VICO Y ARTEA, Francesco Angelo
– Nacque a Sassari, presumibilmente intorno al 1570, da una famiglia di origine corsa (il padre Giovannangelo era collettore del S. Uffizio, il nome della madre è ignoto).
Si immatricolò nello Studio di Pisa il 2 aprile 1588 e si laureò in utroque due anni dopo, il 28 aprile 1590. In quello stesso anno sposò la nobile Gabriella Francisco y Çedrelles da cui avrebbe avuto quattro figli: Isabella, Angelo, Diego e Pietro (futuro arcivescovo di Oristano e poi di Cagliari).
La sua carriera nelle magistrature del Regno iniziò l’8 luglio 1604, con la nomina ad assessore del veghiere della sua città natale; proseguì poi, per due anni, per ‘encomienda’, con quella di assessore del veguer di Alghero; il 9 gennaio 1607 divenne proavvocato fiscale della Reale Governazione del Capo di Sassari; il 21 febbraio 1609 venne promosso giudice di corte della Reale Udienza; il 7 marzo 1612 ne divenne magistrato della Sala civile; l’8 agosto 1618 ottenne l’incarico di avvocato fiscale regio.
In un memoriale a stampa non datato, ma forse del 1647, in cui descriveva il proprio curriculum burocratico, lo stesso Vico volle porre in evidenza gli eventi che avevano favorito la sua carriera di magistrato (Barcellona, Archivo de la Corona de Aragón, Consejo de Aragón, legajo 1083). La prima occasione di mostrare le sue doti diplomatiche si verificò nel corso dei lavori del Parlamento presieduto dal viceré Carlos de Borja duca di Gandía (1614) quando si adoperò «con su intelligencia y cuidado» per far aumentare l’importo del donativo da 125.000 a 150.000 scudi. In queste Corti era stata presa anche un’altra decisione che avrebbe inciso sulla sua biografia: la richiesta, avanzata dallo Stamento reale, della pubblicazione delle prammatiche regie in un corpo unitario. La seconda occasione favorevole fu rappresentata dal Parlamento Vivas (1624): stavolta Vico svolse un ruolo di protagonista nel duro scontro tra la maggioranza degli Stamenti e il viceré Juan Vivas che impersonava caparbiamente la politica assolutistica di Gaspar de Guzmán conte-duca di Olivares per l’istituzione di una squadra di galere a spese del Regno. Divenuto uno dei collaboratori più stretti del viceré, Vico fece ancora di più: orientò la rappresentanza sassarese e i rappresentanti dei grandi feudatari residenti in Spagna a favore della politica viceregia e risolse le eccezioni procedurali avanzate dagli oppositori. In difesa del viceré si scontrò con alcuni suoi colleghi dell’Audiencia.
Il successo dello schieramento filoassolutistico su quello autonomistico finì per agevolare la carriera di Vico. Il 20 giugno 1624 il viceré, a Parlamento concluso, segnalava il ruolo importante che vi aveva svolto e chiedeva per lui il «titulo de noble o otra dignidad» (Barcellona, Archivo de la Corona de Aragón, Consejo de Aragón, legajo 1083). Anche quando Madrid volle aprire un’inchiesta sull’operato di Vivas e sulle irregolarità nella celebrazione del Parlamento, la posizione e l’operato di Vico non vennero mai posti in discussione. Anzi, lo si trova in prima fila, come braccio destro di don Luis Blasco, consigliere valenzano di cappa e spada nel Consiglio d’Aragona, nell’applicazione in Sardegna della politica di Unión de armas e nell’approvazione nel Parlamento straordinario del 1626, presieduto dal viceré Jéronimo Pimentel marchese di Bayona, di un consistente donativo per sostenere lo sforzo bellico spagnolo. Ormai uomo di fiducia del potente conte-duca di Olivares e fedele esecutore della sua politica, il 7 luglio 1627 venne nominato – primo magistrato sardo – reggente di toga nel Consiglio d’Aragona.
L’esperienza di Vico nel Consejo si segnalò per l’acceso municipalismo filosassarese, per l’imbarazzante patronage a favore dei propri familiari e concittadini, per le presunte concussioni, per i profitti percepiti sulle alienazioni dei beni demaniali o sulla concessione di titoli e prebende e per le grandi ricchezze accumulate. Nell’archivio del Consejo Vico reperì inoltre gran parte del materiale necessario per la raccolta delle prammatiche regie.
L’iter di pubblicazione delle prammatiche fu particolarmente laborioso. Nel 1633 Vico presentò la sua compilazione al Consiglio d’Aragona e, dopo il parere positivo dei reggenti, Filippo IV, il 7 marzo, ne autorizzava la stampa. I veri problemi sarebbero sorti in Sardegna, non tanto da parte del viceré e della Reale Udienza, che accolsero con estremo favore la ricompilazione, quanto da parte del Consiglio civico di Cagliari, che considerò i commenti del reggente sassarese vulnerativi degli antichi privilegi della città. Questa opposizione ritardò di quattro anni i tempi di pubblicazione, come ricorda lo stesso Vico nella dedica dell’opera al Reyno de Sardeña. Finalmente nel 1640, dalla Stamperia reale di Napoli, uscivano i due volumi delle Leyes y Pragmaticas reales del Reyno de Sardeña, compuestas, glosadas y comentadas dal reggente Vico, che dovette far fronte in proprio alle spese editoriali, giacché il contributo degli Stamenti, a suo tempo deliberato nel Parlamento Gandía, non era più esigibile. Ma non era ancora finita. Nel 1649 (Vico era morto l’anno prima) l’arcivescovo di Cagliari, Bernardo de la Cabra, inviava i due volumi delle prammatiche a Roma, alla congregazione dell’Indice, chiedendo che l’opera venisse inclusa nell’Indice dei libri proibiti giacché lesiva delle immunità e della giurisdizione ecclesiastica. Nel 1650 la congregazione accolse la richiesta. Nel 1651 la Reale Udienza negava l’exequatur alla bolla pontificia.
Il primo volume delle Leyes si apre con il lungo elenco dei capitoli della Carta de Logu (72 su 198) che «se declaran, reforman y moderan en estas pragmaticas». Proprio nei commenti alle disposizioni degli antichi statuti e delle consuetudini del Regno e nei loro rapporti con la legislazione regia, spesso risolti alla luce del diritto comune, si possono cogliere gli aspetti più interessanti e innovativi del pensiero giuridico di Vico: per esempio, nel severo giudizio espresso sull’istituto delle incariche (la responsabilità collettiva della comunità di villaggio nel cui territorio veniva commesso un delitto), di cui non si scopriva il colpevole, considerato irrazionale e ingiusto, in netto contrasto sia con il diritto naturale sia con quello umano; così nelle glosse alla prammatica di limitazione della giurisdizione baronale in materia criminale, in cui emerge un orientamento apertamente regalista, volto a ridimensionare e a comprimere le antiche immunità feudali; nei commenti a un altro istituto tradizionale, il cumone (la soccida) che legava il pastore, conduttore del gregge, al proprietario, che sottolineano, alla luce della categoria generale del contratto tipica dello ius commune, tutte le incongruenze di un negozio che era fonte di innumerevoli frodi e di inevitabili controversie; assai illuminante risulta poi il commento alla prammatica sul godimento collettivo del pascolo, con acute considerazioni sul rapporto tra i diritti ademprivili (gli usi civici) delle comunità e il demanio feudale; e infine le glosse sui termini d’appello delle curie inferiori o quelle che insistono sulle contraddizioni di un istituto arcaico come la machizia (la possibilità per un proprietario di un fondo recintato di macellare i capi di bestiame trovati a pascolare entro i chiusi), con le multe o i risarcimenti per i danni provocati dallo sconfinamento del bestiame.
La raccolta di Vico è stata oggetto di numerose critiche. Considerata un mero lavoro di ritocco della normativa vigente, incompleto nella parte dispositiva e arduo in quella correzionale, i suoi commenti sono stati giudicati prolissi, pesanti e artificiosi. In realtà, la recopilación merita di essere rivalutata non soltanto per la capacità mostrata nel reperire e ordinare una massa di disposizioni, in gran parte manoscritte, decidendo quali andavano mantenute e quali avevano bisogno di modifiche o integrazioni, ma anche per i puntuali richiami alle fonti concorrenti e, talvolta, a quelle giurisprudenziali. Le diverse materie civili e criminali, suddivise in titoli e capitoli, sono ordinate secondo argomento per esigenze prettamente pratiche, volte ad agevolarne la consultazione da parte dei magistrati di ogni ordine e grado, degli avvocati, dei notai e degli ufficiali regi.
Con la pubblicazione delle Leyes si delineava un processo di razionalizzazione e di semplificazione legislativa che accomuna le due grandi raccolte che erano state pubblicate negli anni Quaranta, i Capitula di Giovanni Dexart e le prammatiche di Vico. Se il magistrato cagliaritano nei suoi commenti agli Acta Curiarum si rivela il teorico di un costituzionalismo basato sul contrattualismo dei capitoli di Corte, Vico, viceversa, nelle glosse alle prammatiche appare l’alfiere del regalismo, cioè della prevalenza della legislazione regia sulle altre fonti del diritto e, in particolare, sul cosiddetto ius municipale, costituito da privilegi, statuti, consuetudini di ambito locale.
Nella primavera del 1635 il conte-duca di Olivares decise di inviare Vico in missione in Sardegna per reperire le risorse necessarie per il sostegno allo sforzo bellico spagnolo nella guerra dei Trent’anni e per tentare di ripianare la voragine finanziaria che attanagliava la monarchia spagnola. Il compito affidato al magistrato sardo – che nel frattempo era stato nominato reggente la Reale Cancelleria del Regno – era quello di rimettere sulla piazza di Genova i fondi dei donativi ordinario e straordinario approvati dagli Stamenti, di inviare grani e derrate alimentari in Catalogna, di reclutare un contingente di fanti sardi da destinare al fronte lombardo, di alienare per fare cassa beni demaniali, uffici, titoli di cavalierato e di nobiltà, di tentare di aumentare l’importo dei diritti regi sulle esportazioni cerealicole, di portare a termine le trattative con i Doria per la realizzazione della squadra di galere. Nell’ottobre di quell’anno Vico si imbarcò per la Sardegna e nel tragitto tra Genova e Cagliari la sua nave rischiò di essere catturata dai corsari barbareschi. Nella capitale sarda la missione si rivelò più difficile del previsto sia per la difficoltà di reperire i fondi a causa della povertà e della crisi finanziaria del Regno, sia per l’opposizione del Consiglio civico cagliaritano, di settori della Reale Udienza e del Regio Patrimonio.
Nelle operazioni di dismissione dei beni demaniali Vico anticipò la consistente cifra di 8000 scudi in cambio della cessione, con la clausola del riscatto da parte del fisco, del feudo reale del villaggio e dei salti di Soleminis nel Cagliaritano. Il diritto di riscatto non venne mai esercitato dalla Corona e così Vico, oltre ad accrescere considerevolmente il proprio prestigio e a far trasformare, nel 1639, la concessione da feudale in allodiale, poté anche fregiarsi, nonostante le sue modeste origini sociali, dell’ambito titolo di marchese di Soleminis.
L’avversione dei cagliaritani nei suoi confronti fu ulteriormente alimentata dalla pubblicazione a Barcellona nel 1639, presso la stamperia di Lorenço Déu, dei due grossi tomi della Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña dividida en siete partes (ora a cura di F. Manconi, ed. di M. Galiñanes Gallén, Cagliari 2004). Si tratta di un’opera di forte taglio municipalista che, attraverso l’esaltazione dei santi martiri locali, del ritrovamento delle loro reliquie, della maggiore antichità di Turris Libisonis (da cui discenderebbe direttamente Sassari) rispetto a Cagliari, del ruolo della città natale nella conquista catalano-aragonese della Sardegna, intendeva portare argomenti a favore delle rivendicazioni sassaresi nei confronti della capitale del Regno.
In effetti la questione della vera paternità dell’opera non è stata mai del tutto chiarita. Secondo una lettera dei consiglieri municipali di Cagliari del 25 luglio 1628 al preposito generale della Compagnia di Gesù, Muzio Vitelleschi, il padre Giacomo Pinto o Pintus, ex professore di Sacra scrittura e rettore del Collegio turritano, si trovava a Barcellona dove si accingeva a terminare una storia della Sardegna che, secondo le indiscrezioni, «no tiene ninguna buena intención para con esta ciudad» (M. Batllori, L’Università di Sassari e i collegi dei gesuiti in Sardegna, Nuoro 2012, doc. n. 2, pp. 124 s.). Già alla fine degli anni Venti, dunque, Pinto, legato da vincoli di amicizia a Vico, stava finendo di comporre un’opera storica. Tuttavia, già all’indomani della pubblicazione della Historia general si vociferava che in realtà Vico non fosse altro che un semplice prestanome che, in difesa della ‘patria’ sassarese, aveva soltanto contribuito a far stampare a proprie spese i due grossi volumi. Il vero autore sarebbe stato Pinto. In realtà la Historia general si presenta come un’opera che nella sua disorganicità lascia intravvedere mani diverse: se, per esempio, la settima parte dedicata alle infeudazioni è frutto di un paziente spoglio dei documenti dell’archivio barcellonese (lo stesso Vico aveva annunciato nel 1637 che stava componendo un lavoro sulla nobiltà sarda), la seconda e la terza, dedicate ai primi popolatori, all’età antica e all’affermazione del cristianesimo nell’isola, sono inficiate da affermazioni e reminiscenze fantasiose.
Vico sostenne con forza di essere l’autore della Historia, spiegando che il suo obiettivo principale era la «defensa de nuestra patria Sardeña» e di aver in principio ipotizzato di intitolarla la Sardeña defendida (F. de Vico, Apologatio honorifica a las obieciones que haze a su Historia general del Rejno de Sardena el padre fray Salvador Vidal..., Madrid 1643, p. 3). Nel 1641 il frate francescano Salvador Vidal aveva pubblicato il Clypeus aureus excellentiae Calaritanae (Florentiae), una astiosa confutazione, promossa dalla municipalità della capitale, scarsamente critica, animata anch’essa dallo stesso spirito municipale. Vico rispose alle critiche con una Apologatio honorifica (cit.) in cui criticava l’inconsistenza storiografica e le numerose falsità del suo accusatore. A sua volta Vidal nella sua nuova replica (Respuesta al historico Vico, Venetiis 1644) ribadiva che l’opera di Vico era «una lapidación» contro la capitale del Regno.
Con la caduta in disgrazia nel 1643 del conte-duca di Olivares e il fallimento della sua politica di Unión de armas, anche la stella di Vico iniziò gradualmente a declinare. Il mutato clima politico diede rinnovato coraggio ai suoi avversari. A eccezione della città natale, nel Regno gli erano quasi tutti contro: la maggioranza degli Stamenti e della nobiltà, i magistrati della Reale Udienza (in particolare i giudici Dexart e Antonio Canales de Vega) e, soprattutto, il Consiglio civico di Cagliari.
Nel 1644 il rappresentante di Cagliari alla corte di Madrid, Salvatore Martín, presentava un ampio e articolato memoriale in cui si descrivevano tutte le faziosità anticagliaritane, i profitti illeciti, lo sfrenato clientelismo del reggente sassarese e si chiedeva esplicitamente la jubilación di Vico, cioè la rimozione dalla carica di reggente. Il vecchio magistrato si difese con caparbietà e i reggenti del Consejo, anche per una logica corporativa, finirono per prendere ancora una volta le sue difese, sebbene la sua posizione a corte ormai vacillasse. La richiesta di giubilazione venne respinta.
Fu l’ultima vittoria dell’anziano giurista, che morì a Madrid nell’inverno del 1648.
Fonti e Bibl.: Il Parlamento del viceré Carlo De Borja duca di Gandía (1614), a cura di G.G. Ortu, Cagliari 1995, ad ind.; Il Parlamento straordinario del viceré Gerolamo Pimentel marchese di Bayona (1626), a cura di G. Tore, Cagliari 1998, consultabili on-line https://docplayer.it/49166584-Acta-curiarum-regni-sardiniae-16-il-parlamento-straordinario-del-vicere-gerolamo-pimentel-marchese-di-bayona-1626-a-cura-di-gianfranco-tore.html (28 aprile 2020); J. Aleo, Storia cronologica del Regno di Sardegna dal 1637 al 1672, a cura di F. Manconi, Nuoro 1998, pp. 121 s.
P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, III, Torino 1837, pp. 291-301; A. Marongiu, Saggi di storia giuridica e politica sarda, Padova 1975, ad ind.; B. Anatra, Dall’unificazione aragonese ai Savoia, in J. Day - B. Anatra - L. Scaraffia, La Sardegna medioevale e moderna, Torino 1984, pp. 556-560, 565-569; G. Tore, Il Regno di Sardegna nell’età di Filippo IV, Milano 1996, ad ind.; F. Manconi, Un letrado sassarese al servizio della Monarchia ispanica. Appunti per una biografia di Francisco Ángel V. y A., in Sardegna, Spagna e Mediterraneo..., a cura di B. Anatra - G. Murgia, Roma 2004, pp. 291-333, che costituisce lo studio di riferimento; J. Arrieta Alberdi, Giuristi e consiglieri sardi al servizio della Monarchia degli Asburgo, in Il Regno di Sardegna in età moderna. Saggi diversi, a cura di F. Manconi, Cagliari 2010, pp. 53-65; F. Manconi, La Sardegna al tempo degli Asburgo secoli XVI-XVII, Nuoro 2010, ad ind.; J. Arrieta Alberdi, V. y A., Francisco Ángel, in Diccionario biográfico español, XLIX, Madrid 2013, pp. 866-869; A. Mattone, Cultura giuridica e mondo universitario nella Sardegna spagnola, in Le origini dello Studio generale sassarese..., a cura di G.P. Brizzi - A. Mattone, Bologna 2013, pp. 401-407; A. Nieddu, V. y A., F.A., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, p. 2044; A. Mattone, Don Juan Vivas de Cañamas. Da ambasciatore spagnolo in Genova a viceré del Regno di Sardegna, Milano 2019, ad indicem.