VIDEODANZA
Forma intermediale per antonomasia, la v. designa fin dagli albori un ampio spettro di sperimentazioni che nascono dal dialogo tre due arti del movimento, il film/video e la danza, e che spaziano tra stili, formati e generi come coreografie create specificamente per il video o film, riprese di un’opera coreografica dal vivo, documentari su artisti e tradizioni coreutiche, lavori che utilizzano tecnologie digitali e installazioni interattive, per citarne solo alcuni.
La questione nominale è il primo livello di analisi che alcuni teorici hanno recentemente proposto per fare il punto su questo genere, in quanto, a seconda della denominazione utilizzata, si pone l’accento su alcuni aspetti stilistici e tecnici di queste produzioni trascurandone altri. Laddove, infatti, screendance si riferisce a qualsiasi tipo di mediazione filmica della danza e della coreografia conferendo importanza soprattutto alla fruizione sullo schermo da parte dello spettatore, i termini videodance/videodanza enfatizzano gli aspetti materiali e stilistici di entrambi i linguaggi in questione, i termini filmdance e ciné-danse situano questi lavori all’interno della storia del cinema, e infine dance for camera sottolinea quanto il linguaggio della danza determini quello filmico pur essendone al servizio. Questa grande apertura continua a essere insieme il punto di forza del genere v., ma anche di debolezza perché, sfumando i contorni, gli spettatori faticano a seguirne da vicino le trasformazioni, che tendono a restare oggetto di interesse di un gruppo ristretto di addetti ai lavori e di specialisti, poco stimolati da una massa critica di alto livello.
I festival e le competizioni internazionali fungono da principali catalizzatori del pubblico favorendo anche gli scambi con gli artisti, che altrimenti lavorano perlopiù in isolamento. Alcune di queste realtà vantano una lunga tradizione come Cinedans (Paesi Bassi) e Dance on Camera (Stati Uniti), altre sono più recenti come Vidéo Danse de Bourgogne (Francia), Dancescreen (Austria), Dança em fogo (Brasile) e Idill, nato dalla collaborazione di più Paesi (Belgio, Francia, Gran Bretagna), mentre altre ancora che dopo decenni sembrano avere purtroppo esaurito il loro corso, come Il coreografo elettronico (Italia). Le molte difficoltà finanziarie che la danza ha conosciuto più di altri settori hanno contribuito non poco, e con le dovute eccezioni, al progressivo disinvestimento da parte di coreografi e registi in questo settore della ricerca artistica, almeno per quanto riguarda le produzioni tecnicamente più complesse. D’altro canto, la rete Internet ha certamente offerto un grande incentivo alla distribuzione e alla divulgazione di queste opere, come dimostra la centralità acquisita dalla videoteca on-line Numeridanse.tv. La diversa modalità di fruizione in rete ha anche sollecitato la nascita di nuovi formati, come il concorso One minute dance film, ideato da Cinedans e importato in Italia dalla rete COORPI (COORdinamento danza PIemonte). Infine, dopo un’iniziale infatuazione per le possibilità offerte dal 3D, anche questo aspetto della sperimentazione sembra avere subito una battuta d’arresto sia per la difficoltà di avanzare nella ricerca tecnica, sia per gli elevati costi di realizzazione.
La v. sembra dunque vivere una fase di passaggio in cui si spera che le grandi potenzialità da esplorare non si perdano sia sul piano artistico, sia su quello didattico e scientifico, e dunque come strumento per favorire la documentazione, trasmissione e diffusione della cultura della danza. In questo senso uno dei lavori più rappresentativi degli ultimi anni è sicuramente il film di Thierry De Mey One flat thing, reproduced (2008), dell’omonimo spettacolo coreografico di William Forsythe, che è divenuto oggetto anche di Synchronous Objects, un’originale serie di visualizzazioni (video, digitali, di animazioni e grafica interattiva) capaci di rivelare ogni dettaglio dell’organizzazione coreografica dell’opera e frutto della collaborazione tra la Forsythe Company e l’Advanced computing center for the arts and design (ACCAD) presso l’Ohio State Unversity.
Bibiliografia: Envisioning dance on film and video, ed. J. Mitoma, E. Zimmer, D.A. Stieber, New York-London 2003; E. Branning, Choreography and the moving image, New York 2011; D. Rosenberg, Screendance. Inscribing the ephemeral image, New York 2012.