniva quindi fissato con una cottura a bassa temperatura e in un momento successivo i dettagli venivano graffiti sulla patina aurea.V. dorato e smaltato fu prodotto in Siria e in Egitto. Alcuni degli oggetti più antichi sono decorati con scene architettoniche e figurate, il cui stile suggerisce una loro produzione nella Siria settentrionale all'inizio del 13° secolo. Dopo il 1250 ca. le scene figurate divennero meno diffuse e furono sostituite da stemmi araldici e, più tardi, da fiori di loto, fenici e altri motivi di origine cinese, secondo un processo analogo a quello che può essere osservato nei contemporanei oggetti in metallo. Nel sec. 14° le forme attestate sono bottiglie, bacini, brocche, bicchieri e coppe. Sopravvivono relativamente in gran numero le lampade pensili, usate per l'illuminazione delle moschee.La deportazione dei vetrai da Damasco, operata da Tamerlano nel 1400, condusse probabilmente alla fine della produzione vetraria di lusso nell'Asia occidentale, sebbene alcune lampade smaltate e dorate venissero ancora fabbricate dopo tale data. Tuttavia, nel 1480 il viaggiatore milanese Santo Brasca (Viaggio al Santo Sepolcro) riferiva che il capitano della nave sulla quale viaggiava portava da Jaffa a Damasco recipienti di v. provenienti da Murano. L'età d'oro della produzione vetraria islamica era terminata: Venezia divenne il centro fornitore di importanza internazionale e il più tardo v. islamico venne influenzato dalle importazioni europee.
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