Cousin, Victor
Filosofo francese (Parigi 1792 - Cannes 1867). Nel 1810 entrò nell’École Normale, dove nel 1813 fu incaricato di esercitazioni di filosofia e nel 1815 divenne supplente di Royer-Collard. Durante un viaggio in Germania (1817-18) conobbe Hegel, a Heidelberg, e stabilì con lui una relazione di amicizia durata a lungo. Le sue dottrine filosofiche presero forma soprattutto nei corsi di lezioni del 1815-20 (il più importante è quello del 1818, pubbl. nel 1837: Du Vrai, du Bien et du Beau), poi rielaborati in trattazioni separate intitolate: La philosophie sensualiste; La philosophie écossaise, La philosophie de Kant. Sostenne un eclettismo orientato in senso spiritualistico, riuscendo così a interpretare il movimento della cultura francese in un periodo in cui, senza rinunciare ai principi del 1789, si tentava un rinnovamento, ma con carattere laico, delle idee morali e religiose, per ripristinare un buon ordine politico-sociale. Sotto l’influsso della filosofia tedesca, elaborò una concezione metafisica dell’attività spirituale, che individua nello spirito umano tre facoltà: l’attività volontaria, libera, che costituisce la personalità o coscienza; la sensibilità, intesa come capacità di accogliere, passivamente, le impressioni degli oggetti esterni, con i sentimenti e le passioni che le accompagnano; l’intelligenza, concepita talora come riflessione astraente (come nell’empirismo prekantiano), talora come ragion pura, facoltà di principi universali e necessari. Analogamente, affrontò il problema del rapporto tra la filosofia e la religione (che gli poneva anche la lotta politica) partendo dall’idea di una religione naturale (à la Rousseau), ma in seguito cercando sempre più di qualificare la sua filosofia in senso cristiano, anche attraverso la ripresa di formulazioni hegeliane. Con l’avvento di Luigi Filippo (1830), sospese il suo insegnamento ufficiale ed entrò nella vita politica militante. Nominato direttore dell’École Normale nel 1835, nel 1840 ministro della Pubblica istruzione, nel 1844 difese alla Camera l’insegnamento della filosofia, rivendicandone il significato e la funzione, anche rispetto al carattere laico dello Stato moderno (i suoi discorsi furono raccolti in Défense de l’université et de la philosophie, 1844-45). La sua influenza sulla vita pubblica e culturale iniziò a declinare dopo la rivoluzione del 1848 e il colpo di Stato del 2 dicembre 1851; disorientato, dapprima dalla Repubblica poi dall’Impero, cominciò a rinunciare a tutte le cariche che aveva ancora, e nel 1852 si ritirò anche dall’insegnamento. Negli anni seguenti non si occupò quasi più di filosofia, e attese a studi d’erudizione storica. Fu in relazione con filosofi, scrittori e uomini politici di ogni nazione, compresi esponenti di rilievo del Risorgimento italiano; grande ammiratore di Santorre di Santarosa, fu in stretti rapporti con A. Manzoni e M. d’Azeglio.