Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La vita di Victor Hugo si confonde con quella del secolo di cui è testimone, espressione, profeta e giudice. Egli è riuscito a ringiovanire il francese gettando la pietra del grottesco nel cortile del classicismo e a traghettarlo dall’ancien régime allo Stato-nazione.
Les Feuillantines e la Spagna
Nato il 26 febbraio del 1802 a Besançon dal matrimonio tormentato dell’ufficiale Joseph Léopold Sigisbert Hugo con la "vandeana" Sophie Trébuchet, passa la sua prima infanzia tra la Corsica, Parigi, l’Italia e la Spagna. A Parigi gioca e studia Virgilio e Tacito nel parco delle Feuillantines, sotto la guida del padrino, il generale Victor Lahorie. Il padre diventa colonello e governatore d’Avellino con la cattura del brigante Fra’ Diavolo e poi generale in Spagna. Due episodi di quest’ultimo soggiorno, durato un anno, segnano profondamente l’immaginazione del poeta: lo spettacolo di un’esecuzione capitale da parte delle autorità francesi, che lo porterà a lottare strenuamente contro la pena di morte tutta la sua vita, e l’incontro più piacevole con una giovane e graziosa vicina di nome Pepa detta Pepita. In Spagna si consuma definitivamente il matrimonio dei genitori. Victor torna a Parigi con la madre e il fratello Eugène. Ha dieci anni quando fucilano il padrino, amante della madre, per cospirazione. Poco dopo Eugène e Victor entrano in collegio.
Da enfant sublime a capofila dei romantici
A quattordici anni Victor decide di diventare Chateaubriand. Alcuni concorsi di poesia lo fanno conoscere negli ambienti letterari e, a diciassette anni, fonda con i fratelli il "Consérvateur littéraire" (1819-1821) sul modello del "Consérvateur" di Chateaubriand. Sulla rivista pubblica un primo tentativo di ballata e la novella Bug-Jargal, incentrata sulla rivolta degli schiavi di Santo Domingo, che diventerà romanzo nel 1826. Lo stregone Habibrah, nano-buffone deforme e crudele col suo riso demoniaco e la sua finale caduta nell’abisso, prefigura molti "mostri" a venire. Sono tutte diverse incarnazioni della mostruosità del reale. A vent’anni, Hugo ottiene una pensione dal re per le sue Odi e poesie diverse (1822) ultra-realiste. Lui, che vivrà tutta la sua vita della sua penna, può così sposare la sua amica d’infanzia e compagna di giochi alle Feuillantines Adèle Foucher. Adèle e Hugo avranno cinque figli: Leopold, morto a pochi mesi, Leopoldine, la preferita del padre chiamata affettuosamente Didine, Charles, padre di Jeanne e George, François-Victor, futuro traduttore di Shakespeare e la sfortunata Adèle.
Con il romanzo Han d’Islande (1823), un gotico nero o "grottesco triste" come lo chiama Flaubert, si attira il plauso di Charles Nodier, che lo accoglie nel suo cenacolo dell’Arsénal. A soli ventiquattro anni, gli è conferita la Legione d’Onore, ma nonostante il desiderio di farsi una posizione sociale, molteplici fattori lo allontanano progressivamente dai Borboni: la cacciata dal ministero di Chateaubriand, la politica reazionaria di Carlo X, l’affettuoso riavvicinamento con quel "vecchio soldato" di suo padre e per suo tramite col mito napoleonico (Ode alla Colonna della piazza Vendôme, 1827) e non ultimo l’incoraggiamento dell’amico Sainte-Beuve, critico di "Le Globe", giornale liberale. Hugo diventa allora il punto d’incontro tra le due anime del romanticismo francese: quello monarchico e quello liberale, che alla lotta per la libertà nell’arte coniuga la rivendicazione di una maggior libertà politica. Nella prefazione del 1826 alle Odi e ballate (seconda edizione definitiva 1828) assume un romanticismo ormai evidente nel suo gusto per fate, leggende e fantastico; contesta la divisione dei generi e difende l’originalità del genio il cui unico modello è la natura e la cui unica guida è la verità. È però nella Prefazione al dramma storico in versi Cromwell (1828) che espone le ragioni storiche della rottura operata dal romanticismo con l’estetica classica e il concetto ideale di Bello. Grazie alla prefazione adottata come manifesto dal romanticismo francese, Hugo è incoronato capo del movimento. Ha ventisei anni e il suo punto di riferimento è ormai Shakespeare.
Il grottesco come cifra del moderno
La nascita della modernità, spiega Hugo nella prefazione al Cromwell , è segnata dall’irruzione del grottesco nella realtà. Il Bello è statico, immobile, incompleto. Il grottesco, essendo l’espressione della complessità, della varietà, della proliferazione del reale in cui troviamo anche la disproporzione, il deforme, l’orribile, il triviale, il ridicolo, il volgare, è dinamico, mobile. Non si armonizza con le parti. La cifra della poetica di Hugo è appunto la dis-misura: il grottesco si armonizza con un "grande insieme che ci sfugge" per via dell’abisso che è venuto a formarsi tra noi e Dio o l’Ignoto. È il contrappasso dell’introduzione dello spirituale nel materiale operata dal cristianesimo, che ha scisso l’uomo in corpo e spirito, persino il genio contiene in sé la bestia che fa la parodia della sua intelligenza. Il dramma nasce appunto da "questa lotta di tutti gli istanti tra due principi opposti", che lacera l’uomo tra cielo e terra e cerca la sua armonia tra grottesco e sublime. Bisogna mescolare il sublime col grottesco, l’alto col basso, la tragedia col comico, sfidare il buongusto, se si vuole dipingere la vita nella sua integrità. Il gusto è politico. Padre di famiglia per il quale la scrittura è un mestiere, s’impegna nella sua carriera affrontando quello che è all’epoca il miglior trampolino per il successo: il teatro. Hugo attinge a piene mani allo stile eccessivo e ai meccanismi dei melodrammi che si recitano con grande successo nei teatri del boulevard du Temple. Deve però lottare sia con la legittima censura del pubblico, che con quella per lui illegittima del potere.
La battaglia di Hernani (1830)
Dopo la censura di Marion Delorme, dramma in versi sul riscatto di una cortigiana che denuncia anche il pericolo di un trono sottomesso all’altare, Hugo chiama a raccolta i suoi amici per sostenere il suo nuovo dramma Hernani. Il romanticismo è "il liberalismo in letteratura", scrive nella prefazione. Sotto la bandiera della libertà nell’arte e nella società ("popolo nuovo, arte nuova!"), ha luogo la famosa battaglia di Hernani: un’omerica ripetizione della querelle degli antichi e dei moderni. Tra fischi e urla d’incitazioni, alla fine il pubblico apprezza. La battaglia è vinta. La roccaforte del teatro classico francese è temporaneamente espugnata.
Un popolo privato del presente
Victor Hugo
L’ultimo giorno di un condannato a morte
Che vuoi, la mia storia è questa. Sono figlio d’un buon diavolo; peccato che un buon giorno Charlot – sì insomma, il boia – si sia preso la pena di stringergli per bene la cravatta. Erano i bei tempi della forca, buon per lui. A sei anni, non avevo più padre né madre; d’estate, facevo la ruota nella polvere sui bordi delle strade, perché mi buttassero un soldo dalla portiera delle diligenze; d’inverno, andavo a piedi nudi nel fango soffiandomi le dita tutte rosse; mi si vedevano le cosce attraverso i pantaloni. A nove anni, ho cominciato ad adoperare le zampe, di tanto in tanto rivoltavo una tasca; rubavo un cappotto. A dieci, ero già un borsaiolo. Poi ho fatto delle conoscenze; a diciassette, ero uno sgrinfia di professione. Forzavo una bottega, mi fabbricavo una chiave falsa. Mi hanno preso. Avevo l’età e mi hanno spedito al bagno. È duro, il bagno penale. Dormire su un’asse, bere solo acqua, mangiare pane nero, portarsi dietro quella dannata palla che non serve a niente; poi, bastonate e scottature, per via del sole […]. Tutto qua compagno.
Victor Hugo, L’ultimo giorno di un condannato a morte, a cura di F. Zanelli Quarantini, Milano, Mondadori, 1998
È comunque sospesa la prima serata di anche Il re si diverte (1832) che rappresenta un re libertino e inconcludente. Nel 1833 incontra Juliette Drouet, un’attrice cha ha una piccola parte muta in Lucrèce Borgia. È amore a prima vista. Hugo scopre con Juliette l’amore sensuale. Dello stesso anno è Marie Tudor e del 1835 Angelo tiranno di Padova. Oltre ad essere in prosa, le tre opere hanno in comune l’accentuazione melodrammatica della trama. È invece con il ritorno al dramma in versi di Ruy Blas (1838), rappresentato al nuovo teatro de la Renaissance fondato da Hugo con Dumas, che ottiene un pieno successo di pubblico. Il protagonista, un valletto innamorato di una regina diventato ministro grazie a uno scambio d’identità, rappresenta il popolo "al quale appartiene l’avvenire e che non ha il presente" (prefazione). La superiorità morale del servo Ruy Blas rispetto al padrone non gli vale a niente a causa della sua appartenenza sociale.
Il popolo è protagonista anche dei suoi scritti in prosa. Nel breve romanzo-diario L’ultimo giorno di un condannato (1829), pubblicato anonimo come perorazione contro la pena di morte, per la prima volta è introdotto l’argot nella letteratura francese. Allo scoppio della rivoluzione di luglio, ha solo un mese per consegnare un romanzo storico se non vuole pagare una penale all’editore che glielo ha commissionato. Si chiude in casa e nel 1831 da una bottiglietta d’inchiostro esce Notre-Dame de Paris. Se la storia nei drammi si vuole più leggenda che cronaca, qui si fa fiaba, quella di un campanaro gobbo che s’innamora di una zingara per un suo gesto di pietà, di un poeta saltimbanco che salva una simpatica capra, di una giornata d’epifania dove degli accattoni assaltano valorosamente una cattedrale. La centralità della cattedrale, personaggio muto ma che interagisce con i personaggi, è espressione di quell’architettura medievale, madre di tutte le arti, che è, secondo Hugo, all’origine della diffusione del grottesco. La potenza evocativa della scrittura di Hugo è tale che la vera Notre-Dame è ormai quella del romanzo. La perorazione diventa intanto arringa contro le colpe della società nel racconto contro la pena di morte, Claude Gueux (1834).
La poesia prima dell’esilio
La legge primordiale di tutte le arti, secondo Hugo, è il disegno. Egli stesso disegna moltissimo, soprattutto nei numerosi brevi viaggi che compie con Juliette (Normandia, Bretagna, Belgio, Nord della Francia, Reno, Spagna), il disegno è essenziale allo stile e propedeutico alla scrittura, afferma. Il verso è "la forma ottica del pensiero", lo inquadra nel suo metro. Non sorprende quindi che Hugo sia molto attento all’architettura; il piano della città è un termine di paragone che usa per edificare i suoi lavori come nella raccolta di poesie pittoresche Le Orientali del 1829. Attraverso queste poesie per gli occhi, a causa delle quali Gautier lascia la pittura per la poesia, Hugo vuole edificare la moschea di un Oriente nordafricano rifacendosi principalmente alla Spagna moresca dell’infanzia. Tutto ha diritto di cittadinanza in poesia. Il poeta non rinuncia a farsi testimone, e la testimonianza sarà una costante nella sua opera, degli effetti devastanti della guerra greco-turca appena conclusasi, dando voce a un bambino greco in mezzo alle rovine che invece di allodole chiede pallottole e polvere da sparo. Il poeta non commenta. Le quattro raccolte liriche pubblicate dal 1831 al 1840 illustrano bene il concepimento della sua opera come un albero che cresce traendo linfa dall’humus del suo tempo: Le foglie d’autunno (1831), I canti del crepuscolo (1835), Le voci interiori (1837), I raggi e le ombre (1840) mostrano la costante interrogazione del poeta sulla sua funzione e la ricerca di una poetica dell’enunciazione. L’io del poeta è un’"anima dalle mille voci" che fa da eco sonoro a quel che sente mormorare dalla natura, dai tempi, dagli uomini – anche il mormorare del popolo e dei fanciulli –, mantenendosi, il più possibile, al di sopra delle parti perché "la potenza del poeta è fatta d’indipendenza" e che il poeta "deve contenere la somma delle idee del suo tempo" per farsene portavoce (prefazione a I raggi e le ombre).
Da una parte della barricata all’altra: l’evoluzione democratica
Quando nel 1841, al quarto tentativo, è finalmente eletto all’Académie Française, Hugo pronuncia un discorso d’accettazione che, insistendo sulla funzione civilizzatrice della letteratura e la missione sociale del poeta non lascia dubbi sui suoi intenti politici. "Lo specchio della verità si è frantumato nelle società moderne", per questo c’è più che mai bisogno di una guida spirituale che cerchi di ricostruirne i frammenti. L’insuccesso del dramma in versi I burgravi (1843), ambizioso ed europeo, ancora rivolto al mito imperiale, segna la fine del dramma romantico. Una frattura ben più grave dell’incomprensione del pubblico interviene inoltre a provocare un’interruzione nella sua produzione creativa. Hugo, tornando da un viaggio con Juliette, apprende da un giornale la notizia della tragica morte della figlia Leopoldine, annegata col marito nella Senna. Non trovando le parole per esprimere la sua disperazione, Hugo cerca di esorcizzare questa morte attraverso la relazione con una donna molto più giovane e sposata. Lo stesso anno in cui è nominato pari di Francia, nel 1845, è colto in flagrante delitto d’adulterio. Comincia a lavorare su Miserie che diventerà più tardi I miserabili . Quando, nel 1848, scoppia la rivoluzione, Hugo cerca ancora di conciliare ordine e libertà. Egli spiega la sua evoluzione politica con la reazione all’insurrezione di giugno 1849. Dopo la repressione, che ha appoggiato, Hugo si aspetta delle riforme che diano risposte alle questioni sollevate dalla rivolta. Il suo discorso sulla miseria è applaudito dai ranghi della sinistra e accolto con fastidio dalla destra. Le sue successive prese di posizione come deputato dell’Assemblea legislativa, a favore del suffragio universale, della scolarizzazione obbligatoria laica e gratuita, della libertà di stampa o dell’autodeterminazione dei popoli, lo spingono sempre più verso la sinistra, sino a fargli appoggiare la candidatura di Eugène Sue, passato dalla monarchia a un socialismo democratico per influenza diretta del suo pubblico. Anche lui sta scrivendo un romanzo sociale, come s’intuisce dall’orazione funebre in onore dell’amico Balzac. Dopo aver pronunciato un discorso accorato contro l’emendamento costituzionale a favore di un secondo mandato per il principe presidente, i suoi due figli sono imprigionati per reati di stampa. Il 2 dicembre 1851 avviene il colpo di Stato, Hugo entra nella clandestinità e cerca di organizzare la resistenza senza successo. L’ex pari di Francia è ricercato dalla polizia.
L’esilio: il poeta-proscritto sulla roccia, solitario-solidale, faro dell’umanità
Fuggito a Bruxelles grazie a Juliette, scrive l’invettiva politica Napoleone il Piccolo (1852). Si rifugia poi nelle isole anglo-normanne e costruisce l’immagine del poeta-vate dell’umanità che sfida i tiranni di fronte all’Oceano. Soggiorna prima a Jersey, dove lo raggiungono i familiari e scrive, novello Isaia, la raccolta di versi satirici Castighi (1853). Grido d’indignazione giovenalesco contro il tradimento del giuramento alla repubblica e quella parodia farsesca dell’impero che è il governo di Napoleone III, la poesia di Castighi è quella militante ed epica (dalle tenebre alla luce) delle Tragiche di Agrippa d’Aubigné. Hugo prosegue il mescolamento di registro alto e basso in una profusione di toni, che vanno dallo scurrile al profetico. Appassionatosi momentaneamente alle sedute spiritiche, il primo spirito che cerca è sua figlia, ma nel 1855, quando nota che “di tutte le scale che vanno dall’ombra alla luce, la più meritevole e la più difficile da salire, è di certo questa: essere nato aristocratico e monarchico, e diventare democratico”, ancora non ha finito di scalare quella della perdita. Espulso da Jersey per aver difeso la libertà d’espressione di altri proscritti, si sposta sulla piccola isola di Guernesay. È qui che mette a posto una raccolta di poesie composte nell’arco di venti anni seguendo la cronologia, a volte fittizia, del suo percorso interiore di uomo e poeta "dall’ombra alla luce". In due tomi (Una volta 1830-1843 e Oggi 1843-1856) di tre libri ciascuno divisi dallo spartiacque della perdita e l’esilio Le Contemplazioni (1856) sono "le memorie di un’anima" attraverso istantanee liriche. L’io lirico delle poesie proclama: " Homo sum", perciò quello che canto vi riguarda: "quando parlo di me, parlo di voi ". Il punto massimo di questa "sovra-umanità" dell’io del poeta è raggiunto nelle poesie del lutto, il dolore della perdita parla a tutti. Grazie al successo dell’opera, compra una casa a picco sul mare dando libero sfogo al suo gusto per l’antiquariato e il collezionismo. Ora è l’umanità a salire la scala che porta dalle tenebre alla luce, attraverso miti e leggende, satira, dramma, lirica ed epopea. La Leggenda dei secoli (prima serie 1859) è una serie di "piccole epopee" che marca le tappe cicliche del progresso dell’uomo da madre-Eva a madre-Rivoluzione per il tramite di personaggi secondari. L’umanità è il progressivo. Idealmente a essa Hugo vuol far precedere il relativo con La fine di Satana, rimasta incompiuta. Epopea del Male, la caduta infinita dell’angelo ribelle che "da quattromila anni cadeva nell’abisso" (Nox facta) non si conclude, come rimane incompiuta l’epopea dell’assoluto, Dio. Non c’è sintesi possibile tra l’uomo e Dio e tra la bestia e lo spirito, si resta a mezzo guado con solo in mano degli ossimori. Dopo l’uscita delle piccole epopee, Baudelaire, scrivendo di alcuni dei suoi contemporanei, rende omaggio al poeta ormai lontano che ha finalmente dato l’opera epica che mancava alla letteratura francese, così adatta ai tempi grazie a brevità e al tocco di leggenda. Victor Hugo, dice, grazie all’intera sua opera ha aperto la strada alla modernità ringiovanendo il verso e aprendolo a nuovi sentimenti e idee.
Nel 1862 Victor Hugo pubblica finalmente I miserabili, considerato il suo capolavoro. È un romanzo sociale che si apre a molteplici forme e generi per la convinzione dell’autore che le parole siano troppo definite rispetto a ciò che devono contenere e che queste sfumature necessarie possano essere diffuse attraverso digressioni e messe a punto che aiutano il lettore a contestualizzare la storia e immaginarla. Non è il diavolo, in questa fiaba, a comprare l’anima del forzato Jean Valjean, ma un monsignore illuminato che la impegna al bene grazie al suo esempio e in cambio di due candelabri d’argento. È un successo internazionale senza precedenti, che si attira la critica di tutti gli amici scrittori: per Lamartine è "pericoloso", Flaubert resta sconcertato, anche per Sand è troppo sovversivo. Eppure, Hugo è lontano dal concetto di lotta di classe, è la parte dei vinti, il suo "gusto per la riabilitazione", deprecato da Baudelaire e lodato da Dostoevskij, che gli fa gridare in nome dell’Ideale: Avanti! L’arte deve mettere in movimento gli animi come scrive nel saggio critico-letterario William Shakespeare (1864) che vorrebbe essere il manifesto estetico del XIX secolo, ma resta beatamente inascoltato. L’anno seguente Hugo suscita qualche scalpore mettendo Pegaso a riposo a brucare erba nelle Canzoni delle strade e dei boschi (1865). La freschezza di una saggezza popolana arieggia in un’estate piena di stelle cadenti. “È giocando che la donna, è giocando che il bambino, carpiscono dolcemente l’anima. Il debole è il trionfatore” (Piano all’orecchio del lettore). È la stessa ispirazione che detta il Teatro in libertà (postumo). Un teatro libero dai vincoli della rappresentazione e dove l’amore, la potenza dei deboli è anche la debolezza dei forti. L’amore è anche la forza di Gilliat, eroe-sciamano de I lavoratori del mare (1866), romanzo scritto come omaggio agli abitanti di Guernesey. Nel 1869 presenta il primo tomo di una nuova trilogia che dovrebbe comprendere l’aristocrazia, la monarchia e la rivoluzione, L’uomo che ride. Qui l’amore è cieco per vederci meglio.
"Amare significa agire"
Alla caduta dell’impero, Hugo fa un ritorno trionfale in una Parigi assediata, raccoglie fondi e incita gli animi alla resistenza. La Comune scoppia il giorno del funerale di Charles, terribile perdita. Il padre affranto si reca a Bruxelles per occuparsi dei beni del figlio, ora che è responsabile dei nipoti George e Jeanne. Contrario alla Comune, è ancora molto più contrario alla sua repressione: non solo offre asilo ai comunardi nella sua casa a Bruxelles, facendosi espellere, ma moltiplica gli appelli contro condanne a morte e deportazioni. Diventa nonno a tempo pieno, ottenendo la custodia dei nipoti. Nel 1872, pubblica L’anno terribile, giornale di guerra in alessandrini dalla disfatta di Sedan alla repressione della Comune. È duramente attaccato per le sue prese di posizione a favore dei comunardi. Muore anche il quarto figlio, François-Victor. Nel 1874 affronta finalmente il tema della rivoluzione nel romanzo Novantatré, incarnandone le diverse anime nei quattro protagonisti: Lantenac la feudalità, Tellmarch l’anarchia, Gauvain la rivolta obbediente e Cimourdain il Terrore e scegliendo la rivolta vandeana come luogo di una partita cruciale che vede il trionfo finale della ghigliottina nella storia, quello della giustizia poetica nella finzione. La figlia Adèle, tornata pazza dall’America, deve essere rinchiusa, non ne uscirà più. Nel 1876, eletto senatore, interviene per l’amnistia dei comunardi, non cesserà di battersi fino all’amnistia totale. Questa sua posizione di "clemenza implacabile" si trova anche in L’arte di essere nonno (1877), dove nipotini e popolo si confondono, come il buon nonno si sovrappone a un Dio che tende all’anarchia. Dal 1878 al 1881 appaiono una serie di poemi scritti principalmente durante l’esilio: Il Papa, La suprema pietà, L’asino, I quattro venti dello spirito. Rieletto senatore nel 1882, pubblica il dramma Torquemada, denuncia del fanatismo dell’Inquisizione che faceva originariamente parte del Teatro in libertà, ma che ora serve efficacemente per protestare contro i pogrom in Russia. L’anno seguente muore Juliette, questa "donna ammirevole". Hugo non le sopravvive a lungo, muore il 22 maggio 1885. Il suo funerale di Stato è seguito da più di un milione di parigini. La sua intelligenza del cuore è riuscita a parlare alle masse, il suo genio un poco deforme, come dice Stevenson, di una forza "epilettica", è stato accusato di verbalismo. Hugo crede nel verbo, anche se la sua poetica è immanentista: Dio è l’Infinito vivente e il super-naturale è ciò che sfugge ai nostri organi e che il poeta sfida ripetutamente senza successo. È la sua forza e il suo limite. Talvolta mago, talvolta apprendista stregone, con le quattro corde della sua lira, il canto del divenire, il dramma più farsa che tragedia, il satirico saturnale e l’epica del basso, sprigiona dal calderone del suo vocabolario quella "stregoneria evocatrice" di cui parla Baudelaire a proposito della poesia. Con i suoi Quasimodo, Gavroche o Radoub, ha segnato tutto un immaginario collettivo che va al di là della Francia.