VEZELAY
VÉZELAY (lat. Viseliacum)
Città della Francia sudorientale (dip. Yonne), nella regione storica della Borgogna.
V. prende origine da un monastero femminile fondato probabilmente nell'858-859 sulle rive del fiume Cure, nell'area dell'od. villaggio di Saint-Père, dal conte Gerardo di Rossiglione (Chérest, 1863-1868; Louis, 1946). Distrutto dai Normanni, nell'873 (Salet, Adhémar, 1948) o nell'887 (Louis, 1946), il monastero venne definitivamente trasferito, sempre per iniziativa del conte Gerardo, sulla vicina collina e affidato ai monaci di Saint-Martin di Autun.Nel sec. 11° si confermò ulteriormente il ruolo dell'abbazia, riformata da Cluny forse nel 1026-1027, in seno alla quale sorse e si sviluppò il culto di s. Maria Maddalena, il cui corpo, secondo la locale tradizione monastica, sarebbe stato sepolto nella chiesa (Salet, Adhémar, 1948; Saulnier, Stratford, 1984). Una serie di miracoli che si verificarono a V. attirò ben presto folle di fedeli, al punto che la città divenne in breve tempo una delle principali mete di pellegrinaggio del regno di Francia.
Il declino cominciò tuttavia già nel corso del sec. 13°, quando vennero sollevati dubbi sull'autenticità delle reliquie e i pellegrinaggi si orientarono verso l'abbazia provenzale di Saint-Maximin (od. Saint-Maximin-la-Sainte-Baume), ritenuta ormai l'unica sede ove fossero conservati i resti di s. Maria Maddalena (Diemer, 1975). Secolarizzata nel 1537, l'abbazia di V. divenne una collegiata e mantenne questo status fino al 1790, quando le vicende della Rivoluzione francese costrinsero i Canonici all'esodo e la quasi totalità degli edifici pertinenti al complesso venne distrutta (Chérest, 1863-1868; Salet, Adhémar, 1948; Saulnier, Stratford, 1984; Salet, 1995). Di essi si conserva solamente un corpo di fabbrica gotico, adiacente al braccio meridionale del transetto della chiesa, il cui piano terreno è occupato dalla sala capitolare, pesantemente restaurata da Eugène Viollet-le-Duc nel sec. 19°, mentre il primo piano - ora adibito a museo lapidario - fungeva probabilmente da dormitorio.Nonostante la carenza di fonti, la storia monumentale della Madeleine di V. è sufficientemente nota. Nel clima creato dal supposto ritrovamento del corpo di s. Maria Maddalena e dalla fama come centro di pellegrinaggio, la chiesa abbaziale carolingia, consacrata dal papa Giovanni VIII nell'878, fu sostituita da un edificio romanico più adatto ad accogliere i fedeli (Salet, Adhémar, 1948). La sua costruzione, avviata dall'abate Artaud (1096-1106), sembra abbia avuto inizio dal coro e dal transetto, ai quali potrebbe riferirsi una dedicazione del 21 aprile 1104 (Salet, 1936; Salet, Adhémar, 1948; Saulnier, Stratford, 1984). È ignoto, tuttavia, se nella fase iniziale dei lavori il capocroce sia stato prolungato con un corpo longitudinale o se, in un primo tempo, sia stata mantenuta la navata carolingia.In ogni caso, un nuovo corpo longitudinale venne innalzato procedendo da O verso E dopo l'incendio del 21 luglio 1120 (Salet, Adhémar, 1948; Diemer, 1975; Saulnier, Stratford, 1984). Iniziata dall'abate Renaud di Semur, questa parte della costruzione venne sicuramente portata a temine all'epoca dell'abate Aubri (1131-1138; Salet, Adhémar, 1948). I lavori di epoca romanica si conclusero con la costruzione di una galilea databile agli anni 1135-1155 (Salet, Adhémar, 1948; Saulnier, Stratford 1984).Una seconda grande fase costruttiva iniziò alla fine del sec. 12° con il rimaneggiamento della cripta, l'edificazione di un capocroce e di un transetto gotici, e la modifica delle campate orientali del corpo longitudinale, opere compiute all'epoca degli abati Girard d'Arcy (1171-1198) e Gauthier (1207-1217; Salet, Adhémar, 1948; Saulnier, Stratford, 1984). Più tardi, rispettivamente intorno al 1230-1240 e al 1240-1250, si procedette alla sopraelevazione della torre sudoccidentale della galilea e all'abbellimento della parte superiore della facciata occidentale (Salet, 1936; Salet, Adhémar, 1948; Saulnier, Stratford, 1984).La primitiva facciata occidentale, costruita dopo l'incendio del 1120, doveva essere preceduta da un basso portico, simile a quello della chiesa di Perrecy-les-Forges (Borgogna), sormontato da una tribuna aggettante, come attestato da alcune tracce; ma questo progetto fu ostacolato nel corso dei lavori dall'introduzione di un grande timpano istoriato che impose la sopraelevazione del portale centrale (Salet, 1940; Salet, Adhémar, 1948; Diemer, 1975). Il corpo longitudinale, articolato in tre navate di dieci campate con volte a crociera su archi trasversi, si distingue per l'alzato a due livelli, l'adozione di pilastri cruciformi fiancheggiati da colonne incassate e per la persistenza dell'arco a pieno centro, di sapore arcaico, nel momento in cui l'esempio di Cluny III ispirava ampiamente gli architetti borgognoni.
Questo partito architettonico, che aveva un antecedente nella chiesa di Anzy-le-Duc, è tuttavia rinnovato dalla grande luce della volta maestra (larghezza m 10) e dall'ampiezza delle finestre alte, realizzate grazie a ingegnosi procedimenti tecnici: costruzione della volta principale in materiali leggeri e riduzione della sua portata attraverso l'uso di archi longitudinali; rafforzamento dei muri di gronda attraverso due incatenature di legno sovrapposte; collegamento dei muri di gronda attraverso tiranti di ferro. Tali espedienti ovviavano alla inefficacia dei contrafforti delle navate laterali, troppo poco sviluppati in altezza (Oursel 1978; 1993; Vergnolle, 1994). Dal canto suo, la decorazione architettonica - con fregi di palmette, rosoni e foglie cuoriformi che si dispiegano sulle basi, sui pulvini, sui diversi archi (longitudinali, trasversi, grandi arcate) e sul cordone che delimita i due livelli - si inscrive nella linea della chiesa di s. Ugo a Cluny (Cluny III; Salet, Adhémar, 1948).La galilea, le cui tre navate articolate in tre campate sono allineate con quelle del corpo longitudinale della chiesa, offre una struttura estremamente originale. La sua navata centrale, affiancata dalle laterali sormontate da tribune, si sviluppa pienamente solo nella prima e seconda campata, mentre la terza è interrotta dalla cappella di S. Michele. Tuttavia, nonostante alcune varianti, in particolare nella copertura (adozione della volta gotica nella cappella e nell'ultima campata della tribuna meridionale) e nel tracciato degli archi (arco cuspidato nelle grandi arcate, nei longitudinali e nei trasversi), il vocabolario architettonico rimane simile a quello della navata (Salet, Adhémar, 1948; Jean-Nesmy, 1970).Nelle sculture dei tre portali della facciata della navata si sviluppa un programma iconografico di grande coerenza: la Pentecoste del timpano del portale centrale insiste sulla missione evangelizzatrice degli apostoli, che qui ricevono lo Spirito Santo sotto forma di raggi emanati dalle dita di Cristo, maestosamente al centro della composizione (Katzenellenbogen, 1944; Beutler, 1967; Christe, 1969; Taylor, 1980). I personaggi degli scomparti e dell'architrave rappresentano non soltanto i popoli della terra - mitici (Panotii, Macrobii, Cinocefali) e reali (Armeni, Bizantini, Pigmei) - ai quali si rivolgono gli apostoli, ma anche la Chiesa universale di Cristo. I segni zodiacali e i lavori dei Mesi, alternativamente disposti nel primo archivolto, affermano che l'apostolato e la Chiesa nata dalla Pentecoste si iscrivono attraverso il Tempo (Salet, 1947; 1995; Palazzo, 1984).
La teofania del portale centrale è introdotta dall'iconografia di quelli laterali. Il portale di destra, che si riferisce all'Infanzia di Cristo attraverso l'Annunciazione, la Visitazione e la Natività, sull'architrave, seguite dall'Adorazione dei Magi, sul timpano, veicola il dogma dell'Incarnazione, sottolineando nel contempo il ruolo essenziale della Vergine nella redenzione dal peccato.A sua volta, il portale di sinistra ripercorre in tre sequenze l'episodio dei Discepoli di Emmaus, sull'architrave, e l'Apparizione di Cristo agli apostoli sulla via di Gerusalemme, sul timpano, che appaiono quali immagini simboliche dell'Eucaristia e della Risurrezione (Palazzo, 1984).I tre portali sono opera di una sola bottega, il cui maestro realizzò la maggior parte del portale centrale e di certo il portale di sinistra (Salet, Adhémar, 1948; Salet, 1995). Un esame stilistico delle sculture consente di stabilire precisi punti di raffronto con le opere delle parti orientali della chiesa abbaziale di Cluny. L'eleganza delle figure, la qualità del modellato dei volti e il valore ornamentale dei drappeggi suggeriscono la provenienza delle maestranze di V. dal cantiere cluniacense (Vergnolle, 1994) e l'identità del capobottega nello stesso maestro che si distinse nell'abside semicircolare della chiesa di s. Ugo (Salet, Adhémar, 1948; Salet, 1995).I capitelli della navata sono caratterizzati dalla varietà dei soggetti. Tralasciando gli elementi vegetali, dominano i temi biblici con oltre venti scene dell'Antico Testamento, tratte principalmente dai libri della Genesi, dell'Esodo e di Samuele.Parimenti, in numero ragguardevole (una decina) compaiono i temi della vita dei santi, in particolare i patroni della vita monastica. Sono rappresentati, in parallelo, diavoli e demoni, soggetti cosmologici (quattro fiumi del paradiso, bilancia e gemelli, quattro venti) e allegorici (mulino mistico), animali leggendari e no (uccelli, basilisco, sirena), soggetti mitologici (Ratto di Ganimede, Educazione di Achille). Per quanto riguarda gli esecutori, Diemer (1975) ha identificato quindici mani, relative a tre gruppi principali. Il primo, che prevale nella parte occidentale del corpo longitudinale, si inserisce nella linea di continuità del portale della Pentecoste e del cantiere di Cluny III. Il secondo, localizzabile alla metà del corpo longitudinale, è condotto dal Maestro di S. Martino, dei leoni e di Lazzaro; il terzo, che opera nelle campate orientali della navata, deriva dal Maestro di S. Pietro.A sua volta, il programma iconografico dei capitelli della galilea si limita essenzialmente a temi veterotestamentari (Morte di Caino, Giuseppe e la moglie di Putifarre, Benedizione di Isacco a Giacobbe) o agiografici (Pasto di s. Antonio e di s. Paolo eremita, Tentazione di s. Benedetto) mentre si moltiplicano i motivi vegetali (acanto, racemi). Gli elementi vegetali dei capitelli del piano terreno, notevoli per omogeneità formale, si riferiscono alla decorazione scultorea dell'od. facciata occidentale, mentre la maggior parte delle rimanenti opere delle tribune si distingue per caratteri innovativi. L'origine dello stile di questi capitelli, le cui analogie con il repertorio della prima arte gotica sono in alcuni casi manifeste (capitelli a baldacchino), andrebbe individuata in Linguadoca, più precisamente a Tolosa (Saint-Etienne, La Daurade; Diemer, 1975).Divisa in tre navate da due file di colonne e coperta da volte a crociera, la cripta, posta al di sotto dell'abside, delle campate rettilinee del coro e della crociera del transetto, è essenzialmente una costruzione degli ultimi anni del sec. 12°, nonostante alcuni reimpieghi di epoca carolingia, come il muro occidentale e la sua piccola confessione, o anche romanica, come alcuni scalini contigui alla scala sud e quattro grosse colonne che fiancheggiano la terza campata centrale (Salet, Adhémar, 1948).
Il capocroce e il transetto costituiscono una delle prime testimonianze di opus francigenum al di fuori del domaine royal. Poco sviluppato in profondità, con deambulatorio e cappelle radiali, il capocroce si inserisce tra le realizzazioni della prima arte gotica, in particolare con un alzato a tre livelli in cui coabitano grandi arcate, aperture sottotetto e finestre alte, come pure caratteristici capitelli a motivi vegetali, e presenta punti di contatto con il capocroce dell'abbaziale di Saint-Denis e con quello della cattedrale di Sens. Il transetto, leggermente aggettante rispetto alla navata romanica, venne completato con due torri che in parte invadono l'area delle navate laterali (Salet, Adhémar, 1948).
Bibl.: A. Chérest, Vézelay, étude historique, 3 voll., Auxerre 1863-1868; F. Salet, La Madeleine de Vézelay et ses dates de construction, BMon 95, 1936, pp. 5-25; id., La Madeleine de Vézelay. Notes sur la façade de la nef, ivi 99, 1940, pp. 223-237; A. Katzenellenbogen, The Central Tympanum at Vézelay, its Encyclopedic Meaning and its Relation to the First Crusade, ArtB 26, 1944, pp. 141-152; R. Louis, Girart, comte de Vienne et ses fondations monastiques, Auxerre 1946; F. Salet, Essai d'interprétation du grand tympan de Vézelay, BSNAF, 1947, pp. 62-69, 262-268; F. Salet, J. Adhémar, La Madeleine de Vézelay, Melun 1948; C. Beutler, Das Tympanon zu Vézelay, Programm, Planwechsel und Datierung, WRJ 31, 1967, pp. 7-30; Y. Christe, Les grands portails romans. Etudes sur l'iconologie des théophanies romanes, Genève, 1969, pp. 176-178; C. Jean-Nesmy, Vézelay, La Pierre-qui-Vire 1970; P. Diemer, Stil und Ikonographie der Kapitelle von Ste-Madeleine, Vézelay (tesi), Heidelberg 1975; R. Oursel, Bourgogne romane (La nuit des temps, 1), La Pierre-qui-Vire 1978, pp. 253-284; M.D. Taylor, The Pentecost at Vézelay, Gesta 19, 1980, pp. 9-15; E. Palazzo, L'iconographie des portails de Vézelay: nouvelles données d'interprétation, Ecrire-Voir 4, 1984, pp. 22-31; L. Saulnier, N. Stratford, La sculpture oubliée de Vézelay, Genève 1984; R. Oursel, Lumières de Vézelay, La Pierre-qui-Vire 1993; E. Vergnolle, L'art roman en France, Paris 1994, pp. 253-254; F. Salet, Cluny et Vézelay. L'oeuvre des sculpteurs, Paris 1995.L. Cabrero-Ravel