Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il viaggio, nel Settecento, non solo è una moda condivisa da dame, avventurieri, filosofi e massoni, ma rappresenta l’attitudine mentale all’osservazione di un mondo che sembra modificare il punto di vista di chi lo percorre annotando il racconto delle proprie esperienze.
L’esploratore dell’isola che non c’è: Bougainville a Tahiti
Se il dettaglio favoloso affiora assai spesso nei racconti di viaggio del Seicento, più referenziale sembra l’intonazione delle relazioni dei viaggiatori intenti a disegnare con mappe e compassi le rotte del mondo che si va facendo piccolo. A bordo di veloci fregate, agili navi a vela il cui nome deriva da quello di un uccello marino, esploratori come Bougainville, La Pérouse, Levaillant e Cook, affrontando viaggi e circumnavigazioni, riportano nei diari di viaggio annotazioni e commenti sulle loro scoperte.
Mentre si infittisce il catalogo delle specie faunistiche e floreali recensite dagli esploratori, dando ragione alla voce “Histoire naturelle” dell’ Encyclopédie, la quale annuncia accanto a quello archeologico il nuovo collezionismo botanico, dalle isole del Pacifico il mito rousseauiano del buon selvaggio emerge nelle pagine del Viaggio intorno al mondo di Bougainville.
L’isola di Tahiti avvistata dal navigatore francese nell’aprile del 1768 appare, come un luogo del mito antico, abitata da un popolo di armoniose fattezze la cui lingua si presenta “douce, harmonieuse et facile à prononcer”. Ribattezzata Citera come l’isola dell’Egeo consacrata ad Afrodite, Tahiti è nello stesso tempo luogo geografico e letterario, perché chi la descrive sembra desideroso di annunciare ai suoi lettori la scoperta di un mondo le cui coordinate geografiche sfiorano quello del mito e dell’utopia: “Qui un popolo numeroso gioiva dei doni che la natura a piene mani gli aveva offerto. Ci incontravamo con gruppi di uomini e donne seduti all’ombra degli alberi da frutta, tutti ci salutavano con cordialità, quelli che incontravamo sul sentiero si facevano da parte per farci passare; ovunque si vedeva regnare l’ospitalità, l’armonia, un dolce appagamento e tutti i segni della felicità”. Il viaggio a Tahiti presto ripreso dal Supplemento al viaggio di Bougainville di Diderot (1796) diviene l’occasione per discorrere di una società fondata sui principi della morale naturale, ben rappresentati dall’indole benevola dei suoi abitanti, che non hanno discordie e non riconoscono alcun diritto di proprietà. All’opposto degli stupidi ottentotti, descritti nel Viaggio all’interno dell’Africa di Levaillant, gli abitanti di Citera appaiono provvisti di tutti i doni del vivere secondo natura e insieme dotati di una straordinaria bellezza fisica, che appare nella trepidante descrizione di una giovane tahitiana salita sul ponte della fregata La Boudeuse quando ormai la flotta di Bougainville è prossima all’approdo: “la ragazza lascia cadere un panno che la copriva e appare agli occhi di tutti come Venere nell’atto di mostrarsi al pastore frigio: ella ne aveva le divine sembianze”.
Il viaggio della Ragione: l’Europa dei Lumi
Ai voyages de long tours degli esploratori si sostituiscono in Europa gli itinerari éclairés, complemento essenziale di un’educazione cosmopolita che richiede il superamento dei pregiudizi nazionali alla luce dell’esperienza diretta degli usi e dei costumi delle altre nazioni. Il viaggio adempie la funzione educativa che non può essere demandata né ai libri né al racconto altrui, e si conclude con una dettagliata relazione delle osservazioni svolte, raccomandata da Louis de Jaucourt, estensore dell’articolo “Voyage” nell’ Encyclopédie: “Dunque il fine principale che ci si deve proporre nei viaggi è senza dubbio quello di esaminare i costumi, gli usi, il genio degli altri popoli, il gusto dominante, le loro arti, le loro scienze, le loro manifatture e i loro commerci”.
Il viaggio diviene soprattutto il racconto di un’esperienza, quanto più possibile esatto e credibile, nel dettaglio di una descrizione che sa passare da osservazioni antropologiche all’apologia dei commerci e del liberismo economico. Il viaggio è anche il percorso delle idee dei Lumi attraverso l’Europa delle capitali e delle accademie, dei clubs e delle logge massoniche descritto da Voltaire ne L’uomo dai quaranta scudi (1767), quando fa parlare la Ragione posta davanti alla carta geografica dell’Europa illuminata: “Sono molto ben accolta a Berlino, a Mosca, Copenhagen, e a Stoccolma. È da molto tempo che grazie al credito di Locke, di Gordon, di Trenchard, di milord Shaftesbury e di tanti altri ho ricevuto le mie lettere di naturalizzazione in Inghilterra”.
Seguendo questa direttiva di marcia, i viaggiatori del Settecento si muovono in Europa compiendo un laico pellegrinaggio fra le sue capitali. La moda del viaggio in Inghilterra, in Germania e in Russia – come è nell’avventuroso percorso dei Viaggi in Russia di Algarotti, ciambellano di Federico II di Prussia – diviene il pretesto per fare apologia di quegli Stati che appaiono più vicini al processo riformatore e quindi più interessanti per l’osservatore erudito.
Scandito dalle Lettere sopra l’Inghilterra dell’Angiolini, dalle Lettere sopra alcune particolarità della Baviera e di altri paesi della Germania del Bianconi, dalle Lettere familiari del Baretti, dai Viaggi in diversi Paesi dell’Europa del Pilati e dall’epistolario di Alessandro e Pietro Verri, il viaggio a Parigi, Londra, San Pietroburgo e Berlino diviene l’occasione di un racconto rivolto all’istruzione di chi resta in Italia. Per estensione concettuale l’Europa dei Lumi confina con le colonie dell’America del Nord, dalle quali stanno prendendo forma gli Stati Uniti.
Luigi Angiolini
Passione per la gazzetta
Lettere sopra l’Inghilterra
Qui in Londra, come in tutte le provincie, la gazzetta è la passione di ognuno, qualunque ne sia la classe e condizione; vi dirò ancora che questa passione, figlia per se stessa dell’ozio, è forse una delle prime cagioni dell’istruzione, dell’industria, dello spirito pubblico di questa nazione. Vi si parla di politica, di commercio, di storia, di morale, di fisica, di letteratura, di arti, di mestieri; vi si parla di edizioni di libri, vi se ne danno degli estratti. Tutti leggono queste gazzette; ognuno vi trova qualche cosa che fa per lui. Questo porta una generale idea di tutte le cose, superficiale se si vuole; ma meglio è averla che no, come nella maggior parte degli altri paesi, e il popolo non ha da esser dotto, ma è bene che sia istruito. Questa lettura, a parer mio, produce anche un effetto inosservato, ma di somma importanza. Essendovi moltissimi uomini che per mancanza di occasione e di comodi non possono conoscer se stessi, né la qualità né l’estensione né l’inclinazione del proprio natural talento, altrove muoiono inutili ed oscuri; qua, con leggere le diverse materie che si registrano sulle gazzette, la loro indicazione gli scuote, gli sveglia e fa che sappiano del loro spirito quanto essi medesimi non sapevano e non saprebbero, e gli fa perciò determinare a prender la direzione che loro conviene. Per questo in Inghilterra vi sono più grandi uomini in ogni sorte di professione che in ogni altro paese.
in Letterati memorialisti e viaggiatori del Settecento, a cura di E. Bonora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1951
Di conseguenza il viaggio éclairé deve toccare l’altra sponda dell’oceano Atlantico dalla quale giungono sia le Lettere americane dell’economista friulano Gian Rinaldo Carli, sia le Memorie di Filippo Mazzei.
Queste ultime, a dimostrazione dell’affermarsi dei principi del diritto naturale anche oltreoceano, presentano al lettore la dichiarazione di Jefferson sull’abolizione della schiavitù: “Jefferson dichiarò che non era portato per i rimedi palliativi, ma per l’essenziale, e che avrebbe proposto di abolire la schiavitù interamente, poiché lo richiedevano tanto l’umanità che la giustizia, che il tenore della schiavitù di enti nati con diritti uguali ai nostri e che non differivan in noi in altro che nel colore era un’ingiustizia non solo barbara e crudele, ma vergognosa ancora, mentre azzardavamo il tutto per la nostra libertà”.
Il viaggio nell’altra Europa
Il viaggio in Italia è suggerito da Jaucourt, estensore dell’articolo “Voyage” dell’ Encyclopédie, come riflessione sul passato testimoniato da un presente di rovine: “Io so che l’Italia moderna non offre ai curiosi che le rovine di quella così famosa in altri tempi, ma queste rovine sono comunque degne del nostro sguardo”. Se il viaggio nelle capitali della Ragione induce allo slancio verso il futuro, quello nella penisola si svolge nel rimpianto dell’antico che anima anche il Goethe del Viaggio in Italia. La suggestione archeologico-pastorale non è però la sola musa del raccontare l’Europa periferica del Mediterraneo, perché a volte, è il caso dei Viaggi nel Regno delle Due Sicilie di Spallanzani, lo sguardo dell’erudito e quello dello scienziato si uniscono nello spiegare il mistero di Cariddi in divertita polemica con Omero: “Quando poi imperversa ed è pericolosissima non presenta tanto poco allora cotesto incavo o voragine vorticosa, ma un semplice bollir fortissimo, e gorgogliar d’onde […]. Tanto poi è lungi che Cariddi in quel tempo faccia suoi bastimenti entrativi dentro e li trangugi, che anzi li ricusa e ne li caccia lontano”. Se poi si legge il Viaggio in Dalmazia di Alberto Fortis ci si trova di fronte a un testo nel quale le osservazioni del naturalista veneto sulla necessità del rimboschimento della costa adriatica si uniscono a osservazioni etnografiche sulla ruvida purezza dei costumi dei popoli dalmati, ai quali egli attribuisce anche una rustica propensione al canto.
Passando dal Viaggio in Dalmazia di Fortis al Viaggio in Grecia di Scrofani la narrazione unisce commenti sullo sviluppo economico delle isole dell’Egeo all’elogio del carattere passionale delle donne greche rappresentato dalla superstiziosa vicenda che vede una giovane di Zante, perseguitata dall’ombra dell’amante, dissotterrarne il cadavere e ferirlo: “Immaginatevi questa giovane a mezzanotte, spaventata dalla presenza dell’ombra, uscire dalla propria casa, aggirarsi intorno al sepolcro riconoscere il cadavere dell’amante, avvicinarsi, scoprirlo, soffrirne il fetore abbracciarlo, offenderlo”.
L’analisi da “moderno” dei culti esoterici della popolazione della Grecia insulare viene svolta da Scrofani con un accento lirico che accomuna la sensibilità della giovane di Zante a quelle delle attrici dell’antichità. Tipico di questi viaggi nell’Europa mediterranea è una rivisitazione dei luoghi della classicità, senza che venga meno lo spirito dell’indagine scientifica che ora coinvolge aspetti antropologici, ora si rivolge a problemi di geologia o di agronomia.
Il viaggio nel romanzo
Il tema del viaggio si presenta nel romanzo del Settecento coniugato con quello dell’avventura, ma aperto anche a spunti utopistici che si riversano nella carica satirica di chi descrive mondi che non ci sono per deridere quelli del presente. A partire dagli archetipi inglesi dei Viaggi di Gulliver e di Robinson Crusoe, il romanzo rinnova le sue forme narrative, costruendo nell’avvincente intreccio di naufragi e scoperte di mondi sconosciuti, ascese in mongolfiera sulla Luna e discese al centro della Terra, il punto di vista dell’uomo del XVIII secolo.
Dalle Lettere persiane di Montesquieu al Candido di Voltaire, il viaggio diviene la misura della relatività della propria esperienza e della propria visione del mondo. Giunto oltre i mondi dell’Eldorado, Candido apprende che l’oro e le ricchezze sono in questo Paese disponibili come il fango e le pietre. Il mito settecentesco dell’ homo oeconomicus, ricalcato sull’immagine del mercator oraziano, si infrange nella elegante parodia di Voltaire che fa perdere a Candido ogni tesoro dell’Eldorado per giungere alla conclusione “che bisogna coltivare il proprio orto”. Se Candido si presenta come la satira di ogni ricerca del migliore dei mondi possibili, i Viaggi di Enrico Wanton di Zaccaria Seriman, ispirati non solo dal romanzo di Swift, ma anche dalle Avventure di Telemaco di Fénelon e dal Nuovo Gulliver di Desfontaines, restringono l’intento parodico alla Venezia -Scimiopoli descritta in opposizione all’Inghilterra dei Cinocefali, Paese dove ognuno si impegna per il bene comune.
Scendendo al centro della terra, Edoardo ed Elisabetta, protagonisti dell’ Icosameron (1788) di Giacomo Casanova, incontrano il popolo dei “megamicri” governati da una classe sacerdotale sulla quale si appunta, pensando al presente, l’anticlericalismo del libertino. Anticipando soluzioni di narrativa fantascientifica alla Verne, Casanova approda a un esito imprevisto perché riesce, forse non del tutto consapevolmente, a disegnare nei cinque tomi del romanzo la satira della “cultura scientifica” nella sua divulgazione secolare a uso di persone di mondo e avventurieri.
Proseguendo il viaggio fantascientifico, mentre in Micromega di Voltaire avviene una sorta di dialogo sulla pluralità dei mondi e delle conoscenze fra gli abitanti della Terra e due alieni della costellazione di Sirio e del pianeta Saturno, in altri romanzi si viaggia alla volta della Luna con l’ausilio di carri volanti e mongolfiere.
La carica utopica delle peregrinazioni degli eroi romanzeschi si traduce sempre più nella rappresentazione di un universo policentrico nel quale le rispettive conoscenze possono essere rovesciate o parodiate se si passa da una nazione all’altra, dalla Terra a Saturno. È in una parola la continuazione del mito del “viaggio di Gulliver” dal quale gli uomini del Settecento hanno appreso la relatività dei punti di vista imparando ad ammettere che la propria cultura e la propria esistenza possono essere giudicate sulla base di altre culture ed esistenze. Alla fine la carica utopica del viaggio si riversa nell’aperta parodia di chi lo compie con la smania di tuffarsi nei tanti universi possibili posti ai confini della propria vita. È questo il caso dei volterriani Viaggi di Scarmentado che, dopo un vorticoso intreccio di avventure, terminano nel desiderio di concludere il mondo dei propri affetti: “Io avevo visto tutto ciò che sulla terra vi era di bello, di buono e degno di ammirazione, io risolsi di non vedere più nulla che non fossero i miei penati”.