VIGILANZA e TUTELA AMMINISTRATIVA
. Con questa duplice espressione si indica tradizionalmente una bipartizione e quindi, per i due vocaboli insieme, il complesso delle varie forme che nel diritto positivo può assumere un istituto essenziale nello stato moderno e cioè il controllo che l'autorità centrale e sovrana dello stato esercita sugli enti pubblici minori. Appunto perché questi sono investiti dei poteri corrispondenti a quel particolare settore dell'attività amministrativa, che a ognuno di essi risulta affidato, e quindi partecipi all'esercizio delle funzioni e dei poteri amministrativi che, per definizione, si riconnettono pur sempre a un interesse dello stato, è necessità tecnica e politica che tra essi e lo stato si mantenga, con idonei mezzi tecnici, un continuo collegamento, allo scopo di accertare se questi enti agiscono, se agiscono legalmente e infine se agiscono nel modo più opportuno, e cioè più rispondente allo scopo. Sotto questo triplice aspetto, infatti, si manifesta l'interesse dello stato in ordine all'attività di questi enti. E, se si considera che ogni istituto di controllo è costruito in modo che lo stato possa, con congrui mezzi, ottenere volta a volta che quest'azione degli enti pubblici minori sia effettiva, legittima, e opportuna, correggendo l'una o l'altra delle deficienze che sotto questo triplice aspetto si possono presentare, potrà anche dirsi che si manifestino così altrettanti doveri giuridici degli enti pubblici minori verso lo stato.
È appunto in considerazione di questo immancabile elemento che una parte della dottrina straniera e italiana considera l'esistenza di questi controlli, anche parziale (la forma minima si ritiene esser quella del controllo sulla legittimità e conseguente sanzione dell'annullamento in via amministrativa degli atti dell'ente non conformi al diritto), come il segno esterno riconoscibile nel diritto positivo, da cui risulta il carattere pubblico di un ente. E il resto della dottrina, in quanto ripone tale carattere distintivo negli scopi dell'ente o nelle caratteristiche della sua funzione, enuncia concetti non sostanzialmente diversi.
Tutto ciò non esclude che tutti i soggetti di diritto, e quindi anche le persone giuridiche private e i singoli individui, in quanto agiscono nei comuni rapporti della vita sociale, siano soggetti a un potere dello stato, che pure potrebbe chiamarsi di controllo e che, almeno parzialmente, combacia col riesame della legitttimità dell'azione degli enti pubblici. Ma questo controllo sui soggetti privati, che è materia dell'attività di polizia nelle sue varie forme (polizia di sicurezza, dell'igiene, del lavoro, delle relazioni economiche, ecc.), si limita normalmente a uno scopo che può dirsí negativo, in quanto si esaurisce nel compito di mantenere questi soggetti entro i limiti che il diritto loro prescrive, prevenendo o reprimendo ogni atto che da questi limiti possa esorbitare, ma lasciando d'altronde libero il soggetto di agire o di non agire e di esplicare la propria attività in quella forma o con quel contenuto che il soggetto stesso ritenga meglio rispondente ai suoi scopi. Questo, almeno in via di principio; essendo d'altronde caratteristica dello stato moderno una tendenza alla quale il regime fascista ha dato particolare sviluppo nel campo della vita economica: la tendenza cioè ad assicurare che anche l'attività non opportuna del soggetto di diritto privato, e cioè l'attività che secondo l'esperienza comune o alla stregua di criterî tecnici appaia non rispondente agli scopi di questo soggetto, possa esser materia di un provvido intervento del potere pubblico, in quanto il danno possa estendersi o ripercuotersi specificamente su altri determinati soggetti o sulla collettività. Ond'è che il potere esecutivo non rimane inerte se un immobile minacci rovina e il proprietario trascuri gli opportuni provvedimenti, o se un'impresa di assicurazioni assottigli le sue riserve oltre un certo limite, e così via.
Del resto, tutto quanto poc'anzi si è detto circa i lineamenti tradizionali della vigilanza e della tutela amministrativa, deve completarsi col rilievo delle modificazioni, talvolta profonde, che essi hanno di recente subito, anche e soprattutto in relazione ai radicali mutamenti che nuove correnti politiche hanno segnato, specie dopo la guerra mondiale, nella legislazione di tutti gli stati civili e che, per quanto riguarda il diritto italiano, vanno ricondotti alla dottrina politica del fascismo. Queste innovazioni hanno, in generale, avuto un effetto caratteristico: quello di spostare e rendere molto più sinuoso e flessibile quel confine tra diritto pubblico e diritto privato, la cui determinazione è stata d'altronde sempre difficile a tracciare con completezza e sicurezza. In specie per quanto riguarda la vigilanza e la tutela, è da notare: a) questi istituti non sono i soli mezzi tecnici che l'ordinamento giuridico consenta per assicurare l'aderenza dell'attività degli enti pubblici minori agl'interessi dello stato, essendo a tal fine anche particolarmente idoneo il sistema che riserva allo stato la nomina delle persone destinate a ricoprire gli uffici direttivi (e cioè gli organi cui spetta la facoltà di deliberare) dei singoli enti pubblici minori: per es. podestà nei comuni, presidi e rettori nelle provincie, presidenti delle congregazioni di carità, organi supremi dei varî enti a carattere nazionale. Un tal sistema assicura che queste persone non abbiano ad allontanarsi, nel disimpegno di questi uffici, dalle direttive generali della politica dello stato, che sono ispirate appunto dal pubblico interesse, al quale in definitiva l'azione di quegli enti deve corrispondere. Si potrebbe aggiungere che, almeno in astratto, il sistema stesso potrebbe consentire di rendere meno stretto e minuto il sistema della vigilanza e della tutela, col vantaggio, tra l'altro, di un più sollecito svolgimento dell'azione amministrativa. b) Per quanto, per definizione, la funzione di vigilanza e di tutela appartenga allo stato, vi è tuttavia nel diritto italiano più recente qualche caso in cui o risulta consentito allo stato di delegare la funzione stessa (così per la vigilanza e la tutela sulle associazioni sindacali: art. 8, legge 3 aprile 1926, n. 563) o questa risulta trasferita senz'altro, in tutto o in parte, dalla norma stessa (così per i consorzî di bonifica: art. 62 r. decr. 13 febbraio 1933, n. 215). In ambo i casi, questo trapasso si opera a favore di enti in certa guisa "superiori" a quelli controllati (così, negli esempî fatti, alle associazioni sindacali di grado superiore e, rispettivamente, all'associazione nazionale dei consorzî di bonifica) perché già collegati a essi da un vincolo di subordinazione o coordinazione. c) Se, nella forma tradizionale, vigilanza e tutela sono un controllo statale su enti pubblici, questa formula appare inidonea a un'esatta configurazione dell'istituto, ove si tengano presenti talune tendenze del più recente diritto italiano, secondo cui anche enti privati si assoggettano a un controllo che non è certamente mera vigilanza di polizia. Così avviene, per es., per le società cooperative (art.1, 4 e 5 r. decreto-legge 30 dicembre 1926, n. 1882), per i consorzi obbligatorî o facoltativi fra esercenti uno stesso ramo di attività economica (legge 16 giugno 1932, n. 834), per le maggiori banche, che possono essere dichiarate "di diritto pubblico" (r. decreto legge 12 marzo 1936 n. 375), ancorché forse a questa qualifica non corrisponda effettivo conferimento della qualità di soggetti di pubblica amministrazione. Si riscontrano in simili casi ammesse forme penetranti di controllo come, per es., quella della sostituzione degli organi ordinarî a mezzo di amministratori straordinarî nominati dallo stato, e altre che prendono le mosse da un'intima valutazione dell'opportunità dell'azione di questi enti, ciò che, secondo la dottrina tradizionale, implicherebbe di necessità il carattere di ente pubblico, che invece rimane qui dubbio, quando non è espressamente escluso, come per i consorzî testé ricordati. Queste tendenze imporranno forse, nella dottrina, una revisione dei concetti teorici sin qui elaborati.
Dalla soluzione di questo delicato problema di ordine dogmatico si può però prescindere nel procedere a un esame un po' analitico della vigilanza e tutela amministrativa.
Come sè detto, "vigilanza" e "tutela" corrispondono a due categorie, costituenti una possibile bipartizione dei controlli, rispettivamente rivolti alla legittimità o all'opportunità dell'atto controllato; e sono detti, questi ultimi, anche controlli di merito. Per un'esatta comprensione delle due categorie conviene però aggiungere: a) che la "tutela", se indica che il controllo è specialmente rivolto all'opportunità dell'atto controllato, non esclude tuttavia che l'indagine verta anche sulla legittimità, mentre non si può dire l'inverso nel caso della "vigilanza"; b) che sono possibili forme miste, nel senso che all'autorità di controllo sia specificamente attribuito l'uno e l'altro riesame (v. visto); c) che entrambe le forme appartenendo, come si è detto, a un generale unico istituto e avendo comuni pertanto i caratteri fondamentali, è da ritenere non esatto, quali che siano le coincidenze estrinseche, quel riavvicinamento fra la tutela amministrativa e quella delle persone fisiche incapaci, di cui possono trovarsi ripetuti accenni nella meno recente dottrina francese e italiana ed è ancora traccia nel Codex iuris canonici (can. 100, par. 3: Personae morales... minoribus aequiparantur).
Ulteriori suddistinzioni fra gl'istituti di controllo, comunemente accolte nella dottrina italiana, chiariscono da altri punti di vista le varie possibili forme in cui può attuarsi la vigilanza e la tutela. Possono invero distinguersi:1) controlli ordinarî e straordinarî, a seconda che siano dal legislatore preordinati come normalmente connessi all'attività dell'ente controllato (in quanto, per es., questa debba essere sottoposta ad approvazione), oppure come idoneo rimedio a circostanze straordinarie (come, per es., lo scioglimento di un collegio a seguito di deficienze riscontrate nella sua attività); 2) controlli sugli atti (e sono di gran lunga i più), in quanto il riesame e il conseguente provvedimento si rivolga alle singole attività dell'ente e di queste tenda a eliminare le manchevolezze (per es., annullamento di atto illegittimo); o sulle persone, se tali manchevolezze abbiano radice nei demeriti del funzionario o questi demeriti si rivelino anche per un solo atto particolarmente grave (per es., revoca del podestà); 3) controlli preventivi e repressivi. I primi sono preordinati in modo che il riesame preceda la formazione dell'atto (per es., autorizzazione) o si appunti sull'atto già formato, ma prima che venga portato a effetto (per es., approvazione), con la conseguenza che la loro applicazione risulta necessaria e per così dire automatica. I secondi intervengono invece in modo sporadico, se e in quanto l'organo di controllo ravvisi la necessità di applicarli e sempre in un momento posteriore alla formazione dell'atto e alla sua entrata in vigore (per es., sospensione, annullamento) o a seguito di deficienze già verificatesi, come è sempre il caso del controllo sulle persone. Una sottospecie dei controlli repressivi è data da quella categoria che è stata chiamata dei controlli sostitutivi, con una terminologia che, pur avendo incontrato qualche obiezione, si può dire oramai largamente accolta nel diritto italiano. Appare infatti pienamente giustificato considerare a parte questa sottospecie di controlli repressivi, rivestiti di uno speciale carattere per ciò che l'attività di controllo corregge il comportamento dell'organo controllato (di solito, in caso d'inazione; talvolta, nei casi di persistenti difetti nell'azione) con un'attività che ne tien luogo. E questo può avvenire in casi e modi tecnicamente diversi. Può accadere, cioè, che l'attività di sostituzione sia predisposta allo scopo di correggere un singolo comportamento (per es. iscrizione d'ufficio di una determinata spesa nel bilancio dell'ente controllato); o che accanto alla competenza ordinaria dell'organo controllato se ne costituisca una concorrente dell'organo di controllo (cui sia data, per es., facoltà di prendere provvedimenti disciplinari a carico degl'impiegati dell'ente); o infine - ed è il caso, per così dire, più vistoso - che la sostituzione si attui mediante un temporaneo mutamento nell'ordine normale delle competenze, ponendo in luogo degli organi ai quali spetta in via ordinaria una determinata competenza (la cosiddetta amministrazione ordinaria), un altro organo diversamente costituito (la cosiddetta amministrazione straordinaria), come avviene quando sia consentito di sostituire a un collegio costituito secondo le norme organiche dell'ente, un commissario regio o prefettizio nominato dall'autorità di controllo. In questo provvedimento di sostituzione - e in questo soltanto - sta, dal punto di vista giuridico, l'atto di controllo: perché il commissario, una volta nominato, diviene poi organo (straordinario) dell'ente e la sua attività, quale che ne sia, per così dire, l'origine remota, non è già opera di controllo, ma attività dell'ente controllato.
Le attività di vigilanza e di tutela amministrativa sono state assai minutamente analizzate e studiate, da un punto di vista sistematico, nella dottrina italiana. Hanno particolare interesse i risultati cui questa è pervenuta, determinando i caratteri distintivi dei varî atti a mezzo dei quali la vigilanza o la tutela si esplica. Un primo risultato di ordine generale è quello che (secondo una dottrina ormai prevalente, accolta anche dalla pratica) esclude che gli atti di controllo preventivo costituiscano insieme all'atto controllato un unico atto complesso (v. atto, V, p. 291), rilevando invece che questi, come tutti gli altri atti di controllo, hanno un loro effetto proprio, in tutto distinto da quello dell'atto controllato, e pertanto un'autonomia, che, dal punto di vista teorico, assicura loro un posto a sé nella sistematica degli atti amministrativi. Ciò appare ancora più evidente passando in rassegna i principali tipi di atti, a mezzo dei quali si esplica la vigilanza e tutela amministrativa e che possono identificarsi come segue.
Autorizzazione. - Si può parlare di autorizzazione (anche fuori del campo fin qui esaminato, come per es., nelle varie autorizzazioni di polizia in senso ampio, che s'incontrano nei campi più diversi: polizia di sicurezza, sanità pubblica, tutela del patrimonio artistico o archeologico, tutela del paesaggio), dovunque l'ordinamento giuridico ponga all'attività dei soggetti che vi sono sottoposti dei limiti, che però l'autorità amministrativa può rimuovere caso per caso, su richiesta dell'interessato, con uno specifico provvedimento che si chiama appunto autorizzazione. Nel campo della vigilanza e tutela amministrativa gli atti soggetti a tale controllo sono sempre atti amministrativi in senso stretto (v. Atto, V, pp. 290-91), e cioè dichiarazioni di volontà; e l'autorizzazione funziona come requisito posto dalla legge per la loro validità. L'autorizzazione è un controllo di merito, con carattere preventivo: essa deve precedere la formazione dell'atto. È tuttavia ammesso che intervenga in un momento successivo, con la conseguenza che ne rimanga sanata l'invalidità dell'atto amministrativo, e ciò con effetto retroattivo.
Approvazione. - È anch'essa un controllo preventivo e di merito, che si esercita sugli atti, ma in un momento successivo alla loro formazione. L'effetto preventivo del controllo consiste in ciò che, sino a quando l'approvazione non sia intervenuta, l'atto che vi è sottoposto, ancorché pienamente risponda alle esigenze del diritto, non può produrre i suoi effetti. Questo stato è definito in dottrina come "inefficacia dell'atto": le fonti legislative e anche alcuni scrittori dicono al riguardo che l'atto non è esecutivo" o "esecutorio": la divergenza è di pura terminologia. Il sopravvenire dell'approvazione ha effetto retroattivo: e cioè il diritto considera in tal caso l'atto efficace sin dal momento in cui la sua formazione si può dire compiuta.
Visto. - E originariamente controllo di legittimità, ma in taluni casi può, a giudizio dell'organo di controllo, estendersi al merito (v. Visto). È anch'esso di carattere preventivo e il suo funzionamento tecnico non è diverso da quello dell'approvazione, col quale anzi praticamente si confonde quando si estende al merito, restando tuttavia fra i due casi questa differenza giuridica che tale estensione è, nel caso del visto, facoltativa. Altra differenza è che la legislazione italiana tende ad ammettere che il visto possa anche essere tacito, intendendosi come provvedimento favorevole dell'organo di controllo il silenzio da questo serbato per un determinato periodo di tempo, trascorso da quando l'atto fu sottoposto al suo esame: il che per l'approvazione non si verifica che in qualche caso sporadico ed eccezionale.
Sospensione. - Ha per effetto quello di produrre nell'atto sospeso uno stato di inefficacia; né ha necessariamente carattere preventivo. Tuttavia, nella legislazione italiana, la facoltà di sospendere, posta a servizio della vigilanza, è stata talvolta per così dire innestata nel meccanismo di un controllo preventivo (di legittimità) in questo modo, che fu consentito all'organo di controllo di concedere o negare il visto, assegnando un certo periodo di tempo, ma con la facoltà di pronunciare entro lo stesso periodo la sospensione, la quale è di sua natura provvedimento essenzialmente provvisorio e cioè con conseguenze temporanee e normalmente preordinato a rendere possibile altro provvedimento di carattere definitivo. In pratica, però, il prolungarsi indefinito dell'inefficacia consente ugualmente che si conseguano gli effetti del controllo.
Annullamento. - Con questo nome s'intende, generalmente, una pronuncia di un'autorità con la quale si applica la sanzione che la legge ha precostituito per il caso che l'atto sia invalido: e l'effetto di questa pronuncia si riporta al momento della formazione dell'atto annullato, che dal diritto si considera come se mai fosse esistito. Tali pronunce possono essere emesse da un giudice o, in ordine agli atti amministrativi, dall'amministrazione stessa. Un tal principio è utilizzato nella struttura del controllo, essendo la facoltà di annullamento l'espressione pratica immancabile della vigilanza. Le conseguenze sono identiche: in questo, come in ogni altro caso di annullamento, si deve rilevare che la formula usuale, con la quale si esprime l'effetto retroattivo di questa pronuncia, non va presa alla lettera. La retroattività è sempre una finzione, procedimento tecnico non ignoto certo alla logica del diritto, ma applicabile con limitazioni rese necessarie dal suo adattamento alla realtà empirica dei fatti: ora, l'annullamento non può far sì che l'atto invalido non sia esistito e non abbia prodotto legalmente i suoi effetti (a meno che non si trattasse di atto radicalmente nullo: nel qual caso però l'annullamento è superfluo); come, trattandosi di un atto amministrativo, non può far sì che non vi siano state persone private od organi dell'amministrazione tenuti a prestarvi ossequio, finché l'atto esisteva. Questo loro comportamento non potrà, a seguito dell'annullamento, qualificarsi illegittimo e come tale essere colpito. Per es., una deliberazione amministrativa importa l'obbligo di eseguirla da parte degli uffici competenti, e l'annullamento che in un secondo tempo intervenga, non potrà mutare in atto arbitrario e illecito quello che è stato il compimento di un dovere d'ufficio. Caratteristica essenziale dell'annullamento pronunziato da organi amministrativi (e quindi anche in sede di vigilanza) è che esso sia facoltativo. Partendo da questo fondamentale rilievo, la giurisprudenza italiana ha tracciato ulteriori interessanti limiti a questa potestà, rilevando che l'esercizio di un tale potere non corrisponde ai suoi scopi essenziali ove non sia richiesto da un pubblico interesse; e che del pari non poteva esser consentito, per ragioni di equità, se, pur non essendo circoscritto dalla legge entro limiti di tempo, il lungo periodo decorso abbia consentito il consolidarsi di posizioni che sarebbe somma ingiustizia ' rovesciare con effetto retroattivo. L'inosservanza dell'uno e dell'altro limite, secondo questa tendenza giurisprudenziale, rende a sua volta l'atto di annullamento viziato da quella particolare forma di illegittimità che è detta "eccesso di potere".
Bibl.: Dell'argomento è cenno, più o meno ampio, in tutte le trattazioni generali di diritto amministrativo. Per la bibliografia speciale in materia, v. la bibliografia della voce visto, dalla quale si possono ricavare altri riferimenti, e inoltre: V. M. Romanelli, Vigilanza e tutela, in Foro ital., 1931; U. Forti, "Vigilanza" e "tutela" sugli enti ed imprese private, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 1933; L. Ragnisco, Nuove forme di controlli amministrativi, in Foro amministrativo, 1935.