Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il graduale rinnovamento della scienza che percorre l’Europa nel XV secolo trae alimento anche dai viaggi di esplorazione e dalla scoperta di nuove terre, che hanno una ricaduta enorme nel panorama culturale dell’epoca.
Viaggiatori e mirabilia
Nel Quattrocento circolano, relativamente al mondo extra mediterraneo, testi scientifici e racconti di viaggio. Questi ultimi comprendono anche gli scritti, pieni di esagerazioni e fantasie, che registrano le notizie riferite da chi nei secoli precedenti era andato oltre i limiti noti addentrandosi in regioni remote e sconosciute, per lungo tempo teatro dei più fenomenali mirabilia della natura. Le opere dei viaggiatori e di geografi arabi come al-Mas’udi, Ibn Hawqal (X sec.), ibn Battuta non circolano in Occidente, dove ha avuto successo soprattutto il trattato di Edrisi nella Sicilia normanna dell’XI secolo. Le notizie più attendibili per chi era interessato a raggiungere l’Oriente sono quelle raccolte dai Polo per la Cina e la Mongolia, dai frati Giovanni da Pian del Carpine, a capo di una missione inviata alla corte del Gran Khan nel 1245, e da Guglielmo di Rubruck, autore di una spedizione simile nel 1253, nonché da Odorico da Pordenone per l’India.
Il felice esito di queste spedizioni e la mole di notizie riportate sono il frutto di una situazione politica favorevole, che vedeva gli Europei ben accetti e i viaggiatori protetti. Nel 1336 sono riscoperte le Canarie dai Genovesi e successivamente Madera, le Azzorre e le isole di Capo Verde. Ai cartografi della scuola di Maiorca, dove operano anche dei fabbricanti di strumenti scientifici, dobbiamo la composizione della Carta Catalana nel 1375 e di altre mappe nautiche considerate per molto tempo le migliori in circolazione, recanti informazioni anche sull’entroterra. Il resto dei mari e dei territori è sconosciuto e come tale oggetto di fantasiose congetture. Nella prima metà del secolo XV il veneziano Nicolò di Conti viaggia per circa 25 anni per mare visitando i Paesi affacciati sull’Oceano Indiano: dall’India alla Birmania, Sumatra e Giava fino alle isole delle Spezie. La narrazione dei suoi viaggi, diffusa da Poggio Bracciolini, ha vasta eco tra i contemporanei. Alla metà del XV secolo risale il planisfero di fra’Mauro camaldolese, che nel rappresentare l’Asia utilizza i dati dei Polo aggiornati con quelli di Nicolò di Conti, attenendosi a informazioni recenti anche nella raffigurazione dell’Africa, le notizie sulla quale sono in aumento grazie alle missioni giunte in Europa dall’Etiopia cristiana e ai viaggi di mercanti italiani spintisi fino all’interno del Sahara.
Per la conoscenza del continente africano hanno un ruolo determinante le navigazioni promosse dai Portoghesi lungo le coste atlantiche dell’Africa; un posto particolare occupa, in questa vicenda, Enrico il Navigatore, che riceve alla sua corte di Lisbona uomini di mare, astronomi e cartografi. Inoltre, nel 1416 fonda la scuola di navigazione di Sagres a Capo San Vincenzo, nella quale si impartisce un apprendistato tecnico mirato a fornire le nozioni di base ai futuri naviganti in vista di nuove esplorazioni nell’Oceano Atlantico.
Vera e propria scuola tecnica, vi insegnano astronomi e cartografi per impartire nozioni teoriche ai piloti già esperti in tutto quello che concerne la pratica della navigazione. Occorre, soprattutto, affrontare quello che continua a essere il problema principale, la determinazione della posizione esatta di una nave in mezzo al mare. Gli strumenti da tempo in uso, l’astrolabio, il quadrante e il notturlabio permettono di conoscere la latitudine geografica in base all’altezza dei corpi celesti in un dato momento; di particolare utilità per i naviganti è la conoscenza delle posizioni della Luna in rapporto a una stella fissa, distanze angolari che possono essere comodamente rilevate attraverso un quadrante; per registrarle vengono inoltre introdotte delle tavole che danno la posizione della Luna per diverse longitudini e periodi di tempo; le prime effemeridi di questo tipo vengono pubblicate da (Johann Müller di Königsberg) Regiomontano (1436-1476) e se ne servirà anche Colombo (1451-1506).
La via per le Indie
Alla morte di Enrico il Navigatore l’idea ambiziosa di raggiungere l’Asia del Sud circumnavigando l’Africa pare più reale e il pontefice dà pieno appoggio a questa iniziativa, concedendo nel 1456 al Portogallo la giurisdizione esclusiva in campo spirituale su tutti i Paesi scoperti e da scoprire fino alle Indie. Le spedizioni saranno incoraggiate anche dal successore di Enrico il Navigatore, il re Manuele, cui si deve il nome di Capo di Buona Speranza in sostituzione del nome di Capo Tormentoso.
Nel 1481 i naviganti portoghesi varcano l’equatore e osservano le stelle ruotare attorno a un polo che si trova nel cielo dell’emisfero meridionale; superato il Capo Bojador, essi scoprono le foci del Senegal, del Gambia, Capo Verde e le isole antistanti, Guinea e Congo per poi raggiungere anche l’estremo sud dell’Africa, con il Capo Tormentoso superato da Bartolomeo Diaz nel 1487. Dimostrata la circumnavigabilità dell’Africa, la dottrina dell’inabitabilità della zona equatoriale lascia il passo all’evidenza delle osservazioni raccolte durante le molte spedizioni.
Il periplo dell’Africa avverrà con Vasco de Gama che, partito da Lisbona con tre navi nell’estate del 1497, circumnaviga l’Africa del Sud il 22 novembre, si ferma a Natale nella località ancora oggi nota come Natal e, col favore del vento, guidato da marinai arabi, arriva a Calicut nel maggio del 1498. Il viaggio di ritorno si conclude a Lisbona nel settembre del 1499: finisce un secolo, la via marittima per le Indie è aperta.
Nuovi testi geografici
All’enorme incremento delle conoscenze sui continenti, sulle isole, sui mari, non corrisponde nell’immediato un aumento delle nozioni scientifiche. Il testo che gode di maggiore credito è la Geografia di Claudio Tolomeo, reintrodotta nell’Occidente europeo con la traduzione latina del 1410 di Iacopo Angeli da Scarperia, allievo di Emanuele Crisolora, poi dato alle stampe per la prima volta a Vicenza nel 1475. La traduzione dell’Angeli resta un episodio chiave per la diffusione delle conoscenze di geografia in Europa e le centinaia di copie manoscritte precedenti la prima versione a stampa testimoniano la straordinaria fortuna di questo testo. Rifacendosi ai peripli dei naviganti di età ellenistica per il catalogo dei nomi dei luoghi, a Ipparco per la divisone della sfera in gradi, per il concetto di distanza angolare e per le coordinate, Claudio Tolomeo recupera e riunisce molte delle informazioni della tradizione a lui precedente offrendone una sintesi di notevole valore. Tuttavia, con lo straordinario successo dell’opera di Tolomeo, si diffondono anche le imprecisioni in essa contenute: l’errore relativo alle dimensioni della Terra, per le quali Tolomeo sposava il calcolo, notevolmente inferiore al vero, di Posidonio, corrispondente a 240.000 stadi (circa 38.000 km) è, tra tutte, l’informazione che ha maggiore influenza nella progettazione delle spedizioni pensate per raggiungere le Indie passando dall’Occidente. D’altro canto, anche la convinzione del prevalere delle terre sulle acque, dell’estensione del continente eurasiatico nel senso ovest-est e che l’Oceano Indiano sia un mare chiuso, le leggende sull’Oceano Atlantico ritenuto innavigabile perché ignoto nella sua parte centrale nonché denso di isole prodotte dalla fantasia dell’uomo e tuttavia raffigurate nelle carte, hanno un effetto determinante al momento di progettare le spedizioni navali per le Indie.
Da questo punto di vista la vicenda di Cristoforo Colombo è emblematica. Il progetto di Colombo, attraversare l’Atlantico per raggiungere l’Asia orientale nella certezza che questo percorso sia più breve rispetto alla circumnavigazione dell’Africa nonostante il tragitto ormai aperto e indicato da Bartolomeo Diaz, risale al 1482 e viene perfezionato in fasi successive. Le opinioni favorevoli di molti studiosi antichi e contemporanei costituiscono uno dei presupposti su cui Colombo costruisce le motivazioni del suo viaggio.
Le fonti antiche e recenti consultate concordano nel non attribuire eccessive dimensioni alla parte sconosciuta della terra. Opere come il De caelo et mundo dello Pseudo Aristotele, le Naturales quaestiones di Seneca e gli scritti di Averroè, lasciano intendere che l’India non è così distante dalla Spagna, raggiungibile con una traversata di pochi giorni. Non si allontanano da questa opinione neanche Strabone, Plinio e Solino, che accettano la possibilità di compiere questo tragitto per mare. Naturalmente sarebbe errato inquadrare Colombo come un uomo di scienze: nelle opere che legge egli va cercando le conferme che gli occorrono. Della sua biblioteca privata fanno parte la Naturalis historia di Plinio il Vecchio commentata da Cristoforo Landino, la Historia rerum ubique gestarum cum locorum descriptione non finita (1477) di Enea Silvio Piccolomini, una traduzione latina del viaggio di Marco Polo, la Geografia di Tolomeo, l’Imago mundi di Pierre d’Ailly.
Paolo dal Pozzo Toscanelli
I dubbi e le incertezze sul testo di Tolomeo vengono sciolti grazie all’appoggio scientifico di Paolo dal Pozzo Toscanelli, dotto di notevole autorità, astronomo e matematico, che in una lettera inviata a Colombo sostiene che la via più breve per raggiungere l’Oriente dell’Asia è quella attraverso l’Atlantico. Inoltre, Toscanelli produce una carta geografica, inviata a un canonico di Lisbona, per proporre ai reali del Portogallo le medesime sollecitazioni di cui si farà promotore Colombo: vi spiega che la navigazione per la Cina è assolutamente plausibile partendo dal Portogallo, che dista uno spazio non eccessivo.
D’altro canto, non solo le opinioni di Colombo coincidono con quelle di Toscanelli, ma trovano ulteriore conferma nella lettura dell’Imago mundi di Pierre d’Ailly, composta nel 1410, di cui possiede una copia. Il cardinale d’Ailly è stato influenzato dallo studio delle nozioni di geografia contenute nell’Opus maius di Ruggero Bacone, che sulla base di una vasta conoscenza dei testi arabi concludeva che Asia e Africa dovevano estendersi ben oltre l’equatore e che le zone torride fossero abitabili. Ultimo testo della tradizione di studi geografici del Medioevo, l’Imago mundi del cardinale d’Ailly è una miniera di informazioni attinte dalla tradizione biblica e aristotelica, priva di riferimenti ai grandi viaggi dell’epoca.
Stampata nel 1483 a Lovanio, ha notevole diffusione sin dalla fine del XV secolo e per tutto il XVI. Anche d’Ailly esagera l’estensione dell’Asia a est e la proporzione tra mare e terre emerse; tuttavia, il cardinale, profondo conoscitore di classici anche poco noti, ha alcune felici intuizioni, tra cui quella della possibilità di circumnavigare l’Africa. È interessante osservare che dopo la traduzione in latino della Geografia di Tolomeo, il cardinale d’Ailly si vede costretto a comporre una nuova opera, il Compendium Cosmographiae (1413), nel quale riassume le opinioni di Tolomeo, cui riconosce assoluta autorità in materia, inserendo delle inesattezze che nella sua prima opera non figuravano: l’Africa adesso non è più un’isola e l’Oceano Indiano non è aperto. Indicativo dell’atteggiamento degli uomini di cultura del Quattrocento, il Compendium Cosmographiae di d’Ailly rende omaggio all’autorità di Tolomeo, la cui opera non poteva non essere al centro dell’attenzione per tutti gli studiosi del settore.
Caboto, Vespucci, Magellano
Prima che il secolo si chiuda dobbiamo segnalare anche Giovanni Caboto, abile navigatore che effettua due viaggi con partenza da Bristol toccando Terranova, l’isola di Capo Bretone, la Nuova Scozia, il Golfo di San Lorenzo. Le esplorazioni di Caboto garantiscono agli studiosi europei indicazioni scientifiche precise circa la vastità delle terre da lui raggiunte, stimolando la ricerca di un passaggio a nord-ovest verso l’Estremo Oriente. I dubbi che vanno sollevandosi riguardavano l’evidente diversità tra gli umani visti e descritti in Oriente e la flora, la fauna e gli esseri viventi incontrati invece in queste regioni; inoltre, le città popolose e ricche e il grado di elevata civiltà descritto da Marco Polo e dai molti altri che avevano fatto quel percorso non trovano alcun riscontro, trattandosi di regioni deserte e popolazioni poverissime.
Come è noto, il merito della soluzione di questo problema spetta a Amerigo Vespucci. In due successive navigazioni, la prima nel 1499 -1500 e la seconda nel 1501-1502, spintosi lungo le coste dell’America del Sud, dalla Guiana alla Patagonia, dimostra che quell’estesa parte di terra non poteva appartenere all’Asia, ma doveva essere un mondo nuovo.
Fermi restando i forti interessi economici e la necessità degli occidentali di aprire nuovi percorsi per il commercio con l’Oriente dopo la chiusura delle vie di terra, queste ambiziose iniziative traggono alimento anche dalla nuova filosofia della natura, fondata su un atteggiamento più positivo verso la pratica diretta e la sperimentazione. I progressi nell’arte nautica e nella cartografia permettono di determinare la latitudine di un punto su una costa sconosciuta e a volte di indicare la posizione di una nave nel mare; dagli arsenali europei escono imbarcazioni di stazza sempre maggiore, capaci di trasportare una notevole quantità di merci, con un’architettura che combina felicemente le esperienze occidentali e orientali; la bussola, il timone mobile, vele più ampie danno maggiore sicurezza ai naviganti, alimentando la speranza di raggiungere nuove terre attraverso vie di mare, mentre il rapido sviluppo dell’artiglieria conferisce tranquillità agli Europei, che possono contare su armi sicuramente più efficaci di quelle dei loro nemici.
Sono queste le premesse per il viaggio di Ferdinando Magellano (1480-1521), che parte nel 1517: tre anni dopo, una delle sue navi tornerà in Europa avendo circumnavigato la Terra. In meno di un secolo gli Europei escono dal Mediterraneo, abbandonano la navigazione lungo costa nell’Atlantico e nei Mari del Nord, comprendono che il maggiore degli oceani è il Pacifico e compiono il giro del mondo. Ne conseguono maggiori certezze sulla forma del pianeta e nuovi dubbi relativamente a una natura la cui varietà non può certo essere compresa attraverso lo studio dei testi letti nelle università e contenenti il sapere degli antichi. Soprattutto, occorre ripensare tutta la cartografia terrestre, mediando le nuove informazioni con la tradizione. Dalla metà del XIV secolo gli Europei hanno imparato a conoscere il mondo attraverso esperienze dirette e racconti di chi ha viaggiato, visto, conosciuto. Vengono toccate molte delle regioni della terra accessibili via mare, scoperte nuove terre, tracciate le carte del mondo nella sua interezza. L’estensione delle conoscenze geografiche avviene rapida come mai in precedenza e soprattutto determina le prime significative vittorie della scienza empirica contro l’autorità dei testi, mettendo in luce la necessità di una sempre più stretta collaborazione tra scienza e tecnica, la chiave attraverso la quale avviare innovative ricerche.
Nuove mappe per nuovi mondi
Vi sono dunque le condizioni, dalla metà del XV secolo in poi, per rappresentare in modo più corretto e completo l’immagine della Terra. Nella Geografia di Tolomeo era proprio la parte dedicata alle mappe ad apparire chiaramente distante dallo sviluppo delle conoscenze; le nuove edizioni a stampa che ancora vengono prodotte dell’opera di Tolomeo sono bellissime, ma superate. Così, dal 1482 vengono incluse nel testo di Tolomeo delle carte geografiche più precise e aggiornate: di notevole pregio risulterà la bellissima edizione di Strasburgo del 1513, con 47 carte di cui 11 nuove, il miglior atlante geografico in circolazione fino al Theatrum orbis terrarum (1570) di Abramo Ortelio. Si comincia a pensare di sottoporre l’autorità degli antichi a serrate verifiche, prende piede un metodo di indagine fondato sul dubbio ed esteso anche ad altri settori della ricerca.
Man mano che la ricognizione delle nuove terre si estende, l’immagine del mondo si apre agli occhi degli Europei e mostra, indubitabilmente, come la conoscenza umana sia in divenire. Le nuove raffigurazioni devono quindi dare un’immagine delle terre note più vicina al vero, si afferma l’idea di rappresentare la Terra attraverso globi che costituiscono dei piccoli modelli. Sul finire del Quattrocento a Norimberga il cartografo Martin Behaim fabbrica piccole sfere terrestri su cui è possibile disegnare le nuove terre man mano che vengono scoperte. Questo particolare mercato viene conquistato dagli Olandesi, i cui cartografi e geografi si specializzano nella produzione di globi terrestri.
Le scoperte dei navigatori, le imprese di Johann Gutenberg, le impressionanti e ardimentose opere degli artisti -ingegneri, i progressi nella metallurgia e nell’alchimia fanno del Quattrocento un secolo di notevole spinta innovativa nei confronti del sapere naturalistico, scientifico e tecnico, epoca in cui si pongono le premesse per la fioritura di studi e ricerche che nel Cinquecento illustreranno i fondamenti del nuovo sapere e della nuova cultura: Nicola Copernico, Vesalio, Biringuccio, Ercker, Ramelli comporranno nei rispettivi settori opere destinate a influenzare in maniera determinante lo sviluppo delle ricerche.