VIERI, Francesco de', detto Verino secondo
VIERI, Francesco de’, detto Verino secondo. – Nacque a Firenze nel 1524 da Giambattista, figlio di Francesco, Verino primo (v. la voce in questo Dizionario), e da Lucrezia di Giovanni Guicciardini.
Seguendo le orme del nonno paterno, nel 1553 divenne professore di logica presso lo Studio pisano, dal 1554 al 1559 fu professore straordinario di filosofia e dal 1559 al 1591 ordinario della stessa disciplina. Fu anche lettore di logica negli anni accademici dal 1570-71 al 1574-75. Dedicò la sua intera esistenza alla didattica e la sua attività fu legata soprattutto al tentativo di introdurre l’insegnamento universitario di Platone. Nel 1576, infatti, gli fu concesso dal granduca Francesco I di tenere corsi straordinari di filosofia platonica, ma fu costretto a interromperli dopo soli tre anni, nel 1579, perché violentemente osteggiato dai colleghi.
Viva testimonianza dei suoi sforzi per fare della filosofia di Platone materia di insegnamento sono un gruppo di scritti composti nell’arco di più di un decennio. Nel 1576, pubblicato a ridosso dell’inizio dei corsi platonici, vide la luce a Firenze il Compendio della dottrina di Platone in quello che ella è conforme con la Fede nostra – in cui confluì un testo di due anni precedente, rimasto manoscritto (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XXXIV.17) –, opera in cui Verino mostrò come il primato di Platone consistesse nella conformità della sua dottrina alla rivelazione cristiana, mentre quello di Aristotele nella capacità di organizzare i contenuti del sapere in un sistema coerente e organico; a esso fecero seguito, a molti anni di distanza, il Ragionamento de l’eccellenze e de più maravigliosi artifizij della magnanima professione della filosofia, stampato a Firenze nel 1588, in cui vengono riproposti i motivi tematici del Compendio, e, l’anno successivo, le Vere conclusioni di Platone conformi alla Dottrina Christiana et a quella d’Aristotile.
In questo scritto assistiamo a un notevole mutamento di prospettiva: se infatti, da un lato, viene ribadita a più riprese la superiorità dimostrativa e didattica dello Stagirita, dall’altro anche dell’insegnamento platonico sono sottolineate la capacità deittica e l’attenzione per la definizione e l’ordine sistematico, in un’ottica concordista. Gli aspetti peculiari della filosofia di Platone tendono a rimanere sullo sfondo, mentre a essere valorizzati sono i tratti in comune con il pensiero aristotelico; un cambiamento netto, registrato in un lasso di tempo brevissimo, che, con ogni probabilità, fu dovuto alla notizia dell’imminente istituzione di una cattedra di filosofia platonica, che però, sopraggiunta la morte di Verino, fu affidata per l’anno accademico 1591-92 al cesenate Iacopo Mazzoni.
Da questi trattati – come dai numerosi marginalia presenti nella copia di proprietà di Verino della Platonis Opera uscita a Lione nel 1548 presso Antonio Vincenzi (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Acquisti e doni, 706) – emerge come il leitmotiv della sua riflessione fosse la questione della concordia tra Platone e Aristotele. Una concordia ricercata strenuamente, anche a costo di passare sotto silenzio molti dei più importanti apporti dottrinali platonici e soprattutto neoplatonici in materia di ontologia, cosmologia e antropologia.
È necessario, poi, tenere ben presente che questi scritti furono concepiti nel corso di vive polemiche all’interno dello Studium pisano. Nel 1576, anno dell’inizio dei corsi straordinari di Verino su Platone e della pubblicazione del Compendio, si assistette al sorgere di una profonda inimicizia tra il filosofo neoplatonico e l’aristotelico Andrea Cesalpino, anch’egli professore a Pisa. A seguito del caso, occorso nel 1575 e destinato a suscitare un certo scalpore, di tre monache indemoniate nel convento di S. Anna a Pisa, i due filosofi dettero alle stampe due trattati di demonologia, su posizioni teoriche radicalmente differenti. Il testo di Verino, dedicato a Bianca Cappello e stampato nel 1576 a Firenze con il titolo Discorso [...] intorno a’ dimonii, volgarmente chiamati spiriti, considerava il problema dal punto di vista di Platone, da quello di Aristotele e secondo la fede cattolica, tentando di conciliare le tre prospettive, non senza denunciare, però, gli aristotelici cinquecenteschi che, come Agostino Nifo, avevano sostenuto l’incompatibilità del sistema aristotelico con l’esistenza dei demoni. Fu l’inizio di una sempre più scoperta ostilità tra i due professori, che, dopo la stampa a Firenze nel 1580 della Daemonum investigatio peripatetica di Cesalpino, culminò nel 1589 con l’attacco, contenuto nelle Vere conclusioni, di Verino al collega, tacciato addirittura di eresia. Cesalpino ottenne in questo frangente l’appoggio del governo granducale e probabilmente fu proprio questo episodio, prima ancora del sopraggiungere della morte, a precludere a Verino l’ottenimento della cattedra di filosofia platonica.
Una costante nella vasta produzione filosofica di Verino – per una gran parte a oggi rimasta manoscritta – è la celebrazione della figura di Giovanni Pico. Nelle Vere conclusioni il filosofo ricorda che fu proprio la lettura del Commento sopra una canzone d’amore a suscitare il suo interesse per la filosofia platonica; e del fatto che proprio al tema dell’amore, tanto importante nella filosofia del Rinascimento, sia legata la predilezione di Verino per Pico sono prova le Lezzioni d’amore, elaborate come commento alla canzone Donna me prega di Guido Cavalcanti e lette all’Accademia Fiorentina nel 1566, in cui, dopo aver riportato le diverse definizioni di amore date da Pico, da Francesco Cattani da Diacceto, dal nonno Verino primo e infine da Donato Acciaioli, Verino sembra propendere per quella pichiana, affermando che l’amore, sia esso corporale o spirituale, ha come suo fine ultimo il godimento della bellezza. A questo proposito, perché con le Lezzioni presentano numerose tangenze tematiche, è opportuno rammentare anche due opere a stampa: il Discorso della grandezza et felice fortuna d’una gentilissima et graziosiss. Donna qual fu M. Laura, biografia spirituale dell’amata di Francesco Petrarca pubblicata a Firenze nel 1581, e i Discorsi delle maravigliose opere di Pratolino e d’Amore, editi a Firenze nel 1586, trattatello in cui Verino si sofferma sul valore ermeneutico delle ‘favole’, mostrandone il differente utilizzo da parte di Platone e Aristotele.
La formazione di Verino fu, come era d’uso per gli intellettuali del suo tempo, aristotelica e all’insegnamento dello Stagirita, soprattutto in campo fisico, egli rimase sempre fedele, come si evince dal Trattato delle Metheore, volgarizzamento dei Meteorologica pubblicato a Firenze nel 1572, e dal testo manoscritto Delle comete (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc., 2675).
Composta in occasione dell’avvistamento di una nuova cometa tra il novembre del 1577 e il gennaio del 1578, quest’operetta approfondisce il problema delle comete che, come nel Trattato delle Metheore, vengono classificate tra i fenomeni meteorologici, che si verificano nella regione sublunare, e, seguendo la dottrina aristotelica, sono ritenute essere il risultato dello spostamento, secondo la rotazione diurna dei cieli, di esalazioni calde e secche che raggiungono la parte più alta dell’atmosfera. Le comete, poi – afferma ancora Verino, come già aveva fatto nel Discorso del soggetto, del numero, dell’uso et della dignità et ordine degl’habiti dell’animo, stampato a Firenze nel 1568 –, non possono causare fenomeni fisici e medici e dunque l’astrologia giudiziaria non ha alcun fondamento e anzi deve essere aspramente condannata perché corrosiva della morale.
Tematiche aristoteliche, filtrate in alcuni casi attraverso la Questione sull’alchimia scritta da Benedetto Varchi nel 1544, sono presenti anche nel Breve discorso intorno all’Arte dell’Alchimia (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XVI.78), composto intorno al 1579-80 e dedicato al granduca Francesco I, in cui Verino sostiene che l’alchimia è un’arte che partecipa del vero e l’alchimista, imitando l’operare della natura, può trasmutare un metallo in un altro grazie a un fuoco conforme al calore celeste.
La complessa e variegata produzione di Verino mostra un continuo intrecciarsi di istanze platoniche e aristoteliche, che il filosofo tentò di conciliare in una sintesi non sempre riuscita, ma che è intensa testimonianza dell’appartenenza di Verino al fermento culturale del suo tempo, di cui egli cercò di farsi portavoce.
Morì a Firenze nel 1591 e fu sepolto in S. Spirito.
Opere. Le Lezzioni d’amore sono edite a cura di J. Colaneri, München 1973.
Fonti e Bibl.: G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 225-227; E. Garin, La filosofia, I, Milano 1947, p. 156, II, pp. 70-72, 85, 91, 192, 207, 216; G. Cascio Pratilli, L’Università e il principe. Gli Studi di Siena e di Pisa tra Rinascimento e Controriforma, Firenze 1975, pp. 145 s., 151, 195; R. Pintaudi, Il Platone di Francesco Verino secondo, in Rinascimento, s. 2, XVI (1976), pp. 241-244; A. Del Fante, Lo studio di Pisa in un manoscritto inedito di Francesco Verino secondo, in Nuova Rivista storica, LXIV (1980), pp. 396-418; P. Zambelli, Scienza, filosofia, religione nella Toscana di Cosimo I, in Florence and Venice: comparisons and relations. Acts of two Conferences at Villa I Tatti in 1976-1977, II, Cinquecento, Firenze 1980, pp. 3-52; A. Del Fante, Un testo inedito di Francesco Verino secondo sull’alchimia, in Annali dell’Istituto di filosofia dell’Università di Firenze, IV (1982), pp. 75-90; Ead., Il “Parere” del 1587 di Francesco Verino sullo Studio pisano, in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del ’500. Atti del Colloquio internazionale..., 1980, Firenze 1983, pp. 71-94; Ead., Sul trattato Delle comete del Verino, in Rivista critica di storia della filosofia, XXVIII (1983), pp. 311-317; S. Fellina, Platone allo Studium fiorentino-pisano (1576-1635). L’insegnamento di F. de’ V., Jacopo Mazzoni, Carlo Tomasi, Cosimo Boscagli, Girolamo Bardi, Verona 2019, pp. 9-73.