VIGANO
VIGANÒ. – Famiglia di coreografi e danzatori attivi tra il XVIII e il XIX secolo. I documenti disponibili attestano l’inizio dell’attività coreica dei Viganò a partire dai sette figli di Giacomo Antonio Giuseppe Braglia (figlio, a sua volta, di Gianmaria e Artemisia Braglia) e di Giuseppa Viganò: Onorato (v. oltre), Giovanni (attivo tra il 1766 e il 1795) gemello di Elisabetta (detta Lilla), Alfonso, Antonio (1752-attivo fino al 1800), Alfonsa e Vincenza, tutti – chi più chi meno – dediti all’arte coreutica. Tutti e sette adottarono il cognome della madre per via di non meglio precisate traversie occorse al genitore nel 1754 a Reggio nell’Emilia (Ritorni, 1838, p. 17).
Alla successiva, quarta generazione appartennero i sette figli di Onorato e di Maria Ester Boccherini: Katharina e Theresa (morte infanti, rispettivamente nel 1763 e nel 1768), Salvatore (v. oltre), Vincenzina (nata a Napoli nel 1769 o nel 1770, documentata come ballerina certamente dal 1789 e forse già nel 1782, salvo confusioni con la zia Vincenza, sorella di Onorato; dal matrimonio con il tenore Domenico Mombelli nacquero due figlie cantanti, Ester e Anna; stilò il libretto del Demetrio e Polibio per il diciottenne Gioachino Rossini; morì probabilmente a Bologna nel 1814), Giulio (v. oltre), Celeste (o Celestina; attiva fra il 1789 e il 1829, sposata al coreografo Giuseppe Domenico De Rossi) e Severina (danzò insieme al padre nel 1809 a Padova nel ballo Giasone e Medea in Corinto). Salvatore e Giulio vennero istruiti anche come musicisti: composero le musiche per i propri balli e per quelli del padre.
Della quinta generazione fecero parte la figlia di Salvatore, Elena detta Nina, musicista e cantante (1790-Pisa 1871), nonché i figli di Giulio: Edoardo (Napoli 1811-ante 1876, costumista oltre che coreografo e danzatore), Giulietta (nata nel 1815), Davide (attivo come danzatore fra gli anni Trenta e Cinquanta), Giuseppe, prima tromba alla Scala negli anni Trenta e Quaranta, e Ginevra, attiva come prima ballerina di mezzo carattere tra il 1825 e il 1859. Dell’ultima generazione, i figli di Edoardo: Arturo (nato nel 1847 circa) e Fanny (nata nel 1848 circa).
Salvo diversa menzione, le notizie sugli spostamenti dei Viganò e sui loro ruoli sono tratte dai libretti a stampa dei balli e delle opere in musica (convenzionalmente indicate, queste ultime, con il titolo e il nome del compositore del melodramma, peraltro diverso, di consueto, dall’autore delle musiche dei balli).
Onorato nacque a Scandiano il 6 settembre 1739 (Ritorni, 1838, p. 17). Esordì a Roma nel 1752, tredicenne, en travesti, essendo le scene dei teatri pubblici tradizionalmente interdette alle donne. Si formò sotto la direzione dei Salomoni, come attestano due libretti romani (Eumene, Antonio Aurisicchio, 1754; Idomeneo, Baldassarre Galuppi, 1756), dove il nome di Onorato è seguito dall’appellativo «Salomoncino» (con probabile riferimento a Giuseppe Salomoni, nei libretti citato come «detto di Vienna o Salomoncino»; cfr. per es. Cleante, Nicolò Sabatini, Roma 1752). Nel 1757, a Reggio, lavorò sotto la direzione dello stesso Salomoni e di Antoine Pitrot (La Nitteti, Tommaso Traetta). L’anno successivo, nel 1758, si esibì di nuovo al teatro Argentina di Roma, stavolta come ballerino «da uomo», sotto la direzione di Francesco Salomoni (Adriano in Siria, Rinaldo di Capua).
Tra il 1759 e il 1762 lavorò a Vienna (Zechmeister, 1971, pp. 229, 247; Brown, 1991, p. 150, n. 26) con Gasparo Angiolini, danzando, tra l’altro, nel Festin de pierre (cioè il Don Juan musicato da Christoph Gluck). Qui sposò, nel 1763, la ballerina Maria Ester Boccherini (1740 - circa 1800), sorella del violoncellista e compositore Luigi. Con Maria Ester ballò anche sotto la direzione di Augusto Hus per l’inaugurazione del teatro Comunale di Bologna (Il trionfo di Clelia, Gluck, 1763; l’anno prima a Vienna erano comparsi nei balli dello stesso dramma metastasiano, musica di Johann Adolf Hasse). Nel 1766 venne ingaggiato a Roma nel teatro delle Dame come «primo grottesco», con il fratello Antonio «da donna», sotto la direzione di Francesco Salomoni, e nel Carnevale del 1767 a Torino, mentre in novembre si spostò a Napoli, dove esercitò con continuità fino al 1773. A partire da questa data si mosse nell’Italia centrorientale, gravitando principalmente tra Venezia, la Terraferma, Roma, Firenze e Bologna. Nel 1774-75 fu di nuovo a Napoli e, come inventore dei secondi balli, propose titoli di matrice angioliniana: Solimano secondo, La felice metamorfosi (1774), La caccia di Enrico IV (1775).
Coreografo e ballerino, Onorato fu anche impresario. L’incarico più lungo e impegnativo fu il contratto stipulato con il teatro Argentina a Roma nel 1783, per un periodo di cinque anni (Rinaldi, 1978, p. 1463). Ma già nel 1775 aveva firmato come impresario il libretto della Sposa persiana di Felice Alessandri al teatro di S. Samuele di Venezia. L’anno dopo, per la fiera del Santo, venne ingaggiato al Nuovo di Padova (Archivio di Stato di Padova, Teatro Verdi, fascio 75, cc. 21-22). Tenne l’impresa del S. Samuele tra l’autunno del 1789 e il Carnevale del 1790 (Ritorni, 1838, p. 25), del teatro Astori di Treviso nell’autunno del 1790 (La morte di Giulio Cesare, Francesco Bianchi), della Fenice di Venezia nel 1794 (Salvioli, 1878, p. 18), del Comunale di Bologna nella primavera del 1796 (La Merope, Sebastiano Nasolini), del teatro Riccardi di Bergamo in agosto (Ines de Castro, Bianchi), del S. Benedetto a Venezia nell’estate del 1797 (Gazzetta urbana veneta, n. 44, 3 giugno 1797, p. 351), del Nuovo di Padova per la fiera del Santo nel 1806 (Rosselli, 1985, p. 214) e nel 1809 (con il citato «ballo tragico eroico pantomimo» Giasone e Medea in Corinto, nell’opera Gli Americani di Giacomo Tritto).
Carlo Ritorni (1838) definì Onorato un danzatore «nel genere grottesco applauditissimo e pantomimico attore» (p. 20). Di fatto, si mosse con disinvoltura pure come danzatore serio, genere a cui passò dal 1776 in poi. Fu attivo interprete dei propri lavori fino al 1797, quando si esibì cinquantasettenne al S. Benedetto di Venezia nel ballo Il convitato di pietra: non si sa quali parti vi avesse interpretato; tuttavia la sua presenza in scena non venne accolta con il consueto gradimento (Gazzetta urbana veneta, cit.). Luigi Marescalchi, compositore ed editore, pubblicò le musiche ch’egli stesso aveva composto per numerosi balli prodotti da Onorato a Venezia e a Roma.
Danzò in coppia con la moglie solo tra il 1777 il 1782. Maria Ester si esibì nondimeno in molte produzioni del marito. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta lo affiancarono i figli. Esemplare il ballo Minosse re di Creta, nel quale a Firenze nel 1789 figurarono in cartellone ben sei Viganò: Onorato, coreografo e primo serio, con Salvatore e Vincenzina; Giovanni, Celestina e Giulio come «ballerini fuori de’ concerti».
Le sue produzioni, numerose, spaziarono dal genere tragico all’eroico, dal comico al pastorale e al favoloso. Si ricordano in particolare Il Rinaldo (Venezia, 1778, poi spesso ripreso con diversi titoli fino al 1793), il citato Minosse re di Creta (Venezia, 1782, rimasto in repertorio fino al 1799) e La figlia dell’aria ossia L’innalzamento di Semiramide (Venezia, 1792), con musica di Giulio, dal dramma di Carlo Gozzi.
Morì nel 1811, in una sua villa nel Veneto (Ritorni, 1838, p. 86); si era ritirato dalle scene nel 1809.
Giovanni fu, dei fratelli di Onorato, quello che più da vicino lo accompagnò nella carriera. Danzò con lui a Napoli nel 1769, a Roma nel 1772, a Venezia nelle stagioni d’autunno del 1773, del 1775 e del 1782 e per il Carnevale e l’Ascensione nel 1776, dove comparve fra i «ballerini fuori de’ concerti». Nel 1778 fu scritturato come primo grottesco a Brescia e di nuovo a Venezia nel 1783 (diretto da Giuseppe Scalese su balli di Onorato). Infine, nel 1784 figurò a Roma fra i ballerini fuori di concerto come «primo mezzo carattere». Fu scritturato a Treviso per l’autunno del 1788 e a Firenze, alla Pergola, per il Carnevale del 1789. A lui Onorato affidò le cure del più promettente fra i suoi figli, Salvatore: zio e nipote furono a Madrid nel 1789 per gli spettacoli promossi nell’incoronazione di Carlo IV (Ritorni, 1838, p. 25). È probabile ch’egli sia poi rimasto colà; ancora nel 1795 danzò a Madrid sotto la direzione di Jean Favier.
Morì in data imprecisata, forse in Spagna.
Salvatore nacque a Napoli il 25 marzo 1769 da Onorato e Maria Ester. Esordì en travesti all’Argentina di Roma nel 1783, su coreografie del padre. Nel 1785 passò al ruolo di primo serio da uomo e l’anno dopo, sempre all’Argentina, debuttò anche come compositore, musicando i balli di Onorato Cefalo e Procri, Alcide negli orti esperidi e Il re pastore; in estate, al teatro Valle, diede una farsetta in musica in piena regola, La creduta vedova. Danzò in tutte le produzioni paterne fino al 1789, quando partì per la Spagna con lo zio Giovanni: in aprile era stato scritturato nel Teatro de los Caños del Peral di Madrid come primo serio, nella compagnia diretta da Domenico Rossi; ne facevano parte Juan Medina e sua sorella María, prima ballerina fuori del concerto. A Madrid, in quello stesso anno, María e Salvatore si sposarono.
Tra il 1785 e il 1787 la ballerina madrilena (incerta la data di nascita) si era esibita a Bordeaux in alcune produzioni di Jean Dauberval (Guest, 1996), probabilmente insieme al padre, Antonio (?). Dopo il matrimonio, nel 1790, lei e il fratello Juan vennero di nuovo ingaggiati al Caños del Peral come primi di mezzo carattere (Cotarelo y Mori, 1917, p. 319). María non va confusa con Josepha Maria Medina, nata Mayer a Vienna nel 1756 (Das Kaiserlich-Königliche Hof-Operntheater, 1894, p. XXXIV) e sposata con Antonio Viganò (Koegler, 1995, p. 498), fratello di Onorato.
I coniugi danzarono a Madrid fino ai primi mesi del 1790. In maggio a Bordeaux entrarono nella compagnia di Dauberval. In ottobre, in pieno clima rivoluzionario, si trasferirono a Londra, su consiglio dei coniugi Dauberval, che li seguirono di lì a qualche mese. Salvatore si perfezionò in privato con il maestro francese, studiando con lui quattr’ore al giorno (Virtuose, 1979, p. 25). Nel 1791 danzò al Pantheon in alcune delle produzioni previste per la stagione, tra cui una ripresa della Fille mal gardée di Dauberval (McCleave, 2011, p. 120). Tramite María Josefa Pimentel, duchessa di Osuna, protettrice di María Medina, i coniugi tentarono di ritornare a Madrid per lavorare con il fratello di lei, Juan: ma la manovra non riuscì, talché si stabilirono in Italia a fine 1791. Nella stagione d’autunno Salvatore debuttò come coreografo al S. Samuele di Venezia, sostituendo il padre indisposto, e compose i balli Raul signore di Crequì e I divertimenti d’amore, con musiche del fratello Giulio. L’anno dopo partecipò come danzatore ai balli per l’inaugurazione della Fenice (Ascensione del 1792); rimase a Venezia fino al Carnevale del 1793, indi passò a Vienna, dove propose diverse produzioni, fra cui Riccardo Cuor di Leone. L’ingaggio viennese fu interrotto da una tournée che toccò Praga, Dresda e Berlino: ne rimane un’eloquente traccia figurativa nei disegni e nelle incisioni dello scultore berlinese Johann Gottfried Schadow, per i quali posarono nel 1796-97 (Mackowsky, 1936; Czok, 2002; Badstübner-Gröger - Czok - von Simson, 2006). Nel 1798 marito e moglie vennero scritturati di nuovo a Venezia, ma nell’ottobre del 1799 la coppia tornò a Vienna per presentare il ballo Clotilde duchessa di Salerno. Nel 1801 debuttò al Burgtheater il ballo Gli uomini di Prometeo, musica di Ludwig van Beethoven (generalmente noto sotto il titolo Die Geschöpfe des Prometheus, ossia Le creature di Prometeo), poi profondamente rimaneggiato e p resentato a Milano nel maggio del 1813 (con il semplice titolo Prometeo ballo allegorico) e riconosciuto come uno dei capolavori di Salvatore. Nella città austriaca rimase fino al 1803. Tra il 1804 e il 1809 alternò scritture a Venezia, Milano, Roma e ancora Vienna, dove nel 1808 ci fu l’ultima apparizione in coppia di Salvatore e María, che da tempo si erano separati. María sarebbe morta a Parigi nel 1833 (Ritorni, 1838, pp. 337, 339).
Salvatore rientrò definitivamente in Italia nel 1810, in veste di coreografo (la sua ultima esibizione in scena risale al 1811). Da allora lavorò con continuità soprattutto alla Scala, con una breve parentesi napoletana: al pubblico del San Carlo, nel novembre del 1815, presentò Clotilde duchessa di Salerno, e al teatro del Fondo, nel maggio del 1816, ripropose Gli Ussiti sotto a Naumburgo e Il calzolaio di Montpellier (Albano, 2018). A Milano, dove lavorò al fianco dello scenografo Alessandro Sanquirico, produsse spettacoli memorabili: oltre il già citato Prometeo, destarono grande interesse, anche nell’ambiente intellettuale del periodico Il Conciliatore, La Mirra (primavera 1817), Otello (Carnevale 1818), La vestale (primavera 1818). Stendhal collocò idealmente Salvatore accanto ad Antonio Canova e Rossini nella costellazione più fulgida dell’arte italiana (Bottacin, 2016, p. 285).
A detta di Carlo Ritorni (1838), il maggior merito di Salvatore fu di aver elevato il «pantomimodramma» a «coreodramma» o «coreotragedia»: termini, questi, introdotti nel linguaggio critico appunto dal biografo reggiano (pp. 32-41 e passim). Viganò avrebbe intuito che il ballo, per evolversi, doveva abbandonare l’intento di imitare le tragedie attraverso la pantomima, pedissequa traduzione della parola in linguaggio gestuale: spostò l’attenzione sul ‘coro’, selezionando soggetti che non si lasciassero rendere mediante il dialogo, avvenimenti grandi in cui il popolo intero assurgesse a protagonista. Tali soggetti si prestavano alla rappresentazione pantomimica, giacché la ‘muta eloquenza’ avrebbe consentito di tratteggiare le diverse passioni che animano i singoli personaggi nel gruppo, cosa irrealizzabile – dice Ritorni – nel discorso verbale. Così, in lavori come Cajo Marzio Coriolano (Brescia, 1811), oltre a numerosi solisti e a ventotto ballerini di concerto, comparvero anche settanta figuranti; per Il noce di Benevento (1812) e per Prometeo (1813), la già imponente compagnia scaligera si arricchì di trentotto ballerini.
Morì a Milano il 10 agosto 1821, per «idropisia di petto» (ossia anasarca; cfr. Ritorni, 1838, p. 338), lasciando incompiuta La Didone, poi ultimata dal fratello Giulio. Fu tumulato a Milano, al Foppone, la parte del Lazzaretto destinata alle sepolture. Un suo busto, opera di Lorenzo Bartolini, è nel Museo teatrale alla Scala.
Dal matrimonio con María Medina erano nate diverse figlie: gli sopravvisse soltanto Elena, detta Nina, che al padre fece erigere il monumento funebre nella Certosa di Bologna, con sculture di Giacomo De Maria (1824). Apprezzata cantante e pianista (Ritorni, 1838, p. 339), ammirata e forse corteggiata da Stendhal, stimata da Rossini che le si protestava amicissimo, versata nell’esecuzione di canzoni alla veneziana, Elena schivò le scene teatrali ma tenne il ruolo eponimo nell’Eroe di Lancastro del dilettante John Fane, lord Burghersh, allestito nel palazzo fiorentino del nobile inglese nel 1839.
Giulio nacque a Napoli nel 1772 da Onorato e da Maria Ester. Scritturato fra i terzi ballerini «da donna», esordì al teatro Argentina di Roma nel 1784 sotto la direzione del padre, accanto ai fratelli Salvatore e Giovanni; indi si spostò con lui a Venezia (Ascensione) e a Treviso (autunno). In quest’ultima città passò al ruolo di «primo ballerino assoluto fuori de’ concerti». La sua carriera seguì dappresso quella di Onorato, e a partire dal 1789-90 passò al ruolo di primo serio. Tra il 1792 e il 1793 figurò solo come compositore delle musiche dei balli messi in scena dal padre; sulle scene, fra i solisti, tornò per l’Ascensione del 1794 a Venezia.
Nel 1793, con Salvatore, si spostò a Vienna, dove rimase poi fino al 1815: nel 1798 sposò la ballerina Marianna Bummel (o Baumel; Ritorno, 2017, pp. 85-88). Dal 1817 lavorò con Salvatore a Milano, e dal 1822 si incaricò delle riprese dei lavori di Salvatore, riallestendo la gran parte dei suoi capolavori: Psammi re d’Egitto (Venezia, 1822, Firenze, 1825, Milano, 1830), Il noce di Benevento (Milano, 1822, Torino, 1825, Venezia, 1829; l’ultima riproduzione del Noce risulta essere avvenuta nel 1864 a opera del figlio di Giulio, Edoardo), Giovanna d’Arco (Torino, 1825, Reggio e Napoli, 1826, Firenze, 1831), La vestale (Venezia, 1828, Milano, 1832), Otello (Venezia, 1829, Alessandria, 1832, Cremona, 1833).
Nel 1835 venne nominato direttore della scuola di ballo della Fenice di Venezia. Rimase in carica fino al 1837, quando, colpito da paralisi, fu costretto a ritirarsi dalle scene e dall’insegnamento (Zambon, 1998, pp. 116 s.).
Morì in data e luogo incerti.
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Si ringraziano Gunhild Oberzaucher-Schüller e Reto Müller per le informazioni fornite.