MEDICI, Vieri
de’. – Nacque a Firenze da Cambio di Filippo nel 1323.
Apparteneva a un ramo collaterale della famiglia, distinto da quello principale della linea di Cafaggiolo, discendente da Chiarissimo, i cui membri (tra i quali particolare importanza rivestì Salvestro), nel XIV secolo acquisirono una solida posizione economica e svolsero un ruolo pubblico di rilievo.
Il padre, Cambio di Filippo (Lippo) – che abitava nel quartiere S. Giovanni, «gonfalone» Drago Verde, nel «popolo» di S. Reparata – si dedicò alla carriera politica come membro della parte guelfa; fece un primo testamento il 4 giugno 1357; ebbe un altro figlio maschio, Giovanni, che nel 1374 fu capitano di Pistoia e nel 1383 priore, e tre figlie femmine: Ginevra che sposò Chimenti di Boncristiano Baronci, Cilia e Dianora, chiamata Caterina, pinzochera.
Anche il M. prese parte attivamente alla vita politica, quale esponente della parte guelfa, raggiungendo una posizione di primo piano soprattutto negli anni successivi al tumulto dei ciompi (giugno - agosto 1378), con la ripresa del potere da parte dei rappresentanti delle arti maggiori.
La sua attività si esplicò parallelamente nel settore bancario, dove grazie a una florida azienda commerciale riuscì ad accumulare un ingente patrimonio ponendo anche le basi per l’ascesa del banco mediceo. Non si hanno notizie sulla sua formazione professionale, ma è probabile che abbia acquisito gli elementi della mercatura presso un cambiatore: il 13 ott. 1348 si immatricolò, infatti, nell’arte del cambio e nel 1350 risulta in società con il più anziano Tommaso di Diodato Baronci; l’impegno del M. era però circoscritto a particolari rami del traffico bancario. Solo dopo il 1352 divenne socio a tutti gli effetti, anche se tale sodalizio non durò oltre il 1353, non si sa se per il ritiro del Baronci dagli affari o per la sua morte. In seguito, dal marzo 1354 il M. entrò in compagnia con Lodovico di Pino di Tommaso con il quale restò in attività per oltre dieci anni.
Nel 1358 fu incluso negli elenchi (la recata) per lo scrutinio per i Tre maggiori uffici, per il quartiere S. Giovanni, gonfalone Drago Verde. Nel 1361 fu nuovamente iscritto negli elenchi per le elezioni relative alle magistrature principali della città.
Nel 1362 fu eletto console dell’arte del cambio, carica che rivestì ancora nel 1364, 1365, 1367, 1369, 1371, 1373, 1375, 1377, 1388 e 1392. Il 5 maggio 1362 acquistò da Forese di Iacopo de’ Medici una casa nel popolo di S. Tommaso e il 4 luglio un podere con casa da Nuccino di Goggio.
Il 19 febbr. 1364 comprò da Gherardo e Betto Adimari un podere nel popolo di S. Clemente a Montecaroso. La sua attività finanziaria implicava spesso anticipi di somme anche ingenti, per cui, talvolta, per la relativa restituzione fu implicato in procedimenti giudiziari: per esempio, il 19 nov. 1364 gli eredi del vescovo di Firenze, Angelo Acciaiuoli – debitori di 166 fiorini per conto del vescovo, morto nel 1357 – per decisione dei consoli dell’arte del cambio furono costretti a saldare al M. quanto dovuto. Nello stesso anno alla società costituita con Lodovico di Pino si aggiunse Gregorio di Pagnozzo Tornaquinci, la cui collaborazione durò almeno fino al 1375. Dell’8 dic. 1364 è il primo testamento del M., rogato da Michele di Iacopo da Rabatta dove, fra l’altro, sono ricordati i soci della compagnia e la prima moglie, Valenza.
Il 28 giugno 1367 il M. fu soggetto a un arbitrato per la spartizione di proprietà con il fratello Giovanni. In quegli anni la società costituita dal M. e «compagni» divenne una delle più importanti a Firenze, con filiali a Roma, Genova e Bruges, dove era in contatto con le società del mercante pratese Francesco Datini: gli affari avevano sviluppo internazionale e riguardavano tanto il commercio quanto l’aspetto bancario. Nel 1369 l’azienda spediva merci da Porto Pisano a Firenze attraverso il territorio di Pisa.
Il 6 maggio 1372 Niccolò di Giovanni de’ Medici vendette al M., a nome del fratello Michele, un podere con casa, forno e orto. Tra i finanziamenti sostenuti dal M., che dimostrano l’entità del patrimonio acquisito, vi erano anche quelli relativi al pagamento delle prestanze, cioè prestiti forzosi al Comune: per esempio, nel 1378, al tempo della guerra degli Otto santi, lo stesso M. fu tassato per 73 fiorini, somma superata solo da quindici cittadini.
Contemporaneamente continuava il suo impegno politico (nel 1377 come membro della parte guelfa fu ascritto tra i campioni con Lapo da Castiglionchio), in una situazione sempre più difficile e caratterizzata da crisi nella struttura di governo dovute sostanzialmente al tentativo di affermazione da parte delle arti medie e minori, culminate nel 1378 con il tumulto dei ciompi. Nello stesso anno, prima del sovvertimento popolare, alla fine della guerra degli Otto santi, il 13 maggio il M. partecipò all’ambasceria inviata a Roma per rendere omaggio al nuovo papa Urbano VI. Fu proprio in occasione del mutamento di governo a vantaggio delle arti minori e, in specie, del popolo minuto, e al ridimensionamento della forza magnatizia della parte guelfa che il M. svolse un ruolo di primo piano: nei violenti disordini verificatisi a Firenze in tale circostanza a causa della ribellione della plebe, il M., con Guido Del Palagio, difese e salvò la sacrestia del monastero camaldolese di S. Maria degli Angeli. Inoltre il 24 giugno 1378 prese parte, come membro dei Dieci di balia, al consiglio istituito per l’occasione.
Il 20 luglio il M., che si era schierato dalla parte popolare, fu nominato cavaliere a spron d’oro e gli venne anche concesso di inserire nello stemma della casata la croce del Popolo fiorentino, collocata nella più alta delle palle medicee e circondata da una ghirlanda di ulivo. Il 18 ottobre seguente, il giorno di S. Luca, durante l’offerta dei ceri a s. Giovanni, patrono della città, il M. prestò giuramento con altri cavalieri.
Nel 1381 procedette a una generale riorganizzazione della compagnia commerciale con l’ingresso di nuovi soci, tra i quali Niccolò di Riccardo Fagni, Giovanni di Arrigo Rinaldeschi di Prato e Bartolomeo di Tommaso. Poco dopo al posto di quest’ultimo subentrarono due nuovi componenti, Francesco di Averardo de’ Medici e Iacopo di Francesco Venturi.
Frattanto la ragione sociale della società del M. – nel 1384 lui e il Venturi ne erano divenuti gli unici soci – ampliava i propri interessi e costituiva, nel 1385, una filiale a Venezia con corrispondenti in tutta la costa dalmata: a Zara era rappresentata dal mercante fiorentino Paolo di Berto Grassini. Sempre nel 1385 al M. fu concesso il privilegio della cittadinanza senese e il 16 marzo fu nominato dai Priori sindaco allo scopo di concedere la dignità della cavalleria all’esecutore degli ordinamenti di giustizia Cola di Tiruccio Tiri di Fermo.
Nel 1386 nella società del M. si aggiunse il figlio del fratello Giovanni, Antonio (che morì decapitato nel 1396 per aver preso parte a una congiura con Donato Acciaiuoli per abbattere il regime degli Albizzi): tale situazione rimase immutata fino al 1391.
Il 10 genn. 1387 fu inviato ambasciatore a Lucca, con Stoldo Altoviti, Bernardo degli Alberti e Luigi Guicciardini, presso papa Urbano VI. Nel bimestre maggio-giugno 1392 fu gonfaloniere di Giustizia; nell’ottobre 1393, in seguito ai provvedimenti di proscrizione e alle esecuzioni che riguardarono anche molti esponenti delle arti minori e del popolo minuto, scoppiarono gravi disordini che rischiarono di far precipitare la città nella stessa situazione verificatasi al tempo dei ciompi: il 18 di quel mese il popolo armato si radunò in parte in piazza e in parte raggiunse l’abitazione del M. – che dopo la morte di Salvestro di Alamanno nel 1388 era divenuto il principale esponente della casata – chiedendogli di guidare la fazione opposta agli Albizzi, ritenuti i maggiori responsabili della svolta in senso aristocratico in atto nel governo.
Pur sollecitato a diventare protagonista di quegli avvenimenti, il M. non sfruttò l’occasione: mantenne un atteggiamento equilibrato promettendo di difendere le richieste della parte popolare a patto che seguisse i suoi consigli, convinse la Signoria che non vi era da parte sua nessuna ambizione ad assumere il potere e manifestò la volontà che si deponessero le armi e che vi fosse una pacificazione generale tra le fazioni, come in effetti avvenne.
Il 19 ott. 1393 prese parte alla Balia che, fra l’altro, sancì l’esilio degli Alberti, ritenuti i principali responsabili di un complotto per sovvertire il reggimento al governo in senso aristocratico. Nello stesso anno prese parte alle nuove elezioni per il priorato. Come membro della Balia del 1393 ottenne anche il privilegio di portare le armi, facoltà che a sua volta concesse a Francesco di Averardo e ad Antonio di Bartolomeo de’ Medici.
Il sodalizio economico con Giovanni de’ Medici dovette durare fino al 1393, probabilmente quando il M. decise di ritirarsi dagli affari: nel 1397 Giovanni costituì una propria azienda rilevando tutte le attività e passività della compagnia diretta a suo tempo con il M., compresi alcuni crediti non esigibili. Dopo lo scioglimento del banco del M., la relativa gestione fu distinta in tre unità: la prima fondata dal nipote Antonio di Giovanni, di cui furono soci il Venturi e Giovanni di Tommaso di Salvestro de’ Medici, che rimase in attività fino al 1395; la seconda rappresentata dalla società di Francesco di Averardo in nome del figlio Averardo; la terza formata dal banco di Giovanni di Averardo a Roma.
Il M. morì a Firenze il 14 sett. 1395. Secondo l’epigrafe sulla sua tomba nella chiesa di S. Reparata, ora non più esistente, aveva vissuto 72 anni, 7 mesi e 20 giorni. In base alle sue ultime volontà, fu sepolto nella navata principale di S. Reparata, ricevendo anche l’onore di un funerale a spese dello Stato.
Dal suo ultimo testamento, redatto il 12 ag. 1395 dal notaio Paolo Riccoldi (edito in Dami), risulta che lasciò alla seconda moglie Bice di Pazzino Strozzi (aveva sposato prima del 1364 una certa Valenza, morta nel settembre 1378) e ai quattro figli Valenza, Nicola, Bice e Cambio un cospicuo patrimonio, costituito dalla florida azienda commerciale e da numerose proprietà. In particolare, destinò un lascito all’Opera di S. Maria del Fiore e all’Opera che presiedeva alla costruzione delle mura di Firenze. Assegnò anche una somma per la dote delle figlie e dispose che la moglie Bice fosse usufruttuaria di tutti i suoi beni purché rimanesse nello stato vedovile e abitasse nella casa avita insieme con i figli.
Nominò esecutori testamentari, oltre alla moglie, alcuni autorevoli esponenti della classe politica, fra i quali il suocero Pazzino di Francesco Strozzi, Donato di Iacopo Acciaiuoli, Luigi di Piero Guicciardini, Francesco di Neri Ardinghelli, Giovanni di Bartolo Biliotti, Manetto Davanzati, Niccolò di Giovanni da Uzzano, il nipote Antonio di Bartolomeo de’ Medici, Giovanni di Bicci de’ Medici, disponendo che non tenessero in deposito i fondi destinati ai loro pupilli, ma li impiegassero sui cambi con Venezia e Genova. Il 10 sett. 1395 il M. aggiunse un codicillo in cui dispose un lascito dotale per Piera e Caterina, figlie del nipote Antonio, un supplemento di 5000 fiorini per il figlio Nicola se fosse stato reclutato nella milizia cittadina come auspicava. Essendo morto in seguito il notaio Riccoldi, l’atto testamentario con il codicillo fu ritrascritto il 12 ott. 1407 (o 1447) dal notaio Amideo di ser Guidone di Tommaso Scarabelli presso il quale erano pervenuti i rogiti di Riccoldi (il documento non risulta tuttavia presente nei protocolli dello Scarabelli; sul testamento v. De Roover, 1965, p. 13).
Nella portata catastale del 1458, presentata dagli eredi del primogenito del M., Nicola, è ricordato il fedecommesso istituito dallo stesso M. nel suo testamento: per i beni soggetti a tale regime, infatti, la dichiarazione riguarda i discendenti di Nicola in qualità di successori e «fideicommissarii» del M., mentre non vi è compreso l’altro figlio, Cambio, ancora in vita.
Dei figli del M., Valenza sposò Giovanni Salviati; Nicola, nato circa nel 1384 e morto il 3 marzo 1455, sposò prima Bartolomea di Donato Acciaiuoli e poi una certa Caterina; Cambio, nato il 22 febbr. 1391 e morto il 20 sett. 1463, prese in moglie nel 1410 Lorenza di Niccolò Guicciardini e nel 1431 Simona di Bernardo Bardi. Nicola e Cambio continuarono l’attività paterna nel settore economico-bancario, partecipando anche alla vita pubblica. La loro gestione tuttavia portò, negli anni Trenta del XV secolo, l’azienda al fallimento probabilmente in seguito a un’amministrazione inefficiente e a investimenti sbagliati dovuti alla loro scarsa esperienza e abilità negli affari, cause a cui forse non furono estranei anche i preminenti interessi umanistici di Nicola. L’importanza del ruolo politico svolto dal M., soprattutto in difesa della parte popolare, e la fama e il prestigio di cui continuò a godere anche nei decenni successivi, nel 1433 evitarono ai membri della sua linea la proscrizione, mentre l’esponente più in vista della casata, Cosimo, fu condannato all’esilio insieme con i suoi più stretti fautori.
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R. Zaccaria