VIBRAZIONI
. Problemi attuali di meccanica tecnica delle vibrazioni riguardano l'aerotecnica, le costruzioni navali, le costruzioni dei ponti, delle macchine, ecc. Per le premesse v. oscillazioni e vibrazioni, XXV, p. 655; dinamica, XII, p. 860.
Aerotecnica. - Un problema già apparso nell'assillante progredire delle costruzioni aeronautiche durante la prima Guerra mondiale è offerto dallo studio delle condizioni d'instabilità, gravissime, in cui, a certe velocità, viene a trovarsi l'ala di un velivolo. La natura essenziale del fenomeno si ricollega ad uno assai usuale, cui per lo più non si dà rilievo: lo sventolare (flottage) di una bandiera. In sulle prime, questi fatti si sono palesati al tecnico e all'aviatore, misteriosi e sinistri, ma ormai la natura del fenomeno è chiarita e la stabilità dinamica dell'ala si può assicurare, quasi con certezza, in sede di progetto.
I lineamenti della teoria sono sintetizzabili nei termini seguenti.
Si consideri una lastra metallica leggera (banderuola a vento) incernierata ad un'asta. Per qualunque velocità V del vento il piano della lastra si dispone secondo la direzione della velocità e nulla di particolare è da osservare. Ma, se l'asta non è rigida ed ha quindi, per suo conto, una o più facoltà di movimento attorno alla posizione naturale o di equilibrio, il fenomeno dello sventolamento appare ben sensibile e frequente, per lo più con strappi ed ondeggiamenti violenti. Altrettanto, ed anche in più forte misura, avviene se la lastra risulta dal collegamento a cerniera di due o più lastre indipendenti, sia o no rigida l'asta portante. L'esistenza di almeno due gradi di libertà (facoltà di movimento) è in ogni modo necessaria perché il fenomeno si verifichi.
Un'ala (fig. 1), anche nella più spinta riduzione, ha sempre almeno due gradi di libertà: con locuzione ovvia li chiameremo flessionale y, e torsionale a. L'introduzione dell'alettone, suscettibile di una rotazione β, ne aumenta di uno il numero.
La possibilità che si verifichi la condizione d'instabilità è, in linea di massima, facilmente intuibile ove si pensi che le azioni aerodinamiche su di un'ala sono innanzi tutto dipendenti dall'incidenza α dell'ala stessa e β dell alettone, dalla sua velocità di traslazione V, dalla frequenza ν/2 π della vibrazione, più precisamente, come vedremo, dal rapporto adimensionale, cosiddetto frequenza ridotta, ῶ = ν: V, essendo 2 l la corda. Si è dunque in un caso tipico in cui i carichi (cioè le azioni aerodinamiche suddette) sono innanzi tutto dipendenti dalla configurazione del sistema, poi dalla frequenza della vibrazione. In tali circostanze è ben nota la possibilità del realizzarsi, o di configurazioni di equilibrio instabile (come per una colonna al carico di Eulero od una trave sottile alla sollecitazione deviata), o di moli instabili (v. stabilità, in questa App.).
La ricerca delle azioni aerodinamiche non stazionarie conseguenti alle schiere vorticose che formano la scia di un'ala battente (fig. 4) è stata impostata da Prandtl e Birnbaum, proseguita da Küssner che ampliò la portata dei procedimenti trovati al caso in cui si tien conto delle vibrazioni dell'alettone, e considerò poi, con intenti pratici, i parametri γ, α, β funzioni di una coordinata z contata lungo l'asse elastico ĒĒ(fig. 2).
Se si riducono le azioni aerodinamiche ad una forza &out;h normale all'ala ed applicata nel centro elastico E di una sezione generica, al momento &out;m rispetto ad ĒĒ e al momento &out;n rispetto alla cerniera dell'alettone. le equazioni del moto si scrivono agevolmente. Ed invero, se T è l'energia cinetica, U il potenziale delle forze elastiche di richiamo espresse nei parametri lagrangiani dell'ala, e se si pone L = T + U, le equazioni lagrangiane sono, con ovvia notazione,
Ciò posto, si raggiungono, presumibilmente, le soglie dell'instabilità non appena la velocità V assume un valore Vcr, in corrispondenza al quale le equazioni del moto vibratorio dell'ala ammettono soluzioni del tipo armon ico:
Per la determinazione della velocità critica Vcr è quindi sufficiente determinare le azioni aerodinamiche su di un'ala battente secondo le [2]: in tal caso le componenti &out;h, &out;m, &out;n dell'azione aerodinamica si esprimono come combinazioni lineari omogenee di A, B, C attraverso dei coefficienti k, m, n, funzioni complesse di ῶ.
Ora, se nelle equazioni dinamiche [1] s'introducono per γ, α, β le espressioni [2] e per &out;h, &out;m, &out;n le corrispondenti al caso armonico queste si riducono ad un sistema di equazioni algebriche, lineari e omogenee, nelle A, B, C a coefficienti complessi. Esso ammette soluzioni proprie se si annulla il corrispondente discriminante, cioè il determinante dei coefficienti.
L'equaziorie che così si ottiene porta a scriverne due, in termini reali, corrispondenti alla parte reale ed alla parte coefficiente dell'immaginario: due equazioni nelle due incognite V ed ῶ che consentono la soluzione del problema.
Va però ben posto in rilievo che tali soluzioni non riescono per via diretta, in quanto i coefficienti k, m, n che intervengono nelle espressioni delle azioni aerodinamiche sono funzioni estremamente complicate della ῶ. Ma in merito sono stati segnalati dal Küssner ed altri autori varî ed utili procedimenti risolutivi che si avvalgono di tabellazioni e grafici ad hoc. Pertanto, questa impostazione è quella ormai adottata anche se non dà, come non è possibile del resto, risultati di assoluto affidamento; le ipotesi sono pur sempre alquanto discoste dalla realtà, tanto nell'ambito dell'aerodinamica quanto in quello dell'elasticità. Così appaiono talvolta dubbie le schematizzazioni di quelle complesse strutture, che costituiscono l'orditura dell'ala, ad una ordinaria trave elastica, particolarmente per quanto concerne il comportamento alla torsione o, poiché l'aria che circonda l'ala si comporta, trattandosi di piccole ampiezze, come un fluido viscoso, valgono leggi che non rientrano in quelle che dominano le impostazioni classiche. Allora si vien a parlare di uno sciacquio dell'ala nello strato limite sicché la Vcr, teorica può venir superata. Ma se per una causa qualunque, un colpo di vento, una brusca manovra, lo strato limite viene asportato, poiché l'avviamento all'instabilità è già in atto, si presenta il fenomeno in tutta la gravità.
Conclusioni pratiche. - Premessa l'importanza fondamentale che sul valore della velocità critica ha la resistenza alla torsione, compendiata nel coefficiente di rigidità torsionale, pare si possa fissare tra questa e quella la correlazione in una unica formula.
Precisamente (fig. 4) il grado di elasticità torsionale R = R (z), espresso in kgm.2, dovrebbe soddisfare alla relazione
dove: ρo è la densità media dell'aria (ρo = 0,125); F(z) è l'area dell'ala tra l'estremo e la sezione z = cost. (m2); k è un coefficiente che conviene scegliere non inferiore a 0,5. Si rilevi ancora col Küssner che la frequenza
della vibrazione dell'ala è legata a Vcr dalla relazione approssimata
con Vcr in km.h-1; 2 l in m, ῶ* essendo, con riferimento a varie osservazioni sperimentali in volo ed a presunzioni posteriori a disastri avvenuti, variabile tra o,82 e 0,98-1,00.
Costruzioni navali. - Vibrazioni in una nave sono inevitabili ed al costruttore non resta che ridurne l'intensità entro limiti che non infirmino la buona conservazione delle strutture e, trattandosi di una nave passeggeri, non rechino fastidio così da compromettere addirittura la fama della nave stessa.
Origine e sostentamento delle vibrazioni elastiche stanno nelle azioni periodiche conseguenti alle masse mobili delle macchine a vapore e dei motori a combustione interna e, principalmente, delle eliche. L'avvento della propulsione a reazione anche nel campo navale segnerà, naturalmente, la pratica eliminazione delle vibrazioni a bordo. Quanto all'azione perturbatrice dell'elica, deriva questa oltre che da un non sufficiente equilibramento delle masse, dalla non simmetria assiale dei filetti fluidi in conseguenza dell'onda di poppa, sicché le pale non incontrano uniforme resistenza e si generano forze perturbanti, applicate all'asse, periodiche, a seconda che l'elica ha tre o quattro pale, di frequenza 3n o 4n (n = numero dei giri). Nelle navi a più eliche si generano quindi coppie torcenti, d'intensità crescente con il distanziamento trasversale delle eliche. Da tutto ciò segue la presenza accanto alle vibrazioni flessionali (nel piano verticale ed orizzontale) di vibrazioni torsionali. Naturalmente, l'effetto della perturbazione risulta tanto più amplificato quanto più la sua frequenza è prossima ad una delle frequenze della nave.
La nave, come ogni corpo elastico, ha una serie di frequenze infinita, discreta, ordinabile in serie crescente, serie che prende il nome di spettro delle frequenze o semplicemente spettro. Ad ogni frequenza corrisponde una particolare ben definita configurazione di vibrazione; elementi qualitativi principali di queste configurazioni sono: i nodi per i sistemi lineari; le linee nodali per i sistemi bidimensionali. Nodi e linee nodali crescono di numero con l'ordine della frequenza. La condizione di risonanza (o quasi) è particolarmente grave sulle prime frequenze, poiché su queste le azioni dissipative, che in qualsiasi schematizzazione (resistenze viscose, idrauliche, d'isteresi) sono sempre crescenti con la velocità, hanno minor azione riduttrice. Da ciò le regole empiriche per le verifiche sulla prima fondamentale non nulla cui corrisponde, per l'asta libera o volante, alla quale si schematizza uno scafo elastico, la classica vibrazione con due nodi.
Per una nave si ha precisamente, secondo Schlick, per la più piccola frequenza (numero dei giri) delle vibrazioni di flessione
con J0 momento d'inerzia, in m4, della semone mediana rispetto all'asse baricentrico orizzontale o verticale se si considerano le vibrazioni verticali rispettivamente quelle orizzontali, Q peso in t., L lunghezza in m., C una costante che si aggira tra 2,8•106 e 3,0•106. Per le vibrazioni torsionali si ha invece secondo Horn,
con g = accelerazione oi gravita m m. sec.-2, Jp momento polare di inerzia in m4, Q peso in t., L, B, lunghezza e larghezza, H altezza sino al ponte di coperta in m., G modulo di elasticità torsionale in t•m-2. Infine, k = 1,58; 3,00 e 4,07 per le frequenze di 1°, 2° e 3° ordine.
Merita rilevare che siffatte frequenze possono variare notevolmente durante un lungo viaggio per consumo di combustibile e acqua dolce; perciò si constata talvolta che, in una lunga traversata, per taluni giorni la nave vibra più forte che non in altri.
Metodi che possono dare con precisione notevole la parte bassa dello spettro sono stati suggeriti da varî autori, dal Timoshenko in particolare. Sono metodi che si ricollegano, attraverso alcune salienti proprietà di minimo, segnalate da Lord Rayleigh e studiate in una celebre memoria del Poincaré, cui soddisfano le frequenze di un qualunque sistema elastico (vibrante attorno ad una configurazione naturale e di equilibrio stabile) al calcolo delle variazioni. Nel caso specifico, al metodo delle serie minimizzanti o del Ritz sul quale si ritorna tra un momento.
Il problema attuale non riguarda però le vibrazioni elastiche di uno scafo considerato libero, nel vuoto, ma galleggiante in un fluido che vi partecipa con la sua inerzia, con la sua capacità ad esser sede di moti ondosi, tanto come mezzo elastico, quanto come liquido incompressibile ove lo si consideri libero in superficie. Le prime ricerche in merito sono dovute a F. M. Lewis ed a J. L. Taylor. In queste si considera un aspetto particolare del problema: un ellissoide o un cilindro vibra in un fluido perfetto, indefinito, secondo una configurazione assegnata, ad es. quella wρ che assume vibrando nel vuoto secondo una sua frequenza fondamentale σρ. Allora, calcolando secondo un teorema del Kirchoff, l'aumento virtuale Δ&out;t, dovuto al fluido, dell'energia &out;t corrispondente a w nel vuoto, si trae per la frequenza variata σ*ρ. la relazione approssimata,
i valori di &out;t e Δ&out;t essendo naturalmente riferiti alla stessa fase. ad es. all'annullarsi delle elongazioni, e scritti per σ*ρ = σρ = 1. Ciò costituisce un ottimo criterio per il calcolo delle frequenze di uno scafo subacqueo, un sommergibile ad es., ma non esaurisce il caso di uno scafo galleggiante in superficie. Recenti ricerche hanno portato, sotto certe ipotesi restritiive in riguardo alle condizioni sul piano limite del semispazio fluido su cui la nave galleggia, ad assegnare formule sintetiche per la variazione delle frequenze dello scafo quando dal vuoto lo si porta a galleggiare. Poiché uno scafo si schematizza, al solito, con un'asta elastica, nel vuoto esso ammette, come è noto, e naturale del resto, oltre alle frequenze fondamentali che ne caratterizzano le note (nel caso di uno scafo non tutte acustiche) due frequenze nulle. Corrispondono queste agli spostamenti rigidi di traslazione e rotazione. Tosto che l'asta diviene un galleggiante, queste due frequenze si destano indipendentemente dall'inerzia del fluido, per la reazione idrostatica alle variazioni di immersione, e, pur restando piccole in raffronto a quelle delle vibrazioni elastiche, risultano esse ben sensibili: sono le frequenze delle oscillazioni di emersione e di beccheggio. Ove si consideri anche la dimensione trasversale dell'asta, con che si ha un'ulteriore frequenza nulla nel vuoto, corrispondente alle rotazioni attorno all'asse baricentrico, si desta con le altre due anche il rollio. E così le frequenze delle oscillazioni rigide fanno parte dello stesso spettro delle oscillazioni elastiche nel sistema nave + fluido.
Ora, le tre frequenze: di emersione, beccheggio e rollio sono deducibili in via approssimata attraverso semplici relazioni ben note, in via più rigorosa, nella quale interviene il concatenamento almeno tra due dei tre importanti gradi di libertà dello scafo considerato rigido, in base a classiche equazioni (Kryloff, von Mises) che sono alla base della dinamica della nave nel senso classico. A loro volta, le frequenze elastiche per distribuzione di resistenze e masse quali si vogliono, sono deducibili, ad es., in base allo schema già nominato, dovuto al Timoshenko. Ma in questo non si tien ancora conto dell'inerzia addittiva d del fluido e degli smorzamenti dovuti a propagazioni ondose, sia del tipo elastico (già considerato per alcuni corpi elastici vibranti in un fluido indefinito dal Rayleigh, Poincaré e Laura), sia di tipo superficiale che si possono riportare a onde, considerate dal Lamb, prodotte da emersioni o da pressioni periodiche puntualmente applicate. In recenti ricerche sistematiche, nelle quali rimangono inalterati gli schemi, da un lato del Kryloff, dall'altro del Timoshenko, nel senso che si variano solamente i coefficienti che intervengono nelle formule di questi autori, la dinamica e l'elastodinamica della nave + fluido, ha già almeno sotto certe restrizioni, progredito notevolmente anche dal punto di vista pratico. In particolare, mentre per il periodo del rollio vale la formula:
con Θ momento polare d'inerzia di tutte le masse della nave attorno all'asse baricentrico, P peso della nave, δ distanza metacentrica trasveri sale; nel caso in cui si considera il fluido occorre sostituire Θ con Θ + ΔΘ essendo ΔΘ un momento d'inerzia virtuale dato dall'espressione
essendo ya la densità, ω l'area di galleggiamento, dω (P), dω (P′) due areole elementari di detta area, intorni di due suoi punti generici P e P′; r (P, P′) la distanza di P da P′; y (P) e y (P′) le distanze di P e P′ dall'asse di rollio. Questa espressione per ΔΘ si può interpretare come autopotenziale di una distribuzione di masse proporzionali a y (P) sull'area aω cioè come lavoro necessario per diffonderla all'infinito. Per il calcolo di questa relazione e di analoghe che intervengono per le vibrazioni elastiche (variano allora le distribuzioni di masse virtuali e si viene a sostituire y (P) con le funzioni wρ, cosiddette autofunzioni, che determinano le configurazioni dell'asta-nave libera nello spazio vibrante secondo una frequenza fondamentale σρ) sono stati assegnati grafici e tabelle calcolate ad hoc. Così, ad es., se si considera la vibrazione fondamentale di frequenza n2 = σ2:2 π nel vuoto, precisamente quella alla quale corrispondono due nodi (la vibrazione w0 d'ordine 0 è una traslazione, w1 d'ordine 1 è una rotazione rigida) si ha in 1a approssimazione
con ε22 e μ22 caratterizzanti i coefficienti di elasticità e di inerzia dati, ad es., secondo Timoshenko, dalle relazioni
k2 ed m2 essendo numeri legati alle caratteristiche elastiche (diagramma dei ferri) ed inerziali (diagramma dei pesi) dello scafo. Sono queste sintetizzate dal momento d'inerzia J = J (ξ) e dal peso per unità di lunghezza p = p (ξ) = g μ (ξ) pensato approssimato con funzioni adattabili al diagramma effettivo dei ferri e dei pesi:
In queste, ξ è contato lungo l'asse, a partire dall'origine O al mezzo nave, con unità pari alla lunghezza L tra le perpendicolari, sicché ξ = ± 0,5 per gli estremi. Orbene, la formula del Timoshenko diviene per il caso di un fluido incompressibile, annullando in 1a approssimazione la velocità, e quindi la derivata normale del potenziale di velocità Φ sulla superficie libera del fluido (pensando, ad es., all'esistenza di un lastrone di ghiaccio) (fig. 6),
con
La w2 è riportata, con riguardo ad un'asta omogenea, assieme alle configurazioni w0, w1, w2, w3, w4 delle frequenze nulle e superiori in fig. 7. Si noti che una generica configurazione w dell'asse dello scafo si può sempre pensare rappresentata con una combinazione lineare a coefficienti costanti Aρ
di dette autofunzioni. Il calcolo di questi coefficienti è affidato a quel principio di minimo cui si è accennato e che si affronta con il metodo del Ritz, tanto nel caso dell'asta libera e non omogenea (secondo Timoshenko), quanto per quella galleggiante in un mezzo fluido. Questo metodo porta a scrivere senza difficoltà tante equazioni algebriche lineari ed omogenee quante sono le incognite Aρ concorrenti. Perché queste equazioni abbiano soluzioni non nulle si richiede che si annulli il determinante del sistema. Il parametro che interviene libero in questo determinante è proprio la cercata frequenza. Le radici σρ di questa equazione, cosiddetta delle frequenze, forniscono, a meno del fattore 1 : 2π, in approssimazione i primi N termini dello spettro. Se in 1a approssimazione si fissa l'attenzione su una sola di queste wρ, ρ = 2 o 3, ecc., allora si ottiene una sola radice data dalla [4] che approssima tanto più la σρ effettiva quanto più la nave si approssima all'asta omogenea. Per le necessità pratiche occorre considerare almeno combinazioni a due wρ(ρ = o e 2; ρ = 1 e 3; ρ = 2 e 4, ecc.). Senza insistere in merito si rilevi che al calcolo degli integrali [3 e 5] si arriva scomponendo (cfr. fig. 8) l'area di galleggiamento in cerchi di area equivalente e rilevando che per il cerchio di raggio R
mentre per 2 cerchi distinti le aree si possono ridurre nei rispettivi centri.
Se si tien conto che in superficie sussistono condizioni diverse (cfr. fig. 5) dall'annullarsi della velocità (o, con riguardo al potenziale Φ della velocità, dall'annullarsi della sua derivata normale) e precisamente quelle segnalate da Airy nello studio delle onde che prendono il suo nome, le frequenze appaiono in forma complessa con parte reale negativa il che corrisponde agli smorzamenti corrispondenti all'energia impressa alle onde che si formano - se si formano - in superficie. Tutta questa problematica è attualmente oggetto di ricerche, sotto varie schematizzazioni, da parte di molti cultori d'idrodinamica.
Ma quando, per colpa o senza colpa, lo scafo vibra oltre i limiti ammissibili, allora non resta che cercare i rimedî. Sono tutti economicamente gravi e non sempre sicuri: cambio delle eliche, del numero dei giri, irrigidimenti strutturali, ammortizzatori dissipativi, ecc.
Il rimedio più efficace però, anche se non ancora considerato in tutto il suo valore, sta nell'applicazione dei cosiddetti ammortizzatori. Accoppiando un oscillatore (l'ammortizzatore) ad un dato sistema, vibrante sotto l'azione di una forza perturbatrice armonica, per una scelta opportuna delle sue caratteristiche (sostanzialmente scegliendo la frequenza eguale e quella della perturbazione) si possono praticamente neutralizzare le vibrazioni del sistema stesso. Nelle costruzioni navali tale nozione ha avuto applicazioni assai riuscite; una o più masse (cfr. fig. 9) sistemate opportunamente su supporti elastici solidali con lo scafo hanno acquetato, anche in casi molto difficili, vibrazioni generate dall'apparato motore, preoccupanti sotto ogni riguardo. Una teoria in merito a questo dispositivo non è proprio essenziale, potendosi con facili artifizî modificare le sue caratteristiche variando: la massa vibrante, ad es., con l'immissione di acqua in apposito cassone; il molleggio, eventualmente inserendo in parallelo, con ovvio dispositivo, un numero più o meno grande di supporti elastici; l'eventuale frenatura per attrito, come in tutti i tipi di ammortizzatori che si considerano in tecnica. E che tali possibilità di variare le caratteristiche debbano sussistere in generale non vi è dubbio per quelle variazioni di peso, e quindi d'inerzia, alle quali si è accennato.
Molto prima degli ammortizzatori delle vibrazioni sono apparsi però gli ammortizzatori girostatici delle oscillazioni di rollio. L'ammortizzazione o stabilizzazione avviene attraverso la formazione di una coppia stabilizzante provocata da un giroscopio che precessiona (v. stabilizzatore XXXII, p. 435). Il comportamento in mare ha dato però luogo anche nella grandiosa applicazione fatta sulla M. T. "Conte di Savoia" del giroscopio attivo dello Sperry, a disturbi preoccupanti per le strutture e fastidiosi alla stabilità della rotta conseguentemente all'ampiezza della precessione dei girostabilizzatori (la quale, arrivando a 60° e più, finiva con l'apportare oltre che una coppia nel piano trasversale, una in quello orizzontale) e talvolta ad accoppiamenti, attraverso il timone, impensabili sulle prime, tra i giroscopî piloti con il pilota automatico della nave. Il problema meccanico totale non risulta ancora seriamente affrontato anche se costituisce un problema di Meccanica tecnica di grande interesse. Il girostabilizzatore ha lentamente ceduto il passo ai meno costosi stabilizzatori antirullanti del Frahm del tipo passivo inizialmente, attivo poi, secondo i modelli installati sul Breman e sull'Europa del Nord-d. Lloyd. Detti stabilizzatori rientrano nel tipo degli ammortizzatori oscillanti per le vibrazioni elastiche ma con periodi dell'ordine dei secondi; nella fig. 10 si ha un modello dimostrativo di uno stabilizzatore del Frahm: scegliendo convenientemente l'apertura della valvola V e quindi lo smorzamento delle oscillazioni del liquido in C e C′ si possono attenuare rapidamente le oscillazioni libere del pendolo. Recenti evoluzioni dell'ammortizzatore del Frahm sono riportate in fig. 11.
Ponti. - Il problema tipo della dinamica dei ponti riguarda la caratterizzazione del moto di un'asta semplicemente appoggiata agli estremi percorsa da un treno rigido di carichi (eventualmente ridotto ad uno per semplicità) pesanti e quindi inerti, in parte direttamente applicati (ruote, assi) in parte molleggiati. All'asta infatti si lascia schematizzare la classica travata dei ponti ferroviarî, unica struttura leggera che si considera nel loro ambito, altrimenti dominato da sistemi molto inerti, poco sensibili alle azioni dinamiche. Per quanto lo studio di questo problema si inizî con gli albori delle costruzioni ferroviarie e sia stato attivamente proseguito da varî autori, non si può affermare ch'esso sia esaurito, anche se in un certo senso sembra ormai superato dalla realtà.
Comunque sia, esso è sempre agitato e per l'interesse intrinseco e per affrancarsi dalle ipotesi consuete in cui si trascura la massa del ponte in raffronto a quella dei carichi (Stokes, Zimmermann) o viceversa (Kryloff, Timoshenko) salvo a tenerne al più conto in via approssimata (Bleich). Ricerche sistematiche, in certo senso più recenti, hanno esaurito il caso del carico solitario, inerte e molleggiato, e portato a riconoscere, tra l'altro, che gli aumenti dinamici dovuti all'inerzia dei carichi, agli effetti del loro moto uniforme non sono rilevanti come veniva fatto di credere.
Alle equazioni dinamiche del problema: equazioni integro-differenziali a coefficienti variabili, sono stati applicati i metodi d'integrazione numerica secondo Cauchy-Lipschitz, istituendo delle vere esplorazioni numeriche per stabilire la dipendenza delle soluzioni dai principali parametri del problema: la velocità v del carico mobile, i rapporti ρ tra massa corrispondente e (metà di) quella del ponte, χ tra masse molleggianti e direttamente applicate, ν: σ tra frequenza della massa molleggiante e frequenza principale del ponte ed infine, con riflesso a travate tipo standard, la luce di questo per il calcolo di σ. Queste esplorazioni sono state compiute presso l'Istituto per le applicazioni del calcolo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Le figure 12-13 illustrano graficamente alcuni risultati di alcune di queste esplorazioni. In queste si riporta la freccia Δ = Δ (ξ) in mezzeria quando il carico P = 1 è in ξ, per 0 ≤ ξ, con che si assume ξ = 0, ξ = π corrispondente agli estremi. È infine Δ = 1 quando il carico 1 è fermo in mezzeria
La velocità vk che in essi figura è legata alla frequenza σ : 2 π (il periodo è quindi π = 2 π : σ) dalla relazione vk = L σ : π, che la definisce pari a quella necessaria per un'escursione completa di andata e ritorno sul ponte di luce L. La tabella riporta alcuni valori di vk in funzione della luce per travate standard.
Merita rilevare il caso in cui la massa si può trascurare in raffronto a quella del ponte. Allora, seguendo il criterio delle limitazioni superiori nell'indirizzo di T. Levi-Civita, si possono dare limiti facilmente calcolabili per lo spostamento dinamico wd; sono questi riportati in fig. 14.
Si constata da questa come con il crescere di v lo spostamento scende sotto al valore statico ed anzi tende a zero come
per v → ∞; il che, sia detto per incidenza, era stato intuito da J. verne in un suo assai noto romanzo di avventure.
Nessun dubbio che queste schematizzazioni sono ancor lontane dalla realtà di un treno in corsa e tanto, che tutta questa problematica appare veramente ben lontana dalle pratiche applicazioni e non sembra sia più ormai possibile per la trattazione teorica raggiungere e superare le conoscenze, lentamente acquisite ed assimilate in 70 anni di osservazioni intorno al comportamento dei ponti ferroviarî sotto ai carichi, sempre più imponenti, che li percorrono. E, come subito vedremo, proprio là, dove la dinamica associata all'aerodinamica si sarebbe potuta rivalere ampiamente sulla conoscenza tratta dalla realtà. gli studî non erano indirizzati anche se già progrediti in aerntecnica. Ed avvenne infatti che la fantasia del ricercatore non aveva ancora concepito l'impalcato stradale di un ponte leggero rispetto alle sue dimensioni globali quando giunse un richiamo tanto doloroso quanto importante per gli insegnamenti che se ne trassero.
A Tacoma, nello stato di Washington, il 21 luglio 1940 fu inaugurato un grande ponte sospeso su tre campate di 365-855-365 m. Destinato ad un traffico assai inferiore a quello dei ponti della sua eccezionale categoria fu previsto con caratteristiche di snellezza ed economia inusitate: larghezza 2l del piano stradale 1/70 della luce massima L = 855 m.; altezza h della trave irrigidente 1/350 L; peso per ml., qo = 8,40 tm-1; dati, come si constata, molto lontani da quelli usuali. Sin dal primo concretarsi, questa struttura si dimostrò ipersensibile alle azioni dinamiche e autoeccitabile sotto l'azione del vento, proprio come un'ala di aeroplano in volo.
Il 7 novembre dello stesso anno 1940, sotto l'azione di un vento costante di appena 75 ÷ 80 km. h-1 quel ponte rovinò (fig. 15) dopo alcune ore di agonia, veramente drammatiche per l'impossibilità di portarvi riparo; l'azione ripetuta delle vibrazioni ha minato i tiranti verticali che sospendevano l'impalcato alle due funi portanti; con la rottura successiva di questi, l'impalcato, nel caso specifico privo di ogni resistenza torsionale, perdette quella che gli derivava dalla sospensione bifilare e, come un'ala, iniziò il flottage secondo una deformata con linea nodale al mezzo (siccome avviene per le vibrazioni dei ponti sospesi in generale, giacché a quella corrisponde la non estensione delle funi maestre).
Seguendo i criterî indicati per il calcolo delle velocità critiche di un'ala si arriva infatti anche per un ponte sospeso a risultati molto conclusivi e conformi all'esperienza. Supponendo che il ponte abbia una sezione trasversale con profilo a comportamento quasi aerodinamico ammettiamo per semplicità che la struttura sia ad una luce sola con ancoraggi a terra. Sia: E I = coefficiente di rigidità flessionale, I = I0 = cost., −μ0 = μ0 : ρ π l2 = massa ridotta data dal rapporto del peso del ponte per il peso del cilindro d'aria circoscritto (riferito all'unità di lunghezza) j2 = l2 κ2 = quadrato del raggio d'inerzia (κ2 ≅ 1/3) delle masse μ0 dell'impalcato rispetto all'asse longitudinale, Vcr = velocità critica del vento. Ancora, −ϕ (n) = rapporto tra le rigidità di flessione e torsione riferite alla stessa armonica nima, n − 1 = numero dei nodi del piano stradale (n = 2,4,6...,) ν = frequenza delle oscillazioni, ῶ = νl/V = frequenza ridotta.
Orbene, limitandoci alle oscillazioni antisimmetriche (n = 2,4...;) (nei ponti sospesi le più facili a destarsi poiché non allungano la catena) si ha
ed essendo 2l* la distanza tra le funi, vcr una funzione, assegnata nella Tabella 2 (calcolata per κ2 = 1/3), della massa ridotta −μ0, di κ2 e del rapporto di rigidità −ϕ (n) dato da
Queste formule portano a valori per la velocità critica assai rispondenti con quelli trovati a Taeoma. Merita rilevare come da queste appaia l'utilità di render l* : l più grande che sia possibile. Per raggiungere lo scopo conviene introdurre nell'impalcato graticci longitudinali onde ridurre 2l e dar sfogo all'aria. Ciò era stato desunto sperimentalmente da I. Ackerett e Stüssi e ritrovato nei preliminari sperimentali alla ricostruzione del ponte di Tacoma. Preliminari eseguiti su larga scala, avvalendosi di un modello di 30,48 m. di lunghezza posto in un tunnel aerodinamico azionato da 10 ventilatori di 2,30 m. di diametro. Conclusione delle esperienze fu un aumento previsto di peso del 50%. Si rilevi però che non vi sono difficoltà ad estendere la teoria a profili i più impensati, quando sieno assegnati i soli coefficienti di portanza e di momento Cp, Cm, deducibili con esperienze poco costose, nel campo di variabilità dell'incidenza del vento. Appaiono allora vortici non ortodossi, sufficienti a spiegare la formazione di vibrazioni indipendentemente dall'accoppiamento dei 2 gradi di libertà (flessione e torsione) necessari per i profili alari tipici.
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