Vicino Oriente antico. La creazione dell'uomo
La creazione dell'uomo
di Giovanni Pettinato
I Sumeri e gli Accadi, le due componenti etniche che s'insediarono in Mesopotamia a cominciare dal IV millennio, dedicarono grande attenzione al problema dell'origine dell'uomo e del suo destino. I numerosi miti delle origini e le tradizioni religiose dei due popoli hanno conservato e tramandato attraverso i secoli le riflessioni maturate al riguardo, sicché siamo in grado, a distanza di quasi 5000 anni dalle prime attestazioni mitologiche scritte, di delinearne il percorso ideologico e di valutarne l'entità e la portata.
I Sumeri
Nella letteratura sumerica si accenna spesso all'origine dell'uomo, soprattutto quando si narra dei tempi primordiali in cui il mondo fu organizzato e ogni cosa fu posta in essere dal mondo divino. Così, per esempio, nel prologo della composizione Gilgamesh, Enkidu e gli Inferi, alla riga 10 si legge: "Quando il nome dell'umanità fu posto". Il porre, il dare un nome a ciò che si vuole concretizzato, è un sinonimo di creare, essere creato. Il venire all'esistenza dell'uomo per mezzo dell'enunciazione del suo nome si ritrova anche nel mito del dio Ninurta Lugal-e alla riga 399: "il popolo al suo destino, nella casa fu chiamato".
Oltre alla generica menzione della creazione dell'uomo con l'espressione 'dare il nome', possediamo alcuni miti in cui il tema antropogonico è trattato più estesamente: il prologo dell'Inno alla zappa, quello della Tenzone tra la pecora e il grano, Enki e Ninmakh e KAR 4. Mentre i primi due testi sono espressione della scuola di Nippur (la prima corrente teologica di Sumer, che ruota attorno alla figura di Enlil), Enki e Ninmakh, che ha come protagonista il dio Enki, riflette il pensiero di Eridu, sede della seconda corrente teologica; KAR 4, infine, che sembra più vicino alla mentalità accadica, è un misto di varie tradizioni.
Queste testimonianze, nonostante le apparenti differenze, concordano su un punto con tutta la tradizione mesopotamica, quindi non soltanto sumerica: l’uomo è stato creato per subentrare agli dèi nel duro lavoro dell’agricoltura. Oltre a ciò, esse aggiungono un dato molto importante: il sostituto degli dèi, per essere veramente tale, ha in sé un elemento di origine divina, che nella scuola di Nippur è chiamato ‘spirito vitale’ (zi-šà-gál), nella scuola di Eridu ‘saggezza’ (géštu), mentre in KAR 4 è il «sangue» delle divinità uccise ad hoc.
Secondo il sistema di Nippur, così come è espresso dal prologo all’Inno alla zappa (ll. 1-11; 18-25), la creazione dell’uomo, attuata da Enlil, è scandita in tre fasi: (a) il dio pratica un buco nel pavimento della cella Usumua del suo tempio, (b) depone in esso la «forma» dell’umanità, (c) quest’ultima germoglia come le piante: Il Signore ha fatto veramente risplendere tutto ciò che è appropriato, il Signore, la cui decisione dei destini è immutabile, Enlil, affinché il seme del Paese uscisse dalla Terra, si affrettò a separare il cielo dalla Terra, si affrettò a separare la Terra dal cielo. Affinché Uzumua facesse germogliare la ‘forma’ [dell’umanità], Enlil apre una fessura nel pavimento di Duranki; egli crea la zappa e sorge il giorno; egli istituisce le mansioni di lavoro, stabilisce il destino e mentre egli avvicina il braccio alla zappa e al canestro di lavoro, elogia Enlil la sua zappa. […] Egli porta la zappa in Uzu’ea. Depone la ‘forma’ dell’umanità nella fessura e, mentre il suo paese davanti a lui germoglia come erba dalla Terra, Enlil li guarda benevolmente, i suoi Sumeri. Gli dèi Anunna si dispongono davanti a lui e alzano le loro mani portandole [in gesto di preghiera] alla bocca, essi rivolgono preghiere a Enlil, e consentono al suo popolo sumerico di prendere in mano la zappa.
L’uomo primordiale dunque viene alla luce per emersio, una convinzione questa che si ritrova spesso in altri documenti, come, per esempio, nel Rituale mis pî (Cuneiform Texts XIII, 36 20-21): «[Marduk] creò l’umanità Aruru fece germogliare il seme dell’umanità con l’aiuto del dio», e addirittura nel prologo all’Inno al tempio É-engurra di Enki, e persino nel mito Lugal-e in riferimento alla nascita di Ninurta.
Dalla composizione sopra citata dell’Inno alla zappa si può trarre la conclusione che l’uomo fosse adatto al compito per il quale era stato creato, nel momento stesso della sua creazione. Tuttavia, gli dèi interverranno sul nuovo essere una seconda volta, per dotarlo di tutte le facoltà che distinguono l’uomo dalle altre creature. Stando alla Tenzone tra la pecora e il grano (ll. 1-36), dove tra l’altro sono narrati gli inizi della civiltà, l’uomo primitivo non si differenzia ancora dagli animali: egli infatti, non sa vestirsi, cammina carponi e mangia l’erba come le pecore. Gli dèi decidono allora d’infondere in lui, di soffiare lo «spirito vitale»:
L’umanità primordiale non sapeva mangiare il pane, non sapeva coprirsi con vestiti; il popolo andava a quattro zampe, mangiava erba con la bocca come le pecore, beveva acqua dai fossi; allora nel posto dove gli dèi vennero all’esistenza, nella loro casa, nella santa collina, fecero germogliare la pecora e il grano; nel santuario in cui gli dèi mangiano, essi si raccolsero: dell’abbondanza della pecora e del grano, gli dèi Anunna della santa collina mangiarono, ma non riescono a saziarsi; il buon succo del loro puro ovile gli dèi Anunna della santa collina bevono, ma non riescono a saziarsi; nel puro ovile, allora, essi per il proprio bene infusero nell’umanità lo spirito vitale.
Lo zi-šà-gál differenzia gli uomini dagli animali, rendendoli capaci di compiere azioni razionali, di elevarsi a condizioni migliori di vita; è questo termine, più che il termine ti sumerico, atto a designare questa emancipazione della vita umana rispetto a quella animale. Dal suo impiego in tutta la letteratura sumerica possiamo concludere che zi-šà-gál copre un ampio valore semantico che vede coinvolte sia l’attività fisica dell’uomo, affettiva e sensitiva, sia quella intellettiva, spirituale, psichica; inoltre esso, come risulta dalla Tenzone tra la pecora e il grano, è di origine divina e proprio degli dèi, sicché è lecito avanzare l’ipotesi che è grazie allo zi-šà-gál che l’uomo diventa partecipe della divinità stessa e si pone in una scala gerarchica a metà tra il mondo divino e quello animale.
La scuola teologica di Eridu riflette invece una tradizione diversa da quella esposta sinora, corrispondente alla scuola di Nippur; in essa, infatti, non sembra essere contemplata l’incapacità dell’uomo primordiale di espletare il compito per cui è stato creato. Qui, al contrario, stando a quanto si legge nel mito di Enki e Ninmakh, il dio Enki, dopo aver fatto uscire da sé l’embrione dell’uomo e averlo modellato con braccia e con gambe, infonde in lui la sua saggezza. In seguito egli ordina a Nammu, sua madre, di prendere dell’argilla dall’Apsû e di mescolarla con la forma umana da lui concepita.
Nel prologo del mito in questione, ll. 1-18, è descritta la condizione in cui vivevano gli dèi quando ai primordi della storia erano costretti a procurarsi il nutrimento. Essi, mal sopportando la fatica, implorano Nammu, la madre di Enki, affinché convinca il figlio a liberarli dal gravoso compito. A seguito delle sollecitazioni di Nammu il dio della saggezza realizza la richiesta ( ll. 19-21; 23-38):
Alle parole di sua madre Nammu, Enki si alzò dal suo letto; il dio cominciò ad andare avanti e indietro nella sua santa cella, riflettendo si batté la coscia; il Saggio, l’intelligente, l’accorto che conosce per virtù propria tutto ciò che è ritualmente perfetto, il creatore, colui che forma ogni cosa, fece uscire l’embrione; Enki modella per lui le braccia e forma il petto; Enki, il creatore, fa entrare all’interno della sua cretura la sua saggezza; egli quindi parla a sua madre Nammu: “Madre mia, alle creature che tu farai esistere assegna come compito la corvée degli dèi; dopo che tu avrai mescolato l’argilla sopra l’Apsû, plasmerai l’embrione e l’argilla, facendo sì che la creatura esista, e Ninmakh sia la tua aiutante; Ninimma, Egizianna, Ninmada, Ninbara, Ninmug, Sarsardu, Ninniginna, che tu hai partorito possano essere a tuo servizio; Madre mia, decidi il destino della creatura; Ninmakh le assegni come compito la corvée”.
Volendo ora scandire le diverse fasi in cui, nella teologia di Eridu, avviene la creazione dell’uomo, possiamo individuare i seguenti momenti: in una prima fase Enki fa uscire da sé stesso l’embrione, che essendo un prodotto del dio, è caratterizzato come qualcosa di divino; in un secondo momento l’embrione è modellato da Enki in forma umana, e proprio per questo atto di Enki l’embrione corrisponde alla «forma» dell’uomo presente nella teologia di Nippur; nella terza fase è infusa nell’embrione la saggezza propria di Enki; nella quarta fase, infine, la dea Nammu mescola la «forma » creata da Enki con la materia rappresentata dalla creta dell’Apsû. Attraverso questo atto l’umanità viene all’esistenza.
Mettendo a confronto i due modelli della creazione del mondo sumerico, constatiamo che si può stabilire un parallelo tra la «forma» di Nippur e l’embrione di Eridu, come pure tra la «saggezza» di Eridu e lo «spirito vitale» di Nippur, perché ambedue di chiara provenienza divina, e anzi caratteristiche proprie delle due massime divinità del pantheon sumerico.
Quanto fosse importante per i Sumeri porre l’accento su questa presenza divina nell’uomo è dimostrato dalla terza tradizione, in cui si ritrovano elementi propri del pensiero sumerico, ma anche quelli caratteristici del mondo accadico. Si tratta del testo bilingue KAR 4, in base al quale l’uomo che germoglia dalla Terra, così come nella teologia di Nippur, ha in sé un elemento divino rappresentato dal sangue di due dèi uccisi ad hoc, proprio quest’ultimo della tradizione accadica.
Il mito, dopo aver narrato la separazione del cielo e della Terra e la prima organizzazione del mondo (ll. 1-14), affronta il tema antropogonico (ll. 15-27):
Allora Enlil parlò a essi [= agli dèi]: “Che cosa volete fare adesso? Che cosa volete creare ora? O Anunna, grandi dèi, che cosa volete fare adesso? Che cosa volete creare ora?” I grandi dèi che erano assisi e gli Anunna che decidono i destini, tutti insieme risposero a Enlil: “In Uzumua di Duranki, noi vogliamo uccidere gli dèi Alla, affinché il solo sangue faccia germogliare l’umanità; la corvée degli dèi sia il loro compito!”.
Gli Accadi
Negli Accadi, o Assiro-Babilonesi, che costituiscono la seconda grande componente etnica della Mesopotamia, insediatasi nella parte centrale e settentrionale della Terra tra i due fiumi, è presente una tradizione diversa da quella finora esposta, in base alla quale gli elementi costitutivi dell’uomo sono il sangue di un dio e la creta mescolata con esso. Il testo di KAR 4 esprime una tesi che sta a metà tra le due tradizioni portanti dell’antropogonia mesopotamica, in quanto gli uomini vengono all’esistenza ‘germogliando dalla terra’, come nella tradizione sumerica di Nippur, e per la realizzazione di tale creazione è richiesto il sangue di un dio o di più dèi, come appunto nella tradizione assiro-babilonese.
Testimoni di questa seconda tradizione sono i due maggiori miti assiro-babilonesi, il primo riguardante la creazione dell’uomo e la sua distruzione con il diluvio, che porta il nome di Atram-ḫasīs, l’eroe stesso e protagonista della salvezza dell’umanità, e il secondo, l’Enūma eliš, l’opera che narra le gesta e l’esaltazione di Marduk, il dio principale di Babilonia.
Al di fuori di questi due miti si trovano accenni all’antropogonia accadica in diverse opere della letteratura, come la Teodicea, l’Epopea di Gilgamesh, il testo magico Šurpu e il Rituale per la ricostruzione di templi, dove si sottolinea che l’uomo è stato creato dall’argilla, letteralmente «modellato» con l’argilla, non escludendo ovviamente altre componenti.
Nel mito di Atram-ḫasīs il tema dell’antropogonia è trattato nella prima tavola della composizione, dopo la narrazione della situazione del mondo divino, quando gli dèi erano costretti a lavorare, con la conseguente grande ribellione degli dèi minori, causa di una vera e propria crisi degli equilibri; l’assemblea divina, convocata per trovare una soluzione del problema, decide di rivolgersi per consiglio al dio della saggezza Enki (Atram-ḫasīs, I 204-243):
Enki aprì [allora] la sua bocca e disse ai grandi dèi: “Per il 1°, il 7° e il 15° giorno del mese voglio istituire un rito purificatorio, un bagno; che un dio venga immolato, e quindi gli dèi si purificheranno mediante immersione. Con la sua carne e il suo sangue possa Nintu mescolare l’argilla, in modo che dio e uomo siano mescolati insieme nell’argilla. Che nei tempi futuri noi ascoltiamo il tamburo, grazie alla carne del dio che vi sia l’eṭemmu; che esso venga inculcato al vivente come suo marchio, un marchio che non deve essere fatto cadere in oblio, l’eṭemmu!”. Nell’assemblea essi risposero ‘sì’, i grandi Anunnaki, i responsabili dei destini.
In base a questo racconto, l’uomo è stato creato dalla dea Nintu che esegue fedelmente i consigli di Enki con la partecipazione però di tutto il mondo divino: gli dèi infatti uccidono dapprima un dio, che apprendiamo essere We’e, un dio che ha l’intelligenza; con la sua carne e il suo sangue la dea mescola l’argilla, formando in tal modo l’uomo, il sostituto degli dèi, su cui gli dèi ancora sputano, completando così l’opera della dea che può proclamare finalmente l’esenzione dalla corvée per il mondo divino. Grazie alla presenza di carne e sangue divini, nell’uomo creato c’è un elemento incorruttibile, l’eṭemmu, quella parte cioè dell’uomo che continua a esistere dopo la morte, sicché la nuova creatura è in un certo senso partecipe del divino.
Alcuni studiosi hanno interpretato la presenza dell’eṭemmu nell’uomo come un elemento positivo, rimanendo comunque al contempo una testimonianza della sua caducità. Proprio questo aspetto è sottolineato ed esplicitato nel secondo mito, l’Enūma eliš, dove è detto che Marduk per creare l’uomo si serve del sangue di un dio ucciso. Artefice ultimo dell’operazione ideata da Marduk è ancora Ea, la controparte accadica del dio Enki, depositario della saggezza divina (VI 1-34):
Dopo che Marduk udì le parole degli dèi, il suo cuore si infiamma, per creare qualcosa di eccezionale, egli comunica la sua decisione a Ea e spiega il piano che aveva concepito nel suo cuore: “Io voglio unire sangue e far sì che ci siano ossa; voglio creare Lullu, uomo sia il suo nome; voglio veramente creare l’uomo-Lullu, su di lui voglio addossare la corvée degli dèi, affinché essi abbiano pace; nuovamente voglio rendere gradevole la loro esistenza, affinché, anche se separati in due gruppi, siano ugualmente onorati”.
Come risposta, Ea pronunciò queste parole, comunicandogli il suo progetto per il divertimento degli dèi: “Che mi sia dato uno dei loro fratelli; costui perirà, perché siano creati gli uomini! Che i grandi dèi si riuniscano, affinché sia scelto il colpevole; gli altri saranno salvi!”.
Questa volta il dio prescelto è Qingu, il capo degli dèi ribelli che avevano sfidato il potere del nuovo capo del pantheon. Lo scriba specifica che su Qingu, il dio messo a morte, gli dèi caricano la colpa di cui si era macchiato.
Sebbene in questo secondo mito non sia esplicitamente menzionata la creta o l’argilla, ma soltanto il sangue del dio ucciso, essa è sicuramente sottintesa, come ci riferiscono espressamente altre fonti coeve che sottolineano l’argilla come elemento costitutivo della creatura umana.
Al periodo seleucide va datata un’altra fonte che certo risale all’Enūma eliš, l’opera Babyloniaká del sacerdote caldeo Beroso, di cui gli scrittori greci ci hanno tramandato alcuni frammenti: in uno di essi, come ci informa Eusebio, il dio Belos dà l’ordine agli altri dèi di mescolare con la terra il sangue che sgorga dalla testa amputata di uno di loro per creare l’uomo. Questa notizia è riferita anche da Polihistore, il quale specifica che il dio prescelto si amputa da solo la testa. Anche qui, quindi, gli elementi costitutivi dell’uomo sono il sangue del dio ucciso e l’argilla con cui esso viene mescolato. L’antropogonia accadica si caratterizza per la mescolanza dei due elementi, l’argilla con il sangue di un dio ucciso, diversamente dalle due tradizioni antropogoniche sumeriche: la prima di Nippur, che prevede la «forma» divina germogliante dalla terra, e la seconda di Eridu, che prevede l’embrione creato da Enki mescolato con la pura argilla dell’Apsû.
di Paolo Xella
La creazione del mondo e del genere umano a opera di un essere supremo eternamente esistente è la spiegazione culturale spesso adottata da religioni che, come quella dell’antico Israele, sono fondate sul culto di un unico Dio che concentra in sé ogni prerogativa e funzione e decide liberamente di dare origine (non necessariamente ex nihilo) a tutto ciò che esiste secondo un piano preordinato e in parte insondabile.
È noto come l’Antico Testamento ci abbia tramandato due versioni distinte del racconto della creazione, sia pure fuse insieme in una narrazione apparentemente unitaria. L’intento armonizzante non cela la combinazione di due fonti, l’una di qualche secolo più antica dell’altra, postesilica, e con rilevanti influssi provenienti dalla mitologia mesopotamica.
Quest’ultima versione, che è la più recente, è attribuita alla fonte cosiddetta sacerdotale (P) (Genesi, 1, 1 - 2, 4a), e spiega la realtà fisico-biologica come esito di un passaggio progressivo dal Caos originario al Cosmo; l’altra versione, ascritta alla fonte yahwista (J) (Genesi, 2, 4b-25), prospetta invece il processo della creazione attraverso il passaggio dalla steppa arida ai campi coltivati e appare come un vero e proprio mito di fondazione. Entrambi i racconti concordano nel ritenere l’uomo come il momento saliente della creazione, posto rispettivamente al «vertice» (P) o al «centro» (J) di essa, ma essi sono contraddistinti da notevoli peculiarità stilistico- narrative, dietro le quali emergono ideologie e prospettive teologiche differenti.
Il primo racconto (P) si articola in fasi successive dovute all’esigenza liturgica di fondare il riposo del sabato, nel 7° giorno. S’inizia con la creazione della luce, poi il cielo s’interpone tra acque superiori e inferiori; queste ultime formano i mari e appare la terraferma, da cui si originano le varie specie vegetali; nel firmamento compaiono gli astri; quindi sono create le specie animali, infine l’uomo, Adamo, creato a immagine e somiglianza della divinità.
Il secondo racconto (J), che ha molti punti di contatto con le tradizioni cosmogoniche del Vicino Oriente antico, possiede uno stile più immediato e si caratterizza per una prospettiva più nettamente antropocentrica. Dio crea la Terra e il cielo, quindi l’uomo, vero centro dell’Universo; soltanto dopo appaiono le piante, assegnate come cibo all’uomo, gli animali e gli uccelli; avviene infine la creazione della donna.
La tradizione biblica mostra dunque due orientamenti etico- teologici diversi, percepibili attraverso varie chiavi di lettura: un confronto più approfondito di tali tradizioni mette in luce analogie e differenze, consentendo di desumerne elementi per un abbozzo di antropologia veterotestamentaria.
Ecco il passo di (P) che ci concerne: E ̕Elōhîm disse: Facciamo ( ̔śh) l’uomo a nostra immagine (ṣlm), a nostra somiglianza (dmwt), ed egli domini sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame, su tutte le fiere della Terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra (1, 26). ̕Elōhîm creò (br̕ ) l’uomo a sua immagine (ṣlm); a immagine (ṣlm) di ̕Elōhîm lo creò (brà ); maschio e femmina li creò (br̕) (27). Quindi ̕Elōhîm li benedisse e disse loro ̕Elōhîm:/ Siate fecondi e moltiplicatevi,/ riempite la terra/ e soggiogatela e dominate/ sui pesci del mare/ e sui volatili del cielo/ sul bestiame e su tutti gli esseri viventi / che strisciano sulla terra (28).
Va premesso che Adamo, nome comune che designa l’uomo, è usato all’inizio collettivamente (genere umano), mentre soltanto più avanti nel testo assumerà senso individuale, in Genesi, 4, 25a e nelle genealogie di 5, 1-3. Non si può dimostrare che il termine, di incerta etimologia, sia legato a ‘sangue’ (dm), né a ‘terra’ (̕dmh), ma si devono invece presupporre eruditi giochi di parole che riflettono comunque la concezione, comune nel Vicino Oriente antico, che l’uomo derivasse dall’argilla, dalla terra rossa (̕dm).
Per quanto riguarda appunto le modalità di creazione dell’uomo, questo racconto non fornisce dettagli ma si limita a usare i due verbi ‘fare’ (il generico ̔śh) e ‘creare’ (br̕, etimologicamente forse ‘tagliare’, ‘dividere’, verbo riservato sol tanto a Dio nell’Antico Testamento): l’uomo è creato a ‘immagine’ e ‘somiglianza’ del creatore. Il primo termine (ṣlm) designa l’immagine plastica, cioè l’effigie o la statua, ma ogni eventuale allusione realistica è rimossa dal secondo termine (dmwt), dal senso puramente astratto, che non lascia spazio a ipotesi di identità tra creatore e creatura. Questo tratto è comunque decisivo per distinguere Adamo da ogni altro essere vivente, anch’esso ‘fatto’ dal creatore ma senza riferimenti a sé stesso. È stato giustamente notato come tale descrizione ragguagli l’uomo ai sovrani delle iscrizioni regali mesopotamiche, superiori agli uomini ‘comuni’ perché modelli diretti della divinità.
All’uomo, creato nella distinzione dei sessi, è affidata una missione speciale, cioè Dio gli assegna un determinato destino: moltiplicarsi, popolare il mondo e dominarlo, servendosi della terra e degli animali a lui sottoposti anche se, in questa fase, egli potrà nutrirsi soltanto di vegetali, proprio come le altre creature a lui sottomesse; solamente dopo il diluvio gli sarà consentito, previo il rispetto di accorgimenti rituali, il consumo di carne. Comune ai due racconti è comunque l’idea che l’Universo esista in funzione dell’uomo, concezione rivoluzionaria rispetto a una compatta tradizione vicinoorientale che considerava l’essere umano come vero e proprio schiavo al perpetuo servizio della divinità. Per quanto riguarda la colpa originaria, questa versione non parla di un peccato individuale, ma allude a un degrado morale collettivo della prima umanità che provocherà il diluvio. Questa narrazione assegna un ruolo cardine ai concetti di ‘terra’ e di ‘progenie’, quest’ultimo implicitamente richiamato dall’uso di introdurre parti del racconto attraverso l’espressione «queste sono le generazioni».
La fonte (J) ci fornisce per contro una narrazione più dettagliata e articolata, che si segnala tra l’altro per la stretta correlazione esistente tra creazione dell’uomo, peccato originale e sua caduta. Per quanto riguarda la creazione di Adamo, il passo relativo è il seguente:
Quando Yhwh ̕Elōhîm fece ( ̔śh) la terra e il cielo, (5) nessun cespuglio della steppa era sulla terra, nessuna graminacea della steppa era spuntata, perché Yhwh ̕Elōhîm non aveva fatto piovere sulla terra e non vi era Adamo che lavorasse il suolo (6 ) e facesse salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo; (7) allora Yhwh ̕Elōhîm plasmò (yşr) l’uomo con la polvere del suolo ( ̔pr mn h̕ dmh) e soffiò nelle sue narici un alito di vita (nšmt ḥyym) e l’uomo divenne un essere vivente (npš) […]. (18) Poi Yhwh ̕Elōhîm disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare ( ̔śh) un aiuto che gli sia simile”. (19) Allora Yhwh ̕Elōhîm plasmò ancora dal suolo tutte le fiere della steppa e tutti i volatili del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo li avesse chiamati, gli esseri viventi, quello doveva essere il loro nome. (20) E così l’uomo impose dei nomi a tutto il bestiame, a tutti i volatili del cielo e a tutte le fiere della steppa; ma per Adamo non fu trovato un aiuto che gli fosse simile. (21) Allora Yhwh ̕Elōhîm fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. (22) Il Signore Dio modellò (bnh) con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. (23) Allora l’uomo disse: “Questa volta essa/ è carne dalla mia carne/e osso dalle mie ossa./ La si chiamerà donna (̕yšh)/ perché dall’uomo (̕yš) è stata tolta”. (24) Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. (2, 4b)
Si apprende così che Dio ‘plasma’ a guisa di vasaio (questo significa il verbo yşr) l’uomo con la polvere presa dal suolo (altrove, più raramente e di solito in poesia, si trova ‘fango’); tuttavia, a differenza di quanto avviene con le creature animali, gli infonde un alito di vita, un dono straordinario che rappresenta appunto l’elemento spirituale che vivifica l’uomo e lo fa affine al suo creatore perché insufflatogli direttamente da quest’ultimo. Il tema del soffio è ripreso, per esempio, nel Salmo 104 (29-30: «Ritiri il loro [=dei viventi] soffio ed essi vengono meno così fanno ritorno nella loro polvere. Mandi il tuo soffio e loro sono creati così rinnovi la faccia della Terra», un componimento che non a caso è una microcosmogonia. L’antropologia biblica concepisce in generale l’essere umano fatto dunque di una carne, derivata dalla ‘polvere’ primordiale e animato da un unico principio vitale espresso in due forme: una forza che vivifica e coincide con la vita stessa (npš) e, insieme, anche una sorta di spirito (rwḥ) legato alla respirazione, all’‘alito’ (il termine usato nel nostro passo, nšmt ḥyym, è un suo sinonimo).
Anche la donna è ‘modellata’ da Dio (bnh), con l’uso di un termine desunto dai lavori della vita quotidiana. Il concetto del creatore che ‘plasma’ l’uomo come fosse un’opera manuale trova un parallelo nella mitologia egizia, dove il dio-ariete Khnum (uno dei tanti ‘creatori’ accanto a Ptah, Ra, Amon e Atum) lavora su un tornio da vasaio producendo i neonati (figurine che si animano) deposti poi nell’utero delle madri. Il tema dell’argilla come materia prima da cui l’uomo è formato è popolare in Mesopotamia, dove l’elemento ‘divino’ è rappresentato dal sangue e dalla carne di un dio minore che vi si mescola (mito di Atram-ḫasīs).
In questo testo, quasi ogni dettaglio appare dunque interpretabile come mito di fondazione della realtà e della natura dell’uomo, dalla sua inesorabile mortalità meritata attraverso la colpa, fino all’attrazione sessuale esistente fra l’uomo e la donna, che si fonda miticamente con la naturale tendenza del corpo femminile a riunirsi a quello maschile da cui è stato staccato.
Accenni e spunti all’antropogonia, talvolta in chiave di riflessione o di reinterpretazione teologica, si trovano, oltre che nella Genesi, anche nei Salmi, nel Deutero-Isaia (40-55), dove prevale il tema della creazione mirante a redimere, e nei libri dei Proverbi, di Qoelet e di Giobbe, in cui la presenza dell’uomo finisce per assumere i pessimistici contorni dell’incidentalità. Quanto alle tradizioni posteriori, che attribuiranno al progenitore non pochi scritti apocrifi o pseudoepigrafici, ci limiteremo a ricordare come da un lato (nel Nuovo Testamento, soprattutto San Paolo) ad Adamo sia contrapposto il Cristo, mentre, dall’altro lato nel giudaismo posteriore si svilupperanno due indirizzi speculativi: il primo interessato ad approfondire la problematica più propriamente antropologica (cfr., per es., Filone di Alessandria) e il secondo, attratto invece da tematiche cosmologiche, che identificherà l’Adamo primigenio con il Cosmo nei suoi elementi (Golem, Adam Qadmon, ecc.).
Fonti
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