VICENZA
(lat. Vicetia)
Città del Veneto, capoluogo di provincia, situata alla confluenza del fiume Retrone con il Bacchiglione.
Antica città romana, sede di municipium dal 49 a.C., V. a partire dalla fine del sec. 6° fu, di certo, sede vescovile (Cracco Ruggini, 1987). Tra il 568 e il 569 fu occupata dai Longobardi e divenne poi sede di ducato, fino all'avvento dei Franchi nel 774 (Settia, 1988). A seguito delle incursioni ungariche della fine del sec. 9° e del 10° si procedette alla costruzione di una cinta muraria, iniziata appunto nel sec. 10° e portata a termine nel Duecento. Costituitasi in Comune nel sec. 12°, nel secolo successivo, nella lotta tra Guelfi e Ghibellini, fu occupata da questi ultimi, con Alberico ed Ezzelino III da Romano. Dopo la morte di Ezzelino, la riacquistata libertà non durò a lungo; nel 1266 V. si diede infatti in custodia a Padova e nel 1311, fino al 1387, rimase sottoposta agli Scaligeri di Verona. In questo periodo fu ampliata la cinta muraria, che venne a comprendere anche due borghi, verso E e verso N-O. Agli Scaligeri si sostituirono i Visconti di Milano e nel 1404 V. si diede a Venezia. Allora la cinta muraria ebbe un ulteriore allargamento. Buona parte di essa è stata distrutta in tempi relativamente recenti (sec. 19°); si hanno comunque elementi sufficienti per delinearne il tracciato con una certa precisione (Barbieri, 1987 pp. 8-11; 1988, pp. 247-279).
Nel 1944 la cattedrale di V. subì gravi danni da un bombardamento aereo. Finita la guerra si procedette a lavori di sistemazione del complesso, con la scoperta di un'area archeologica al di sotto dell'od. navata unica (Forlati Tamaro, in Forlati Tamaro, Forlati, Barbieri, 1956; Forlati Tamaro, in Bognetti, Forlati Tamaro, Lorenzon, 1959). Seguì alla fine degli anni Sessanta una campagna di scavo condotta da Dani, il quale riferì sul lavoro svolto soltanto in forma occasionale (Dani, 1973a; Dani, Rivadossi, 1977), affermando di aver individuato un'aula precostantiniana ricavata in una domus, una basilichetta costantiniana con annesso battistero ottagonale, una grande basilica del tardo sec. 4° e infine una grande basilica del sec. 6°-7° con battistero. Negli anni 1975-1977, Maioli svolse nell'area alcune ricerche di cui diede la relazione scientifica (Maioli, 1977), con questi risultati principali: riconobbe l'esistenza di una prima aula ricavata da un'antica domus privata, alla quale seguì un secondo grande edificio a tre absidi (lunghezza m 60 ca.), con undici o dodici intercolumni. Recentemente Lusuardi Siena (1989) ha ribadito che su un complesso abitativo romano vi sono state varie fasi edilizie, l'ultima delle quali è consistita nella realizzazione di un grande vano. I muri perimetrali nord e sud di questo vano sono da riconoscersi lungo le pareti laterali dell'edificio gotico, mentre è difficile e problematica la definizione del muro occidentale; per la parete orientale si è riproposto che i resti di un'abside rintracciata nella cripta siano da attribuire a questo edificio. Di non facile soluzione è il problema dei livelli dei pavimenti: i frammenti musivi più noti, con i nomi dei donatori Carpilio e Crinianus, si assegnano tra la fine del sec. 4° e il 5°, con preferenza per quest'ultima datazione. La seconda aula avrebbe avuto tre absidi (Maioli, 1977), mentre Lusuardi Siena (1989) ipotizza che la sistemazione a tre absidi vada datata forse all'età carolingio-ottoniana. La problematica relativa a quest'area archeologica è ancora aperta. Sembra accertato in ogni modo che la seconda aula abbia resistito assai a lungo nel tempo, di fatto fino al rifacimento databile al sec. 12°, con varie sistemazioni e ristrutturazioni intermedie spesso di dubbia interpretazione, che possono collegarsi anche al rinnovo dell'apparato plastico, come documentano i numerosi pezzi di scultura raccolti nella zona archeologica del duomo stesso. Questi pezzi vanno scalati tra i secc. 6°-7° e il 12°, con un buon numero attribuibile all'età longobarda matura, cioè al sec. 8° (Lusuardi Siena, 1989). Forlati Tamaro (in Forlati Tamaro, Forlati, Barbieri, 1956), nei lavori di scavo effettuati subito dopo la guerra, individuò quattro file di pilastri: quelli delle due file esterne a T, quelli delle due file interne a croce. Secondo la studiosa, le quattro file non erano nate insieme: tra i secc. 9° e 10° sarebbero stati innalzati i pilastri delle due file esterne, ipotizzando l'esistenza di un naós a tre navate di cui la centrale molto ampia (m 10 ca.) e le due laterali molto strette (m 2 ca.); in seguito, tra il sec. 10° e l'11°, per procedere alla costruzione di una volta a botte, si sarebbe voluto restringere la navata centrale con la costruzione dei pilastri a croce, determinando così un naós a cinque navate. A questa ipotesi si è opposto Zuliani (1976a), che ha interpretato come contemporanei i pilastri delle quattro file, suggerendo una datazione alla prima metà del 12° secolo.All'interno dell'od. cattedrale, nella prima cappella a destra, ora battistero, è stata posta una vasca, con un'iscrizione che fa riferimento al gastaldo longobardo Rodoaldo. Probabilmente questa vasca è nata con funzione non battesimale, ma di fontana (Lusuardi Siena, 1989).
Nell'ambito dell'od. chiesa dei Ss. Felice e Fortunato nacque un nucleo cimiteriale paleocristiano, non sempre facilmente riconoscibile nelle sue varie fasi di sviluppo dal Tardo Antico al Medioevo, a causa soprattutto di scavi archeologici e rifacimenti talvolta non adeguati alle esigenze scientifiche (Lusuardi Siena, 1989).I due santi vicentini, Felice e Fortunato, subirono il martirio ad Aquileia durante la persecuzione di Diocleziano. I Vicentini chiesero le loro spoglie, ma ottennero solo quella di Felice (Cracco Ruggini, 1987), il cui corpo fu posto forse in una cella memoriae, o in quella che viene definita chiesa antica, probabilmente verso la fine del 4° secolo. Su quest'area fu costruita, nella seconda metà del sec. 5°, una basilica a tre navate, probabilmente con abside rettilinea, e decorata con mosaici pavimentali. A N di questa chiesa si sono trovate le tracce di un edificio che doveva essere a pianta ottagonale. Potrebbe trattarsi dei resti di un battistero (Mirabella Roberti, 1979) o di un mausoleo (Zuliani, 1976a). Adiacente alla parete meridionale della chiesa, verso E, è stato innalzato, agli inizi del sec. 6°, il sacello di S. Maria Mater Domini, la cui struttura architettonica è ancora esistente. Si tratta di un piccolo edificio a croce, con calotta centrale coperta da una sorta di tiburio, abside semicircolare all'interno e poligonale all'esterno. La muratura interna era coperta di lastre marmoree nella zona inferiore e di mosaici in quella superiore, dei quali si conservano alcuni frammenti (Dani, 1964a). All'inizio del Medioevo, le tre strutture edilizie esistenti erano la basilica a tre navate, il battistero o mausoleo e il sacello. Con l'occupazione longobarda prima e carolingia poi non si ebbero significativi interventi nel campo edilizio. Quello che cambiò fu l'arredo plastico, da connettere forse con l'insediamento del monastero benedettino dei Ss. Vito e Modesto, che determinò la trasformazione in chiesa monastica dell'edificio dedicato ai due martiri vicentini (Lusuardi Siena, 1989), com'è documentato da alcuni frammenti scultorei ancora in loco, databili dall'8° al 9°-10° secolo. Nel sec. 10° la chiesa e il monastero apparivano in rovina, forse a causa delle precedenti invasioni ungariche, e si dovette dunque procedere a una ristrutturazione dell'edificio. Per la zona orientale, un intervento significativo fu quello della costruzione della cripta nel sec. 10° (Mareschi, 1980), forse al posto di una precedente carolingia. Il vescovo Rodolfo (975-983) l'avrebbe fatta costruire con abside semicircolare con nicchioni entro il muro di testata rettilineo della vecchia abside della chiesa, poi sostituita dalla nuova abside del sec. 12°, fondata sull'abside della cripta del sec. 10° (Lusuardi Siena, 1989). L'intero edificio fu completamente ristrutturato nel 12° secolo. Dell'edificio del sec. 10° è rimasto, nella zona occidentale, il portale, incorniciato da una decorazione a treccia con due frammenti di affresco. Questi sono stati datati ante 1154, anno di erezione del nuovo portale della chiesa (Dani, 1960): si tratta di una scena apocalittica, che stilisticamente rimanda a miniature ottoniane, con un linearismo che sembra poter discendere dal bizantinismo provinciale della c.d. scuola macedonica (Lorenzoni, 1994).Il sec. 8°, se non forse la fine del 7°, segnò dunque l'arrivo a V. dei primi Benedettini, che si insediarono nel complesso dei Ss. Felice e Fortunato; alla metà del sec. 8° risale la fondazione del monastero di S. Silvestro, in dipendenza dal famoso e potente monastero di Nonantola, in Emilia, ma di questo periodo non è rimasto nulla. Al sec. 8° possono essere attribuiti i resti scultorei della chiesa di S. Martino al Ponte di Casale (Previtali, 1993). La seconda metà del secolo segnò la fine del regno longobardo con l'arrivo dei Franchi, che non sembra abbiano creato una situazione culturale nuova. Alla prima metà del sec. 9° risale la fondazione del monastero femminile di S. Pietro: a questa prima edizione si è proposto che possano appartenere quei resti archeologici che rileverebbero una pianta di chiesa a una sola navata con abside unica semicircolare (Paulon, 1968; Barbieri, 1988, pp. 267-268, n. 78); della fine del secolo, se non del sec. 10°, potrebbe essere anche S. Giorgio in Gogna, chiesa a una navata absidata, alla quale fu aggiunta nel sec. 14° la parte occidentale con relativa facciata (Zuliani, 1976a, p. 39; Barbieri, 1988, p. 277, n. 110).
Alla fine del sec. 9° cominciarono, e si ripeterono per parte del sec. 10°, le incursioni ungariche, che provocarono la creazione di un sistema difensivo castrense, dipendente in buona parte dell'autorità vescovile, insieme con un sistema di mura cittadine, la cui costruzione procedette nel tempo. Ai secc. 10°-11° Dani (1997), riprendendo e aggiornando un intervento precedente sullo stesso argomento (Dani, 1964b), data la chiesa di Santa Maria Etiopissa, nella quale è conservato un interessante pluteo longobardo, oltre a resti di pitture murali dal 12° al 15° secolo.Nell'ambito pittorico altomedievale, così scarso di esempi nel Vicentino, si pone il ciclo di S. Giorgio di Velo d'Astico. Si tratta di una pittura murale in due fasce, di non facile lettura iconografica, attribuita da Dani (1958) a età carolingia. Si può condividere la proposta di Marchetto (1984) per una datazione al sec. 11° (Lorenzoni, 1994).
Il sec. 12° è segnato dalla ristrutturazione dei due centri religiosi più rilevanti, il duomo e la basilica dei Ss. Felice e Fortunato. La cattedrale, probabilmente nella prima metà del sec. 12°, venne completamente ricostruita a cinque navate, come induce a supporre la scoperta dei quattro filari di pilastri, una struttura poco diffusa nel Veneto medievale. Contemporaneo all'edizione della cattedrale del sec. 12° potrebbe essere stato il palazzo vescovile, di fronte al duomo, probabilmente una casa-fortezza con torri. Il palazzo, completamente rifatto, non conserva nulla di medievale se non le fondamenta di una struttura architettonica, di datazione e interpretazione dubbie.
L'od. basilica dei Ss. Felice e Fortunato è una struttura architettonica del sec. 12°, con le modifiche apportate dai vari restauri, che talora sono apparsi come interventi che hanno snaturato la struttura originale (Lusuardi Siena, 1989). Essa è a tre navate con il sistema alternato di colonne e pilastri, sorreggenti archi a tutto sesto.Alla fine del secolo è documentata l'esistenza di un palazzo del Comune, che sarebbe stato distrutto da Federico II nel 1236 (Lomastro, 1981). I palazzi pubblici duecenteschi, posti tra la piazza dei Signori e la piazza delle Erbe, cioè nel luogo della basilica poi palladiana, erano il palazzo Vecchio, il palatium Comunis e il palazzo del Podestà. A O era il Vecchio, il palazzo di giustizia, che comprendeva la sala degli Anziani, la cappella e un'altra sala: esso fu ricostruito dal 1260; a E le case dei Bissari e dei Carnaroli, acquistate dal Comune nel 1211 e ristrutturate come residenza del podestà; non è rimasto nulla di duecentesco di questa struttura, se non la torre del Girone a S e la torre di piazza a N (Barbieri, 1987, pp. 11-13; 1988, p. 290), nel Peronio (Motterle, 1971; 1973; Maschio, 1976). Tra questi due nuclei architettonici si innalzò, a partire dagli anni 1222-1223, il palatium Comunis, sopra grandi arcate, di cui potrebbe essere rimasta qualche traccia nei quattro arconi a sesto pieno alle testate del passaggio pedonale sotto la basilica tra le due piazze (Barbieri, 1988, p. 289). In questo palazzo era posta la grande sala di adunanza del Consiglio dei Quattrocento (Lomastro, 1981). I due palazzi, il Vecchio e il Comunis, intorno alla metà del sec. 15° furono abbattuti per costruire l'od. basilica, le cui logge furono ricostruite da Andrea Palladio. Nella cappella del palazzo Vecchio, dedicata a s. Vincenzo, affrescò nel 1379 un pittore chiamato Avanzo, il cui nome provocò qualche confusione nella individuazione di Avanzo, collaboratore di Altichiero, nella cappella di S. Giacomo nella Basilica del Santo a Padova (Benati, 1992).Nella seconda metà del Duecento il duomo subì un altro totale rifacimento, con una costruzione a tre navate; poco più di un secolo dopo, verso la fine del sec. 14°, un ulteriore intervento portò alla costruzione di una chiesa a navata unica con cappelle laterali, chiesa che, pur con aggiunte e rifacimenti soprattutto nella zona absidale, è quella attuale.Il Duecento è caratterizzato anche dalla presenza di nuovi Ordini religiosi, che si insediarono ciascuno in una parte della città: a N-E i Domenicani in Santa Corona, a S-E gli Eremitani di S. Agostino in S. Michele, a N-O i Francescani in S. Lorenzo. In questa sorta di quadrante, manca il S-O: è la zona della cattedrale e dell'episcopio (Barbieri, 1988, p. 279).
Dopo l'esperienza del dominio di Ezzelino III da Romano (m. nel 1259), il Comune di V., nel 1266, passava sotto la 'custodia' di Padova. Del 1262 è il Regestum possessionum comunis Vincentie, una sorta di inventario dei beni dei quali si era impossessato Ezzelino. Questi beni, alla sua scomparsa, furono confiscati dal Comune, in parte per essere restituiti ai precedenti proprietari (Lomastro, 1981).Nel 1259 Luigi IX, re di Francia, donò al vescovo di V., Bartolomeo da Breganze, un frammento della corona di spine di Cristo, che il presule vicentino affidò al provinciale dei Domenicani. Intervenne il Comune per acquistare la terra necessaria per il nuovo insediamento dei Domenicani: tra il 1260 e il 1261 fu iniziata la costruzione della chiesa dedicata appunto alla preziosa reliquia, la Santa Corona, e forse finita entro lo stesso settimo decennio del secolo (1268-1270; Lomastro, 1981). La reliquia è racchiusa in un prezioso reliquiario in oro e argento con pietre varie, opera della fine del 14° secolo. L'od. chiesa fu modificata nella seconda metà del sec. 15°, con la costruzione della cripta e del presbiterio, così come sono posteriori alla prima edizione le cappelle laterali (Lorenzoni, 1963). Solo il naós, pertanto, è la zona originale duecentesca. Esso è diviso in tre navate da pilastri, che nelle prime tre campate sono cilindrici, mentre le due coppie successive sono a sezione poligonale, con diversa tipologia di capitello. Questa differenza segna lo stacco tra la parte pubblica e la parte riservata al coro dei frati; all'altezza della prima coppia di sostegni poligonali doveva essere la chiusura del coro, secondo schemi tipicamente monastici, assunti anche dai Mendicanti. Il transetto, assai limitato, ha certamente subìto ampliamenti tra i secc. 15° e 16°; la copertura è a volte a crociera costolonata. La facciata, a capanna, ha subìto un pesante restauro eseguito dall'architetto Toniato nel 1872-1874. Lo schema base di questa chiesa ebbe come modello la tipologia della chiesa cistercense: nel complesso lo spazio interno dell'edificio appare piuttosto pesante, quasi arcaico.Diversa soluzione figurativa ebbe la principale chiesa dell'altro grande Ordine mendicante, quello dei Francescani. Essi erano a V. dal 1222, nella chiesa di S. Pietro in Carpagnon; poi, forse nel 1237, vi aggiunsero la nuova chiesa dedicata a s. Francesco; nel 1280 si trasferirono nella chiesetta di S. Lorenzo, fondata nel 1242, per le reliquie dei ss. Lorenzo, Quirico e Margherita. Questo piccolo edificio fu abbattuto per far posto alla nuova chiesa, dedicata appunto a s. Lorenzo, per la cui costruzione intervenne il Comune, nel 1290, con sovvenzioni pubbliche (Lomastro, 1981). Cominciata dunque nel 1280 o poco dopo, la sua costruzione procedette anche nel secolo successivo. La facciata a capanna presenta nella parte inferiore arcate profonde, secondo una tipologia che si trova anche a Padova nella Basilica del Santo, nella chiesa degli Eremitani, nella distrutta S. Agostino e, a Venezia, nella domenicana Ss. Giovanni e Paolo. Al centro della facciata il portale fu scolpito da Andriolo de Santi (v.) e dalla sua bottega, negli anni 1342-1344. L'interno è diviso da colonne di pietra in tre navate, che terminano in tre absidi precedute da un alto transetto, con copertura a volte costolonate. Una grande luminosità domina incontrastata in questo edificio, nel quale la tensione verso l'alto assume una particolare caratteristica per il caldo colore che attenua il linearismo gotico: esempio tipico dell'architettura mendicante nel Veneto (Dellwing, 1970). Per l'altare maggiore di questa chiesa Paolo Veneziano (v.) realizzò la Dormitio Virginis firmata e datata 1333 (Vicenza, Mus. Civ. d'Arte e Storia).La terza grande chiesa degli Ordini mendicanti era quella dedicata a s. Michele, degli Eremitani di S. Agostino, purtroppo distrutta tra il 1810 e il 1812 (Barbieri, 1988, p. 281). L'inizio della sua costruzione fu quasi contemporaneo a quello di Santa Corona; infatti, nel 1264 appare già documentata una chiesa di S. Michele degli Eremitani, la cui costruzione fu voluta dal Comune (Lomastro, 1981, p. 22). Si trattava di un grande edificio a navata unica, una chiesa 'a granaio', con tre absidi rettilinee, modificate successivamente (Barbieri, 1988, pp. 282-283).
Con il sec. 13° si era configurato un aspetto abbastanza preciso dell'urbanistica di Vicenza. Il Trecento non portò sostanziali cambiamenti da questo punto di vista, ma si limitò a pur interessanti inserimenti (Barbieri, 1988, p. 284).Da una fondazione forse altomedievale dedicata a s. Desiderio nacque, dopo varie vicende intermedie, la badia di S. Agostino. La precedente costruzione venne abbattuta per la costruzione del nuovo edificio di una piccola comunità che aveva assunto la regola di s. Agostino, da cui il nuovo titolo alla chiesa. Secondo l'iscrizione del portale maggiore, essa fu innalzata tra il 1322 e il 1357 (Pacini, Furegon, Dori, 1976). Si tratta di una struttura architettonica a navata unica con copertura a capriate lignee; tre absidi a testata rettilinea coperte da volte a crociera concludono la navata unica. La chiesa di S. Agostino contiene la più estesa decorazione trecentesca di V., esaurientemente illustrata da Barbieri (1956); Lucco (1986) ha suggerito qualche ipotesi nuova in merito (Dani, 1973a).
Per la pittura trecentesca, oltre a Paolo Veneziano, che per il S. Lorenzo dipinse la sua opera più bizantina, si deve aggiungere Lorenzo Veneziano (v.), che riprese il tema della Dormitio Virginis tra santi e le immagini dei committenti nel polittico firmato e datato 1366, conservato nella quinta cappella di destra del duomo: l'insegnamento di Paolo Veneziano qui si addolcisce in un raffinato linearismo gotico. I frammenti provenienti dal duomo (Vicenza, Mus. Civ. d'Arte e Storia), della seconda metà del secolo, attestano invece l'influsso della cultura postgiottesca di terraferma.A navata unica, come S. Agostino, è la chiesa di S. Ambrogio: costruita nella prima metà del sec. 14°, fu ampliata qualche decennio dopo, intorno al 1384, per accogliere la Confraternita dei Battuti dell'Ospedale di S. Ambrogio. In questa occasione fu innalzata la facciata e, abbattendo parte del muro di testata, si costruì un arcone ogivale che immetteva in una nuova cappella absidale a pianta rettangolare, sul modello ancora del S. Agostino. Tra fine del sec. 15° e gli inizi del 16° si innalzò l'abside poligonale (Dani, 1972).
Nel 1387, alla caduta del dominio scaligero, secondo una tradizione sarebbe stata costruita, in un'area che era appartenuta alla Camera fiscale dei signori veronesi, la chiesa di S. Vincenzo, nel muro di cinta del Peronio. Ora si tende ad anticipare di qualche anno la fondazione di questo piccolo edificio (Cevese, 1987; Barbieri, 1988), che è piuttosto difficile da ricostruire idealmente, dati i pesanti interventi successivi.Di case private ben poco è rimasto di età medievale: unica testimonianza del sec. 13° sembrano essere le torri dei Loschi, in contrada S. Antonio (Barbieri, 1987 p. 14; 1988, p. 292); in altri casi sono rimasti resti di arcate e di finestre archiacute (Barbieri, 1987, p. 14; 1988, p. 292); nel campo della pittura si continua la tradizione locale con pittori ritardatari, come Battista da Vicenza (m. nel 1438; Dani, 1961; 1971), la cui attività si colloca ormai nel 15° secolo.
Il Mus. Civ. d'Arte e Storia dal 1855 ha sede nel palladiano palazzo Chiericati: conserva alcune sculture datate tra i secc. 12 e 14°; nell'ambito della pittura spicca per la sua rilevanza la Dormitio Virginis di Paolo Veneziano. Vi sono inoltre i frammenti di affreschi della seconda metà del sec. 14°, provenienti dal duomo, e alcune opere di Battista da Vicenza.Il Mus. di Archeologia e Scienze Naturali, dal 1991 ospitato nel complesso di Santa Corona, accoglie una raccolta di opere longobarde (umboni di scudo, armille, pettini, spade e una crocetta d'oro), provenienti da scavi effettuati a Sovizzo (Rigoni, Hudson, La Rocca, 1988), a Dueville e da ritrovamenti nella stessa V. e a Montecchio Precalcino.Alcuni codici miniati sono conservati nella Bibl. Civ. Bertoliana e nella Bibl. del Seminario Vescovile.
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