VIGOROSO da Siena
Non ne conosciamo la data e il luogo di nascita, né abbiamo informazioni sicure sull’identità dei suoi genitori. Stando a Ettore Romagnoli (I, ante 1835, 1976, p. 309), che si appoggiava a un referto dell’Archivio di Biccherna in cui è menzionato un fideiussore dell’artefice, citato a sua volta come «Vigorosi claudi pictoris» (Archivio di Stato di Siena [ASS], Biccherna, 81, 1281, luglio-dicembre, c. 27r), Vigoroso sarebbe stato figlio di un certo Claudio; tuttavia, vista la rarità del nome «Claudius», è possibile che la parola che accompagna il nome del pittore vada piuttosto interpretata come il genitivo di «claudus», ovvero «zoppo».
Il dossier documentario relativo all’artista, costruito perlopiù attraverso lo spoglio dei libri di Entrata e Uscita della Biccherna del Comune di Siena, è composto da un numero contenuto di referti, scaglionati in un arco cronologico che va dal 1276 al 1293. L’attestazione più antica che possediamo (ASS, Biccherna, 66, 1276, luglio-dicembre, c. 12v), segnalata da Adolfo Venturi (V, 1907, p. 109, nota 3) ed edita più tardi da Giulia Sinibaldi e Giulia Brunetti (1943, p. 279), consiste nella registrazione del pagamento di un’imposta versata alla Biccherna per ottenere la cittadinanza senese. Il fatto che l’artefice non fosse originario di Siena è stato talora sottostimato (Longhi [1948], 1974, p. 45) o addirittura revocato in dubbio (Conti, 1971, p. 113, nota 3): l’estrazione senese di un artista come Vigoroso – che nell’unica opera a lui riferibile con certezza, il dossale della Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia, si mostra, più di qualsiasi altro pittore autoctono del tempo, informato dell’insegnamento di Cimabue – doveva costituire, per alcuni studiosi, la riprova schiacciante di quanto fallace fosse il tradizionale schema interpretativo che opponeva rigidamente i centri di Firenze e Siena. Tuttavia, dopo le aperture di Luciano Bellosi (1991a, 1991b; riedite in Id., 2006), che ha riconosciuto i connotati specifici di un locale «contesto cimabuesco», e dopo il significativo slittamento in avanti della cronologia della tavola perugina (di cui si dirà oltre), sembra che i tempi siano maturi per superare simili remore e tornare così a sostenere l’alterità culturale di Vigoroso, recuperando il nesso – indicato già, in modo seminale, da Sinibaldi e Brunetti (1943, pp. 279-281) – tra l’origine extra-senese dell’artista, difficilmente disputabile, e la diversità del suo linguaggio rispetto al panorama delle arti in città nel secondo Duecento: pare credibile, in sostanza, che proprio la sua provenienza da un differente contesto, ancora da individuare, possa spiegare perché il dossale di Perugia (come osservato anche da Bellosi, 2000, p. 658) non trovi alcun puntuale confronto nella coeva produzione artistica di Siena. Alla data dell’esborso della tassa di cittadinanza, difatti, Vigoroso – già definito con la qualifica di «pictor» – doveva aver quantomeno raggiunto la maggiore età e, di conseguenza, aver terminato, verosimilmente fuori dalle mura senesi, il proprio apprendistato da pittore.
Oramai stabilitosi in città – dalla documentazione fiscale risulta che risiedeva nella contrada di San Donato, nel terzo di Camollia (ASS, Biccherna, 107, 1292, gennaio-giugno, c. 112v, citato da Romagnoli, I, ante 1835, 1976, pp. 309 s.; e da Rumohr [1827], 1920, p. 243, nota 4) – nel 1280, come riferito da Guglielmo della Valle (I, 1782, p. 276), gli furono confiscate delle masserizie per una condanna non specificata. Romagnoli (I, ante 1835, 1976, p. 309) rammenta poi che nel 1281 gli venne inflitta una multa cospicua, dell’ammontare di ben 50 lire; la notizia si rintraccia nei registri della Biccherna, ove si legge che il sindicus Ranuccio Fortis de’ Montanini, in qualità di fideiussore, versò la somma dovuta per la condanna di Vigoroso (ASS, Biccherna, 81, 1281, luglio-dicembre, c. 27r). Non abbiamo più attestazioni sull’artista fino agli anni 1292-93, quando fu a più riprese retribuito per la decorazione dei registri di diverse magistrature del Comune di Siena (Maginnis, 2001, pp. 273, 278): alla metà del gennaio 1292 venne pagato 9 soldi per aver dipinto le coperte dei libri del camerlengo e dei provveditori (ASS, Biccherna, 107, 1292, gennaio-giugno, c. 144r); nel luglio dello stesso anno ricevette 10 soldi per la medesima mansione (ASS, Biccherna, 108, 1292, luglio-dicembre, c. 136v); infine, il 31 dicembre 1293 gli fu corrisposta la cifra di 10 soldi per aver decorato la coperta del registro degli ufficiali del podestà con l’arme di quest’ultimo (ASS, Biccherna, 109, 1293, luglio-dicembre, c. 171r). Della Valle (I, 1782, p. 277) riferisce inoltre che nello stesso 1293 Vigoroso risultava nominato, in un referto d’archivio non meglio precisato, insieme con un altro pittore, tale Rinforzato, che dobbiamo immaginare suo «compagno»; Romagnoli, effettivamente, specifica che «Vigoroso dipinse con Rinforzato una tavola coll’arme di messer Rinaldo da Spoleto, ma la colorì Petruccio di Dietisalvi» (I, ante 1835, 1976, p. 310). Quest’informazione, però, non trova riscontro nelle Notizie di Uberto Benvoglienti, il quale – facendo affidamento su una registrazione contenuta nei libri di Entrata e Uscita della Biccherna (ASS, Biccherna, 109, 1293, luglio-dicembre, c. 187r) – ricorda soltanto un pagamento di 35 soldi in favore di Petruccio di Dietisalvi per aver decorato «una tavola col’arme di messer Rinaldo da Spoleto già podestà» (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, C.IV.6, p. 6).
Al nome di Vigoroso è possibile a oggi associare con sicurezza un solo dipinto: il summenzionato dossale della Galleria nazionale dell’Umbria (inv. n. 32), sottoscritto dal pittore e datato 1291. L’opera, già ricordata nel XVIII secolo all’interno della sagrestia della cappella del collegio della Sapienza Nuova di Perugia, era in origine destinata – con tutta probabilità – a ornare l’altar maggiore della chiesa del monastero cistercense femminile di S. Giuliana (per cui si veda ora Zappasodi, 2018, pp. 168-172): lo dichiara la presenza della santa titolare, in pendant con la Maddalena, e dei due Giovanni, Battista ed Evangelista, ai fianchi della Vergine, allusivi forse al nome del fondatore dell’insediamento, il cardinale Giovanni di Toledo (Santanicchia, 2011, pp. 205 s.). Per il momento, non sono a noi note le circostanze della commissione del dossale, né possediamo informazioni su di un eventuale soggiorno perugino di Vigoroso, che – in ogni caso – doveva essere di stanza a Siena nel periodo immediatamente successivo all’esecuzione dell’opera (secondo la documentazione citata sopra).
Come spesso rimarcato dagli studi (a cominciare da Weigelt, 1911, p. 223), la tavola di S. Giuliana s’impone quale importante anello di congiunzione tipologica fra il «low gabled dossal» (Garrison, 1949) della tradizione duecentesca e il polittico scompartito gotico, con più registri di figurazione (De Marchi, 2004, pp. 18 s.; 2009, pp. 68 s.): infatti, nonostante il permanere di certi elementi strutturali arcaici, l’opera scarta sensibilmente rispetto alle tipiche pale a timpano ribassato grazie all’introduzione delle cinque cuspidi apicali – in cui sono inscritti il Redentore benedicente e quattro angeli – che modificano, rendendola più mossa, la sagoma compatta dei dossali pentagonali, aprendo anche alla possibilità di un arricchimento del programma d’immagini del dipinto d’altare.
Al di là di alcuni generici elementi di parentela con i fatti artistici di Siena (quali, ad esempio, le preziose scelte cromatiche, affini a quelle di Rinaldo), lo pseudo-polittico si rivela – come accennato sopra – sostanzialmente allogeno rispetto al côté locale dell’inoltrato Duecento, sia per l’assenza di qualsivoglia traccia residua della cultura che, per comodità, si può definire «guidesca» (ben leggibile, in filigrana, anche negli episodi più orientati in direzione cimabuesca del panorama cittadino, come nelle opere ricondotte a Guido di Graziano: Bellosi, 1991, riedito in Id., 2006), sia per la completa mancanza di un dialogo con la contemporanea produzione del giovane Duccio. Piuttosto, il dossale mostra come l’artista dipendesse intimamente, e in modo non mediato, dagli autorevoli modelli di Cimabue. Non è un caso, d’altronde, se in passato al dipinto della Galleria nazionale dell’Umbria sono state associate delle opere che afferiscono alla più stretta cerchia cimabuesca, come l’affresco del catino absidale di S. Bartolomeo in Pantano, a Pistoia, e la Madonna col Bambino di S. Andrea a Mosciano (Volpe, 1954, pp. 6 e 21 s., nota 8; Conti, 1971, pp. 112-116), adesso stabilmente radicate nel catalogo di Manfredino d’Alberto (Donati, 1972, pp. 149-151), o come la Croce dipinta di S. Stefano a Paterno (Bologna, 1960, pp. 21 s.).
Peraltro, a differenza dei suoi colleghi senesi – che guardavano ormai alle ultime ricerche del Cimabue maturo – Vigoroso sembra attingere ancora a dei referenti abbastanza precoci, risalenti all’ottavo-nono decennio del Duecento, quali la Croce dipinta di S. Croce a Firenze e la Maestà ora a Parigi (Musée du Louvre). Alcuni elementi di maggiore arcaismo (Donati, p. 149; Bellosi [1985], 2015, p. 162) potrebbero addirittura indurre a sospettare che Vigoroso, probabilmente avviatosi al mestiere poco oltre la metà del secolo (nel 1276, come si è visto, era già pittore di professione), avesse ricevuto una formazione pre-cimabuesca, nell’alveo della coeva pittura bizantineggiante, e che si fosse convertito solo in seconda battuta, anche se molto per tempo, al verbo nuovo del maestro fiorentino, aggiornandosi sui testi licenziati da Cimabue l’indomani del soggiorno romano, magari a Firenze (dove Bellosi, 2000, p. 658, ha tentativamente ipotizzato di collocare le sue origini).
A ogni modo, è certo che l’artista, una volta assorbita la lezione cimabuesca, nella sua declinazione ancora pre-assisiate, sarebbe rimasto legato a quell’insegnamento per tutto l’arco della propria carriera. Ciò è dimostrato in modo patente dal fatto che il dossale di Perugia abbia potuto sopportare a lungo una datazione al 1280, un tempo attribuitagli sulla scorta di un’erronea lettura della didascalia vergata nel listello inferiore (Santi, 1969, pp. 41 s.). L’intervento di restauro condotto negli anni Novanta del secolo scorso (Fusetti - Virilli, in Bellosi, 1994, pp. 93 s.) ha permesso di riportare l’iscrizione alla corretta lezione, facendo slittare in avanti di undici anni la data (1291), con la conseguenza di relegare Vigoroso nella posizione di artefice stilisticamente attardato, e di far emergere una contraddizione tra lo sperimentalismo tipologico del dossale e una cultura figurativa non più al passo con i tempi.
L’avanzamento della cronologia della pala di S. Giuliana rende difficilmente suffragabile l’idea (suggerita indipendentemente da Tartuferi, 1990, pp. 47 e 57, nota 60; e da R. Bartalini, in Bellosi, 2000, p. 658) di annettere in coda al corpus di Vigoroso la proto-duccesca Madonna col Bambino di S. Biagio a Scrofiano, in provincia di Siena. Da revocare in dubbio è pure la proposta, avanzata a più riprese da Luciano Bellosi (1994, p. 93; 1998, p. 18; 2000, pp. 658 s.), di collegare al corpus di Vigoroso un coerente nucleo di miniature schiettamente cimabuesche, comprendente il ciclo di dieci disegni acquerellati su pergamena del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (1E, 2E, 5E, 6E, 7E) e l’iniziale ritagliata «M» raffigurante i Dodici Apostoli della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (inv. 55: cfr. Bellosi [1985], pp. 1-3, riedito in Id., 2000, pp. 187-189), cui vanno aggiunti i capilettere istoriati del Graduale de tempore di collezione privata zurighese (S. Giorgi, in Duccio, 2003, p. 109), già accostati alla miniatura Cini da Cristina De Benedictis (Miniature senesi del primo Trecento, in Prospettiva, 1978, n. 14, p. 60). Lo stesso Bellosi, del resto, ha in ultimo espresso delle perplessità circa la coerenza di questi esemplari di pittura libraria con l’unica opera certamente autografa dell’artista (in Duccio, 2003, p. 41).
Archivio di Stato di Siena (ASS), Biccherna, 66, 1276, luglio-dicembre, c. 12v; ASS, Biccherna, 81, 1281, luglio-dicembre, c. 27r; ASS, Biccherna, 107, 1292, gennaio-giugno, cc. 112v, 144r; ASS, Biccherna, 108, 1292, luglio-dicembre, c. 136v; ASS, Biccherna, 109, 1293, luglio-dicembre, cc. 171r, 187r. U. Benvoglienti, Notizie dello Studio di Siena, degli scrittori senesi, dei pittori, degli scultori, estratte dagli archivi di Siena, 1701-1725 (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, C.IV.6), p. 6; G. della Valle, Lettere sanesi di un socio dell’Accademia di Fossano sopra le belle arti, I, Venezia 1782, pp. 276 s.; E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi: 1200-1800, I, ante 1835, ed. stereotipa Firenze 1976, pp. 309-311; C.F. von Rumohr, Italienische Forschungen (1827), seconda ed. a cura di J. von Schlosser, Frankfurt am Main 1920, p. 243, nota 4; J.A. Crowe - G.B. 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