Vedi VETRO dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
VETRO (v. vol. VII, p. 1150 e S 1970, p. 899)
Origine della fabbricazione. - Molto tempo prima che apparissero i primi recipienti di v., in Mesopotamia e in Egitto gli artigiani avevano sperimentato materiali vetrosi e affini. Prima del 4000 a.C. si era scoperto che la faïence si può ottenere riscaldando granuli di quarzo (silice) triturato finché le superfici si sciolgono e si fondono in un'unica massa solida; contemporaneamente si scoprì l'invetriatura della ceramica. In un secondo tempo si trovò che si poteva ottenere il v. fondendo silice, ceneri di piante o natron (che agiscono entrambi da fondenti e riducono la temperatura di fusione) e calce (che conferisce stabilità al prodotto finito).
Mesopotamia. - I primi recipienti di v. sembra siano stati prodotti in Mesopotamia nel XVI sec. a.C., e il periodo compreso tra il XVII e il XII sec. a.C. costituisce il primo momento importante nella storia dell'arte vetraria. In quel periodo nelle officine dei palazzi reali si producevano oggetti di lusso di grande raffinatezza e si importavano materie prime grezze e rare, come metalli preziosi e lapislazzuli dall'Afghanistan di cui i primi vetrai imitarono spesso il blu brillante.
I vetrai mesopotamici si impadronirono rapidamente di molte tecniche: la fusione in stampi aperti, simile alla fusione eseguita dai fabbri per oggetti di rame, bronzo e metallo prezioso; la plasmatura su un'anima provvisoria, una tecnica rivoluzionaria che consisteva nell'avvolgimento del v. caldo intorno a un'anima di terracotta asportabile; v. a mosaico, altra nuova tecnica, in cui componenti preformati venivano fusi, anch'essi su un nucleo provvisorio, per ottenere recipienti con disegni ripetitivi e multicolori. La nostra conoscenza dell'antica arte vetraria in Mesopotamia deriva non soltanto dagli oggetti, ma da indicazioni contenute in tavolette cuneiformi di epoca mediobabilonese (1400-1200 a.C. circa) e da copie di testi più antichi trovati nella biblioteca di Assurbanipal a Ninive (668-626 a.C.).
Egitto. - Uno sviluppo parallelo avvenne in Egitto dove la grande maggioranza dei recipienti era fabbricata intorno a un nucleo asportabile e decorata con striature di colori brillanti, che venivano manipolate a caldo per ottenere leggerissimi disegni policromi. I vetrai egiziani producevano una quantità di forme diverse, per lo più contenitori per cosmetici e recipienti per bevande. Nonostante la diversità, tutti questi manufatti hanno una caratteristica comune importante, tipica di tutti gli oggetti in v. antichi: sono minuscoli. C'è un limite alle proporzioni di un recipiente che si può costruire intorno a un nucleo, ed esisteva un limite anche alla quantità di v. che si poteva fondere in una fornace primitiva. Per questo motivo alcuni dei maggiori capolavori dell'arte vetraria egiziana sono di piccole dimensioni. La testa di un faraone della XVIII dinastia, attualmente al Corning Museum of Glass, ne è un esempio: fu modellata, presumibilmente, con la tecnica a cera perduta, utilizzando cioè come stampo il guscio di terracotta che ricopriva l'oggetto modellato in cera probabilmente riempiendolo di v. finemente polverizzato e scaldandolo finché il v. stesso si liquefaceva.
Mediterraneo orientale. - Mentre gli Egiziani fabbricavano i primi capolavori in v. del mondo, in alcuni luoghi del Mediterraneo orientale vi erano artigiani che cominciavano a realizzare prodotti molto più semplici. A Cipro furono imitati i recipienti egizi a nucleo provvisorio a foggia di melegrane. Nella Grecia meridionale, durante l'età micenea, si crearono grani di collane di colore blu, ciondoli e altri ornamenti. È probabile, tuttavia, che i Micenei non fabbricassero v. grezzo forse perché le loro fornaci non raggiungevano, o non potevano mantenere, temperature sufficienti a fondere le materie prime. Sembra invece che abbiano importato v. in lingotti allo stesso modo del rame. Infatti è stato di recente scoperto il relitto di una nave affondata al largo di Ulu Burun (Kaş) sulla costa meridionale della Turchia, forse diretta dalla Siria alla Grecia, intorno al 1425 a.C. circa, in cui si sono rinvenuti lingotti di rame e vetro.
Nel XII sec. a.C. crollarono le maggiori civiltà del Mediterraneo e, con loro, le più avanzate tecnologie del tempo, inclusa l'arte vetraria.
Non sappiamo se questa categoria artigianale scomparve completamente nel corso di quella che si definisce come «età oscura», ma è certo che rinacque nell'VIII sec. a.C. in due regioni caratterizzate da un generale risveglio sociale e cioè in Mesopotamia e sulla costa siro-palestinese - la terra dei Fenici. In Siria e in Palestina gli artigiani ricominciarono a produrre oggetti di lusso in v., il blu egiziano (un silicato vetroso colorato con il rame) e faïence (o ceramica invetriata).
Rinascita. - Il v. assiro. - In Mesopotamia, le officine di palazzo producevano recipienti di v. plasmati su un nucleo provvisorio, o fusi e poi rifiniti con il taglio o la molatura al tornio. La maggior parte dei v. più antichi della Mesopotamia e dell'Egitto erano stati realizzati con colori brillanti, spesso a imitazione del lapislazzuli. Ora invece, mentre alcuni oggetti erano colorati, altri mostravano una tinta marrone o verdognola propria del v. cui non è stato aggiunto colorante, o - più tardi - questa tinta «naturale» veniva rimossa grazie a un'attenta selezione dei materiali grezzi e all'aggiunta di antimonio (che neutralizza le impurità che conferiscono la tinta marrone o verde). Anziché imitare il lapislazzuli, i vetrai imitavano un'altra pietra semipreziosa: l'incolore cristallo di rocca. A quanto risulta, non avvenne in Egitto alcuna rinascita paragonabile a questa fino al periodo tolemaico.
Periodo achemenide. - Nel VI sec. a.C. la Persia conquistava prima la Mesopotamia e più tardi parti dell'Asia centrale, il Vicino Oriente e l'Egitto. Nelle città e nei centri religiosi, come Persepoli, i sovrani achemenidi promossero una politica artistica in cui erano presenti elementi locali, mesopotamici, greci ed egiziani. Le botteghe di palazzo producevano v. preziosi, quali piatti, recipienti acromi per liquidi, che ricalcavano le forme dell'argenteria contemporanea. Questi v. venivano fusi, tagliati e levigati, a volte con un'attenzione meticolosa per il minimo dettaglio. Circa nello stesso periodo, nel Nord della Persia, i vetrai fabbricavano contenitori per smetici, di piccole dimensioni, multicolori e plasmati su nucleo provvisorio.
Mediterraneo orientale e centrale. - Intanto, sulla costa siro-palestinese, i vetrai fenici producevano vasi in miniatura con la tecnica del nucleo provvisorio, grani per collane e ciondoli colorati a forma di testa umana o animale, che si commerciavano in tutto il Mediterraneo. Ne sono stati trovati molti a Cartagine, la più importante colonia fenicia nel Mediterraneo occidentale, dove è probabile si fossero installate botteghe artigiane. A partire dal VI sec. a.C., vasi per cosmetici e profumi, plasmati su nucleo provvisorio, vennero fabbricati anche in area ellenica, soprattutto a Rodi.
Più a occidente, dopo la manifattura di perline a Frattesina nell'Italia settentrionale intorno all'inizio del I millennio a.C., gli Etruschi importarono in Italia recipienti lavorati a nucleo provvisorio e fabbricarono alcuni oggetti con caratteristiche autoctone decisamente non greche. In effetti, la fabbricazione del v. (o almeno la conoscenza della tecnica necessaria per fondere e lavorare il materiale grezzo importato) si diffuse su un territorio sempre più vasto, raggiungendo i centri più importanti dell'Età del Ferro nell'Europa centrale e occidentale.
Grecia. - Negli ultimi tre secoli prima di Cristo, fu raggiunta un'alta specializzazione nella produzione vetraria nelle zone di lingua greca del Mediterraneo orientale (e forse anche centrale). Qui un piccolo numero di botteghe artigiane produsse uno straordinario vasellame da tavola e bottiglie per profumi: v. a mosaico, prodotto con una tecnica che richiamava alcuni dei più antichi recipienti vitrei della Mesopotamia; v. a reticelli, con canne intrecciate di v. incolore bianco o giallo, fuse all'interno o intorno a stampi per farne piatti e scodelle; v. a foglia d'oro, con figure ritagliate da una foglia d'oro pressata tra due recipienti strettamente combacianti che venivano riscaldati di nuovo e fusi a formare un unico oggetto composito.
Questo alto livello produttivo raggiunto dalla lavorazione del v. durante l'età ellenistica viene di solito attribuito a botteghe di Alessandria, ma non vi sono certezze, e la scoperta di v. a mosaico, a reticelli e di v. a foglia d'oro a Canosa e in altri luoghi della Magna Grecia fa supporre l'esistenza di botteghe locali anche in Occidente. Indipendentemente dal luogo di origine, questi straordinari oggetti furono imitati da vetrai tardo-ellenistici, dei quali sono stati ritrovati alcuni prodotti nel relitto di una nave affondata al largo di Anticitera, tra Creta e il continente greco.
Roma. - I Romani ereditarono la tradizione ellenistica della lavorazione di lusso e la trasformarono con la scoperta della soffiatura, che consentiva, per la prima volta nella storia, di produrre recipienti a poco prezzo. Tale scoperta ebbe luogo nel Mediterraneo orientale intorno al 50 a.C. Da allora in poi il v. fu usato da quasi tutti i ceti sociali; per il cibo e le bevande, per conservare merci deperibili, persino per le ceneri dei definiti cremati. Contemporaneamente, tuttavia, si continuavano a produrre per i clienti ricchi alcuni dei più stupefacenti v. preziosi del mondo. Nel I sec. d.C., quando ormai in tutto il bacino del Mediterraneo si era affermato l'uso del v., con l'estendersi del dominio di Roma, l'arte vetraria si diffuse in Europa occidentale. Nel 50 d.C. fabbriche di v. erano attive in molte Provincie europee, tra cui la Gallia, la Spagna e la Germania, dove Colonia divenne centro di una fiorente e longeva industria. Tuttavia, nonostante la scoperta della soffiatura, il vasellame da tavola più costoso del tardo I sec. a.C. e della prima metà del I sec. d.C. fu realizzato con le tecniche della fusione, del taglio e della levigatura. Si trattava di v. a mosaico multicolore, v. a nastri d'oro, in cui la foglia d'oro veniva laminata tra fasce di v. incolore, e di v. cammeo.
Quest'ultimo è costituito da v. monocolore coperto o per così dire foderato con uno o più strati di colori diversi, che venivano incisi, tagliati e levigati. L'oggetto finito presenta un ornamento in bassorilievo su uno sfondo di colore diverso: la combinazione più diffusa era bianco su blu scuro. I primi v. cammeo sembrano databili al regno di Augusto, gli ultimi agli anni intorno al 50 d.C. Tra i v. cammeo romani gli esemplari più significativi sono il Vaso Portland (v.), fabbricato tra il 25 e il 10 a.C. circa, forse per Augusto stesso, e il c.d. Vaso blu da Pompei, realizzato tra il 25 e il 50 d.C. circa.
Alla fine del periodo giulio-claudio, il gusto per il v. colorato venne meno. Da allora in poi il v. più raffinato fu acromo e, come osservava Plinio ( Nat. hist., XXXVII, 37, 10, 29), veniva valutato alla pari del cristallo di rocca.
Tecniche decorative. - Lavorazione a caldo. - I vetrai romani sperimentarono un numero di tecniche decorative superiore a tutti i loro predecessori, e conobbero diverse maniere di decorare a caldo il v. soffiato. Una delle tecniche in uso consisteva nel far rotolare il v. caldo su una superficie ricoperta di frammenti di v. colorato, conferendo così all'oggetto un aspetto screziato e multicolore. Un'altra consisteva nell'applicazione di strisce di v. fuso che, opportunamente foggiate, possono produrre disegni «a serpentina». Tale decorazione era in uso sia nel Mediterraneo orientale sia nelle provincie occidentali, specie a Colonia.
Soffiatura a stampo. - Fu facile, dopo la scoperta della soffiatura, scoprire che il v. può essere soffiato in una matrice. Questo permise di produrre, con poca spesa e in poco tempo, una gran quantità di oggetti identici, con elaborate decorazioni che soddisfacevano tutti i gusti. Enmone, uno dei pochi vetrai romani di cui conosciamo il nome, produceva eleganti coppe e brocche decorate con classico disegno a foglie e a palmette. Altri, come Marco Licinio Diceo, fabbricavano recipienti più robusti per commemorare famosi gladiatori e aurighi, citati nelle iscrizioni.
V. dipinto. - Il v. si decorava anche a freddo, con la pittura, ma pochi oggetti sono sopravvissuti intatti ed è probabile che molti esemplari siano scomparsi per il distacco del colore in seguito al deterioramento della superficie del vetro. Tra i ν. dipinti rimasti c'è un gruppo di coppe databili al secondo e terzo quarto del I sec. d.C.; orci con coperchio fatti a Cipro nel II sec.; coppe decorate con scene di circo e animali selvatici, attribuite alla fine del II e al III sec.; e altro vasellame, compresa la «Brocca Dafne» dorata e dipinta, che sembra sia stata fabbricata nel Mediterraneo orientale nel III o IV sec. d.C.
Intaglio e incisione. - Tali tecniche di decorazione a freddo furono assai più diffuse della pittura e con esse si crearono stili regionali ben caratterizzati, che variarono da secolo a secolo. L'intaglio, partendo dalla semplice scanalatura orizzontale, attraverso la sfaccettatura poteva creare complessi disegni con figure, paesaggi e iscrizioni. Alla fine del I e all'inizio del II sec. d.C., la decorazione tagliata con la ruota dava spesso un disegno sfaccettato su tutta la superficie, sebbene i v. più belli fossero tagliati in altorilievo. Nel III sec., forse dopo un'interruzione nell'arte dell'intaglio, la varietà dell'ornamento si accrebbe. L'intaglio lineare o graffito fu usato da molte botteghe - a Roma, a Colonia, in Egitto e altrove - per produrre scene di caccia, episodi della mitologia pagana e scene del Vecchio e del Nuovo Testamento. Un piccolo gruppo di bottiglie del IV sec. presenta raffigurazioni di edifici sulle banchine dei porti di Pozzuoli e Baia.
V. a foglia d'oro. - Tra le produzioni di lusso del periodo ellenistico si contano recipienti in cui la foglia d'oro veniva compressa tra due strati fusi quasi identici. Tale tecnica fu ripristinata nel III sec. a.C., quando comparve l'uso dei medaglioni a foglia d'oro, seguiti dai medaglioni rotondi (i c.d. fondi d'oro) che si diffusero come elemento centrale di piatti e ciotole, spesso appesi alle pareti delle catacombe accanto alle sepolture. Una coppa a due manici, conosciuta come Kàntharos Disch, mostra un uso insolito della foglia d'oro che è stata applicata alla superficie esterna e protetta da una gabbia a zig-zag.
Tazze a gabbia. - I più rari v. preziosi tardo-romani erano intagliati a giorno. I più noti recipienti di questo tipo sono le c.d. tazze a gabbia, a volte, e forse impropriamente, chiamate diatreta. Si tratta di recipienti a forma di tazza e coppa, le cui basi e i cui lati sono racchiusi in una «gabbia» intagliata a giorno attaccata alle pareti mediante supporti; l'intero oggetto veniva tagliato in un unico pezzo di vetro. Tra le tazze a gabbia la più straordinaria è quella di Licurgo al British Museum (v. diatreti, vasi), la quale presenta due caratteristiche originali: la decorazione a giorno che consiste in un fregio con figure, dove sono rappresentati il mitico re Licurgo e Dioniso con i suoi seguaci; inoltre, possiede la rara proprietà del dicroismo, appare, cioè, di un colore - in questo caso, verde - alla luce riflessa e di un altro colore - rosso - quando la luce lo attraversa.
Opus sedile. - Il tipo più comune di opus sedile (v.) era creato con pezzi di marmo e altre pietre colorate. Tuttavia, a volte, si usava anche il v., come è dimostrato dai pannelli prefabbricati del IV sec. rinvenuti a Kenchreai, (v. s 1970, p. 392, s.v. Kenchreaí), il porto orientale di Corinto, e da un frammento di provenienza ignota conosciuto come Pannello Tommaso.
Con la fine dell'impero romano, nel V sec. d.C., terminò la seconda grande fase della lavorazione del vetro. In Occidente, recipienti per liquidi di ardita ma semplice fattura presagivano già le coppe dell'Alto Medioevo. In Oriente, i prodotti più elaborati erano souvenirs soffiati a stampo decorati con simboli cristiani o ebraici, fatti per i pellegrini diretti a Gerusalemme o in altri luoghi sacri. In quest'epoca i più elaborati prodotti della tarda arte vetraria romana - tazze a gabbia, v. a foglia d'oro e v. dipinti - non si fabbricavano più.
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1982. Rinascita. - Il v. assiro: D. Barag, Catalogue of Western Asiatic Glass..., cit.; P. R. S., Moorey, Materials and Manufacture..., cit. - Periodo achemenide: E. V. Sayre, R. W. Smith, Some Materials of Glass Manufacturing in Antiquity, in M. Levey (ed.), Archaeological Chemistry. A Symposium: Third Symposium on Archaeological Chemistry, Atlantic City, New Jersey, Filadelfia 1967, p. 279 ss.; M. Vickers, An Achaemenid Glass Bowl in a Dated Context, in JGS, XIV, 1972, p. 15 ss.; D. Barag, Rod-Formed Kohl-Tubes of the Mid-First Millennium B.C., ibid., XVII, 1975, pp. 23-36. - Mediterraneo orientale e centrale: D. Β. Harden, V. Α. Tatton Brown, Catalogue of Greek and Roman Glass..., cit.; M. Seefried, Les Pendentifs en Verre sur Noyeau des Pays de la Mediterranée antique, Roma 1982. - Grecia: G. Davidson Weinberg e altri, The Antikythera Shipwreck Reconsidered, Filadelfia 1965; D. B. Harden, The Canosa Group of Hellenistic Glasses in The British Museum, in JGS, X, 1968, pp. 21-47. ~ Roma: La scoperta della soffiatura del v.: Ν. Avigdad, Excavations in the Jewish Quarter of the Old City of Jerusalem, 1971, Third Preliminary Report, in Is- rExplJ, XXII, 1972, pp. 193-200; D. Grose, The Origins and Early..., cit. - Inoltre: E. Simon, Die Portlandvase, Magonza 1957; ead., Drei antike Gefässe aus Kameoglas in Corning, Florenz und Besançon, in JGS, VI, 1964, pp. 13-30; D. E. L. Haynes, The Portland Vase, Londra 19752; S. M. Goldstein, L. S. Rakow, J. K. Rakow, Cameo Glass. Masterpieces from 2000 Years of Glassmaking, Corning 1982; D. F. Grose, Glass Forming Methods in Classical Antiquity: Some Considerations, in JGS, XXVI, 1984, pp. 25-34; D. F. Grose, Innovation and Change in Ancient Technologies: The Anomalous Case of the Roman Glass Industry, in W. D. Kingery (ed.), Ceramics and Civilization, III. High-Technology Ceramics. Past, Present, and Future, Westerville 1986, pp. 65-79; G. D. Weinberg (ed.), Excavations at Jalame. Site of a Glass Factory in Late Roman Palestine, Columbia 1988; F. Naumann-Steckner (ed.), Glas der Caesaren. Römisches Glas des 2. bis 6. Jahrhunderts. Der archäologische Befund. Berichte auf dem Glassymposium in Köln 1988, in KölnJbVFrühGesch, XXII, 1989, pp. 3-203; I. C. Freestone, W. Gudenrath, K. Painter, D. Whitehouse, The Portland Vase, in JGS, XXXII, 1990, pp. 12-188; M. Newby, Κ. Painter (ed.), Roman Glass. Two Centuries of Art and Invention, Londra 1991; D. Whitehouse, Roman Glass in The Corning Museum of Glass, I, Corning 1997. - Decorazione del v. a caldo: F. Fremersdorf, Die römischen Gläser mit aufgelegten Nuppen in Köln (Die Denkmäler des römischen Köln, 6), Colonia 1962. - Soffiatura a stampo: G. Sennequier, Nouveau aperçus sur deux verres gallo-romaines du Musée des Antiquités de Rouen: une coupe â course de chars et un gobelet à gladiateurs, in Annales du je Congrès international d'étude historique du verre, Berlin-Leipzig 1977, Liegi 1978, pp. 67-94; Y. Israeli, Ennion in Jerusalem, in JGS, XXV, 1983, pp. 65-69; D. M. Stern, The Toledo Museum of Art. Roman Mold-blown Glass, Roma 1995. - V. dipinto: D. B. Harden, Η. Hellenkemper, K. S. Painter, D. Whitehouse, Vetri dei Cesari, cit., pp. 259-262. - Intaglio e incisione: K. S. Painter, Roman Flasks with Scenes of Baiae and Puteoli, in JGS, XVII, 1975, PP- 54-673 S. E. Ostrow, The Topography of Puteoli and Baiae on the Eight Glass Flasks, in Puteoli, III, 1979, pp. 77-140; A. Oliver Jr., Early Roman Faceted Glass, in JGS, XXVI, 1984, pp. 35-58; A. von Saldern, Römische Hochschliffgläser, in Jahrbuch des Museums für Kunst und Gewerbe Hamburg, IV, 1985, pp. 27-42. - V. a foglia d'oro: F. Zanchi Roppo, Vetri paleocristiani a figure d'oro, Ravenna 1967. - Tazze a gabbia: D. B. Harden, H. Hellenkemper, K. S. Painter, D. Whitehouse, Vetri dei Cesari, cit., pp. 185-188. - Opus sectile: L. Ibrahim, R. Scranton, R. Brill, Kenchreai. Eastern Port of Corinth, II. The Panels of Opus Sectile Glass, Leida 1976; D. B. Harden, H. Hellenkemper, K. S. Painter, D. Whitehouse, Vetri dei Cesari, cit., p. 34. - La fine dell'arte vetraria romana: D. Barag, Glass Pilgrim Vessels from Jerusalem, in JGS, XII, 1970, pp. 35-63; id., Glass Pilgrim Vessels from Jerusalem. Part II-III, ibid., XIII, 1971, pp. 45-63; V. I. Evison, Anglo-Saxon Claw-Beakers, in Archaeologia, CVII, 1982, pp. 43-76; D. Foy (ed.), Le Verre de l'Antiquité tardive et du haut Moyen Age, Guiry-en-Vexin 1995.