VICENZA (A. T., 24-25-26)
Città del Veneto, capoluogo di provincia, sulla ferrovia Milano-Venezia, a 45° 32′ 30″ lat. N. e 11° 31′ 50″ long. E., a m. 39,37 s. m. Il comune ha una superficie di kmq. 80,36, ma il centro urbano misura appena kmq. 2,19 e di essi kmq. 0,73 sono occupati ancora da orti e terreni coltivabili. La popolazione nel 1931 era di 65.177 ab. per tutto il comune, e di soli 46.780 nel centro cittadino.
Vicenza è situata allo sbocco del largo corridoio, riempito dalle alluvioni, che fra i Monti Berici e i Monti Lessini costituisce la via naturale di comunicazione dalla Lombardia al Veneto orientale. Il Bacchiglione, che è navigabile fino a Vicenza e che la riunisce a Padova e quindi alla Laguna, costituì, nei secoli passati, una strada di notevole traffico, mentre le valli dei rami sorgentiferi del fiume (Astico e Leogra) segnavano passaggi abbastanza buoni verso la media valle dell'Adige (Rovereto) e verso la Valsugana (Caldonazzo). Precisamente dove aveva termine la navigazione sul Bacchiglione, presso le pendici settentrionali dei Berici, nella zona delimitata dal fiume e dal suo affluente Retrone, che, provenendo dai Lessini raggiunge qui il fiume principale, sorse l'insediamento umano che, sviluppatosi durante la dominazione dei Galli e quella dei Romani, ebbe una discreta importanza nei secoli dell'impero, come attestano i resti dell'acquedotto proveniente da Caldogno o da Costabissara e quelli del grande teatro di Berga che sono stati raccolti dal Miglioranza e collocati nel Museo Civico.
Sotto il dominio di Roma la città non copriva però una vasta superficie e si mantenne piuttosto ristretta anche nell'alto Medioevo, ma ebbe un notevole incremento nel periodo comunale e più ancora all'epoca delle Signorie, quando il circuito delle mura raggiunse la sua massima ampiezza. Anche per Vicenza quindi si verifica quello che si può osservare per la maggior parte delle città della pianura padana: il fiorire delle industrie e dei traffici nel periodo comunale ha segnato la maggiore estensione dell'abitato ed ha fissato per secoli la pianta e la fisionomia della città. La formazione dei sobborghi, eccezione fatta per quello di San Felice sulla strada di Verona, è del tutto moderna.
La città primitiva è facilmente riconoscibile nella pianta attuale, e il circuito delle prime mura comunali ha lasciato evidenti tracce nei nomi delle contrade. Essa si estendeva sulla destra del Bacchiglione, e le mura, partendo dalla riva del fiume, presso l'attuale ponte degli Angeli, correvano lungo la contrada Canove e il Motton Pusterla fino al ponte Pusterla e alla Porta San Biagio, quindi continuavano per Contrà Pedemuro e Motton San Lorenzo fin nei pressi di Porta Castello, dove le mura erano bagnate all'esterno dalla Roggia Seriola, la quale anche adesso scorre da Porta Castello fino alla Barriera Eretenia e al ponte Furo, separando dalle mura il vasto Campo Marzio. All'interno si trova anche adesso la Contrà Mure Pallamaglio. A est del Retrone la cinta continuava a svolgersi ad arco fino al Ponte delle Barche, presso il quale il Retrone si univa un tempo al Bacchiglione, giacché l'odierna separazione dei due fiumi e la loro congiunzione più a sud è fatto relativamente recente. I nomi delle strade ricordano il circuito della cinta anche là dove le mura non esistono più (Portone del Luzzo e contrada Mure di San Michele). Infine tra il Ponte delle Barche e il Ponte degli Angeli il Bacchiglione stesso, col suo corso, fungeva da limite e difesa. Così la cinta aveva la figura di un cerchio quasi perfetto, con la Piazza dei Signori al centro; però tra il Retrone e il Bacchiglione, verso SE., sulle pendici del Monte Berico la città si allargò comprendendo le contrade San Tomaso, San Silvestro e Santa Caterina, con una seconda cinta che, partendo dalla riva del Retrone, presso l'attuale Porta Lupia, correva in direzione di est fino alla Porta Monte e finiva quindi sulla riva del Bacchiglione. Aggiunte posteriori furono fatte durante la Signoria Scaligera e primamente quella della Rocchetta le cui mura partendo dalla vecchia cinta dietro al giardino Salvi, non lontano da Porta Castello, correvano in direzione di ovest lungo la contrada Mure di Porta Nuova e Mure della Rocchetta e quindi, piegando ad angolo retto in direzione di nord giungevano alla Porta Santa Croce dove comincia, con l'attuale viale Trento, la strada della Vallarsa. Ad est del Bacchiglione il circuito delle mura non fu mai completato e il tracciato segnato dal viale Bartolomeo d'Alviano fino alla Porta San Bartolo e dal viale Fratelli Bandiera fino al fiume Astichello e quindi dal canale dell'Astichello Vecchio fino a Porta Santa Lucia, rimase allo stato di progetto e del resto anche la costruzione di case fu limitata alla lunga contrada San Bartolo. Fu invece iniziata sulla sinistra del Bacchiglione, a partire dalla Piazza Ara Coeli, una linea di mura ancora indicata dalla Contrada Mure di Ara Coeli, Porta Santa Lucia, Contrada Mure Santa Lucia, Mure San Domenico, Mure di Porta Padova, Porta Padova e quindi da un tratto non bene individuato che raggiungeva la riva del fiume non lontano dal Ponte degli Angeli chiudendo nell'interno della città la chiesa di San Pietro.
I due circuiti sopra descritti sono perfettamente visibili nella pianta di Vicenza del 1580, che è conservata nella biblioteca Bertoliana.
Diametro e strada principale è il Corso Umberto che, partendo da Porta Castello dove si congiunge alla strada Veronese, attraversa tutta la parte più antica fino al Ponte degli Angeli, donde proseguono le contrade XX Settembre e Porta Padova e la strada Padovana. Dal Corso si accede alla Piazza dei Signori, centro della vita cittadina, armoniosa e magnifica, con le colonne veneziane, la torre che si aderge leggiadra e snella fino a 82 m., con la Loggia del Capitaniato e soprattutto con l'incomparabile Basilica Palladiana. In fondo al Corso si apre la piazza Vittorio Emanuele col palazzo Chiericati, sede del Museo, e lì accanto sorge il Teatro Olimpico. Al fascino dell'arte, si aggiunge lo scenario dei colli cui fa corona Monte Berico col suo Santuario della Madonna (v. appresso).
Vicenza aveva circa 30.000 abitanti verso la fine del 1500, ma poi decadde, riprendendo a crescere verso la metà del secolo passato. Nel 1881 il comune contava 39.431 ab., dei quali 27.694 in città e sobborghi, e nel 1931 furono censiti 65.177 ab., ma di essi, come si è detto, appartenevano al centro urbano solo 46.780.
La vita della città è basata principalmente sull'attività economica della provincia, che trova nel capoluogo il mercato, il centro politico e amministrativo, la sede delle operazioni creditizie e delle transazioni commerciali. Però anche nel territorio del comune vi è stato in questi ultimi tempi un non trascurabile sviluppo industriale.
Bibl.: D. Bortolan e S. Rumor, Guida di Vicenza, Vicenza 1924; G. Peronato, Vicenza, la città dei Palazzi, Vicenza 1935; G. De Mori, Vicenza e la sua provincia, ivi 1932. Inoltre vedasi S. Rumor, Bibliografia storica della città e provincia di Vicenza, pubblicata nel 1916, e aggiornata con un supplemento del 1924. Sono citate ed esaminate 7989 pubblicazioni nella Guida e 1062 nel Supplemento.
Arte. - Scarsi gli avanzi della città romana, limitati a una parte di cavea del teatro Berga, ritenuto d'epoca adrianea, con rari frammenti musivi e statuarî isolati, ora al Museo civico. Pochi ruderi di torri, ponti, acquedotti, e brevi tratti di strade stanno a testimoniare l'importanza di questo municipio fortificato della pianura padana. Del primo periodo cristiano (sec. V) resta un interessante musaico pavimentale geometrico con iscrizioni, nella chiesa di S. Felice, dalla cui necropoli provengono squadrati sarcofagi.
Al sec. VIII appartenne forse la prima chiesetta di S. Agostino, rifabbricata nel sec. XIV: del 975-83 è la chiesa dei Ss. Felice e Fortunato, riedificata a pianta basilicale con elementi di spoglio, che presentava ancora nel sec. XIX un semipilastro tondo con capitello, addossato alla parete, di tipo lombardo.
Ai secoli XI-XIII appartennero le "cento torri", ricordate dal Pagliarino, di cui, a memoria di un periodo d'irrequieta vita cittadina, sotto la giurisdizione dei vescovi, dei podestà, e sotto la signoria degli Ezzelini, rimangono le torri di S. Felice, del Girone, delle Prigioni Vecchie e la parte inferiore della Torre dei Bissari, poi Torre di Piazza, completata tra il sec. XIV e il XV. La distruzione, compiuta da Federico II (1236), poco lasciò sussistere della città medievale; scarsi e frammentarî elementi quindi sussistono dello stile romanico; mentre al secolo XIII, subito dopo la caduta degli Ezzelini, si ricollega l'interessante ciclo di architettura religiosa, improntata al coevo stile ogivale veneziano, delle chiese di S. Michele (poi demolita), di S. Lorenzo e di S. Corona.
Nel periodo scaligero (sec. XIV) fu rinnovato il castello, di cui sussiste il superbo torrione, e furono in più punti rafforzate le mura, contro le ambizioni dei Carraresi e dei Visconti, che per brevi periodi ebbero alternativamente il dominio della città. È chiaramente visibile, nel sec. XV, l'influsso dell'architettura di Venezia a cui Vicenza si era data nel 1404.
Splendidi esempî di stile gotico fiorito sono i palazzi Da Schio, Thiene (I), Regaù, Longhi-Zen, Porto-Breganze (I) e Porto-Colleoni (I). A questo periodo appartiene anche la costruzione del palazzo della Ragione (Domenico da Venezia, 1444-1477); nucleo della palladiana basilica; un fantastico esempio di transizione gotico-lombardesca è offerto dal palazzo Pigafetta. Il palazzo Negri, il palazzo Angaran, con un elegante porticato, e la policromia delle case Alidosio conservano la fresca tonalità del lombardesco veneziano, che sugli schemi del gotico fiorito innestava l'arco a pieno centro, in luogo dell'arco acuto lobato.
A Lorenzo da Bologna e alla sua scuola è attribuito un gruppo di edifici, in cui la corrente emiliana si traduce in forme più serrate e più salde; il palazzo Thiene (II), interessante per i pilastri angolari a punte di diamante, e il palazzo Arnaldi, dal bugnato a scacchiera obliqua.
Il trapasso tra le forme arcuate e quelle trabeate, che preludono al Cinquecento, appare nel palazzo Gualdo, e nella ritmica facciata a ordini sovrapposti del palazzetto Polazzo, in contrada Piancoli, che segna il limite estremo a cui era giunta l'architettura rinascimentale, prima che il Palladio raccogliesse l'eredità veneta, la trasfigurasse al contatto vivificatore di Roma improntando Vicenza della sua personalità, in cui si equilibrano le doti migliori dello studioso e dell'artista.
Se Firenze accese, col Brunelleschi, la scintilla al risorgere dell'architettura; se Roma offerse a tutti gli architetti del Cinquecento la materia viva e prima per ogni loro ispirazione, Vicenza, terza tra le grandi consorelle, diede un'interpretazione originale e moderna dell'architettura classica, conservando sino al sec. XIX il suo carattere fondamentale di rivissuta romanità, che disciplinava gerarchicamente le altre arti.
La scuola di Vicenza è quindi da considerarsi come essenziale nello sviluppo dell'architettura, per la spontanea continuità della sua tradizione classica, e per il suo grandioso irradiamento, che ha fatto risorgere gli edifici di questa nobile, silenziosa città nelle più remote contrade del mondo.
Prima dei suoi viaggi a Roma Palladio accoglie l'eredità del Sansovino e del Serlio nel mirabile loggiato della "Basilica" (1545). I suoi primi modelli romani sono: Peruzzi (per il tramite del Falconetto), Bramante, Raffaello e Giulio Romano, alle cui concezioni manifestamente si ricollega, ma con libero e rinnovato spirito. I suoi palazzi si presentano talvolta con una zona basamentale bugnata, sormontata da un ordine di semicolonne ioniche - palazzo Porto-Colleoni (II-1552) - o di semipilastri corinzi palazzo Thiene (III-1556-58) -; ma più frequente è la concezione a ordini sovrapposti: ionico su dorico nel palazzo Chiericati e nella basilica, inquadrando quivi grandiose serliane; corinzio su ionico, nella villa Trissino a Cricoli (1536) e nell'ornatissimo palazzo Porto-Barbaran (1570).
Per l'ordine gigante di derivazione michelangiolesca, il maestro predilesse il capitello composito, come nel palazzo Valmarana (I) e nella loggia del Capitaniato (1571). D'ispirazione palladiana, anche se eseguiti da seguaci di lui, debbono ritenersi i palazzi Civena (poi Trissino), Caldogno, Thiene-Bonin, Porto-Breganze (II), la cosiddetta casa di Palladio, la loggia Valmarana e, postumo, l'arco delle Scalette.
A schemi d'arte imperiale possono ricollegarsi: il palazzo Chiericati, che s'ispira forse al Settizonio; la geniale concezione del Teatro Olimpico (1579), ultimato dallo Scamozzi; e la caratteristica planimetria a portici, scalinate ed esedre delle sue ville, tra cui primeggia la Rotonda, nei pressi della città.
L'opera di Vincenzo Scamozzi, che si svolse sullo scorcio del sec. XVI e all'inizio del successivo, non sempre segue in Vicenza i modi palladiani, come nel palazzo Trissino-Baston; poiché nel palazzo Trissino al duomo, spoglio di ordini e semplice di linea, ma ravvivato da una grandiosa serliana centrale, creò il prototipo di una corrente classica di stile severo, il cui principale seguace è A. Pizzocaro.
Appartengono a questo periodo edifici squisiti, come il palazzetto De Monte a S. Corona, o grandiosi come il palazzo Valmarana (II; angolo Corso-S. Corona); del 1630 è la loggetta del Longhena nel giardino Salvi. Alla fine del Seicento Carlo Borella crea il mirabile palazzo Barbieri, ora Piovene, a S. Marco, ancora classicamente ispirato, mentre nel palazzo Leoni-Montanari e nelle chiese dell'Aracoeli e di Monte Berico risente la crisi barocca. Francesco Muttoni ristabilisce subito l'equilibrio dei valori, accettando gli schemi palladiani, appena ravvivati di tonalità settecentesche, così da trarne saporite composizioni, quali il palazzo Repeta, il palazzo Velo, la biblioteca Bertoliana, il palazzo Valmarana (III). Raro esemplare di vibrante dinamismo barocco è il palazzetto dell'architetto Giuseppe Marchi sull'"Isola". La curva stilistica, se pur nel Sei-Settecento si è di poco scostata dal classicismo, accenna a un più sentito ravvicinamento al Palladio intorno alla seconda metà del sec. XVIII, con gli studî di Francesco Muttoni e di Ottavio Bertotti-Scamozzi, autore dei palazzi Pagello e Franceschini e della facciata del Teatro Eretenio. La punta neoclassica, appena sensibile in questo artista, si conclude alla fine del secolo nel deciso palladianesimo di Ottone Calderari, autore dei palazzi Cordellina e Zileri dal Verme. Tiene fede a questa tendenza l'Ottocento, con G. Verla (palazzo Vescovile), A. Piovene (palazzo Franco), e G. Miglioranza, noto per i rilievi del teatro Berga.
Scultura. - Del see. XIV è il portale di S. Lorenzo con sculture a tutto tondo nella lunetta. Una statua con sarcofago di Giovanni Emo, attribuita al Rizzo, un bassorilievo di Tullio Lombardo, e le statue di finissima fattura di Francesco e Bianca Maria Sforza, provenienti da Cremona, rappresentano, nel museo, la scultura quattrocentesca. Forse di Tommaso da Lugano il bel portale con statue dell'oratorio di S. Marcello (1520). Ai maestri e lapicidi lombardo-veneti, dalla seconda metà del Quattrocento in poi, e alla scuola palladiana nel Cinquecento si debbono varie opere di plastica architettonica; quali il sontuoso altare di S. Giovanni in S. Corona, forse di Rocco da Vicenza, e il monumento di Ippolito Porto in S. Lorenzo. La grandiosa fioritura costruttiva, subordina, in seguito, all'architettura l'arte dello scultore, chiamato a coronare di statue i fastigi della basilica, del Teatro Olimpico, dei palazzi, delle chiese; a ornare di bassorilievi i frontoni, gli atrî, gli intercolunnî.
Ricorderemo, nel sec. XVI, Giovanni Lapicida, Vincenzo Vicentino, Domenico Fontana, G. B. e Francesco Albanese, Camillo Mariani, e Alessandro Vittoria, al quale sono attribuiti i fantasiosi stucchi che ornano il salone del palazzo Porto-Barbaran; al sec. XVIII, appartengono i Marinali di Bassano. Del Canova è il monumento Trento nell'Ospizio di S. Pietro: tra le sculture moderne sono notevoli le statue a Giacomo Zanella e a Fedele Lampertico, del veronese G. Spazzi.
Di sommo interesse, tra le manifestazioni di plastica minore, i vetri incisi, di Valerio Belli (sec. XVI) e le opere di argenteria, oreficeria, incisione e sbalzo, che perpetuarono sino in epoca moderna, una nobile tradizione d'arte vicentina.
Pittura. - Dopo gli scarsi avanzi musivi romani e protocristiani, a cui si è accennato, sono notevoli tra i monumenti pittorici, gli affreschi medievali di S. Agostino e il polittico di Lorenzo Veneziano in Duomo (1366). All'inizio del sec. XV fiorì Battista da Vicenza (polittico in museo); ma solo con Bartolomeo Montagna si profila sullo scorcio del Quattrocento una scuola che, pur risentendo d'influssi veneziani e padovani, assume un aspetto d'originale monumentalità. Il Montagna (1450-1523) a Venezia seguì dapprima Alvise Vivarini; accostandosi poi alla tonalità di Antonello e alla composizione del Giambellino, dipinse in periodo giovanile il suo capolavoro, nelle erette e silenziose figure della pala di S. Bartolomeo. Il Portacroce segna un altro aspetto dell'arte sua più matura, che s'imbarocchisce, senza perdere i suoi caratteri essenziali, nella Pietà di Monte Berico, e decade nella tarda pala della Maddalena in S. Corona. Suoi seguaci furono il figlio Benedetto, Giovanni Speranza autore di un'Assunta; ma sopra tutti interessante Giovanni Buonconsiglio, detto il Marescalco, autore della tragica Pietà. Anche Cima da Conegliano uscì dalla bottega del Montagna a Vicenza, ove lasciò la sua prima opera sicuramente datata, la Madonna della Pergola. Ricorderemo infine, tra i seguaci del Montagna, M. Fogolino, F. Verla, Girolamo da Vicenza; e, tra gli artisti veneziani di questo periodo Iacopo Palma il Vecchio autore della mirabile pala della Madonna col Bimbo e Santi a S. Stefano.
Nel sec. XVI s'incontrano G. B. Maganza e, sotto un deciso influsso di Paolo Veronese, il grande decoratore Zelotti e G. A. Fasolo, autore di ritratti e d'affreschi ispirati alla vita patrizia del suo tempo.
A Giulio Carpioni allievo del Padovanino, si deve la bacchica Suonatrice; a G. B. Piazzetta l'ispirata Estasi di S. Francesco. I quadri sopra citati, quando non sia diversamente indicato, si trovano tutti al Museo civico, che accoglie anche il giorgionesco ritratto di un Ferramosca e dipinti di Marco Palmezzano, Lorenzo Lotto, Tiziano, Tintoretto, Iacopo e Leandro da Ponte. Paolo Veronese dipinse per Monte Berico il grandioso Convito di S. Gregorio Magno; per S. Corona, l'Adorazione dei Magi, ed ha un quadro nel Museo civico, dove si ammira anche il gentile S. Giovanni fanciullo del Domenichino. Giambattista Tiepolo frescò il mirabile ciclo di scene mitologiche, cavalleresche e pastorali di Villa Valmarana, a S. Bastiano, i soffitti di palazzo Valmarana (III) a S. Faustino e del palladiano palazzo Porto-Colleoni; di lui sono anche, nel Museo civico, il soffitto proveniente dalla villa Cordellina di Montecchio Maggiore e l'Immacolata Concezione. (V. tavv. LXXI-LXXIV).
Bibl.: A. Castellini, Descrizione della città di Vicenza dentro le mura, Vicenza 1628; G. B. Pagliarino, Cronache di Vicenza, ivi 1663; O. Bertotti-Scamozzi, Il forestiero istruito nelle cose più rare di architettura, ivi 1761; P. Baldarini, E. Arnaldi, O. Vecchia, Descrizione della architettura, scultura, pittura di Vicenza, ivi 1779; A. Magrini, Andrea Palladio, Padova 1845; A. Venturi, Storia dell'arte it., Milano 1901 segg., passim; O. Schmidt, Vicenza, Vienna 1902; T. Borenius, The painters of Vicenza, Londra 1909; S. Rumor, Bibliografia storica della città e provincia di Vicenza, Londra, ivi 1916; G. Pettinà, Vicenza (coll. L'Italia artistica), Bergamo 1916; G. Zorzi, Contributi alla storia dell'arte vicentina nei secoli XV e XVI, in Miscellanea di storia veneto-tridentina, 1916 e 1926; D. Bortolan e S. Rumor, Guida di Vicenza, ivi 1919; G. Zorzi, Contributo alla storia dell'arte vicentina nel sec. XV e XVI, Venezia 1925; G. Fasolo, Le ville del Vicentino, Vicenza 1929; F. Franco, La scuola architettonica di Vicenza... dal sec. XV al XVIII (I Monumenti italiani), Roma 1934.
Il santuario di Monte Berico. - Il 25 agosto 1428, per volere della Madonna apparsa due volte (1426 e 1428) a una pia donna, Vincenza Pasini, durante una fiera pestilenza, Vicenza innalzava una chiesetta gotica, di cui si conserva la facciata. Nel 1576, in occasione d'un'altra peste, il Palladio l'ampliava, costruendo sul lato nord un nuovo edificio che, atterrato, venne ricostruito in stile barocco (1687-1702) dall'architetto Carlo Borella, con tre fronti, adorne di scalea e di statue da O. Marinali. Al tempio, che possiede, oltre all'immagine venerata della Madonna, tele del Montagna, s'affianca il convento, tenuto dai Servi di Maria, al cui refettorio appartiene una delle più belle cene del Veronese, quella di Gregorio Magno, fatta a pezzi da soldati austriaci in seguito all'eroica resistenza italiana del 1848 e dall'Austria restaurata per opera di A. Tagliapietra. Due vie conducono al Santuario, una, l'antica, detta delle Scalette, che dal capitano veneto G. Bragadin ebbe decorato l'ingresso con arco corinzio (1595) e da Fr. Saraceno fu rifatta con 192 gradini e 35 riposi (1600); l'altra dei Portici, opera di Fr. Muttoni (1746-78), con 150 arcate quanti sono i grani del Rosario e 17 ripiani e cappelle, affrescate da V. Bressanin e V. De Stefani (1900). Dopo la guerra mondiale, dinnanzi alla fronte principale del tempio fu aperto, a commemorare la Vittoria, un magnifico piazzale (1924), di dove si gode un panorama ricco di bellezze e di memorie.
Bibl.: S. Rumor, Il santuario di Monte Berico, Vicenza 1926.
Istituti di cultura e biblioteche. - Della chiara tradizione culturale vicentina son da ricercare le origini molto in su nel tempo, allorquando la città ebbe il suo Studio generale. L'università vicentina, stando ai documenti e a notizie del cronista G. Maurisio, sarebbe durata solo dal 1204 al 1209, o al massimo al 1212, dopo il quale anno studenti e professori sarebbero emigrati in I1iassa, forse a Padova, come ritiene il Soranzo. È da credere tuttavia che in parte continuasse anche oltre. Certo il ricordo ne rimase sempre vivo e così il desiderio di ricostituirla. Solo nel 1410 una ducale di M. Steno fece cadere ogni speranza, onde la città dovette rassegnarsi a non avere più che una scuola di grammatica e di retorica. La quale, in compenso, fu retta da maestri di fama come B. Borfoni, F. Filelfo, G. da Trebisonda, Ognibene Leoniceno, F. Maturanzio, così che il moto umanistico trovò larga diffusione; e si venne preparando quel clima di classicismo che informa tutta la vita cittadina del sec. XVI; ed esprime uomini come il Trissino e il Palladio, dal quale ultimo la città ebbe un'impronta di cinquecentesca magnificenza.
Accademia Olimpica. - Nasce da codesto ambiente classico, nel 1555 per iniziativa di alcuni dotti gentiluomini, tra cui è appunto il Palladio, con un vasto programma di studio e di lavoro. Dalla sua cattedra s'insegnava e si discuteva di poesia e di filosofia, di matematica e di musica da lettori appositamente condotti. Vive tuttora, e la sua attività, pur con periodi di soste o di vita latente, come durante il dominio austriaco, conobbe momenti di fastigi dall'ultimo Cinquecento al Settecento (celebre l'elogio che ne fa il Goethe) e recentemente con lo Zanella, il Lampertico, P. Lioy, il Fogazzaro e A. da Schio. Regge un Osservatorio meteorologico istituito nel 1855. Alla sua continuità giovò certo la splendida sede che essa si era data e che l'accademico Palladio costruì: il Teatro Olimpico. Qui fu ripresa la consuetudine di rappresentazioni classiche, delle quali quella del 1585, per l'inaugurazione del teatro, con l'Edipo Re, restò celeberrima. Si venne formando così la tradizione di spettacoli classici con i migliori attori tragici di ogni epoca, come il Cieco d'Adria G. Modena, T. e G. Salvini; tradizione tuttora viva e che continua a cura dell'Accademia e del Comune con spettacoli di periodicità biennale.
Biblioteca civica Bertoliana. - Dovuta alla munificenza di Gio. M. Bertollo, fu aperta al pubblico nel 1708 e crebbe via via per cure del Comune e mecenatismo di privati. Conta 308 mila tra volumi e opuscoli, 801 incunabuli, 3100 fra codici e manoscritti e un migliaio di buste di lettere e autografi. Ricche le raccolte Gonzati, Zanella e Fogazzaro. Ha annessi gli archivî storici del Comune, delle antiche corporazioni e magistrature, dell'antico estimo, che sono stati eretti in istituto nel 1937 e aperti alla consultazione.
Biblioteca del Seminario. - Istituita dal vescovo A. M. Priuli nel 1739, ha un patrimonio di circa 30.000 voll. e una quarantina di incunabuli.
Museo civico. - È di proprietà del Comune. Ha sede nel palazzo Chiericati, del Palladio. Cospicua la raccolta di dipinti, circa 400, tra cui opere di B. Montagna, del Buonconsiglio, di Cima da Conegliano, dei Da Ponte, di Giorgione, Tintoretto, Tiepolo, Piazzetta, Van Dyck, e alcuni cristalli incisi di Valerio Belli. Tra i disegni, alcuni originali del Palladio. Notevoli le collezioni di stampe, di frammenti archeologici provenienti dal teatro di Berga, di fossili e oggetti delle abitazioni lacustri di Fimon, di documenti e cimelî del Risorgimento.
Bibl.: I. Savi, Memorie... intorno alle antiche scuole in Vicenza, Vicenza 1815; F. Lampertico, Scritti storici e letterari, I, Firenze 1882, pp. 154-315; G. Meschinelli, Cenni sull'Accademia Olimpica, in Atti dell'A. O., XXXI, pp. 7-33; D. Bortolan e S. Rumor, La Biblioteca Bertoliana in Vicenza, Vicenza 1893; W. Arslan, La pinacoteca civica di Vicenza, Roma (1934).
Storia. - Antichità. - L'antica Vicetia (opp. Vincentia; gr. Οὐικετία) fu città dei Veneti. Del periodo preromano non si hanno notizie. Senza dubbio subì le sorti medesime della vicina Padova. Come Padova, anche Vicenza ricevette la cittadinanza romana nel 49 a. C., e fu iscritta alla tribù Menenia; ebbe allora ordinamento municipale, e a municipio si resse durante tutto il periodo dell'impero. Era allora governata da quattuorviri iure dicundo. Nelle epigrafi c'è anche menzione dei sexviri Augustales, e di un collegio professionale di centonarii. La contemporanea tradizione letteraria non manca di qualche accenno occasionale a Vicenza; e Vicenza compare in tutti gl'itinerarî. Il che ci prova che una qualche importanza essa dovette avere, anche se di gran lunga inferiore alle vicine Padova e Verona.
Medioevo ed età moderna. - Caduto l'impero e i regni barbarici di Odoacre e dei Goti, Vicenza fu subito conquistata da re Alboino e divenne sede di uno dei ducati longobardi, poi di un comitato franco e, dal secolo X, parte della Marca di Verona, senza essere teatro di fatti notevoli. Benché sia erronea la tradizione che Ottone III concedesse nel 1001 il comitato al suo vescovo (cui solo concesse l'esonero dei suoi castelli dal fodro), pure è certo che i vescovi esercitarono una notevole autorità, che diede occasione a frequenti lotte con i cittadini.
Nel 1115 Vicenza doveva godere di una certa autonomia, se stringeva con Padova un patto; ma già nel 1122 è ricordato il consolato: nel 1140 Vicenza con Verona concludeva con Padova e Treviso, dopo lunga lotta, la pace di Fontaniva. Scoppiato il conflitto tra comuni ed impero, Vicenza nella primavera del 1164 con Verona e Padova formò la Lega della Marca Veronese che nel 1167 si fuse con quella lombarda, e la sua cavalleria partecipò con quella di tutta la Marca alla vittoria di Legnano. L'anno antecedente (1175) si era avuta la prima elezione di un podestà forestiero, Vazone di Cremona; il regime podestarile si alternò per qualche tempo con quello consolare, poi per rimediare alle lotte delle fazioni si ricorse anche all'elezione di due podestà. Queste sanguinose discordie tra i vecchi conti della città e i de Vivario finirono col fondersi con quelle delle città vicine, Padova, Treviso, Verona, Ferrara, e in esse emerge la famiglia dei da Romano; Ezzelino II nel 1210 con l'aiuto dell'imperatore Ottone IV diveniva podestà e per circa tre anni esercitava una severa autorità. L'alternarsi dei partiti nella città durò sino al 1236, in cui dominandovi la parte ostile ai da Romano con podestà Azzo VII d'Este, la città fu presa d'assalto e duramente saccheggiata da Federico II ed Ezzelino III; da quel giomo (31 ottobre 1236) sino alla caduta del tiranno (29 settembre 1259), Vicenza fu sotto la signoria di Ezzelino. Riacquistata la libertà e ridato valore alle forme comunali (che il tiranno non si era curato di abolire) redigendo nel 1264 i nuovi statuti, la città non per questo conservò la sua indipendenza, avendone assunto nel 1266 la custodia i Padovani che fino al 1311 vi mandarono il podestà con i giudici e i militi che lo accompagnavano: Vicenza diviene così il pomo della discordia fra le due potenti vicine, Padova e Verona e il suo possesso è il segno della prevalenza nell'antica Marca. Nel 1311 Cangrande della Scala con l'aiuto di fuorusciti la conquistava (15 aprile), e l'anno dopo ne otteneva da Enrico VII il vicariato. I Padovani nel loro sforzo di riprendere la città venivano due volte gravemente sconfitti da Cangrande sotto le sue mura (1314 e 17) e Vicenza rimase sotto la signoria scaligera fino alla caduta di essa nell'ottobre del 1387. Passava allora con Verona sotto G. G. Visconti e, allo sfasciarsi del ducato visconteo per la morte di Gian Galeazzo, si dava nel 1404 a Venezia per non cadere sotto l'antica rivale, Padova. Rimase sotto Venezia sino alla sua caduta nel 1797, salvo il periodo della Lega di Cambrai in cui, occupata dagl'imperiali dal 1509 al 1515, fu da essi lungamente straziata. Il sec. XVI fu il più prospero e glorioso per la città che si abbellì dei magnifici palazzi e delle ville (in parte dovuti al genio del Palladio) che le dànno un'impronta così monumentale ed elegante. Ceduta dal Bonaparte con la Venezia all'Austria nel 1797, fu riunita nel 1805 al Regno Italico, tornando nel 1814 sotto il regime austriaco cessato solo nel 1866, in cui il plebiscito la ricongiunse alla patria italiana. In quest'ultimo periodo della sua storia Vicenza visse il suo episodio più fulgido; insorta il 25 marzo 1848 contro l'Austria, aderì alla repubblica di S. Marco e nel maggio respingeva il tentativo del Nugent di sottometterla. Il 10 giugno gran parte dell'esercito austriaco tornava all'assalto, incontrando tenace resistenza; ma solo quando espugnato con durissima lotta il Monte Berico, la città fu dominata dalle artiglierie nemiche, il generale Durando decise di capitolare ottenendo dal nemico un giusto riconoscimento del valore. Per questo la bandiera del comune è fregiata di medaglia d'oro.
Bibl.: Cronache di G. Maurisio (sec. XIII), dello Smereglo e del Godi, in Rerum Ital. Scrip., VIII, nuova ed.; Statuti del 1264, a cura di F. Lampertico, Venezia 1886 (R. Dep. di st. patria): Statuta Vicetiae, Vicenza 1480; B. Pagliarini, Croniche di Vicenza, ivi 1663; S. Castellini, Storia del comune di Vicenza, ivi 1784; Verci, Storia degli Ecelini, Bassano 1779; Vicenza e il suo territorio, in Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, di C. Cantù, VI, Milano 1861; G. Maccà, Storia del territorio vicentino, Valdagno 1812-16, voll. 14; B. Morsolin, Fonti della storia di Vicenza, Venezia 1880. - Per notizie più particolareggiate vedi S. Rumor, Bibliografia storica di Vicenza, citata.
Arte della stampa. - Fiorentissima nel sec. XV, per opera di 11 tipografi di cui ecco i nomi: Lenardo Achates di Basilea, Hermann Liechtenstein di Colonia, Giovan Leonardo Longo di Treviso, Giovanni da Reno, Giovanni di Vienna, Filippo Albino, Stefano Koblinger di Vienna, Rigo di Ca Zeno, Giacomo di Dusa, Dionisio Bertocchi, Simone de Gabis di Pavia.
Achates aveva già stampato a Padova e a Sant'Orso; a Vicenza cominciò nel 1474 con la stupenda prima edizione del Dittamondo di Fazio degli Uberti, continuando poi fino al 1497. Fra le sue 30 edizioni note si ricordano la Bibbia del 1476, Virgilio del 1479, il Libro dell'Agricoltura di Crescenzio (1490), Euclide (1491) e i testi latino e greco dell'opera Erotemata di Costantino Lascaris e Manuele Crisolora (1489, 1490).
H. Liechtenstein legò il suo nome alla prima edizione della Cosmographia di Tolomeo, pubblicata il 13 settembre 1475, seguita dagli Statuti di Verona, dello stesso anno, da una parafrasi di Virgilio, in volgare (1476), dalle Vite dei Ss. Padri (1479), da Ovidio (1480).
Di Giovan Leonardo Longo è celebre il volume dei Fioretti di San Francesco (1476); di Giovanni da Reno il Boccaccio, Decameron (1478); Catullo, Tibullo e Properzio (1481) e Lucano (1482). Di Rigo di Ca Zeno, che stampò dal 1480 al 1499, si conoscono 26 edizioni; il nome di Simone Gabis si trova in quattro incunabuli vicentini del 1487, 1489, 1490 e 1491.
Bibl.: G. M. Faccioli, Catal. ragionato dei libri stamp. in Vicenza e suo territorio nel sec. XV, Vicenza 1796; Catal. of Books printed in the XV Cent. now in the British Museum, VII, Londra 1935, pp. lxi-lxv e 1029-1052.
La battaglia di Vicenza. - Fu combattuta il 10 giugno 1848, durante la prima guerra per l'indipendenza italiana (v. risorgimento: Le guerre del Risorgimento) fra i pontifici al comando del generale Giacomo Durando e forze austriache doppie, provenienti dal Mincio.
Dopo l'insuccesso patito il 30 maggio a Goito, il Radetzky aveva ripassato il Mincio a Mantova, inviando parte delle forze a presidiare Verona e la maggior parte ad attaccare l'esercito pontificio proveniente dal Trevigiano e raccoltosi attorno a Vicenza dopo il fallito tentativo di impedire il passo ai rinforzi austriaci diretti a Verona dal Bellunese. Il 9 giugno il Radetzky aveva le forze di prima schiera dislocate a sud di Vicenza, a cavallo del Bacchiglione, con la sinistra ad Arcugnano, la destra a Torri di Quartesolo. Queste forze (I Corpo d'armata su tre brigate) dovevano eseguire un attacco centrale contro le truppe postate a difesa del settore sud di Vicenza. Alla destra doveva concorrere tutto il II Corpo d'armata (4 brigate) e la brigata di cavalleria, attaccando le difese a sud-est di Vicenza. A sinistra il concorso doveva esser dato da una brigata proveniente direttamente dalla piazza di Verona per la strada di S. Bonifacio-Altavilla. Saputo l'avvicinarsi di un attacco in forze di gran lunga superiori alle proprie, il generale Durando, comandante in capo dei pontifici (circa 11.000 uomini), dispose 2500 dei suoi uomini, con E. Cialdini e M. D'Azeglio a Madonna del Monte (santuario di Monte Berico) e dietro ad essi in rincalzo altri 1000 uomini; alquanto più innanzi sull'altura della Rotonda dominante la riva occidentale del Bacchiglione, inviò i volontarî studenti, formati su un battaglione di circa 1000 uomini. E tutte le rimanenti forze (6000 uomini) dispose al margine meridionale e orientale della città a immediata difesa dell'abitato.
La mattina del 10 giugno gli Austriaci attaccano violentemente le alture di Madonna del Monte; sono respinti. Rinnovano più volte il tentativo, ma invano. Risolvono allora di compiere uno sforzo vigoroso contro la Rotonda, considerata come la "chiave" della posizione. Con due brigate (6000 uomini) attaccano il migliaio di studenti colà appostati, i quali resistono per un'ora sulla prima linea, retrocedono su una seconda linea improvvisata a circa duecento metri per tentare di resistere ancora. ma sono infine sopraffatti dal numero. I difensori di Madonna del Monte, avvedutisi dall'aggravarsi della situazione alla loro sinistra, si raccolgono per un tentativo supremo. La piccola massa, costituita di regolari svizzeri e italiani e di volontarî (guardie civiche romane) partono al contrattacco; sono respinti; ritentano di nuovo, avviene una furiosa mischia, ma anche qui il soverchiante numero degli attaccanti trionfa. Gli Austriaci riescono a piazzare le artiglierie sui contesi colli e iniziano il cannoneggiamento dell'abitato, mentre il II Corpo ne attacca le difese sud-orientali.
La battaglia è perduta, senza rimedio. Il generale Durando è costretto a trattare la resa di Vicenza. L'esercito pontificio esce dalla eittà con l'onore delle armi, ma con l'impegno di recarsi a sud del Po e di non più partecipare alle operazioni di guerra per la durata di tre mesi.
La provincia di Vicenza.
Il territorio della provincia si stende per la massima parte nella regione delle colline e delle Prealpi. Appartengono ad essa la sezione orientale dei Lessini, a partire dal contrafforte che separa la valle dell'Alpone da quella del Chiampo, con le valli dell'Agno e del Leogra, i contrafforti del Pasubio (gruppo Forni Alti-Novegno-Summano), l'altipiano di Tonezza tra Posina e Astico e quello di Asiago tra Astico e Brenta, la parte occidentale del Massiccio del Grappa, tutto il gruppo dei Monti Berici e le pianure che li cingono da ogni lato. I confini fissati dalle vicende storiche, sono molto irregolari e quasi mai coincidono con caratteri ben netti del terreno.
La popolazione, secondo il censimento del 1931, è di 528.256 ab. con una densità di 194,1, assai superiore alla media del Veneto (161,6); di essa il 52,63 % vive accentrata, e il 47,37% sparsa. Oltre alla città capoluogo molti altri centri hanno un'importanza notevole o in grazia delle industrie in essi sviluppatesi (Arzignano, Valdagno, Piovene, Rocchette, Arsiero, Marostica), o come mercati di ricche plaghe (Bassano, Thiene, Lonigo, Noventa, ecc.) o come stazioni climatiche (Recoaro, Valli di Pasubio, Asiago). La vita economica ha per base l'agricoltura cui si dedicano costantemente 84.498 uomini e 12.721 donne e saltuariamente 22.695 uomini e 75.983 donne, con una cifra complessiva di 195.897 persone (censimento agricolo del 1930), che esplicano la loro attività in 60.531 aziende. I prodotti prevalenti sono forniti dai cereali largamente coltivati nella regione di collina e di pianura (frumento e mais) e dall'uva prodotta in colture promiscue e specializzate. Seguono le colture industriali della barbabietola da zucchero e quella del tabacco, che, fuori della zona classica della Valsugana, si è estesa recentemente nelle regioni di pianura attorno ai Berici: importanza quasi esclusivamente locale hanno le colture ortofrutticole e la produzione delle olive (Bassano). L'allevamento del bestiame (139.268 bovini e 47.421 suini) è notevole, ma inferiore forse alle possibilità del territorio, mentre assai importante è la produzione dei bozzoli, in media kg. 1.500.000 all'anno, che alimentano un gran numero di filande. Le industrie sono nel complesso assai sviluppate e dànno alla provincia un carattere particolare tra le consorelle del Veneto. Tra le industrie estrattive ricordiamo le cave di marmo del bacino del Chiampo, le cave di caolino di Tretto (Schio) e quelle di pietra dei Berici; tra le meccaniche gli stabilimenti per la produzione di motori elettrici, di pompe ed elettropompe, di turbine, di impianti d'irrigazione a pioggia (Arzignano) e di articoli di ferro smaltato e zincato (Bassano del Grappa). Importanza ben maggiore hanno le industrie tessili: 20 stabilimenti per la produzione di filati e tessuti di lana con circa 15.000 operai (Schio e Valdagno); 54 filande da seta con 4530 bacinelle e 7000 operai; otto grandi stabilimenti per la filatura e tessitura del cotone (80.000 fusi, 1000 telai e 1500 operai), costituiscono le attività principali, insieme con gl'impianti per la produzione dell'energia elettrica.
Bibl.: Le industrie e i traffici della provincia di Vicenza negli anni 1914-22; Relazione alla Camera del Commercio, Vicenza 1923; L'attività economica in provincia di Vicenza nel triennio 1923-25, idem, ivi 1926; Le condizioni economiche della provincia di Vicenza durante l'anno 1932, a cura del Consiglio provinciale dell'economia, ivi 1934; G. Raschi, La vita industriale, agricola, commerciale in Vicenza e provincia, ivi 1919; R. Fabiani, Le risorse del sottosuolo della provincia di Vicenza, ivi 1930.