VICQ
Località della Francia centro-occidentale (dip. Indre), nella regione storica del Berry, situata a km 2 dal centro di Saint-Chartier e unita dal 1822 al comune di Nohant.
La menzione della "ecclesiam de Vico iuxta Sanctum Karterium" compare per la prima volta in una bolla pontificia promulgata da Pasquale II nel 1115 per confermare i beni e i privilegi dell'abbazia di Déols (Parigi, Arch. nat., L 223; Jaffé, 18852; Hubert, 1901). La documentazione storica di cui si dispone non consente di appurare se tale rapporto di dipendenza esistesse già precedentemente, ma una serie di bolle pontificie più tarde, così come diversi documenti del sec. 12°, confermano l'appartenenza della chiesa parrocchiale di Saint-Martin di V. alla più importante fondazione benedettina della diocesi di Bourges (Kupfer, 1985).
L'edificio è molto semplice: la struttura tripartita, che comprende un'abside semicircolare coperta da una volta a catino, un coro quadrato e una navata unica, ambedue con copertura lignea, risale al 1100 ca. e corrisponde, con ogni probabilità, alla chiesa citata nella bolla pontificia del 1115. Il muro-diaframma che separa il santuario dalla navata divide molto nettamente lo spazio interno in due parti distinte. In una data imprecisata venne aperto un arco nel muro meridionale del coro per creare una cappella laterale rettangolare. Nel sec. 19° la costruzione di un'absidiola a E della cappella e l'erezione di una torre-portico a O della navata modificarono sensibilmente la primitiva configurazione architettonica.
Il monumento divenne celebre dopo la scoperta, avvenuta nel 1849, di una ricca decorazione pittorica, che si concentra nella parte orientale dell'edificio e ricopre totalmente le pareti dell'arco trionfale, del coro e dell'abside. Sondaggi e lavori di restauro effettuati negli anni Ottanta hanno permesso di stabilire che i muri laterali della navata erano in origine decorati da un semplice fondo bianco, scandito in registri da sottili bande di colore ocra gialla e ocra rossa. Tale distribuzione della decorazione pittorica contribuiva a rafforzare la suddivisione spaziale della chiesa in due parti liturgicamente differenziate. Altri sondaggi hanno rivelato inoltre l'esistenza di uno strato decorativo più antico, di cui ancora si ignora l'estensione; questo elemento impedisce quindi di associare cronologicamente l'insieme dipinto attualmente visibile e il suo supporto architettonico. Nonostante alcune lacune - le più importanti delle quali sono state causate dall'apertura dell'arco nel coro - e malgrado alcuni fenomeni di degrado dovuti ai restauri del sec. 19°, le pitture sono relativamente ben conservate.L'uso costante della tecnica ad affresco e l'omogeneità dello stile inducono ad attribuire l'insieme delle pitture a un unico artista, di cui Kupfer (1986a) ha potuto in parte ricostruire il metodo di lavoro. La tavolozza cromatica è ridotta ai quattro pigmenti tradizionali, nero carbone, bianco calce, ocra gialla e ocra rossa, ma gli effetti coloristici risultano molto diversificati grazie ai differenti procedimenti di mescolatura, sovrapposizione e giustapposizione di tali materiali di base.
A nessun critico è sfuggita la verve stilistica del pittore di Vicq. Tutti sottolineano la vivacità della linea, la tensione drammatica, il dinamismo o anche la concitazione sfrenata delle figure (Demus, 1968), la loro gestualità accentuata, gli atteggiamenti grotteschi (Grabar, Nordenfalk, 1958). Ma quest'arte, dominata da effetti di moto ben calcolati (Focillon, 19673), si sottrae ancora a qualsiasi tentativo di trovare le sue fonti formali e la sua origine geografica. L'assenza di opere direttamente paragonabili nella produzione pittorica della Francia o di altri paesi ha reso vani i tentativi effettuati in tal senso. Bogner (1977-1978) ha indicato la valle della Loira e in particolare Tours come il più probabile centro dal quale si sarebbero propagati alcuni tratti più particolarmente caratteristici di questo stile. Le pieghe tubolari e striate e quelle a V dei panneggi, nonché gli atteggiamenti tesi dei personaggi costituiscono elementi di un linguaggio formale le cui diverse trasformazioni furono in effetti ampiamente diffuse attraverso la regione.Il programma iconografico comprende scene di varia tematica che si susseguono senza rispetto della continuità narrativa: episodi cristologici dell'Infanzia di Cristo e della Passione sono rappresentati accanto a episodi veterotestamentari e agiografici che, evidentemente, non hanno alcun rapporto gli uni con gli altri. Sul lato della navata, al centro del muro-diaframma, si trovano l'immagine del Cristo in trono in mezzo agli apostoli e quella dell'Agnus Dei, alle quali sono state accostate alcune storie dell'Infanzia (Annunciazione, Viaggio e Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio), la scena apocrifa dell'Accusa della Vergine e la Deposizione dalla croce. Nel coro si dispiega un ciclo della Passione (Ingresso a Gerusalemme, Ultima Cena, Lavanda dei piedi, Arresto di Cristo, Simone che porta la croce), mescolato ad altri temi iconografici, quali la Purificazione delle labbra di Isaia, Adamo ed Eva tra un angelo e un demone, la Parabola di Lazzaro e del ricco Epulone e la scena del Rapimento del corpo di s. Martino, episodio raramente rappresentato e riferito da Gregorio di Tours (Hist. Fr., I, 43; PL, LXXI, coll. 184-186). L'abside ospita l'immagine della Maiestas Domini, la Visitazione, la Crocifissione di s. Pietro, e Cristo davanti a Erode. Tale programma complessivo è completato dall'immagine della lotta di S. Michele Arcangelo contro il drago, da figure di profeti e di serafini e dalla rappresentazione di due Virtù che soggiogano i Vizi.Il mescolarsi dei soggetti e l'indifferenza alla organizzazione cronologica delle sequenze possono dare l'impressione di una confusione nell'elaborazione del programma. Per questo motivo alcuni studiosi sono stati indotti a considerare l'opera come un esempio di arte popolare o provinciale (Grabar, Nordenfalk, 1958; Demus, 1968). Tuttavia ricostruendo il contesto storico nel quale gli affreschi furono realizzati, Kupfer (1985; 1986b; 1993) ha enucleato la coerenza del programma. La connessione instaurata in particolare con le omelie e i commentari esegetici redatti nell'abbazia di Déols dal monaco Herveus (ca. 1080-1150) consente di chiarire alcune specifiche formule iconografiche, così come la particolare organizzazione del ciclo pittorico. Le immagini visibili dalla navata simboleggiano l'itinerario spirituale del fedele verso Dio e quelle del coro la missione sacerdotale del capo della comunità monastica nei confronti della parrocchia, ma più concretamente il programma mirava a rappresentare l'autorità spirituale e temporale dell'abbazia, minacciata nei suoi interessi da un'autorità ecclesiastica rivale. La commissione del ciclo pittorico deve allora essere interpretata come un elemento strategico all'interno di un conflitto ecclesiastico di ordine giurisdizionale: l'abbazia cercava infatti di affermare la chiesa di Saint-Martin quale centro spirituale della parrocchia e parallelamente di confermarsi quale principale guida. Questa lettura iconologica consente di datare le pitture al secondo quarto del 12° secolo.
Bibl.:
Fonti. - P. Jaffé, Regesta Pontificum Romanorum ab condita Ecclesia ad annum post Christum natum MCXCVIII, I, Leipzig 18852, p. 759, nr. 6476 (1851; rist. Graz 1956); E. Hubert, Recueil général des chartes intéressant le département de l'Indre (XIIe siècle), Revue archéologique, historique et scientifique du Berry, 1901, p. 137, nr. 113.
Letteratura critica. - J. Hubert, Vic, CAF 94, 1931, pp. 556-576; J. Hubert, Les peintures murales de Vic et la tradition géométrique, CahA 1, 1945, pp.77-88; P. Deschamps, M. Thibout, La peinture murale en France, le haut Moyen Age et l'époque romane, Paris 1951, pp. 99-102; A. Grabar, C. Nordenfalk, La peinture romane du onzième au treizième siècle, Genève 1958, pp. 94-97; H. Focillon, Peintures romanes des églises de France, Paris 19673, pp. 127-137 (1938; trad. it. Pitture romaniche delle chiese di Francia, in id., Scultura e pittura romanica in Francia, Torino 1972, pp. 167-220); O. Demus, Romanische Wandmalerei, München 1968 (trad. it. Pittura murale romanica, Milano 1969); D. Bogner, Die Fresken von Saint-Martin und von Saint-Julien in Tours und ihre Stellung in der romanischen Malerei des Loiregebietes, WienJKg 30-31, 1977-1978, pp. 7-46; M. Kupfer, The Romanesque Frescoes in the Church of Saint-Martin at Nohant-Vicq (tesi), Yale Univ. 1982; id., Note sur des documents inédits concernant l'église Saint-Martin de Nohant-Vicq (Indre), Cahiers d'archéologie et d'histoire du Berry 80, 1985, pp. 21-38; id., Les fresques romanes de Vicq, étude technique, BMon 144, 1986a, pp. 99-132; id., Spiritual Passage and Pictorial Strategy in the Romanesque Frescoes at Vicq, ArtB 68, 1986b, pp. 35-53; id., L'étude globale d'un décor: l'église Saint-Martin de Vicq, in Peintures romanes, a cura di H. Toubert (Cahiers de l'inventaire, 15), Orléans 1988, pp. 50-63; id., Romanesque Wall Painting in France. The Politics of Narrative, New Haven-London 1993, pp. 120-147, 193-198.D. Paris-Poulain