SAINT-LAURENT, Victor-Amé Chapel
conte di. – Nacque a Saint-Maurice, piccolo borgo della Tarantasia (Savoia) feudo degli Chabod, il 10 ottobre 1682, figlio di Donat Chapel de Saint-Laurent (morto nel 1686/1687) e di Angelica Maria Ferrari di Bagnolo, sposatisi nel 1676. Ebbe quattro sorelle: Jeanne-Marie-Marguerite, la maggiore, sposò François Régis de la Rochette, mentre le altre furono avviate alla vita religiosa.
Gli Chapel erano una famiglia di nobiltà recentissima, che doveva la sua ascesa al secondo stato al ruolo svolto nella magistratura del Ducato di Savoia. Jean Chapel (morto nel 1681), avo di Victor-Amé e figlio d’un mercante, era divenuto tesoriere della Tarantasia nel 1651. Il 16 novembre 1656 era stato nominato consigliere nella Camera dei conti di Savoia (in seguito, comunque, all’esborso di oltre 6000 ducatoni). Due anni dopo, il 10 marzo 1668, aveva acquistato il feudo di Saint Laurent-de la Côte in Tarantasia, con il signorato. I figli Donat e Philibert ne seguirono fedelmente le orme. Donat, nato dal primo matrimonio con Françoise Quey, nel 1666 divenne segretario di guerra e milizia e nel 1679 mastro auditore alla Camera dei conti di Savoia; nel 1693 fece erigere il feudo di Saint-Laurent in comitato. Philibert (1650 ca.-1709), nato dalle seconde nozze di Jean con Anne de Gilly de Rochefort, divenne tesoriere della Tarantasia nel 1668, ma soprattutto il direttore generale degli affari (1668) e poi intendente generale (1689) del principe Emanuele Filiberto di Carignano per i beni che questi possedeva in Savoia. Grazie agli introiti ottenuti con l’industria della seta (che aveva introdotto a Chambéry), il 17 marzo 1700 acquistò il feudo di Salins, con il comitato. In quanto alla madre, era figlia ed erede di Giovanni Ferrari, conte di Bagnolo dal 1673, che era stato controllore generale delle Finanze dal 1658 e presidente generale delle finanze del duca dal 1677.
Nel 1687, quando aveva appena cinque anni, Saint-Laurent fu nominato mastro uditore della Camera dei conti di Savoia in considerazione dei servizi resi dal padre, che non aveva potuto essere ricompensato a causa della sua morte. Pressoché nulla si sa della sua formazione; forse essa non avvenne a Torino, ma, come per suo padre e suo zio, all’Università di Valence.
La sua carriera politica ebbe inizio nel 1717 e sin dal principio apparve intrecciata a quella del marchese Carlo Vincenzo Ferrero d’Ormea. Non è chiaro che rapporto legasse i due uomini. Essi s’erano conosciuti probabilmente durante l’anno – fra il 1716 e il 1717 – che Ormea aveva trascorso a Chambéry, come reggente l’Intendenza generale di Savoia. Durante la missione Ormea s’era guadagnato la stima di Vittorio Amedeo II, che il 16 aprile 1717 lo nominò generale delle Finanze (Archivio di Stato di Torino, Patenti controllo finanze, reg. 1, c. 1). Allo stesso giorno risalgono le patenti con cui il re, facendo riferimento a «varie incombenze» dategli in passato, chiamò Saint-Laurent alla carica di primo ufficiale nell’Azienda delle finanze, in pratica il numero due di Ormea. Tuttavia, se la sua carriera si compì in parallelo a quella di Ormea, non fu comunque nella sua ombra, visto che, come già rilevava Guido Quazza, i due ministri ebbero spesso visioni diverse su diversi aspetti della politica economica. Più protezionista, per esempio, Ormea, vicino agli interessi dei produttori lanieri; più liberistico Saint-Laurent, legato all’esperienza dei commercianti di sete della Savoia (fra cui era stato lo zio Philibert). Giuseppe Ricuperati (2001) ha scritto di un «latente antagonismo» (p. 31) e certo i due furono spesso portatori di visioni economiche differenti, cui non era estranea la diversa provenienza sociale (piemontese l’uno, savoiardo l’altro). Non va dimenticato, poi, che Saint-Laurent aveva legami anche con il conte Pierre Mellarède, che nel 1715 aveva acquistato dai cugini di Saint-Laurent, pesantemente indebitati con il principe di Carignano, il feudo di Chamoux.
Negli anni Venti Saint-Laurent era considerato uno dei funzionari più solerti di Vittorio Amedeo II, per cui seguì importanti riforme, come l’avocazione dei feudi. Egli era, comunque, fortemente inviso ad almeno una parte dell’entourage ministeriale, che non gli risparmiò forti critiche. Il conte Francesco Antonio Lanfranchi, segretario di Stato alla Guerra, per esempio, nel 1726, lo definiva «il massimo dei broglioni», descrivendolo come un incapace, dedito ai piaceri del vino, tanto che un giorno si sarebbe presentato ubriaco allo stesso sovrano (Lanfranchi a Ormea, 11 ottobre 1726, in Archivio di Stato di Torino, Corte. Lettere ministri, Roma, mz. 163). Tali accuse, tuttavia, non compromisero né la sua carriera né il suo rapporto con il sovrano, da cui il 14 agosto 1730 fu promosso generale delle Finanze (ibid., Patenti controllo finanze, reg. 166, c. 26). La sua carriera proseguì anche con Carlo Emanuele III. Il 31 gennaio 1733, infatti, il sovrano gli diede l’interim della carica di controllore generale delle Finanze, al posto di Giovan Francesco Palma di Borgofranco, e il 14 agosto 1734 lo nominò definitivamente a tale carica (reg. 8, c. 31).
Risale a pochi anni dopo una sua violenta vertenza contro la Camera dei conti che in un elenco di cariche lo aveva posposto al generale delle Finanze: segno non solo di una difesa delle pregorative della propria carica, ma anche della sicurezza ormai raggiunta sulla scena politica della capitale, alla cui società restava peraltro estraneo.
Nel 1741 l’ambasciatore veneto Marco Foscarini, nella sua celebre relazione al Senato della Serenissima lasciò di lui un ritratto altamente elogiativo «Esercita la Segreteria degli affari interni ed economici il conte di Saint Laurent, nobile savoiardo, personaggio d’illibata puntualità; del resto franco e libero forse più che non acconsente l’ordinario costume dei principati» (Foscarini, 1830, p. 204). Che Saint-Laurent potesse concedersi delle libertà ad altri proibite, lo dimostra il fatto che in quello stesso 1741 – quasi sessantenne – potesse avere un duello con il marchese Pallavicino: un atto illegale che, pur non essendo raro per un nobile, poteva avere conseguenze pericolose per un ministro di Stato. Ciò nonostante, non solo la sua carriera non ne fu turbata, ma il 13 gennaio 1742 fu nominato primo segretario di Stato agli Affari interni, carica che ricoprì sino alla morte (Archivio di Stato di Torino, Patenti controllo finanze, reg. 17, c. 4). Il 19 marzo 1750 ottenne anche il titolo di ministro di Stato (reg. 22, c. 136).
Morì a Torino il 13 novembre 1756.
Nel 1726 aveva sposato Françoise de Martin de Champolléon, di una famiglia nobile del Delfinato, già moglie (nel 1690) e poi vedova del conte savoiardo François de Manuel de St. Julien. Dal matrimonio non aveva avuto figli (né aveva voluto adottare Joseph-François Manuel de St. Julien, figlio più giovane della moglie che questa aveva portato con sé a Torino), per cui erede dei suoi beni avrebbe dovuto essere il cugino François Chapel de Rochefort (morto nel 1760). Poiché questi, però, aveva solo una figlia, Saint-Laurent decise di lasciargli solo i pur ingenti feudi in Tarantasia, destinando gli altri suoi beni all’Ospedale generale di carità di Torino. Ne nacque una complessa vicenda ereditaria, che si complicò ulteriormente quando, dopo la morte del conte di Rochefort, sua figlia Anne Marie sposò, il 13 maggio 1763 Jean Joseph Bracorens de Savoiroux (1736-post 1770), poi senatore di Savoia. Dopo una lunga lite giudiziaria, la gran parte dei beni di Saint-Laurent passò, comunque, alla famiglia di quest’ultimo.
Fonti e Bibl.: P.G. Galli della Loggia, Dignità e cariche negli Stati della real casa di Savoia, Torino 1796, II, pp. 334-338; III, pp. 57, 89, 100 s., 176 s.; M. Foscarini, Relazione della corte di Savoia, in Relazioni dello Stato di Savoia negli anni 1574, 1670, 1743, a cura di L. Cibrario, Torino 1830, p. 204; E.A. De Foras, Armorial et nobiliaire de l’ancien Duché de Savoie, I, Grenoble 1863, pp. 359-361; A. Manno, Relazione del Piemonte del segretario francese Sainte-Croix, in Miscellanea di storia italiana, XVI (1878), p. 301 nota 52; E.L. Borrel, Les monuments anciens de la Tarentaise, Paris 1884, pp. 166 s.; R. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena 1957, I pp. 27, 36, 49, 156, 179, 184, 190 s.; II, pp. 261-267, 409, 425; G. Ricuperati, Lo Stato sabaudo nel Settecento. Dal trionfo delle burocrazie alla crisi dell’antico regime, Torino 2001, pp. 9, 31, 41-44, 47, 76 s., 80 s., 91, 138, 141.