Vicino Oriente antico. Agricoltura e irrigazione
Agricoltura e irrigazione
Sullo scorcio del IV millennio, quando inizia la documentazione scritta con i primi testi nella Bassa Mesopotamia (testi arcaici di Uruk, 3200-3000 ca.), il Vicino Oriente detiene un patrimonio di conoscenze agro-pastorali messe progressivamente a punto durante i millenni precedenti e diversificate per ecosistemi assai vari, che comportano una variabilità regionale molto accentuata. In termini di orografia e idrografia si affiancano grandi vallate irrigue, catene e massicci montani, altopiani e tavolati semiaridi. In termini di circolazione atmosferica e di precipitazioni, convergono nel Vicino Oriente la circolazione di origine atlantica con piogge invernali (che rapidamente decrescono a est della fascia mediterranea), la circolazione monsonica con piogge estive (che decrescono anch'esse a mano a mano che ci si allontana dall'Oceano Indiano), il clima rigidamente continentale dell'area turanica.
La sistemazione agricola del territorio durante le fasi neolitiche riguarda, in prima istanza e più agevolmente, le zone ad agricoltura pluviale; sul piano tecnico e conoscitivo, si tratta di selezionare coltivi appropriati, di disporre le varie operazioni in un calendario agricolo dettato dall'alternanza tra stagione piovosa e stagione secca, di coordinare tra loro attività agricole e pastorali. Ben più complessa è l'occupazione delle vallate alluvionali (specie la Bassa Mesopotamia) a precipitazioni pressoché inesistenti, che richiedono non solo un'agricoltura irrigua, ma anche una sistemazione idraulica dell'intero territorio.
La bonifica della Bassa Mesopotamia, nel corso del IV millennio, rende abitabile una zona altrimenti acquitrinosa e soggetta a piene devastanti. Si tratta in realtà di due ambiti di problemi che oggi collocheremmo in due diversi settori tecnico-scientifici. Da un lato l'attivazione di infrastrutture d'irrigazione (bacini di raccolta e di drenaggio, dighe e chiuse, canali e canaletti) configura problemi di ingegneria idraulica. Dall'altro la loro utilizzazione richiede un consapevole coordinamento tra ritmi del flusso fluviale (fasi di piena e di magra), tipi di colture (estive e invernali) e loro tempi di maturazione, calendario delle operazioni agricole, incastro stagionale tra colture e pastorizia, problemi dunque di agronomia.
Per meglio apprezzare la complessità del problema può essere utile contrapporre due diversi modelli, che per semplicità chiameremo 'africano' e 'asiatico' (sarebbe più preciso definirli 'saheliano' e 'vicino-orientale'). Nel sistema 'africano' si semina dopo la piena e il coltivo utilizza l'umidità residuale del terreno dopo che l'acqua si è ritratta. Tale sistema si adatta soprattutto a bacini chiusi nei quali l'acqua piovana ristagna e poi si prosciuga progressivamente, o anche a bacini fluviali con ampie superfici allagate in fase di piena e riemerse in fase di magra. Si adatta alla circolazione monsonica con piogge estive che precedono la semina di coltivi invernali; richiede clima caldo con tempi di maturazione assai rapidi (tra ritrarsi delle acque ed essiccamento completo). Il sistema era praticato ancora in età moderna soprattutto lungo il Niger e attorno al Ciad, ma nel V-IV millennio le condizioni ambientali comportavano ancora la presenza di numerosissimi laghi (dapprima perenni, poi stagionali) nei bacini chiusi di tutta la fascia saharo-sudanese, nei quali l'agricoltura 'a umidità residuale' poté svilupparsi a latitudini ben più settentrionali di quelle odierne. La stessa agricoltura della Valle del Nilo rientra in questo modello 'africano': si semina dopo l'inondazione e si utilizza l'umidità residuale. Peraltro la dislocazione settentrionale dell'Egitto rispetto alla zona ove le piene del Nilo hanno origine (piogge monsoniche nell'area etiopica) porta a una sfasatura di tempi assai marcata e, dunque, richiede vari aggiustamenti rispetto alle più semplici condizioni della fascia saheliana.
Completamente diverso e, si può dire, opposto è il sistema 'asiatico', dove l'acqua è fornita ai coltivi in vari momenti ma soprattutto dopo la semina, dunque come umidità non residuale ma aggiuntiva. In rapporto a questo modello, un'inondazione diffusa costituirebbe uno spreco e un danno. Occorre invece immagazzinare l'acqua delle piene ed erogarla a tempo debito; di qui la necessità di costruire quel sistema di infrastrutture idrauliche cui si è già accennato e che, invece, non c'è stimolo alcuno a progettare nel più elementare sistema saheliano.
Nei bacini intermontani e nelle vallate del medio corso del Tigri e dell'Eufrate, in cui il fiume scorre a fondovalle e i campi sono disposti sui due lati, a quota leggermente più alta, il problema (relativamente semplice) è quello di portare l'acqua a una quota superiore a quella dei campi, che vengono irrigati a caduta (per forza di gravità, senza bisogno di apparecchiature di sollevamento). Si scavano dunque canali 'a mezza costa' lungo il bordo esterno della vallata, i quali prelevano l'acqua a monte e la mantengono a quota superiore rispetto ai campi. Le prime installazioni di questo tipo sono documentate, intorno al 5000, a Choga Mami e a Behbehan (Zagros meridionali). Il sistema è poi più diffusamente documentato nei periodi successivi, in particolare nelle vallate del Medio Eufrate e del Khabur durante il Medio Bronzo. Il grande canale Bahr Yusuf nel medio Egitto, che risale al Medio Regno (attorno al 2000), costituisce tipologicamente un apporto 'asiatico' che va a integrare la locale irrigazione 'africana', mantenendo l'acqua in quota sul margine occidentale della vallata per poi defluire nel bacino del Fayyum.
Quando la sistemazione idraulica del territorio dalle vallate arriva a interessare le aree di 'delta' ed 'estuario' della Bassa Mesopotamia, le condizioni si presentano più complesse e il problema principale è quello di controllare e rallentare le piene, altrimenti distruttive, sfasate tra loro (la piena del Tigri giunge all'altezza di Baghdad verso aprile, quella dell'Eufrate verso maggio) e comunque intempestive rispetto al calendario della cerealicoltura invernale. Si tratta d'installare bacini di raccolta, canali maggiori di trasporto dell'acqua, canali minori di distribuzione, chiuse per regolare il deflusso, sia in uscita dai bacini, sia in fase di distribuzione capillare e, infine, bacini di drenaggio (per lo più depressioni paludose). La terminologia sumerica e poi babilonese è molto varia e non sempre comprensibile per noi; comunque, il canale risulta non scavato semplicemente nel suolo, ma contenuto entro due argini, dunque situato a una quota superiore a quella del piano di campagna circostante, per consentire, al solito, un'irrigazione a caduta, senza dispositivi di sollevamento (fig. 1).
Si possono distinguere due tipi di campi in rapporto ai sistemi di irrigazione, prevalenti l'uno al Nord (paese di Akkad, zona idrologicamente di 'vallata') e l'altro al Sud (paese di Sumer, zona idrologicamente di 'delta'). Nel Nord i campi sono di dimensioni ridotte (mediamente un ettaro), pianeggianti, quadrangolari e recintati da argini (in accadico ikû); sono irrigati per sommersione, che è un'operazione ripetibile più volte a seconda delle necessità. Nel Sud i campi sono assai più grandi (mediamente sui 30 ettari), di forma allungata fino a configurare blocchi di strisce anche sottili (per esempio 20 m×900 m), in leggera pendenza, con una testata superiore (in sumerico sag.an) dalla parte del canale e una testata inferiore (in sumerico sag.ki) dalla parte del bacino di drenaggio, e sono irrigati per scorrimento lungo i solchi. Il sistema meridionale è reso possibile dalle particolari condizioni della zona di 'delta', dove la scarsissima pendenza provoca un rallentamento del corso dei fiumi, con deposito dei sedimenti in sospensione e conseguente aumento di quota degli alvei, che rimangono più alti rispetto alle zone laterali (di drenaggio). Se questa disparità di quota provoca, di quando in quando, traumatici cambiamenti di corso dell'Eufrate e dei suoi rami principali, in tempi normali, invece, consente appunto l'irrigazione a caduta dei campi situati sul leggero declivio ai lati del fiume o del canale, con caratteristica disposizione a doppio pettine.
Le depressioni laterali, ove si scaricano le acque di drenaggio, sono utilizzate per i canneti, la caccia in palude e la pesca. Gli argini, con accesso più immediato all'acqua, sono utilizzati soprattutto per la coltura della palma da datteri e l'orticoltura (agli e cipolle, lattughe, legumi) a irrigazione manuale. Sin dal III millennio è utilizzata una semplice macchina per il sollevamento dell'acqua: un lungo bilanciere azionato dall'uomo (normalmente chiamato col termine arabo šādūf). La palma da datteri comporta la messa a punto di tecniche (di impollinazione e altro) con impiego intensivo di manodopera.
Le infrastrutture idrauliche e le modalità di sfruttamento agro-pastorale risultano già pienamente formate all'apparire dei primi testi nella Bassa Mesopotamia (testi 'arcaici' di Uruk, 3200-3000 ca.). Questi testi contengono registrazioni amministrative piuttosto schematiche, ma analoghe a quelle (ben più dettagliate ed esplicite) di periodi posteriori, in particolare di quelle (ottime per quantità e qualità) della III dinastia di Ur (2100-2000 ca.). Occorre tenere presente che le registrazioni di cui disponiamo non forniscono dati propriamente 'reali', ma 'amministrativi' e dunque convenzionali e più o meno distanti da quelli reali a seconda della capacità dell'amministrazione di controllare il percorso produttivo. I meccanismi di controllo amministrativo furono messi a punto già sullo scorcio del IV millennio e rimarranno poi sostanzialmente invariati per tre millenni. In questo capitolo potremo fornire soltanto i dati salienti per la gestione dei processi produttivi dei due prodotti basilari: l'orzo e la lana.
Il ciclo dell'orzo nelle aziende di proprietà templare (cui si riferisce per lo più la documentazione) è basato sul controllo dei rendimenti, dalla semente al raccolto. Di ogni campo si conoscono lunghezza e larghezza, dunque area totale e qualità del suolo, il quale sotto la III dinastia di Ur è definito in maniera molto precisa, parcella per parcella, all'interno del campo. La semina avviene con un particolare attrezzo, l'aratro-seminatore (in sumerico giš.apin), che consente di collocare il seme ben addentro nel solco (evitando gli sprechi della semina a spaglio) e di dosare i quantitativi. L'intensità di semina, posto che si mette a dimora un chicco ogni due 'pollici' (3 cm ca.), è determinata dalla distanza tra solchi: 8 o 10 o 12 solchi per nindan (6 m ca.). Il raccolto è stimato (campo per campo e, anzi, parcella per parcella) poco prima della mietitura, a evitare trafugamenti. I rendimenti variano tra 1:8 e 1:30 (e oltre), assestandosi su una media di 1:16. Le spese di produzione consistono in tre voci: semente per l'anno successivo, razioni per gli uomini, razioni per gli animali; si calcolano forfettariamente a un terzo del raccolto. L'unità produttiva è il 'campo' (in sumerico a.šà) dell'estensione standard di 100 ikû (36 ha ca.), con un'unità di aratura (un 'aratro-seminatore' con due o tre coppie di animali) e un agricoltore-manager (in sumerico engar). La manodopera stagionale si recluta col sistema del lavoro coatto (corvée) e consente di respingere i costi 'sociali' sulle comunità di provenienza. L'agenzia templare può così riservarsi due terzi netti del raccolto.
Il ciclo dell'orzo è documentato, oltre che dai testi amministrativi, anche da un testo scolastico, una sorta di 'manuale dell'agricoltore' (definito dagli assiriologi 'almanacco' o anche Georgica sumerica; cfr. Civil 1994), che risale alla III dinastia di Ur e proviene dalla città di Nippur (Tav. I).
A differenza dei testi amministrativi che provengono per lo più dalle province meridionali di Lagash e Umma e illustrano il sistema dei 'campi lunghi' con irrigazione lungo i solchi, il manuale di Nippur illustra il sistema settentrionale di irrigazione per sommersione. Gli altri dati tecnici (distanza tra i solchi, distanza tra i chicchi) sono quelli già visti; si stabiliscono i vari momenti di irrigazione e l'intero calendario dei lavori agricoli. Il testo in questione è l'unico in cui le conoscenze tecniche sull'agricoltura assumano una forma di trattato in qualche modo 'scientifico' e pertinente all'ambito scolastico.
Del tutto diverso è il ciclo della lana, condizionato dal fatto che l'amministrazione perde il controllo diretto su un processo produttivo, che avviene necessariamente al di fuori del suo raggio d'azione, in pascoli anche lontani. Dunque si redige una sorta di 'contratto' tra amministrazione e pastore, con affidamento di un determinato gregge (descritto nelle varie classi d'età e sesso) e riconsegna (trascorso un anno) dello stesso gregge aumentato di un coefficiente di accrescimento e di congrui quantitativi di prodotti: lana (1 kg scarso a pecora) e burro o formaggio. La chiave di lettura del meccanismo sta dunque nei coefficienti di accrescimento, che sono evidentemente amministrativi e non reali, sottostimati rispetto alla media reale, ma tali da poter essere pretesi. Si esige dunque che ogni pecora generi annualmente mezzo agnello, di sesso alternativamente maschile e femminile e che non si abbiano decessi. La bassa quota di neonati (in realtà ogni pecora genera annualmente un agnello) va a compensare la formale assenza di decessi. La gestione delle mandrie bovine è del tutto analoga (salvo ovviamente per la lana).
Un testo risalente alla III dinastia di Ur, che segue l'accrescimento di una mandria di bovini nel corso di 10 anni, consente di controllare l'applicazione sistematica dei tassi convenzionali. Il testo in questione non è una finzione scolastica (come proposto da qualcuno), giacché gli stessi coefficienti di accrescimento risultano altrettanto chiaramente dai testi amministrativi (relativi anche alle greggi di ovini). Tali coefficienti risalgono già, con tutta probabilità, a convenzioni stabilite al tempo dei testi arcaici di Uruk, un millennio prima. In seguito si adottano convenzioni più 'realistiche': in età paleobabilonese (XIX-XVIII sec.) si hanno 80 agnellini per 100 pecore e una mortalità del 15%; in età neobabilonese (VI sec. a.C.) 66,6 agnellini per 100 pecore e una mortalità del 10%. Si noti che, pur nelle diverse convenzioni adottate, il risultato è sempre lo stesso: accrescimento di un 50% annuo delle femmine, ossia di un 25% annuo di un gregge o di una mandria composta per metà di maschi e per metà di femmine.
Durante tutta l'Età del Bronzo (III e II millennio), lo sforzo di sistemazione idrica della regione alluvionale basso-mesopotamica progredisce lentamente. La rete dei canali non è frutto di un'operazione complessiva e su larga scala; inizialmente sono attrezzate zone circoscritte, mediante sistemi di canali di raggio locale, corrispondenti grosso modo alle unità politiche (città-stato sumeriche). Soltanto all'inizio del II millennio la sistemazione assume una scala regionale, con lo scavo e la gestione di canali che attraversano l'intera zona alluvionale, in concomitanza con lotte tra Stati di dimensione cantonale (ove quelli più a monte sono in grado di condizionare quelli più a valle) e, infine, con l'unificazione politica dell'intera regione (Hammurabi, XVIII sec.).
La gestione del sistema idraulico richiede non soltanto lo scavo di nuovi canali secondari, ma anche la loro manutenzione per contrastare il processo di sedimentazione (che tende a colmare canali e bacini), la crescita di canneti e altri ingombri vegetali, il deterioramento di argini e chiuse. La manutenzione avviene durante le fasi di magra e si avvale della mobilitazione di corvée, sotto il controllo del palazzo reale o del tempio o anche, probabilmente, delle comunità locali, che però hanno lasciato documentazione occasionale.
Per quanto riguarda i campi, il problema principale è quello della salinizzazione dei suoli, inevitabile in zone prive (o quasi) di pioggia e sottoposte a irrigazione eccessiva: la falda acquifera rimane troppo alta e il sale resta in superficie, con grave pregiudizio per le colture. La rotazione semplice (un anno coltivazione, un anno maggese), attestata già nell'età protodinastica (XXV sec.), non è sufficiente a rigenerare i suoli, in mancanza di colture rigeneranti (leguminose, che restano concentrate in orti) o di concimazione adeguata (il concime animale, lasciato dalla transumanza estiva, risulta insufficiente). La salinizzazione non è però un fenomeno progressivo, come è stato in passato proposto da alcuni studiosi, che ritenevano di individuare un continuo declino dei rendimenti della cerealicoltura, ma piuttosto ricorrente e permanente. Il singolo campo, una volta salinizzato, è lasciato incolto per alcuni anni (non sono attestati interventi di lavaggio) finché non ridiventa utilizzabile. Nei campi coltivabili i rendimenti sono piuttosto costanti nel tempo, su valori medi di 1:15 o 1:20, comunque più elevati rispetto a rendimenti medi di 1:8 per zone miste irriguo-pluviali e di 1:3 o 1:5 per i suoli leggeri della fascia mediterranea.
Il mantenimento dell'assetto produttivo è in sostanza un problema di manodopera. In periodi di amministrazione ordinata e di controllo politico efficace, le campagne sono tenute in buona efficienza; quando subentrano guerre o carestie o altri fattori di spopolamento, la manutenzione non è più sufficiente e il collasso è inevitabile. Sul lungo periodo, si può individuare per la Bassa Mesopotamia una crescita costante durante il III millennio, che culmina con la III dinastia di Ur. Inizia a questo punto un declino lento ma costante: nell'età paleobabilonese (XX-XVII sec.) l'insediamento scende a 2/3 del massimo precedentemente raggiunto; nell'età cassita (XV-XII sec.) scende alla metà; infine nell'età mediobabilonese (XII-VII sec.) scende fino ad 1/4: è un vero e proprio collasso.
Sul medio Eufrate il fenomeno è analogo nelle linee generali, ma più improvviso nelle modalità. La sistemazione idrica culmina nell''età di Mari' (XVIII sec.); successivamente il sovrasfruttamento sia della manodopera (per costruzioni e guerre) sia del suolo (l'introduzione di colture estive, come il sesamo, scompagina l'incastro con la transumanza) porta al tracollo dei grandi centri urbani e alla riconversione a uno sfruttamento quasi esclusivamente pastorale. Più a nord (Emar) il collasso si avrà solo alla fine della tarda Età del Bronzo (XII sec.).
L'Età del Ferro, per la regione alluvionale mesopotamica, si apre (XII sec.) nel segno della crisi e dell'ampliamento dello sfruttamento agricolo nelle aree semiaride e montane, precedentemente poco utilizzate. La sistemazione di questi ecosistemi aggiuntivi richiede sforzi non minori (ma del tutto diversi) di quelli che due millenni prima erano stati dedicati alla sistemazione della zona in questione.
L'insediamento e la coltivazione delle zone collinari e di bassa montagna iniziano con diffusi disboscamenti, eseguiti col fuoco e con i nuovi attrezzi di ferro. Per evitare il dilavamento dei pendii, si mette allora in opera un vasto sistema di terrazzamenti, che partono, a quanto pare, dall'area palestinese e libanese e che resteranno poi caratteristici di tutta l'area mediterranea. Muretti a secco trattengono il suolo organizzato in strisce a gradoni, ove si alloggiano colture arboree (ulivo e alberi da frutta) e cerealicole. La datazione archeologica dei sistemi di terrazzamento resta disagevole, ma gli indizi disponibili indirizzano alla prima Età del Ferro quale epoca di avvio del sistema.
Sempre in zone montane, ma con epicentro piuttosto nelle alte terre armene e iraniche, s'iniziano a installare sistemi di trasporto sotterraneo dell'acqua, ben adeguati alla configurazione topografica. In zone sufficientemente piovose, la necessità di dislocazione dell'acqua non intende tanto rendere coltivabili zone aride (questo era stato il motivo delle grandi irrigazioni dei terreni alluvionali mesopotamici), ma si cerca piuttosto di convogliare l'acqua nelle piccole zone pianeggianti evitando che si perda in valli strette o sia assorbita in terreni non coltivabili. Lo scavo di canali sotterranei, veri e propri tunnel con pozzi scaglionati a breve distanza l'uno dall'altro sia per l'asportazione dei detriti in fase di scavo, sia poi per la manutenzione, è inizialmente funzionale allo scavalcamento di dorsi e colline (Urartu, VIII sec.; poi Assiria, VII sec.), un problema tipico della morfologia montana e assente nelle zone alluvionali.
In seguito, i canali sotterranei risultano anche funzionali alla minore dispersione dell'acqua per evaporazione. I principali sistemi si sviluppano perciò in zone semiaride o aride; da un lato si diffondono sull'altopiano iranico, dove sono noti col termine qanāt (la cronologia resta incerta, ma comunque non anteriore all'Età del Ferro), in genere allo scopo di portare acqua dalle pendici montane alle depressioni interne semiaride; dall'altro lato si diffondono nelle oasi egizie (Bahariya, VI sec.) e fino al Fezzan, in zona nettamente arida, dove sono note come foggara (probabilmente a partire dal V-IV sec.).
Nelle zone aride, particolarmente nella Palestina meridionale (Negev), nel Sinai, in Transgiordania e, in genere, nella penisola araba (con documentazione ancora saltuaria) si mettono a coltura anche i fondi degli wadi, con forme di aridocoltura (dry farming, il termine è spesso impropriamente applicato all'agricoltura pluviale, che ha tutt'altre tecniche), col trattenimento delle acque piovane (concentrate in brevi episodi in corso d'anno) mediante piccole dighe trasversali al corso del torrente e con sfruttamento dell'umidità residuale del sottosuolo. L'utilizzazione del dromedario e del cammello consente, inoltre, di collegare oasi anche remote, nelle quali si diffonde la coltura della palma da datteri e l'orticoltura intensiva. L'area sottoposta a coltura può così espandersi notevolmente, anche se non in maniera continua ma piuttosto per 'isole' sparse in un territorio principalmente sfruttato in forme di pastoralismo. Gli stessi pascoli si espandono, giacché il cammello può utilizzarne di più poveri e distanti dai punti d'acqua, mentre quelli che già nell'Età del Bronzo erano utilizzati dai caprovini gravitavano a breve distanza (un giorno, due al massimo) dalle vallate dei fiumi perenni. È stato suggerito da tempo (ma è archeologicamente ancora mal documentato) che nell'Età del Ferro siano stati scavati pozzi più profondi e cisterne intonacate a tenuta idrica migliore di quelli dell'Età del Bronzo.
Le acquisizioni maggiori si realizzano nello Yemen, i cui altopiani a regime monsonico sono coltivati da tempo e ora (presumibilmente per la prima volta) terrazzati, ma i cui corsi d'acqua stagionali si perdono verso nord nelle sabbie del deserto arabico. Allo sbocco degli wadi, verso la pianura desertica, si mettono in opera, a partire dalla prima Età del Ferro, imponenti opere di contenimento che culmineranno poi, in epoca sudarabica 'classica' (seconda metà del I millennio), in grandi dighe di pietra, la principale delle quali, quella di Marib, è lunga circa 700 m.
Il sistema idraulico è diverso da quelli della zona alluvionale mesopotamica; si tratta semplicemente di trattenere l'acqua degli wadi in ampi bacini di raccolta situa-ti allo sbocco in pianura dei torrenti montani, per erogare poi l'acqua versoi campi mediante una rete capillare di canali e canaletti, dotati ciascuno di una chiusa di pietra. Il territorio agricolo, attrezzato in questo modo, consente il sostentamento alimentare delle città carovaniere dedite al traffico dell'incenso verso la Transgiordania, donde si ramifica fino all'Egitto, al Mediterraneo, alla Mesopotamia.
Dopo qualche secolo (verso la metà del I millennio a.C.), la ripresa porta anche al recupero delle zone alluvionali mesopotamiche, che durante i secoli di crisi avevano subito processi di impaludamento. La riattivazione della rete dei canali, l'adozione di nuovi rapporti di produzione (grandi appalti privati per gestire le terre templari), infine ‒ innovazione decisiva dal punto di vista scientifico e tecnologico ‒ l'adozione di macchine per il sollevamento dell'acqua (noria, arabo nā῾ūra, azionata dalla corrente e sāqiya azionata da animali, in sostituzione del tradizionale šādūf azionato dall'uomo), portano per la prima volta non solo a superare il picco già raggiunto intorno al 2000, ma anche a occupare pressoché per intero l'area coltivabile. Questo secondo grande ciclo di crescita e di sviluppo inizia nell'età neobabilonese (VI sec.) e si sviluppa nell'età achemenide (V-IV sec.), ma prosegue poi nell'età ellenistica e partica, per culminare nell'età sasanide e antico-islamica, quando sarà infine travolto dalle invasioni mongole. La ripresa del VI-V sec., così ben documentata in Mesopotamia, s'intravede valida anche per le vallate dell'Indo e del Gange; l'Asia centrale, invece, sembra seguire un andamento del tutto diverso.
Questi grandi cicli di crescita e di collasso sono soltanto in parte correlabili a fluttuazioni climatiche di medio termine, che nel periodo storico qui considerato assumono forme critiche verso la fine di ciascun millennio. Queste devono peraltro aver agito da stimolo per la messa a punto di tecniche e di assetti territoriali adeguati al superamento delle crisi. Le fasi di crescita, effettivamente, non si avvalgono soltanto dell'avvenuta messa a punto di strumenti tecnici nel campo dell'ottimizzazione delle risorse basilari (acqua e terra), ma anche della presenza di condizioni sociopolitiche favorevoli. Le fasi di collasso sono conseguenti a forme di sovrasfruttamento e al ritardo nell'adozione di tecnologie adeguate, ma sono anche connesse a periodi di peggioramento climatico e a invasioni esterne. Nel complesso, la vicenda dell'assetto territoriale non coincide con quella delle grandi civiltà dell'antico Oriente; la scomparsa culturale della tradizione 'cuneiforme' si colloca nel bel mezzo di un periodo di sviluppo col quale non sembra aver nulla a che vedere e la trasmissione delle tecniche idrauliche dell'antico Oriente al mondo ellenistico avviene nel segno della continuità.
fonti
Civil 1994: Civil, Miguel, The farmer's instructions. A Sumerian agricultural manual, Barcelona, Editorial Ausa, 1994.
studi
Adams 1981: Adams, Robert McCormick, Heartland of cities. Surveys of ancient settlement and land use on the central flood plain of the Euphrates, Chicago, University of Chicago Press, 1981.
Borowski 1987: Borowski, Oded, Agriculture in iron age Israel, Winona Lake (Ind.), Eisenbrauns, 1987.
Butzer 1995: Butzer, Karl W., Environmental change in the Near East and human impact on land, in: Civilizations of the ancient Near East, edited by Jack M. Sasson, New York, Scribner, 1995, 4 v.; v. I, 1995, pp. 123-151.
Cocquerillat 1968: Cocquerillat, Denise, Palmeraies et cultures de l'Eanna d'Uruk, 559-520, Berlin, Mann, 1968.
Cowan 1992: The origins of agriculture. An international perspective, edited by C.W. Cowan and Patty J. Watson, Washington, Smithsonian Institution Press, 1992.
Finkelstein 1995: Finkelstein, Israel, Living on the fringe. The archaeology and history of the Negev, Sinai and neighbouring regions in the bronze and iron ages, Sheffield, Sheffield Academic Press, 1995.
Harris 1989: Foraging and farming, edited by David R. Harris and Gordon C. Hillman, London-Boston, Unwin Hyman, 1989.
Henry 1989: Henry, Donald O., From foraging to agriculture. The Levant at the end of the ice age, Philadelphia (Pa.), University of Pennsylvania Press, 1989.
Jacobsen 1982: Jacobsen, Thorkild, Salinity and irrigation agriculture in antiquity. Diyala Basin archaeological projects. Report on essential results, 1957-58, Malibu (Calif.), Undena Publications, 1982.
van Laere 1980: Laere, R. van, Techniques hydrauliques en Mésopotamie ancienne, "Orientalia Lovaniensia Periodica", 11, 1980, pp. 24-27.
Liverani 1990-91: Liverani, Mario, Il rendimento dei cereali durante la III dinastia di Ur, "Origini", 150, 1990-1991, pp. 359-367.
‒ 1996: Liverani, Mario, Reconstructing the rural landscape of the ancient Near East, "Journal of the Economic and Social History of the Orient", 39, 1996, pp. 1-41.
‒ 1997: Liverani, Mario, Lower Mesopotamian fields: South va. North, in: Ana šadî Labnāni lū allik. Festschrift für Wolfgang Röllig, hrsg. von Beate Pongratz-Leisten, Hartmut Kühne, Paolo Xella, Kevelaer, Butzon & Bercker; Neukirchen-Vluyn, Neukirchener Verlag, 1997, pp. 219-227.
‒ 1998: Liverani, Mario, Uruk, la prima città, Roma-Bari, Laterza, 1998.
Postgate 1984: Postgate, Nicholas, The problem of yields in Sumerian texts, "Bulletin on Sumerian Agriculture", 1, 1984, pp. 97-102.
‒ 1988-90: Postgate, Nicholas - Powell, Marvin A., Irrigation and cultivation in Mesopotamia, I-II, "Bulletin on Sumerian Agriculture", 4-5, 1988-1990.
Powell 1983: Powell, Marvin A., Salt, silt, seed, and yields in Sumerian agriculture, "Zeitschrift für Assyriologie", 75, 1983, pp. 7-38.
Salonen 1968: Salonen, Armas, Agricultura Mesopotamica nach sumerisch-akkadischen Quellen. Eine lexikalische und kulturgeschichtliche Untersuchung, Helsinki, Suomalaisen Tiedekatemian Toimituksia, 1968.
Weiss 1986: Weiss, Harvey, The origins of cities in dry-farming Syria and Mesopotamia in the third millennium B.C., edited by Harvey Weiss, Guilford (Conn.), Four Quartets Pub. Co., 1986.
Zaccagnini 1975: Zaccagnini, Carlo, The yield of the fields at Nuzi, "Oriens Antiquus", 14, 1975, pp. 181-225.
‒ 1979: Zaccagnini, Carlo, The rural landscape of the land of Arraphe, Roma, Università di Roma, Istituto di Studi del Vicino Oriente, 1979.