Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La “tirannia della distanza”, la difficoltà di padroneggiare lo spazio a causa dell’arretratezza dei mezzi di comunicazione e delle infrastrutture, è uno dei fattori che più profondamente condizionano l’economia ma anche la politica dell’Europa del Cinquecento. Mentre tuttavia gli itinerari terrestri rimangono grosso modo nelle condizioni dei secoli precedenti, i trasporti marittimi, grazie ai progressi nella costruzione delle navi e nelle tecniche di navigazione, fanno registrare un miglioramento importante e danno un contributo essenziale all’integrazione politica ed economica dell’Europa e del mondo.
I traffici nel Mediterraneo
Le trasformazioni economiche che si registrano nel Cinquecento non sconvolgono sostanzialmente le correnti di scambio intraeuropee, anche se non mancano gli elementi di novità.
Il Mediterraneo, nel corso dei primi decenni del XVI secolo, conserva la sua autonomia e il suo tradizionale ruolo di intermediario tra l’Occidente e l’Oriente. Le esigenze di approvvigionamento alimentare, in particolare delle grandi città del Mediterraneo centro-occidentale permangono e, anzi, a causa della loro espansione demografica, stimolano le correnti di scambio dei cereali e di altri generi alimentari. Questo è un tipo di commercio che ha raggiunto da tempo un elevato grado di specializzazione e che vede convogliare verso i principali porti mediterranei un consistente, benché non costante, surplus di frumento, miglio, orzo, olio e vino.
Che si tratti di un commercio ormai consolidato è provato anche dal tipo di navi che le principali potenze navali e mercantili adottano per il trasporto dei cereali e degli altri prodotti Genova, Venezia e Ragusa dispongono, infatti, di un naviglio costruito essenzialmente per questo genere di commercio, il quale trova nella Sicilia – che nei decenni centrali del secolo esporta in media 26 mila tonnellate di grano all’anno – e nelle Puglie le principali zone esportatrici. Poiché tuttavia il Mediterraneo occidentale non è sempre autosufficiente, le città sono costrette a ricorrere periodicamente e con sempre maggiore frequenza nella seconda metà del Cinquecento – quando in Sicilia e nel Mezzogiorno si susseguono frequenti carestie – all’importazione di grano dal Levante, sul quale grava una sorta di monopolio di Costantinopoli.
Sul finire del secolo inoltre, la crisi che sconvolge i paesi dell’Europa mediterranea apre il Mediterraneo alle flotte e ai mercanti inglesi e olandesi, che collocano sul mercato grandi quantità di cereali provenienti dalle regioni baltiche e consolidano la loro presenza in altri settori commerciali. Nel solo triennio 1590-93 giungono nei porti di Genova e Livorno 550 navi nordiche cariche di grano. Oltre al grano, dal nord giungono materie prime come stagno, piombo, legname e lana greggia inglese destinata alle manifatture delle città italiane.
Per gran parte del Cinquecento tuttavia, la bilancia commerciale rimane favorevole al mondo mediterraneo. Le galere veneziane e fiorentine e le cocche genovesi riforniscono Anversa o Amsterdam delle gross spieces pregiate e costosissime che gli Italiani continuano a importare dall’Asia attraverso i porti del Levante nonostante l’apertura della nuova rotta del Capo da parte dei Portoghesi: pepe, zenzero, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, macis… A queste spezie si aggiungono le cosiddette small spieces – rabarbaro, datteri, aloe, zucchero, uva passa – di provenienza mediterranea e medio-orientale – e i prodotti sofisticati delle manifatture urbane, come i panni di seta e oro e le armature milanesi o i vetri di Murano.
L’Atlantico e il Baltico
Nei porti che si affacciano sul Mare del Nord, i prodotti di provenienza mediterranea e asiatica incontrano quelli, ben diversi, provenienti dal mondo baltico, oltre gli stretti danesi: i cereali innanzitutto, indispensabili per sostenere la crescita demografica delle città fiamminghe, olandesi e inglesi, ma anche il legname, sempre più scarso e caro in Europa occidentale, la cera, l’ambra e le pellicce. L’esportazione di grani suscitata dalla domanda occidentale incide notevolmente sull’economia polacca che, se riesce a far fronte alla richiesta grazie all’asservimento dei contadini nei grandi feudi, diventa tuttavia fortemente dipendente dalla domanda estera di derrate agricole. Il commercio nel e dal Baltico è monopolizzato inizialmente dalla Lega Anseatica che raggruppa una cinquantina di città sottoposte alla guida di Lubecca, ma già dai primi decenni del Cinquecento questo primato è insidiato dall’Olanda che nel corso del secolo fa degli scambi con il Baltico il “commercio madre” su cui fonda la sua prosperità e il suo primato marittimo.
Il lungo sviluppo costiero tra Gibilterra e il Pas de Calais non è però solo uno spazio di transito tra i due mediterranei, quello meridionale e quello costituito dal Mare del Nord e dal Baltico. La sua importanza cresce nel corso del secolo di pari passo con lo sviluppo degli scambi oceanici con l’America e l’Asia. Lisbona e Siviglia sono infatti i terminali dai quali le risorse provenienti dagli Imperi iberici – metalli preziosi e spezie –a vengono redistribuite verso Nord, con Anversa prima e Amsterdam poi come interlocutori privilegiati. Il commercio della fascia atlantica cresce dunque in volume e in varietà per tutto il secolo tanto da poter reggere bene il confronto con quello mediterraneo e con quello baltico. Oltre che di questi traffici a lunga e lunghissima distanza, queste acque sono tramite di scambi tradizionali fra i Paesi del Nord e quelli del Sud basati sulle materie prime – lana spagnola, olive, vino e sale in cambio di pesce, tessuti fiamminghi o inglesi, tele, prodotti della metallurgia e sale, proveniente soprattutto dal Golfo di Biscaglia e indispensabile alla conservazione delle aringhe baltiche e del merluzzo del Mare del Nord e dell’Atlantico. Un insieme di scali marittimi – che da Siviglia portano ad Amsterdam, passando per Lisbona, Bilbao, Bordeaux, Rouen e Londra – assicura il flusso di questo movimento di prodotti.
Limiti e problemi delle comunicazioni terrestri
Se nel corso del Cinquecento le rotte marittime sono state investite da cambiamenti rivoluzionari e hanno accresciuto la loro importanza, i trasporti terrestri non registrano sensibili modifiche. Nonostante i miglioramenti della rete stradale e la maggior regolarità dei corrieri, non si può parlare di rivoluzioni e nemmeno di un reale progresso delle infrastrutture viarie. Il dominante autoconsumo e il persistente sistema dei pedaggi, che per i numerosi diritti di passo rende oltremodo caro il trasporto terrestre, riducono a poca cosa la necessità di trasportare merce da un paese all’altro, ostacolano la costruzione di nuove strade e accentuano l’isolamento e il particolarismo.
Se si eccettuano le poche grandi strade moderne adatte ai carri da trasporto e percorse da ricchi viaggiatori e da merci per lo più di lusso, non v’è dubbio che la rete viaria terrestre dell’Europa del Cinquecento sia costituita da mulattiere sassose e fangose, scarsamente impresse nel terreno, dal fondo naturale, che si snodano lungo sentieri tortuosi, quasi sempre prive di ponti e di altre infrastrutture, oppure da piste strettissime, tracciate nelle pareti dei monti, che costringono a compiere ripide salite e pericolose discese. L’orografia e gli impedimenti geografici rappresentano un forte limite alla costruzione di una più efficiente rete stradale.
I trasporti terrestri sono dunque estremamente lenti, particolarmente costosi e pieni di rischi. Solo alla fine del Trecento era stata aperta una strada percorribile da carri attraverso le Alpi, da Coira a Chiavenna, per il passo Septimer. In precedenza vi erano solo sentieri e mulattiere.
Anche per quanto riguarda i mezzi di trasporto, i progressi sono quasi trascurabili, il che accentua ulteriormente la differenza con quanto avviene nei trasporti via acqua, dove i progressi, sia nella tecnologia di costruzione delle navi che nelle tecniche di navigazione, sono notevolissimi. Sulle impervie e malridotte carrabili e mulattiere europee, merci e uomini viaggiano ancora a cavallo, a dorso di mulo e con carri e carrozze in sostanza identici a quelli in uso secoli prima.
Nonostante questi inconvenienti, la circolazione di merci, oltre che di uomini, via terra è maggiore di quanto non si potrebbe pensare, e non solo sulle brevi e medie distanze, quelle che collegano i villaggi al capoluogo o le città provinciali alla capitale. Anche se lenti e costosi, gli itinerari terrestri sono in genere più sicuri di quelli marittimi, minacciati dai naufragi e dalla pirateria. Nel 1543-45, ad esempio, su oltre 55 mila drappi spediti da Anversa all’Italia, solo 6 mila viaggiano via mare. Gli itinerari terrestri di gran lunga più importanti sono quelli che collegano i due maggiori poli di sviluppo economico e urbano, quello delle Fiandre e dei Paesi Bassi e quello dell’Italia centro-settentrionale, sfruttando i passi alpini del San Bernardo, Sempione, Gottardo, Spluga, San Bernardino, Brennero e Tarvisio.
Le strade e il potere
I maggiori impulsi al miglioramento della rete viaria e in generale delle comunicazioni terrestri non provengono dall’economia quanto dalla politica. La “tirannia della distanza”, l’esasperante lentezza delle comunicazioni e dei trasporti è uno degli ostacoli più gravi alla volontà della monarchia e dello Stato territoriale moderno di affermare, sul piano simbolico e effettivo, la sua presenza e il suo potere, un ostacolo che è una delle ragioni del fallimento dei progetti egemonici asburgici. In termini spazio-temporali, gli imperi di Carlo V e di Filippo II hanno dimensioni pluriennali, nel senso che uno scambio epistolare fra Madrid e Manila o Lisbona e Macao richiede quasi due anni di tempo. Anche limitandoci all’Europa, le informazioni e i dispacci impiegano settimane a coprire la distanza fra Madrid e Milano o Anversa. Ancora più drammaticamente lenti sono gli spostamenti degli eserciti, con tutti i problemi logistici che comporta il movimento di grandi masse di uomini e animali. L’itinerario che dall’Italia settentrionale consente alla Spagna di inviare rinforzi all’esercito delle Fiandre, impegnato nella repressione della rivolta dei Paesi Bassi, richiede da uno a due mesi.
La sistemazione delle “strade regie” e l’infittirsi delle vie secondarie e trasversali segnano un forte passo avanti nel processo di realizzazione di un reticolo di penetrazione e di controllo del territorio, anche se le ricadute economiche rimangono modeste. Se nelle comunicazioni terrestri i progressi tecnici e delle infrastrutture sono modesti, non bisogna trascurare l’impatto dei miglioramenti organizzativi. Le accresciute esigenze diplomatiche, oltre che commerciali, portano alla creazione di una fitta rete postale il cui regolare e intensificato servizio accelera la circolazione delle notizie e delle idee, anche se non modifica le condizioni di base del trasporto terrestre. Il sistema postale organizzato dalla famiglia Tasso, Maestri di Posta al servizio dell’imperatore, è basato su una rete di stazioni di posta per il cambio dei cavalli che consente di velocizzare la circolazione dei messaggi. Si tratta comunque di un sistema costoso, riservato alle esigenze degli Stati e degli operatori economici più importanti.