HUGO, Victor-Marie
Nacque a Besançon il 26 febbraio 1802, morì a Parigi il 22 maggio 1885. Suo padre, Léopold-Sigisbert (1774-4828) che il poeta volle far credere d'origine nobile, fu generale napoleonico e insignito del titolo di conte, ma era nato di popolo, figlio d'uno stipettaio di Nancy. Sua madre, Sophie Trébuchet, era di buona razza borghese, figlia d'un armatore di Nantes. Tutti e due, del resto, un po' letterati: la madre, infaticabile lettrice e, per questo, trascurata nell'educare i figlioli; il padre, autore di scritti militari tecnici, di memorie della sua vita di soldato e perfino d'un romanzo, L'aventure tyrolienne, pubblicato (1826) quando già cominciava ad affermarsi la gloria del figlio. Da questo matrimonio, che in seguito non fu felice, erano nati, prima di Victor, Abel (1798-1855), autore di parecchie opere storiche e critiche e d'una traduzione del Romancero, e Eugène (1800-1837), poeta anche lui, impazzito a ventidue anni in seguito a un amore disgraziato. V.-M. e i suoi fratelli soggiornarono da ragazzi in Italia e in Spagna, dove il colonnello (poi generale) Hugo aveva seguito il re Giuseppe Bonaparte nei suoi spostamenti. Ma fra questi due soggiorni, che forse non furono senza efficacia sulla futura ispirazione del poeta, e dopo il secondo di essi, non va dimenticato il tempo trascorso a Parigi presso la madre nel vecchio monastero abbandonato delle Feuillantines, in quel giardino inselvatichito che ha ispirato una delle più belle poesie di Les Rayans et les Ombres e una, anche bella, delle Contemplations, e a cui il poeta settantenne pensava con tenerezza durante il bombardamento di Parigi. Dal 1815 al 1818 (il general Hugo era stato destituito dalla Restaurazione e si era separato dalla moglie) Victor visse nel convitto Cordier dove avrebbe dovuto preparare i suoi esami d'ammissione all'École Polytechnique. Ma non ne fece nulla e uscì dal convitto deciso a darsi tutto alle lettere. Le sue opinioni politiche sono in questo tempo nettamente monarchiche, come quelle di sua madre. Egli è sotto il fascino di Chateaubriand e di Lamennais e per difendere nel campo delle lettere le idee che quei due campioni del trono e dell'altare sostenevano nel loro giornale, Le Conservateur, fonda con suo fratello Abel Le Conservateur littéraire (1819-1821). È una palestra in cui il giovane scrittore fa le sue prime prove di romanziere e di poeta, bene agguerrito grazie agli eccellenti studî retorici che aveva compiuti nel convitto Cordier. Nel Conservateur littéraire apparve il primo abbozzo di quello che sarà (1826) il romanzo esotizzante Bug-Jargal, che si svolge fra i negri di San Domingo e in cui è palese l'influenza di Chateaubriand, di Byron e soprattutto di Walter Scott. Fra le due redazioni di Bug-Jargal viene a collocarsi Han d'Islande (1823), altro romanzo esotizzante ma più ancora romanzo "nero", cioè ispirato a quel gusto del macabro che l'Inghilterra aveva messo di moda e che in Francia s'era diffuso, presso differenti categorie di lettori, per opera specialmente del visconte d'Arlincourt e di Ch. Nodier. Per una dissociazione che può sembrare strana, ma che la solida formazione retorica spiega chiaramente, V. H. in questo tempo indulge nel romanzo alle novità romantiche, anzi vi si immerge con delizia, mentre in teoria difende il classicismo e classicista appare nei componimenti poetici, in cui di deliberatamente romantico non c'è che l'esclusione della mitologia ed è invece ben visibile, fra qualche modulazione lamartiniana, il ricordo dei lirici francesi del Seicento e del Settecento. Il senso della costruzione e il gusto dell'amplificazione rimarranno del resto segni caratteristici della forma di V. H.; ma quest' eredità umanistica, che egli ha assimilato più forse d'ogni altro suo contemporaneo, si fonderà in seguito con altre qualità ben altrimenti originali a dare al suo stile quel magnifico inimitabile timbro. Le Odes et poésies diverses, di fattura, dunque, sostanzialmente classica e di ispirazione caldamente cattolica e monarchica, apparvero nel 1822. Tutti i temi della Restaurazione vi sono cantati, dal martirio del piccolo Luigi XVII all'insurrezione vandeana, dall'assassinio del duca di Berry alla nascita e al battesimo del duca di Bordeaux: Napoleone è ancora "Buonaparte" (la reintegrazione del dittongo è caratteristica della letteratura reazionaria) e additato ai popoli come una bieca meteora, un falso dio. Luigi XVIII premia con una pensione di mille franchi, portata poi a duemila, il giovane poeta legittimista, che può così realizzare il suo sogno d'amore sposando la bellissima Adèle Foucher (1803-1868: Lettres à la Fiancée, 1820-1822, pubblicate nel 1901).
Anticipando gli avvenimenti, diremo che da questo matrimonio nacquero cinque figli, di cui quattro premorirono al padre: un primogenito che visse appena due mesi (1823); Léopoldine (1824-1843, sposata a Ch. Vacquerie e con lui, quasi all'indomani delle nozze, travolta da una burrasca nella Senna e miseramente annegata: si veda il quarto libro delle Contemplations, una delle non molte cose di V. H. in cui egli è veramente poeta del cuore); Charles (1826-1871, vivace giornalista, autore d'una commedia e d'una riduzione per il teatro dei Misérables); François-Victor (1828-1873, autore, fra l'altro, d'una traduzione di tutte le opere di Shakespeare); Adèle (nata nel 1830, impazzita poco dopo i trent'anni e morta vecchissima in un manicomio, dopo più di mezzo secolo di reclusione). Il matrimonio Hugo-Foucher, se dal punto di vista dei rapporti fra i coniugi fu meno disgraziato di quello Hugo-Trébuchet, conobbe anch'esso dissapori e turbamenti: sia per la relazione, ancora molto discussa nei particolari, fra la signora V. H. e Sainte-Beuve, sia per il legame che unì il poeta all'attrice Juliette Drouet (1806-1883, ispiratrice, fra l'altro, della famosa Tristesse d'Olympio nella raccolta Les Rayons et les Ombres) e per quello (dal 1844 al 1851, doppia infedeltà, verso Adèle e verso Juliette) con l'intellettuale signora Biard; amori ai quali ne seguirono molti altri, tanto più esuberanti quanto più tardivi.
Dopo la prima raccolta di versi vennero nel 1824 le Nouvelles Odes, nel 1826 le Odes et Ballades e nel 1828, con lo stesso titolo, l'edizione complessiva e definitiva. Non molto interessanti per le idee letterarie esposte nelle prefazioni e che mostrano tuttavia il sempre maggiore avvicinamento di V. H. alle teorie dei romantici, queste raccolte rivelano un V. H. sempre piùi ricco di mezzi espressivi. Notevoli soprattutto le ballate, di cui alcune (La chasse du Burgrave, Le pas d'armes du roi Jean) sono veri capolavori d'acrobazia ritmica: il senso del pittoresco medievale vi è preciso e vivo, e Sainte-Beuve ne coglie bene il significato, quando le paragona a vetrate gotiche, anche per le spezzature del ritmo sulla frase poetica, simili a quelle del vetro sulla pittura. V. H., che aveva frequentato il primo cenacolo romantico, quello di Ch. Nodier all'Arsenal, dopo il dramma Cromwell (1827) è riconosciuto capo della nuova scuola e accoglie nella propria casa un secondo cenacolo, più risolutamente innovatore del primo.
Cromwell, che per la sua lunghezza e l'eccessiva moltitudine dei personaggi non fu mai rappresentato, è importante come tentativo di portare la storia sulla scena, come voleva la poetica romantica, ma segna soprattutto una data storica per la sua ampia ed eloquente prefazione, il più famoso dei manifesti romantici. Le idee nuove che questo discorso presenta sono in fondo ben poche, ma anche a quelle vecchie di mezzo secolo e in genere a tutto ciò che deriva via via da Diderot e dai teorici settecentisti francesi, da Lessing, da Schlegel e dai romantici tedeschi, da Chateaubriand, da Madame de Staël, dal Manzoni, e via di seguito, V. H. sa dare una vivacità e una risonanza che dovevano fare grande impressione sui contemporanei. Fra le idee non nuove ma efficacemente ripresentate, i luoghi comuni inorpellati e le puerilità pretensiose, una teoria però vi predomina che V. H. ricava dalle viscere stesse del suo genio di poeta e a cui, proprio per questo, doveva rimaner fedele per tutta la vita: la teoria del grottesco. Il grottesco, che è come una deformazione allucinatoria e subsannante della vita reale, è già in germe in Bug-Jargal e in alcune ballate, ma sarà poi una nota costante della poesia vittorughiana.
Nel 1829 appaiono Les Orientales, altro notevolissimo segno del suo grandioso sviluppo artistico. Il filellenismo di moda, a cui il poeta sembra ispirarsi, è in realtà poco più d'un pretesto per sfoggiare in pitture esotizzanti una tavolozza di smaglianti colori. V. H. stesso ne ha più o meno coscienza, se nella prefazione sembra voler isolare questo "livre inutile de pure poésie" dal tumulto della vita pratica ambiente. Non a caso i poeti dell'arte per l'arte, i costruttori dell'estetica parnassiana, si appelleranno alle Orientales, in cui d'altra parte avevano il primo grande esempio, nel nuovo secolo, d'una lirica luminosa, plastica, musicale, che nel giuoco delle rime e nell'orchestrazione del verso cercava di rendere, e talora rendeva, l'infinito delle sensazioni: forma, colore, luce, profumo. Enorme fu l'impressione sui giovani. Nelle Orientales V. H. è già il grande poeta che non può pensare se non per immagini o, per meglio dire, che giunge al pensiero attraverso l'immagine, mediante un istintivo allargarsi di questa in mito più o meno elaborato. Ed è già il grande poeta visionario che ingigantisce le forme reali e comunica agli oggetti inanimati una vita intensa e misteriosa (si veda, per es., Le feu du ciel, con la rievocazione della mostruosa Babele).
Se la prefazione di Cromwell è la prima affermazione di V. H. teorico del romanticismo e Les Orientales la prima affermazione di lui poeta lirico, Hernani (1830) è la sua prima affermazione sulla scena. La contrastata vittoria di questo dramma, di cui Th. Gautier e Adèle Foucher ci han descritto in vivaci racconti l'impressione sulla platea classicista e sulla piccionaia romantica del ThéâtreFrançais, segna un'altra data capitale nella storia del romanticismo. Hernani, incarnazione del bandito leale e generoso messo di moda dalla morale romantica, era stato preceduto di qualche mese da un altro dramma, Marion Delorme: in esso s'incarna un altro mito romantico, quello della prostituta redenta dall'amore; ma la censura della Restaurazione lo proibì e la rappresentazione non poté aver luogo che dopo la Rivoluzione di Luglio, nel 1831.
Già prima del nuovo regime le idee politiche di V. H. si erano andate via via modificando in senso liberale. Ora l'entusiasmo che già era vivo in lui per l'epopea napoleonica, la concezione liberale dello stato, un idealismo umanitario che gli fa credere sempre più d'essere destinato, in quanto poeta, a una missione di pastore di popoli, dànno alla sua eloquenza, se non sempre alla sua poesia, nuovo soffio e nuovi accenti. Egli accoglie del resto gli echi del movimento politico e li rende con la magia del suo verbo, piuttosto che mescolarsi al movimento stesso. Nel 1841 viene eletto membro dell'Académie Française. È il riconoscimento della sua fervida attività. Nel decennio che va dalla Rivoluzione di Luglio all'entrata nell'Accademia egli pubblica, oltre Marion Delorme, ben sei drammi (Le Roi s'amuse, 1832, in versi; Lucrèce Borgia, 1833, in prosa; Marie Tudor, 1833, in prosa; Angelo, 1835, in prosa; Ruy Blas, 1838, in versi); due romanzi (Notre-Dame de Paris, 1831; Claude Gueux, 1834; e nel 1829 aveva pubblicato il macabro Dernier jour d'un condamné); quattro raccolte di versi (Les Feuilles d'automne, 1831; Le Chants du crépuscule, 1835; Les Voix intérieures, 1837; Les Rayons et les Ombres, 1840); un libro di storia politica (Étude sur Mirabeau, 1834); una raccolta d'articoli varî (Littérature et philosophie mêlées, 1834).
Così nel teatro come nel romanzo i personaggi di V. H. non vanno considerati quali caratteri che debbano la vita a un lavoro di fine e appassionata analisi introspettiva, come in Stendhal, o a un potente soffio creatore, come in Balzac: essi sono, come s'è detto, simboli o incarnazioni di miti romantici, presentati coi chiaroscuri violenti delle antitesi in cui si dibattono. Ma quest'impalcatura, che potrebbe far pensare, mutatis mutandis e astrazion fatta dalla magnifica retorica, a una lontana filiazione dalle tragedie e drammi a tesi di Voltaire e di Diderot, e i macchinosi mezzi scenici, che potrebbero ricordare i procedimenti di Crébillon, non debbono far dimenticare gli effetti prestigiosi, anche se brutali, che V. H. sa ricavare dall'evocazione dell'ambiente. Non si tratta già di color locale; o piuttosto è color locale, ma in un senso tutto vittorughiano, interpretato da V. H. con quella sua potenza di visionario che non evoca in Hernani la Spagna di Carlo V e in Ruy Blas quella di Carlo II e in Notre-Dame de Paris la Parigi di Luigi XI, ma una Spagna e una Parigi che appartengono a una storia e a una geografia di sogno vagamente confinanti con la storia e la geografia reali. È stato giustamente osservato che in Notre-Dame de Paris la grande cattedrale gotica non solo vive una propria vita organica, quasi una favolosa creatura prigioniera della pietra, ma appare più gigantesca di quel che è in realtà, come in una tragica stampa suggestivamente infedele: è sempre la fantasia mitica di V. H., quella che quarant'anni più tardi susciterà in Quatre-vingt-treize il terrificante spettacolo d'un cannone scatenato come una belva sulla tolda d'un bastimento. Un esempio di quel che possa questa fantasia nel plasmare un personaggio si ha nel Don César de Bazan di Ruy Blas, una delle più possenti incarnazioni del grottesco vittorughiano.
Nelle quattro raccolte di liriche di cui più su abbiamo dato il titolo, V. H. tocca corde diverse: quella familiare e intimista o la elegiaca nelle Feuilles d'automne, la patriottica e politica più volentieri nei Chants du crépuscule, variamente le une e le altre nelle Voix intérieures e nei Rayons et les Ombres, non senza atteggiamenti moralistici e filosofici che sono senza dubbio rappresentativi del clima storico in cui il poeta viveva e attestano anch'essi quel ch'egli disse di sé ("Mon âme aux mille voix, que le Dieu que j'adore - Mit au centre de tout comme un écho sonore", Feuilles d'automne, I), ma d'altra parte, proprio perché atteggiamenti, rischian di nuocere alla comprensione della vera natura poetica di V. H. Indiscutibilmente queste raccolte segnano un progresso rispetto alle Orientales. Il poeta nei suoi momenti migliori crea potentemente il suo ritmo, sale dalla sensazione al mito con una così agile forza, con un così spontaneo "crescendo" del suo sensuale misticismo da dar l'impressione d'una fantasia di primitivo rifiorita nella Francia moderna. Fra i più splendidi esempi sono da additare a questo proposito La vache, nelle Voix intérieures, e, nei Rayons et les Ombres, Écrit sur la vitre d'une fenêtre flamande: esempî anche, con tanti altri, di quella "couleur ensoleillée" che un critico intelligente e ostile, Veuillot, ammirava nel poeta da lui vilipeso, e prove bellissime contro due altri critici anch'essi acuti e malevoli, L. Daudet e P. Claudel, che ricorrono a procedimenti freudiani per sostenere che la fantasia di V. H. era naturalmente e unicamente orientata verso l'atroce e il macabro.
Due avvenimenti, nel 1843, determinano nella vita letteraria di V. H. un'interruzione che si prolunga per un decennio: la tragica fine della figliola Léopoldine e, poco prima, l'insuccesso d'un nuovo dramma in versi, Les Burgraves. Dal punto di vista del color locale trasfigurato e allucinante Les Burgraves sono una delle più poderose creazioni di V. H. La prima ispirazione risale probabilmente a un viaggio che nel 1838 egli aveva fatto nei paesi renani e di cui nel 1842 aveva dato la descrizione sotto forma d'una raccolta di lettere, Le Rhin. Le idee di nazionalità, che allora appassionavano gli animi, e i chiari richiami all'impero napoleonico, davano al dramma un forte sapore d'attualità. Ma il pubblico, che ormai da cinque anni andava ad applaudire le tragedie classiche ripresentate sulla scena dalla Rachel, era stanco di figurazioni romantiche, ed ebbe il torto di non apprezzare l'illusione grandiosa di epicità che dava V. H. mettendo in iscena, in un maniero renano, quei suoi fieri castellani vecchioni e quel Federico Barbarossa centenario che esce dalla tomba per salvare la Germania dalla rovina. V. H. entra allora nella vita politica, spintovi anche dalla sua nuova amante, la signora Biard. Nel 1845 Luigi Filippo lo crea pari di Francia. Della sua attività alla Camera dei pari e delle sue cordiali relazioni col re e con la famiglia reale il poeta discorre a lungo in Choses vues (libro postumo, uno dei suoi più interessanti, per le linee e i colori con cui la realtà si riflette in questo spirito eminentemente visuale: sono scene autobiografiche distaccate, dalla Restaurazione alla terza Repubblica, e aprono un prezioso spiraglio sulla genesi delle finzioni artistiche di V. H.).
Deputato nel 1848 all'Assemblea costituente, e ormai più democratico che liberale, nel 1849 è fra i più ardenti sostenitori del regime repubblicano e avversario del principe-presidente. Dopo il colpo di stato del 2 dicembre 1851, è tra i proscritti. Da Bruxelles, dove si fermò qualche mese, e poi dalle Isole Normanne Jersey e Guernesey (in quest'ultima, a Hauteville-House, trascorse la più gran parte dell'esilio) non cessò di fulminare quel Secondo Impero, al cui sorgere egli aveva involontariamente contribuito con le sue accese evocazioni della leggenda napoleonica. Contro Napoleone III scrive due violenti libelli in prosa, Histoire d'un crime (pubblicato però soltanto nel 1877) e Napoléon le petit (1852), e una raccolta di poesie satiriche, Les Châtiments (1853), in cui, come il titolo annunzia, il poeta si erige a vendicatore della libertà e a giustiziere dei liberticidi. Anche qui l'atteggiamento egotistico e la truculenta retorica nuocciono al poeta, e possono giustificare, dal punto di vista del buon gusto morale ed estetico, la cruda definizione di Veuillot: "Jocrisse à Patmos". D'altra parte questo atteggiamento e questa retorica fanno di lui un simbolo a cui tutto il mondo guarda. Si rivolgono a lui, caldo sostenitore della causa italiana, Mazzini e Garibaldi, e ne ricevono aiuto alla loro propaganda; da per tutto si richiede il suo intervento quando è pronunciata una sentenza di morte, e l'intervento è spesso efficace; il suo niome è invocato dovunque si parla di nazionalità oppresse, di pace tra i popoli, di affrancamento del proletariato. Giova alla sua popolarità il suo rifiuto a beneficiare dell'amnistia promulgata da Napoleone III nel 1859, quel suo sdegnoso confinarsi nella sua isola, che nell'immaginazione delle folle assume l'aspetto della roccia di Prometeo o di una Sant'Elena che chiuda un Napoleone martire della libertà.
Letterariamente questi diciott'anni d'esilio sono molto fecondi. Oltre i libri già ricordati, altri ne pubblica via via, varî di mole e d'ispirazione. Les Contemplations (I856) è una raccolta di versi in cui la parte indiscutibilmente più bella è quella ispirata dal dolore per la morte di Léopoldine (tutto il quarto libro, Pauca meae, e la poesia che chiude il volume, A celle qui est restée en France): non sono i componimenti d'altra ispirazione (umanitaria e filosofica) che stonano nella raccolta, ma quelli d'una ispirazione che sembra offendere il pudore familiare, quelli in cui la sensualità erotica del poeta si effonde ingenuamente beata. Questa ispirazione faunesca riapparirà, potenziata dalla coscienza di cogliere e fissare la sensazione mediante felicissimi accorgimenti tecnici, nelle Chansons des rues et des bois (1865): non a torto Veuillot paragonò il poeta ai vecchioni insidiatori della Susanna biblica; ma son proprio di Veuillot le parole che meglio definiscono la sostanza poetica della raccolta: "Pieno, sonoro, d'una sicurezza, d'una nitidezza, d'un rilievo maravigliosi. Poca ovatta, poche zeppe. È una carne viva e soda, che balza per il solo vigore dei muscoli e palpita per il solo calore del sangue. Vorrei poter dire che questa raccolta è il più bell'animale che esiste in lingua francese". E si vorrebbe aggiungere che V. H. è, qui, già parnassiano, se i parnassiani non avessero mortificato e congelato quello che in V. H. vive e palpita. Tra le Contemplations e le Chansons abbiamo la prima Légende des Siècles (1859), che sarà seguìta da una seconda serie nel 1877 e da una terza nel I883. Sono poemetti d'argomento leggendario o storico, ordinati come visioni che si susseguano secondo le varie età del mondo. Parlare a questo proposito di poesia epica può essere equivoco, se non si dia all'aggettivo "epico" un senso molto speciale, come abbiamo fatto noi toccando dei Burgraves. Epico è in questo senso il soffio che anima queste fantasie grandiose, in cui V. H. ci ha dato la sua visione della storia. Visione, diciamo, e ci guardiamo bene dal parlare, come altri han fatto, di resurrezione storica: perché le sue evocazioni tengon più spesso della trasfigurazione fantastica e perfino dell'allucinazione mistica, anche se talvolta divinatrice, che non della sicura intuizione e della comprensione pacata nella sua larghezza e continuità. Delle tre serie della Légende i più bei poemi appartengono senza dubbio alla prima: Le mariage de Roland, Le petit roi de Galice, Eviradnus, Le Satyre, e la gemma della raccolta, l'idillio biblico Booz endormi, dove lo spirito del poeta sembra riposarsi nella melodia lineare, grave, augusta, che accompagna le opere georgiche, il calar della notte sui campi fecondi, e la veglia della timida Rut ai piedi del vecchio grande e buono addormentato fra le biche.
Les Misérables (1862), ampio romanzo in cui l'umanitarismo di V. H. si colora fortemente di socialismo, è l'opera più popolare del grande scrittore. Il sublime forzato Valjean (ultima incarnazione del generoso bandito romantico); l'angelico vescovo Myriel; il poliziotto Javert e la banda Thénardier; Gavroche, il birichino di Parigi; Fantine, la sublime ragazza-madre (altro mito romantico aggiornato al lume dell'umanitarismo socialisteggiante); la piccola Cosette, salvata da Valjean e da lui cresciuta sino al matrimonio d'amore con l'eroe romantico Marius, il quale, come V. H., è egualmente entusiasta di Napoleone e degl'ideali di libertà; Enjolras, che simboleggia quanto v'è d'ideale nell'insurrezione; tutte queste figure, e le potenti scene che si susseguono nel grande romanzo-poema (celebre l'evocazione della battaglia di Waterloo) vivono e vivranno nella fantasia del popolo, il quale non esige profondità e finezza di psicologia, ma emozioni e visioni. Vi è del resto nei Misérables un'intuizione poetica della vita popolare che s'impone anche a lettori meno ingenui. Appartengono all'esilio altri due romanzi: Les Travailleurs de la mer (1866), in cui l'episodio saliente è la lotta del marinaro Gilliatt con una piovra gigantesca, e L'Homme qui rit (1869), storia d'un saltimbanco orribilmente mutilato che poi, scopertosi discendente d'una grande famiglia inglese ed entrato in possesso dei suoi titoli e beni, diviene il difensore infaticabile dell'umanità oppressa. Di mediocre interesse, salvo alcuni squarci grandiosi, lo studio William Shakespeare (1864).
V. H. ritorna in Francia appena gli giunge la notizia che il Secondo Impero è crollato. Rimasto a Parigi durante l'assedio, è eletto deputato all'Assemblea nazionale, ma si dimette per protestare contro l'accoglienza ostile che la destra aveva fatto all'elezione di Garibaldi, inviato all'Assemblea da quattro dipartimenti. Nel 1876 è nominato senatore, e se non prende parte attiva alla vita politica, è considerato dalle sinistre come un patriarca e un oracolo. L'artista declina; ma è un tramonto ricco di grandiosi bagliori. Oltre la seconda e terza serie della Légende des Siècles, ancora ben sette raccolte di versi: L'Année terrible (1872, sugli avvenimenti del 1870-71); L'Art d'être grand-père (1877, che canta l'infanzia dei nipotini Georges e Jeanne); Le Pape (1878, ispirato a un messianismo-umanitario e anticlericale); La Pitié suprême (1879); L'Âne (1880, simbolo della bontà degl'istinti contro la scienza orgogliosa e sterile); Religions et Religion (1880); Les Quatre Vents de l'esprit (1881). Il romanzo storico, Quatre-vingt-treize (1873). Un dramma, Torquemada (1882, in cui la feroce intolleranza del celebre inquisitore è messa in contrasto con l'evangelismo di S. Francesco di Paola). Quattro volumi di scritti politici, Actes et paroles (1875-1885).
Quando V. H. morì, carico di anni e di gloria, dopo un'agonia durata otto giorni, tutto il mondo partecipò al lutto della Francia. Le esequie furono trionfali: la salma, deposta per una notte sotto l'Arco di trionfo dei Campi Elisi, fu vegliata da dodici poeti. La pubblicazione delle opere postume, numerosissime, fu subito iniziata, e non è ancora ultimata. Oltre le già menzionate, ricorderemo Théâtre en liberté (1886, che in qualche modo s'ispira al teatro fiabesco di Shakespeare) e il poema La Fin de Satan (1886). La apoteosi doveva necessariamente esser seguita dalla reazione, che infatti venne, violenta e paradossale, con le nuove generazioni. Oggi, ristabilito l'equilibrio, cioè vagliate sine ira et studio le qualità superiori e le inferiori dell'uomo e dell'artista, non si può non riconoscere in V. H. una delle più meravigliose apparizioni che si siano mai avute nella storia della poesia.
Ediz.: Øuvres complètes (N4 varietur), di sui manoscritti originali, Parigi 1880-1889, voll. 48; id., Parigi 1888 e segg., voll. 70; id., ediz. nazionale illustrata, Parigi 1884-1895, voll. 43; id., ediz. definitiva a cura di P. Meurice e G. Simon esecutori testamentari di V. H., Parigi 1904 e segg. (è ancora in corso di pubblicazione e consterà di voll. 41, di cui 27 già usciti). Øuvres inédites, Parigi 1888-1890, voll. 7; id., Parigi 1886-1893, voll. 10; id., Parigi 1888-1901, voll. 7; La Préface de Cromwell, a cura di M. Souriau, Parigi 1897; La Légende des Siècles, a cura di P. Berret (collezione "Les Grands ecrivains de la France"), Parigi 1920 segg. (in corso di pubbl.: le due prime serie, già pubblicate, occupano 3 voll.); Les Contemplations (collez. cit.), a cura di J. Vianey, Parigi 1923, voll. 3.
Bibl.: Madame A. Hugo, V. H. raconté par un témoin de sa vie, voll. 2, Bruxelles 1863; Ch.-A. Sainte-Beuve, Premiers Lundis, I e II, Parigi 1875; id., Portraits contemporains, I e II, Parigi 1870-71; id., Mes Poisons, Parigi 1926, pp. 36-57; F. De Sanctis, Saggi critici, II (sulle Contemplations); L. Veuillot, Études sur V. H. (raccolta postuma d'articoli), Parigi 1885; E. Biré, V. H. avant 1830; id., V. H. après 1830; id., V. H. après 1852, Parigi 1883-1894, voll. 4; É Faguet, V. H., in Dix-neuvième siècle: Études littér., Parigi 1887; E. Dupuy, V. H., l'homme et le poète, Parigi 1886; nuova ed., 1890; C. Renouvier, V. H., le poète, Parigi 1893; id., V. H., le philosophe, Parigi 1900; A. Galletti, L'opera di V. H. nella letteratura italiana, Torino 1904 (supplemento 7 del Giornale storico della letteratura italiana); E. Rigal, V. H. poète épique, Parigi 1900; Lecons faites à l'École Normale Sup., sotto la direzione di F. Brunetière, Parigi 1902, voll. 2; P. Stapfer, V. H. à Guernesey, Parigi 1903; G. Simon, L'enfance de V. H., Parigi 1904; E. Dupuy, La jeunesse des romantiques, V. H., Parigi 1905; P. Berret, La philosophie de V. H. et deux mythes de la Légende des siècles, Parigi 1910; id., Le Moyen âge dans la Légende des siècles et les sources de V. H., Parigi 1911; L. Barthou, Les amours d' un poète, Parigi 1919; M. Rudwin, Bibliographie de V. H., Parigi 1927; Escholier, La vie glorieuse de V. H., Parigi 1928; D. Saurat, La religion de V. H., Parigi 1929.