Vetro
(XXXV, p. 260; App. II, ii, p. 1106; III, ii, p. 1086; IV, iii, p. 820; V, v, p. 756)
Nuove metodologie di produzione del vetro
La produzione del v. si è basata, fin dall'antichità, sulla fusione, intesa come raggiungimento di uno stato liquido ad alta temperatura di una opportuna miscela di ossidi. Solo in tempi relativamente recenti, sotto lo stimolo della necessità di prodotti sempre più puri e omogenei e di tecnologie innovative per nuove applicazioni, sono stati sviluppati metodi di formazione del v. completamente diversi. Tra questi vale la pena di citarne almeno due, per l'importanza commerciale e strategica che sono andati assumendo negli ultimi anni: il processo CVD (Chemical Vapor Deposition) e il processo sol-gel. Il primo consiste nella formazione tramite reazioni chimiche in fase vapore, a partire per es. da cloruri, di ossidi che poi condensano su un supporto. Questo metodo viene usato, tra l'altro, per la realizzazione di preforme destinate alla produzione di fibre ottiche e consente di ottenere, mediante una continua variazione della composizione nella fase vapore, un gradiente controllato dell'indice di rifrazione nelle fibre. Il processo sol-gel è più recente. Nata come curiosità scientifica, questa metodologia di preparazione del v. si sta sviluppando in modo davvero notevole e va suscitando sempre maggior interesse nel mondo industriale.
Il metodo su cui si basa consiste nel creare, in una soluzione liquida di opportuni composti precursori e a temperatura ambiente, le condizioni per la formazione di un reticolo inorganico attraverso reazioni di idrolisi e condensazione secondo lo schema: a) reazione di parziale idrolisi di un generico alcossido di silicio con un radicale organico, per es. metile, etile ecc.; b) reazione di condensazione con formazione di un legame Si-O-Si; c) completa trasformazione dei precursori in silice, grazie all'effetto combinato delle reazioni (a) e (b). La trasformazione chimica che ha luogo nella soluzione si manifesta nella 'gelificazione' del liquido, che si trasforma in una massa gelatinosa e coerente, in cui un reticolo inorganico trattiene il solvente al suo interno. Il gel viene successivamente essiccato e riscaldato per eliminare la frazione liquida e provocare la densificazione del reticolo solido. In questo modo è possibile, per es., ottenere un v. di silice a temperature non superiori a 1200 °C, laddove un processo tradizionale di fusione richiederebbe temperature prossime ai 2000 °C. Il metodo sol-gel consente la realizzazione, difficilmente attuabile in altro modo, di v. dalla composizione eccezionalmente pura e omogenea, di v. porosi a elevatissima superficie specifica e di rivestimenti sottili (con spessori inferiori a 0,5 μm). Le possibili applicazioni sono già numerosissime e promettono ulteriori sviluppi per il futuro.
Vetri per l'agricoltura e l'allevamento
Una nuovissima gamma di v. per applicazioni nell'agricoltura e nell'allevamento del bestiame e avicolo è stata proposta in questi ultimi anni ed è potenzialmente suscettibile di importanti sviluppi. Di norma, la maggior parte delle utilizzazioni del v. (lastre per l'edilizia e i trasporti, contenitori per bevande, flaconi e fiale per medicinali ecc.) si basa sulla sua grande inerzia chimica. Al contrario, in questi nuovi tipi di v. si sfrutta la lenta lisciviabilità, cioè la capacità di separarsi della massa di talune composizioni rispetto a particolari elementi la cui cessione all'ambiente può essere programmata nel tempo e avvenire in quantità diverse a seconda della composizione del vetro. I fertilizzanti attualmente in uso in agricoltura presentano in genere l'inconveniente di danneggiare le piante site in terreni secchi a causa della troppo alta concentrazione dei nutrienti, mentre in terreni eccessivamente bagnati possono venire dilavati, lasciando così le piante prive di nutrienti e costituendo una possibile fonte di inquinamento per i contigui corsi d'acqua. Da alcuni anni vengono sperimentati i cosiddetti v. fertilizzanti, la cui composizione è tale che essi possono essere progressivamente solubilizzati da parte del terreno, assimilabile a una soluzione leggermente acida. Come costituente principale, formatore della matrice vetrosa, si usa anidride fosforica, come ossido modificatore e regolatore della lisciviabilità l'ossido di calcio. Nella matrice vengono incorporati i nutrienti in quantità opportune, a seconda del tipo di terreno e di coltura, in particolare potassio e magnesio ed elementi in tracce quali ferro, boro, rame, cobalto, manganese, zinco, vanadio e zolfo. Il problema principale è costituito dalla necessità di introdurre nella composizione notevoli percentuali di azoto, elemento più difficile da incorporare. Attualmente si ricorre alla calciocianammide, che è aggiunta al v. fuso a temperature elevate e sotto pressione di azoto, ma altri metodi sono allo studio. Per quanto riguarda l'allevamento del bestiame, un problema sempre più sentito è quello di assicurare una corretta alimentazione, basata su carboidrati, grassi, vitamine e sostanze minerali. Riguardo a queste, in particolare, negli ultimi anni è stata sempre più sottolineata l'importanza di taluni elementi, sia pure in quantità ridottissime, che scarseggiano nei foraggi e nei mangimi e che devono venire integrati nella dieta: tali elementi, di cui più usualmente si riscontrano deficienze nell'organismo animale, sono il cobalto (la cui assenza può provocare anemia perniciosa), il rame (necessario per la formazione dell'emoglobina nel sangue), il selenio (componente essenziale di un enzima che catalizza la rimozione dal corpo di perossido di idrogeno, e senza il quale si ha perdita di peso, ridotta fertilità e distrofia muscolare) e lo iodio (indispensabile per il controllo del metabolismo e dei processi di accrescimento). Nel caso dei ruminanti, animali che possiedono più di uno stomaco, è possibile fornire loro tali oligoelementi tramite capsule di v. solubili, di particolare composizione e di dimensioni opportune, che vengono ingoiate e trattenute nel primo stomaco per un lungo periodo. La composizione base del v. è tale da fornire agli animali gli elementi di cui necessitano su scala macroscopica (fosforo, calcio, sodio e magnesio); in essa vengono incorporati gli elementi in tracce.
Vetri per biotecnologie
Il v., reso opportunamente poroso, può essere di grande interesse per le biotecnologie. La sua superficie è infatti altamente reattiva e può essere modificata in modo da divenire idroliticamente stabile con la voluta polarità. I v. porosi, con dimensioni dei pori variabili tra 0,002 e 300 μm e superficie specifica anche di 300 m²/g, possono essere realizzati con due processi: 1) preparazione di un v. che presenti due fasi separate, una delle quali, essendo solubile, può essere asportata per dissoluzione; 2) sinterizzazione di una miscela di polvere di v. e di sali a elevato punto di fusione, che vengono successivamente sciolti. Anche in questo caso il metodo sol-gel può fornire un'interessante alternativa, che consente di realizzare manufatti a microporosità controllata mediante opportuno trattamento termico del gel essiccato, e di eliminare quindi l'operazione di lisciviazione che caratterizza i due metodi sopra citati. Questi v. porosi possono essere, per es., utilizzati nella filtrazione sterile di soluzioni di colture cellulari, nell'elettrofiltrazione o anche come supporti per l'immobilizzazione di enzimi e cellule.
Vetri per sensori in medicina
Un'interessante utilizzazione del v. nel campo dei sensori per applicazioni mediche, in fase avanzata di studio, è finalizzata alla realizzazione, tramite deposizione di strati sottili con il processo sol-gel, di dispositivi ISFET (Ion Sensitive Field Effect Transistor), per la misura della concentrazione di ioni alcalini in soluzione. Tali dispositivi, una volta messi a punto, potrebbero essere predisposti su sonde e permettere di rilevare, per es., la concentrazione di potassio nel sangue mediante misure in situ.
Vetri policromatici
Un esempio assai interessante dei progressi compiuti negli ultimi anni nel più qualificato centro di ricerca del mondo in campo vetrario (il Corning Glass, situato nella cittadina di Corning presso New York) per ottenere determinate proprietà attraverso una precisa progettazione del materiale a livello microstrutturale - concetto che è alla base di quella che oggi si definisce ingegneria del materiale - è dato dai cosiddetti v. policromatici: questi rappresentano una fase avanzata rispetto ai precedenti v. fotosensibili, noti da più lungo tempo. Da secoli, con una tecnica legata all'esperienza e gelosamente custodita e tramandata, i maestri vetrai muranesi riuscivano a ottenere v. di una caratteristica tinta rubino, realizzata aggiungendo sali d'oro al v. fuso. Nel v. raffreddato velocemente si formavano nuclei submicroscopici di oro metallico che, per successivo riscaldamento, crescevano fino a particelle di dimensioni colloidali, provocando l'intensa colorazione rossa. Nei v. fotosensibili il principio della creazione di una fase microcristallina, per accrescimento controllato di nuclei entro una matrice vetrosa, è stato perfezionato, in quanto la cristallizzazione ha luogo solo nelle zone del v. che sono state sottoposte in precedenza a irradiazione con luce nell'ultravioletto. All'atto dell'irradiazione si verifica un meccanismo di ossidoriduzione (cui partecipano ioni cerio con funzione di sensibilizzatori), in base al quale ioni di metalli nobili, usualmente argento, vengono trasformati in atomi. Tali atomi fungono da nuclei per microcristalli che si sviluppano nel corso di un successivo riscaldamento: a seconda delle dimensioni dei microcristalli si ottengono colori diversi. Se l'irradiazione viene effettuata attraverso un negativo fotografico si possono ottenere immagini e riproduzioni di altissima fedeltà e risoluzione; se l'immagine della zona irradiata è costituita da una fase microcristallina asportabile per attacco acido, si può ottenere la riproduzione di strutture estremamente complesse con tolleranze fino a 2÷3 μm. I v. fotosensibili così realizzati avevano però una gamma di colori alquanto limitata; al contrario, i v. policromatici possono essere realizzati in uno spettro completo di colori, assolutamente stabili (almeno fino a 400 °C) e completamente trasparenti. Le possibili applicazioni sono numerosissime, dall'archivio di informazioni alle diapositive, ai ritratti, alle riproduzioni artistiche, alle scenografie e al v. decorato per arredamento e servizi da tavola ecc. La composizione e la fabbricazione di questi v. sono più complesse rispetto a quelle dei v. fotosensibili, in quanto occorre anche la presenza di almeno due alogeni (fluoro e bromo), nonché una duplice esposizione alle radiazioni ultraviolette e un successivo trattamento termico. Il particolare curioso, e che ci riporta al discorso precedente sul controllo microstrutturale, consiste nel fatto che i colori sviluppati, ben riproducibili in funzione della composizione e del ciclo di trattamento, dipendono essenzialmente dalla forma e dalle dimensioni dei microcristalli che si originano. Visti al microscopio, essi presentano una forma piramidale allungata, con gli apici costituiti da argento: le particelle anisotrope di argento, a seconda del loro sviluppo (lunghezza) e forma (rapporto tra lunghezza e larghezza variabile da 10 a 1), impartiscono al v. colorazioni diverse, perfettamente graduabili.
Vetri per memorie ottiche
Una delle applicazioni più interessanti dei v. nel settore dell'informatica è quella relativa ai dischi ottici. I dischi a memoria ottica costituiscono una vantaggiosa alternativa a quelli costituiti da materiali magnetici, in particolare per la possibilità di essere rimossi dal sistema centrale, similmente a un video-disco. Essi si basano sul passaggio da una struttura amorfa a una cristallina, cioè da una distribuzione disordinata degli atomi, che compongono il materiale, a una ordinata (transizione di fase amorfa-cristallina), passaggio indotto da un impulso di luce laser su uno strato di v. calcogenuro, normalmente un composto a base di indio-selenio-tallio-cobalto; la lettura viene ottenuta tramite la correlata variazione della riflettività ottica. La variazione di riflettività è causata dalla variazione dell'indice di rifrazione e può essere aumentata sfruttando l'interferenza tra la luce riflessa dalla parte superiore e da quella inferiore dello strato di v. calcogenuro. La velocità di cristallizzazione è una delle più importanti caratteristiche del sistema, dato che si richiede una veloce cancellazione per raggiungere un'elevata velocità di trasferimento dei dati. L'impulso di luce laser, utilizzato per rendere amorfo il materiale (fase di scrittura), ha una più alta potenza di quella necessaria a fondere il cristallo, mentre l'impulso per la formazione della fase cristallina ha una potenza appropriata alla formazione di tale fase. Gli impulsi di luce laser utilizzati per la lettura hanno una potenza molto bassa rispetto a quelli utilizzati per indurre le transizioni dalla struttura amorfa a quella cristallina, e rivelano la variazione di riflettività dovuta al cambiamento di fase. Le varie fasi del processo (scrittura, cancellazione e lettura) hanno diversi livelli di potenza, che determinano localmente diversi valori delle temperature per le quali si ha la formazione delle due fasi. I tempi caratteristici sono quelli legati alla transizione di fase e inferiori a 0,05 μs. La massima sensibilità nell'identificazione delle due fasi (informazione presente o cancellata) si ha per una lunghezza d'onda del fascio laser di lettura dell'ordine di 900 nm.
Vetri per accumulo di energia
Un'ulteriore area applicativa, che offre notevoli potenzialità, è costituita da batterie che utilizzano nuovi tipi di v. quali elettroliti solidi. Si tratta di v. a elevata conducibilità ionica (identificati con la locuzione inglese fast ion conductors), la cui conducibilità elettrica è superiore di oltre 10 ordini di grandezza a quella dei v. comuni. Rispetto ai materiali cristallini attualmente impiegati, derivati per lo più dalla β-allumina (NaAl₁₁O₁₇), i v. proposti presentano diversi vantaggi, tra cui una conduzione degli ioni isotropica e spesso migliore a parità di composizione, un trascurabile contributo elettronico al processo di conduzione e, di conseguenza, una buona stabilità in condizioni ossidoriduttive, la possibilità di variazioni continue di composizione nonché di modificazioni strutturali a seconda della storia termica del vetro, e infine la possibilità di fabbricazione in strati sottili, utili per es. nello sviluppo di microbatterie, tramite la tecnica di deposizione sputtering catodico o processi sol-gel. Le numerose composizioni già disponibili di v. ad alta conduzione ionica (tramite ioni argento e ioni litio) sono tutte caratterizzate da un basso contenuto di ossidi formatori del reticolo vetroso (anidride borica o fosforica) e da un'elevata concentrazione di ioni (oltre a quelli citati, anche ioni cloro e iodio).
L'impiego attuale è in batterie miniaturizzate per orologi o calcolatrici tascabili, mentre ulteriori ricerche sono in corso per consentirne l'uso in batterie ad alta densità di energia per autotrazione, quali le batterie Na/S, operanti ad alta temperatura. Al contrario delle usuali batterie, l'anodo e il catodo sono allo stato fuso, mentre l'elettrolita è solido. Per es., in un prototipo di cella costruito dalla Dow Chemical l'anodo è costituito da sodio fuso contenuto entro migliaia di sottili fibre di v. cave (diametro esterno 80 μm e interno 50 μm) che fungono da elettrolita, mentre il catodo è costituito da una miscela di zolfo e solfuro di sodio fusi, che riempie lo spazio tra le fibre. Il problema principale è costituito dalla resistenza che deve offrire l'elettrolita solido all'azione corrosiva dei reagenti. Altri requisiti richiesti sono elevata resistività elettronica, stabilità termica e resistenza meccanica.
Vetri per contenitori di scorie radioattive
Lo sfruttamento dell'energia nucleare, come di ogni altro bene, produce rifiuti. Se il combustibile consumato viene riprocessato in modo da riciclare il materiale fissile non utilizzato e guadagnare ancor più energia, rimangono soluzioni acide di rifiuti radioattivi, i cosiddetti HLW (High Level Liquid Waste). Questi rifiuti contengono sia prodotti di fissione, generalmente non stabili ed emettitori di radiazione β e γ, sia una certa quantità di attinidi, a loro volta emettitori di particelle α. Un modo prudente e sicuramente a basso rischio di accantonare questi rifiuti per lunghi periodi di tempo è quello di solidificare le soluzioni in una appropriata matrice e sotterrare tale prodotto in formazioni geologiche molto profonde. La matrice deve essere in grado di incorporare nella sua struttura grandi quantità di diversi elementi, deve rilasciare il meno possibile del suo contenuto nel caso indesiderato che l'acqua possa infiltrarsi nel luogo di deposizione e, infine, deve essere il più possibile resistente al danneggiamento strutturale provocato dalle radiazioni. I luoghi di deposito, da parte loro, devono essere il meno umidi possibile e non devono interagire chimicamente e/o fisicamente con la matrice che ingloba i rifiuti. In pratica, i rifiuti solidificati devono essere, a loro volta, contenuti in uno o più contenitori metallici. I migliori candidati come luoghi di deposizione sono giacimenti di salgemma vecchi e già sfruttati, formazioni granitiche a grande profondità oppure strati di argilla molto compatti.
La maggior parte dei progetti nazionali relativi al problema dell'inglobamento delle scorie radioattive si è indirizzata, nell'ultimo decennio, all'uso di matrici di v. borosilicato, con composizione in peso del 10÷15% di B₂O₃, 40÷50% di SiO₂ e di componenti minori di ossidi di alluminio, magnesio, calcio e titanio. In tali matrici vi è la possibilità di incorporare una quantità di ossidi di rifiuti in percentuali in peso comprese tra il 15 e il 2%: dato che i componenti del v. hanno, in genere, pesi molecolari molto più bassi, le corrispondenti concentrazioni atomiche sono più basse e sono comprese tra il 6 e il 15%. Tale scelta appare alquanto valida, viste le buone caratteristiche sia di resistenza chimica sia di possibilità di rilascio di elementi che il v. presenta. Poiché le scorie prodotte sono ad alta temperatura, il solido è soggetto a gradienti termici: a questo proposito, le condizioni di deposizione finale devono essere scelte in modo che le temperature delle superfici dei contenitori non superino un valore stabilito, per es. 150 °C. Questa temperatura diminuisce con il tempo e raggiunge quella del luogo di deposizione solo dopo circa 1000 anni. Il reale valore del calore e del danno da radiazione prodotto non dipende solo dalla quantità di scorie inglobate ma, in pratica, è fortemente condizionato dalla loro tipologia e cioè dal reattore utilizzato e dalle strategie di riprocessamento del combustibile.
È molto difficile fare delle valutazioni precise sulle implicazioni future del problema dello smaltimento delle scorie radioattive, essendo tale tema legato a repentini cambiamenti sia di tecnologie sia di scelte politico-economiche. In ogni caso, si possono fare solo delle proiezioni che si basano sullo status quo, tenendo conto delle informazioni in possesso degli organismi preposti nazionali e internazionali relativamente alle tendenze di sviluppo dei vari paesi nel settore. Valutazioni oggettive, effettuate dagli esperti del CEA (Commissariat à l'Énergie Atomique) francese, stabiliscono che la principale sorgente di scorie radioattive è rappresentata dai radioelementi provenienti dalla produzione di elettricità via energia nucleare, e cioè dal funzionamento dei reattori, dalla fabbricazione del combustibile e dal successivo trattamento di quello utilizzato: tali scorie rappresentano circa l'85% del totale delle scorie prodotte attualmente in Francia. Tenendo conto dei programmi di sviluppo francesi, per il 2000 si può calcolare a 900.000 m³ il volume totale delle scorie radioattive; sempre seguendo le valutazioni degli esperti francesi, è possibile ritenere che l'industria nucleare produca circa 1 kg di scorie all'anno per abitante e che, tenendo conto dello sviluppo internazionale, l'accumulo di scorie (di vario tipo) prevedibile per l'anno 2000 ammonti a circa 12 milioni di m³. La maggior parte delle scorie, a bassa o media attività, viene sottoposta a trattamenti fisico-chimici in modo da concentrarne la radioattività in volumi sempre più piccoli e rendere possibile l'inglobamento in varie forme (cemento, bitume, polimeri ecc.). Solo una piccola percentuale, difficilmente quantificabile e legata strettamente alle scelte tecnologiche, costituisce la parte di scorie ad alta attività da inglobare in v. borosilicati o in vetroceramica, e a sua volta, come sottolineato precedentemente, solo una limitata percentuale in peso (dal 15 al 25%) di tali scorie può essere inglobata nel vetro. Nonostante ciò, se le politiche internazionali adotteranno tale scelta, dovranno essere rese disponibili a livello industriale strutture altamente tecnologizzate e capaci di processare una quantità di v. borosilicato dell'ordine di qualche milione di tonnellate. Queste scelte hanno già trovato attuazione in molti paesi e ne sono chiari esempi gli impianti funzionanti e in costruzione, primi fra tutti quelli in Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna.
Biovetri
Questi v. sono a base di ossidi di sodio, ossidi di calcio, fluoruri di calcio, fosfati su una matrice di ossido di silicio. Favoriscono la ricostruzione ossea, tramite formazione dell'idrossiapatite Ca₁₀(PO₄)₆, la osteogenesi lamellare e l'adesione cellulare. Gli svantaggi maggiori consistono nella fragilità, nelle scarse proprietà meccaniche e nelle limitate caratteristiche elastiche. Vengono utilizzati in ortopedia e in odontoiatria, come rivestimenti per osteo-integrazione e nell'inserimento di protesi.
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