ALBERGATI, Vianesio
Nacque a Bologna da Fabiano presumibilmente nell'ultimo decennio del sec. XV e si addottorò, sempre a Bologna, in entrambi i diritti nel 1516. Circa in questo periodo iniziò la carriera di ufficiale di Curia, favorito dalla fama del suo casato e dai prelati suoi congiunti allora viventi. Nel 1519 era certamente a Roma, addetto alla redazione dei brevi (Cian), ma non molto più tardi passò in Spagna con le funzioni di collettore e nunzio pontificio. I repertori non sono d'accordo sulla data d'inizio di questa missione; in mancanza di documenti precisi, si può ritenere che l'A. fosse stato nominato collettore in Spagna nel 1519 e poi anche nunzio nel 1521. Certamente egli rivestiva tali funzioni al momento dell'elezione di Adriano VI, come risulta da molteplici testimonianze e inequivocabilmente dal testo dell'atto di accettazione dell'elezione a pontefice da parte di Adriano, cui l'A. assistette come testimone qualificato (Sanuto). Egli rientrò in Italia con lo stesso papa nel 1522, anzi una sua lettera ha suscitato una sorta di leggenda su un prestito fatto dall'A. al papa olandese per consentirgli di affrontare le spese del viaggio.
In realtà, la questione è più complessa ed investe tutta la gestione della pingue collettoria spagnola da parte dell'Albergati. L'Hofler, biografo appassionato di Adriano VI, ha formulato gravi insinuazioni sull'onestà di tale gestione, ma la sua animosità è spiegabile col fatto stesso di aver classificato l'A. tra gli avversari più accesi del papa. Una ricerca in argomento dovrà piuttosto tener presente il passaggio dell'istruzione data dal S. Collegio il 19 genn. 1522 ai tre cardinali inviati incontro al nuovo papa in cui: "nec omittendum censetur praemonere Sanctitatem Suam, ut diligenter animadverti mandet et revideri computa et rationes domini Vianessi, nuncii apostolici in partibus Hispaniae, propter varias intelligentias quas habet cum aliquibus curialibus et amicis suis..." (Gachard, 17-18). La tesi tradizionale a favore dell'A. è sostenuta dall'Ughelli e dal Fantuzzi, mentre il Bacha, nell'introduzione all'edizione dei Commentarii, ricorda una supplica dell'A, ad Adriano VI per ottenere la restituzione di 15.000 ducati da lui prestatigli. A tutta questa vicenda intricata potrebbe risalire l'accusa di avarizia, che l'A. rinnova ad ogni occasione contro il papa olandese.
I rapporti con Adriano VI non dovevano, però, essere tesi, se questi si indusse ad eleggere l'A. vescovo di Caiazzo nell'Italia meridionale nel concistoro del 29 ott. 1522, pur consentendogli di mantenere tutti gli uffici e benefici sino a quel momento posseduti. Anzi, secondo una lettera dell'A. al Reggimento di Bologna del giorno successivo (Arch. di Stato di Bologna, Lettere al Senato 1522), l'elezione sarebbe avvenuta all'insaputa dell'interessato. Di fatto, però, la nomina non poté aver corso, perché risultò infondata la notizia della morte del precedente titolare della suddetta diocesi (lett. del 19 nov. 1522 dell'A, da Roma al Reggimento di Bologna, Arch. di Stato di Bologna, Lettere al Senato 1522); cessò così la brevissima carriera episcopale dell'A., che nell'ignoranza della lettera ora ricordata ha suscitato vive controversie (Ughelli e Eubel erano favorevoli all'episcopato, Cappelletti contrario). L'A. rimase pertanto a Roma col titolo di protonotario apostolico e l'ufficio di scrittore delle lettere apostoliche; nel 1523, ancora sotto Adriano VI, fu assegnato alla redazione delle lettere segrete (Bauwens, 37).
In concomitanza con la sua elezione episcopale era stato nominato oratore bolognese presso il papa (inizio novembre 1522); egli mantenne gelosamente questo ufficio anche dopo che si era dimostrata inconsistente la nuova dignità.
Rinunciò a metà dello stipendio spettantegli, adducendo i buoni introiti che ricavava dagli uffici curiali e svolse con solerzia il compito di rappresentante della propria città d'origine presso il suo sovrano temporale e spirituale. I suoi frequentissimi dispacci da Roma sono conservati in gran quantità nei volumi delle Lettere al Senato presso l'Archivio di Stato di Bologna. La loro lettura suggerisce l'immagine di un estensore preciso e attento, ma frequentemente incapace di sottrarsi alla massa delle notizie spicciole e di avere una propria visione organica e sintetica degli avvenimenti, come risulta chiaramente dai dispacci, spesso contemporanei, inviati da un altro bolognese di ben diversa levatura, il vescovo di Feltre, Tommaso Campeggi. Una prima serie di relazioni dell'A, va ininterrottamente dalla lettera del 30 ott. 1522 sino a quella del 29 apr. 1527.
È interessante una notizia contenuta nel dispaccio del 30 nov. 1522 in cui l'A. informa dell'intenzione che il papa avrebbe avuto di inviarlo nunzio a Venezia. Egli avrebbe accettato se gli fosse potuto subentrare come oratore bolognese a Roma T. Campeggi, che invece era stato inviato a Parma come governatore. In seguito a ciò: "per il desiderio che ho di servire a VV.SS. et per quello che sum obligato alla patria, ho supplicato a sua S.tà me facesse gratia di mandare uno altro nontio ad Venetia et che io potessi restare qui alli Sui servitii et di VV.SS. et sua Beatitudine è stata contenta" (lett. cit.). Adriano VI provvide poi d'urgenza a trasferire il Campeggi a Venezia, appunto come nunzio: questo fatto conferma indirettamente le notizie date dall'A., ma lascia aperto il discorso sulle intenzioni di Adriano VI su di lui e su quelle che egli stesso nutriva per la propria carriera. Infatti sia l'elezione episcopale, poi rientrata, sia questa offerta dell'importante nunziatura veneziana possono far pensare anche ad un certo desiderio del papa di allontanare l'A. da Roma, così come il limitato rammarico per il primo evento e la rinuncia al secondo incarico potrebbero essere stati suggeriti allo scaltro bolognese dal desiderio di non abbandonare i vantaggiosi uffici curiali che ricopriva e la posizione influente di cui godeva in Curia essendo uno dei pochi prelati italiani che conosceva il papa ancora prima della sua elezione. La lettera del 14 sett. 1523, in cui è data notizia della morte di Adriano VI, contiene già, insieme all'ammissione che fosse "homo de santa e bona vita", le due accuse fondamentali di incapacità al governo e di avarizia, che peraltro riecheggiavano l'atteggiamento sfavorevole di tutta la Curia romana nei confronti del "papa tedesco".
Non è possibile dare una spiegazione completa dell'interruzione dei dispacci dell'A, per il periodo che va dall'aprile del 1527 sino al dicembre 1530. Essa coincide evidentemente con il Sacco di Roma, ma non si sa se in tale occasione l'A. avesse abbandonato la città; certo è che perdette l'incarico di oratore bolognese. Il viaggio di Clemente VII a Bologna diede l'occasione per riallacciare i rapporti, e l'ufficio gli venne attribuito nuovamente nel dicembre 1530, come risulta da una lettera di accettazione e ringraziamento indirizzata da Roma il 20 dic. al Reggimento (Arch. di Stato di Bologna, Lettere al Senato 1528-1529-1530). I suoi dispacci riprendono poi regolari sino a quello del 18 nov. 1532, in cui è data notizia della partenza da Roma di Clemente VII verso Bologna, ove avrebbe avuto luogo il secondo convegno con l'imperatore (ivi, Lettere al Senato 1531-1532-1533). Da tale data non si hanno più dispacci dell'A., neppure nel volume che riguarda gli anni 1534-1535. Un certo numero dei suoi dispacci è stato utilizzato, ma in modo incompleto e talora anche impreciso, dal Pastor nel volume su Adriano VI e Clemente VII. L'Archivio di Stato di Bologna conserva anche altre tracce degli incarichi svolti dall'A. per il Senato nei Libri partitorurn (16, cc. 129, 181, 198 e 17) e nelle Scritture del Senato (XIII e XV).
Gli studiosi non si sono mai accordati sulla data della morte, che veniva posta tra il 1527 e il 1529. Già il Pastor aveva citato una lettera del 1531, ed è certo che l'A. era in vita e in buona salute sino al 18 nov. 1532; il silenzio delle fonti successive a tale data fa pensare che egli sia scomparso entro tale anno o all'inizio del successivo. Il testo di una epigrafe pomposa conservata presso la Biblioteca universitaria di Bologna (Ms. 52, busta III n. 12: Epitaphia clarorurn verorum gentis Albergatae, n. 22), mentre ricorda gli uffici curiali e la nunziatura in Spagna, nonché un cavalierato dei SS. Maurizio e Lazzaro e una commenda sabauda, non fa cenno alcuno alle date di nascita e di morte. Nella chiesa dei SS. Apostoli di Roma il pavimento antistante la Cappella del Sacramento reca un iscrizione che dovrebbe indicare il luogo della sepoltura dell'A.; manca però ogni indicazione di data.
Ha lasciato un Liber rnanualis computorum exitus et introitus Cani. Ap. in Hispania (20 luglio 1520-26 febbr. 1522), conservato presso l'Arch. segreto vaticano e dei Commentarii rerurn sui temporis, che si limitano però alla narrazione del conclave di Clemente VII. Ne esistono molte copie manoscritte (Pastor, IV, 2, p. 144 n. 3); sulla base dei codici romani il Bacha ne ha dato un'edizione nel 1891, sulla cui correttezza si può avanzare qualche riserva.
Da circa un secolo è aperta la questione relativa all'attribuzione o meno all'A. di un breve elogio della pazzia pubblicato in alcune edizioni tra il 1530 e il 1560 (Croce). Tale volumetto fu edito anche a Bologna, nel 1541, col titolo La Pazzia, senza alcuna indicazione dell'autore ne del tipografo (Archiginnasio di Bologna: 17.Y.IX. 14); copia di un'edizione diversa, forse del 1550, è conservata al British Museum, il cui catalogo la attribuisce all'Albergati (General Catalogue, II, 635). Il saggio non è che una traduzione ridotta dell'Enconzium rnoriae di Erasmo da Rotterdam, senza alcuna originalità nè di concezione, nè di stile. L'autore anzi non fa alcun cenno all'opera dell'umanista olandese della quale, però, traduce letteralmente intere pagine.
L'attribuzione all'A. risale al Melzi, il quale la inserì senza alcuna esplicita motivazione nel suo Dizionario di opere anonime.
Il Croce in una nota del 1885 non condivideva tale opinione, indicando come autore Lelio Benci, sulla base di una equivoca indicazione di O. Landi. Il Sanesi confortava l'attribuzione del Croce nel 1893, insistendo per vedere nell'autore un senese. Più tardi il Croce stesso, senza aver conosciuto gli argomenti del Sanesi, ripiegò sull'attribuzione all'A., come ha rilevato il Garin, che sembra inclinare recentemente per l'attribuzione ad un senese. Gli scarsi elementi interni, costituiti da fugaci cenni autobiografici non consentono di indicare un'attribuzione definitiva.
Essi, però, sono di natura tale da suscitare molti dubbi sulla loro appartenenza alla vita dell'A. (cc. Dij, 2v-3r dell'edizione del 1541). Un'eco, peraltro non conclusiva, delle attribuzioni ad un autore senese è anche nell'indicazione manoscritta, presumibilmente coeva, che reca il frontespizio della copia dell'Archiginnasio di Bologna: "di Alessandro Piccolhuomini l'intronato di Siena".
Il quadro complessivo della figura dell'A. non è tale da convincere che egli possa essere stato l'autore di tale saggio. Le sue ambizioni letterarie si fermarono quasi certamente ai Commentarii, che appaiono scritti in spirito cortigiano verso Clemente VII, forse anche per cancellare qualsiasi ricordo della trascorsa familiarità con Adriano VI. Per il resto, il mondo e gli interessi dell'A. furono chiaramente quelli di un prelato di Curia di notevole abilità, ben più sensibile agli aspetti statua li che a quelli religiosi dell'organizzazione ecclesiastica, esponente fedele delle correnti prevalenti in quei decenni nel mondo dei prelati italiani. È sintomatico che non risulti da alcuna fonte se l'A. abbia mai ricevuto l'ordinazione sacerdotale; non è meno significativo il suo giudizio sul protestantesimo, contenuto in una lettera del 12 genn. 1523 da Roma: "Li Lutherani ogni giorno vanno di male in peggio, et cresce in immenso quella abominatione, et già le donne presumono di dire messa, et negano la virginità di N.Sra et tengono che nisuno santo habiti nel Cielo, et molte altre perversissime Heresie, quale è meglio tacerle che riferirle...".
Oltre al Liber Manualis, già citato si conoscono le Lettere inviate al Reggimento di Bologna da Roma e conservate presso l'Arch. di Stato di Bologna e poche altre esistenti presso l'Arch. di Stato di Mantova. Per i Commentari: E. Bacha, Les Commentaires de Vianesius Albergatis, in Compte rendu des séances de la Commission royale d'Hist. de I'Acad. royale de Belgique, s. 5, I (1891), pp. 102-166, e anche dello stesso nella medesima sede, s. 4, XVII (1890), pp. 129-133. Nell'Arch. segreto vaticano sono conservate anche un paio di bolle di Clemente VII riguardanti l'A.: Arm. XXVIIII, t. 74, cc. 90v-91v.
Fonti e Bibl.: P. S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili bolognesi, Bologna 1670, p. 33; A. Ciaconius, Vitae et res gestae pontificum Romanorum..., III, Romae 1677, col. 433; F. Ughelli N. Coleti, Italia sacra, VI, Venetiis 1720, coll. 452-453; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, I, Bologna 1781, pp. 136-141; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XX, Venezia 1866, p. 271; L. Caetani, Saggio di un Diz. bio-bibliogr. ital., n. 5113; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia Catholica..., III, Monasterii 1923, p. 145; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese... di Roma, Roma 1873, II, p. 254 n. 773; III, p. 447 n. 1080; Della venuta e dimora in Bologna... di Clemente VII... cronaca, a cura di G. Giordani, Bologna 1842, pp. 47 e 126 delle note; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., I, coll. 1397-1398. Sugli uffici ecclesiastici: M. Gachard, Correspondance de Charles Quint et d'Adrien VI, Bruxelles 1859, pp. 17-18; M. Sanuto, Diarii, XXXIII, Venezia 1892, pp. 207-208; R. Hinojosa, Los dcspachos de la diplomacia Pontificia en Espaila, I, Madrid 1896, p. 48; C. R. Hoefler, Papst Adrian VI, Wien 1880, pp. 108, 384-385; V. Cian, Due brevi di Leone X in favore di Cristoforo Longolio, in Giorn. stor. d. letter. ital., XIX (1892), p. 377; A. Pieper, Zur Entstehungsgeschichte der standigen Nunziaturen, Freiburgi.B. 1894, p. 61; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 98; L. v. Pastor, Storia dei Papi, IV, 2, Roma 1929, passim; A. Ferraioli, Il ruolo della corte di Leone X, in Arch. d. Soc. romana di storia patria, XXXV (1912), pp. 222 e 240 n. 1; L. Bauwens, Analitische Inventa ris der Diversa carneralia van het Vaticaans Archief 1500-1549, in Builetin de l'Inst. hist. belge de Rorne, XXVIII (1953), p. 37. Sull'attribuzione della "Pazzia": G. Melzi, Diz. di opere anonime e pseudonirne..., II, Milano 1852, p. 323; S.E.G.C. [B. Croce], Un elogio della Pazzia italiano, in Rass. pugliese, II (188s), n. 14, pp. 217-218; I. Sanesi, Il Cinquecentista Ortensio Landi, Pistoia 1893, p. 87 n. 1; B. Croce, Sulle traduzioni e imitazioni italiane dell' "Elogio" e dei "Colloqui" di Erasmo, in Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, p. 411-424; E. Garin, rec. all'ultimo art. di B. Croce, in Rass. d. letter. ital., VII (1954), p. 240.