Videro li occhi miei quanta pietate
Sonetto della Vita Nuova (XXXV 5-8), su schema abba abba; cde edc, presente nella tradizione ‛ organica ' del libro e delle sue rime e nella Giuntina del 1527. È il primo dei quattro dedicati alla gentile donna giovane e bella molto (XXXV 2) che si mostra pietosa del dolore di D. per la morte di Beatrice, sì da ispirargli a poco a poco un nuovo e contrastato sentimento di amore (cfr. Color d'amore e di pietà sembianti, Vn XXVI 4-5; L'amaro lagrimar che voi faceste, XXVII 6-8; Gentil pensero che parla di vui, XXXVIII 8-10). Questo, però, sarà rintuzzato, dopo alquanti die, dal ritorno definitivo del poeta a Beatrice, e allora il desiderio a cui il suo cuore sì vilmente s'avea lasciato possedere apparirà come un avversario de la ragione (XXXIX 1). In questo primo sonetto la vicenda è colta nel momento germinale: la pietà della donna commuove D., che si allontana da lei per nascondere le lagrime, ma nel contempo intuisce che tale compassione è indice di anima gentile e quindi naturalmente disposta a nobilissimo amore.
Anche qui, come nei tre capitoli successivi, la prosa approfondisce le ragioni psicologiche e narrative, gareggiando spesso vittoriosamente con la poesia. Rispetto al momento della lode, si avverte, nell'una e nell'altra, una raffigurazione di atmosfere più quotidiane, un'osservazione psicologica più realistica, che si richiama alla tradizione ovidiana; e anche una minore volontà d'idealizzazione mitica e una tonalità più discorsiva, volta, soprattutto in questo sonetto, a definire limpidamente il movimento e le pause della narrazione, con una partecipazione emotiva sommessa e discreta. Per il significato dell'episodio nella storia configurata dal libro, si può istituire un raffronto coi quattro componimenti connessi al momento delle donne-schermo: in ambedue i casi si parla di una deviazione (regio dissimilitudinis) e di un successivo ritorno (che è poi, in realtà, una conquista) al centrum circuli, all'amore perfetto e nobilitante. Ma anche la differenza è sensibile: c'è stato, fra i due momenti, lo stilo de la loda, con la corrispondente elevazione etica e conoscitiva, e il risoluto acquisto di una dolcezza che si avverte, qui, nel ripudio di movimenti retorici vistosi e nella purezza del dettato lessicale e sintattico.
Di là dalla Vita Nuova, la breve silloge si connette, per evidenti affinità tematiche, alla canzone Voi che 'ntendendo e, in genere, alle rime per la Donna gentile, che nel Convivio sarà esplicitamente assunta a simbolo della Filosofia e identificata (cfr. II II e XII) con la gentile donna di questi capitoli: quella gentile donna, cui feci menzione ne la fine de la Vita Nuova, parve primamente, accompagnata d'Amore, a li occhi miei... E sì com'è ragionato per me ne lo allegato libello, più da sua gentilezza che da mia elezione venne ch'io ad essere suo consentisse; ché passionata di tanta misericordia si dimostrava sopra la mia vedovata vita, che li spiriti de li occhi miei a lei si fero massimamente amici (II II 1-2). E il passo continua con l'allusione alla battaglia fra il vecchio e il nuovo amore e l'affermazione della vittoria del secondo, in contrasto con quanto è affermato nella Vita Nuova.
Nasce di qui un'ardua questione esegetica, che coinvolge, oltre all'interpretazione del presente episodio, anche quella di tutto il libro, e inoltre il problema della datazione di esso, e quello della cultura e della biografia spirituale del poeta. Indichiamo qui rapidamente le soluzioni proposte relative a questi sonetti, rinviando per il resto alla voce Donna Gentile.
Sottolineando l'incongruenza fra il racconto della Vita Nuova e del Convivio, il Pietrobono sosteneva l'idea di una doppia redazione della parte finale del libro giovanile (combattuta dal Barbi con valide ragioni ribadite di recente dal Marti, ma non ancora del tutto abbandonata), ma propendeva tuttavia per un'interpretazione ‛ realistica ' dell'amore per la gentile donna della Vita Nuova. Di contro il Nardi, anch'egli fautore, sia pur con qualche temperamento, dell'idea della doppia redazione, vi scorgeva un'originaria intenzione allegoristica, sostenuta, in seguito, anche da K. Foster e P. Boyde. Il Barbi, invece, ritrovava una chiara intonazione allegorica nelle due prime canzoni del Convivio, ma non in questi sonetti, scritti, a suo avviso, per una vicenda d'amore reale e solo in un secondo tempo allineati al significato riposto delle canzoni. Per il Montanari, infine, sia i sonetti sia le canzoni sarebbero stati scritti per una donna reale. Certo, nessuna delle soluzioni proposte è inoppugnabile e i racconti della Vita Nuova e del Convivio non collimano perfettamente. Sembra tuttavia poziore la tesi del Barbi, soprattutto per l'esplicito invito a fare mente locale, a giudicare ciascuna delle due opere iuxta propria principia e a non confondere, nella Vita Nuova, realtà biografica e idealizzazione poetica. Inoltre, come avverte il Sapegno, D., offrendo a distanza di anni la spiegazione " allegorica e vera " della Pietosa, intendeva " tradurre la verità empirica ed esteriore in quella reale e filosofica ", senza rinnegare la prima, ma anche senza ricercare coincidenze assolutamente puntuali, seguendo il procedimento tipico della cultura del suo tempo (Sapegno). Si può aggiungere, col Barbi, che la prosa di questo e dei due capitoli seguenti non ha lo scopo di " aprire " alcuna allegoria; anzi, il poeta afferma di non volere " dividere " i sonetti perché il loro contenuto è già sufficientemente chiarito dalle esposizioni in prosa, che, come ogni lettore può vedere, non alludono ad alcun sovrasenso.
In conclusione, sonetti e prose sembrano rientrare di pieno diritto nell'ispirazione essenzialmente poetica, non filosofica o esoterica, del libro, come espressione di una vicenda amorosa connessa alla prospettiva ‛ cortese ', ma trasfigurata da un personalissimo e radicale approfondimento spirituale e lirico. La deviazione e il ritorno a Beatrice ribadiscono il tema centrale dell'amore perfetto come superiore conquista, fondata sulla constanzia de la ragione, ma pur sempre pateticamente insidiata dalla dispersione del senso. Il dilemma razionalismo-misticismo appare peraltro estraneo all'orizzonte culturale del libro, anche se nell'ultima parte di esso è riscontrabile un rinnovato impegno filosofico: si pensi alla questione, accennata in Vn XLI, della difficoltà di conservare un rapporto amoroso con una ‛ sostanza separata ' qual è ora Beatrice, dato che, come D. affermerà poi nel Convivio, l'amore per lei non è più soccorso de la parte [de la vista] dinanzi, ma solo de la parte de la memoria (II II 4).
Bibl. - Oltre ai commenti alla Vita Nuova, a Barbi-Maggini, Rime 136-138, Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 145-146, 149-150, cfr.: L. Pietrobono, Il poema sacro, Bologna 1915, I, 90-109; ID., Il rifacimento della " Vita nuova " e le due fasi del pensiero dantesco, in " Giorn. d. " XXXV (1934), rist. in Saggi danteschi, Torino 1954, 25-98; M. Barbi, Razionalismo e misticismo in D., in " Studi d. " XVII (1933), rist. in Problemi II; ID., introduzione a Busnelli-Vandelli, Il Convivio, I, pp. XXIV-XXXIX; B. Nardi, Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in D., in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 47-52 (la edizione, ibid. 1942); ID., Dalla prima alla seconda " Vita nuova " e Le figurazioni allegoriche e l'allegoria della " donna gentile ", in Nel mondo di D., Roma 1944, 1-40; D. Mattalia, La " Quaestio de mulieribus ", in La critica dantesca, Firenze 1950, 91-151; D.A., La Vita Nuova, a c. di N. Sapegno, ibid. 1957, 108; D. De Robertis, Il libro della " Vita nuova ", ibid. 1970² (1ª edizione, ibid. 1961), 167-173; ID., Le rime di D., in Nuove Lett. I 271-279; V. Pernicone, Le Rime, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 680-682; K. Foster- P. Boyde, Appendix. The biographical Problems in " Voi che 'ntendendo ", in Dante's Lyric Poetry, cit., 341-362; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1968² (1ª edizione 1959), cap. III.