PARETO, Vilfredo
(all’anagrafe Wilfrid Fritz). – Nacque a Parigi il 15 luglio 1848 dal marchese Raffaele (1812-1882) e da Marie Métenier (1813-1889), terzogenito, dopo le sorelle Aurelia (1839-1893), futura moglie dell’ufficiale di carriera dell’esercito italiano Gasparo Scala, e Cristina (1842-1907), nubile.
Raffaele – interessante figura d’intellettuale discendente da un’importante famiglia aristocratica di Genova – dopo aver frequentato dal 1827 l’Accademia Ligustica (l’Istituto di belle arti della città ligure), continuò gli studi a Torino nel corpo del Genio militare dell’esercito sardo. Nel 1833, alla vigilia della nomina a ufficiale, riparò in Francia per sfuggire alla durissima repressione carloalbertina che colpì la Giovane Italia, rea di aver fomentato la sedizione negli ambienti militari. Pur perdonato dal sovrano, che si limitò a espellerlo dall’esercito, e pur rinunciando espressamente a qualunque militanza politica, Raffaele rimase in volontario esilio in Francia per venti anni. Lì si creò una propria famiglia – sposando Marie, figlia di un vignaiolo dell’Allier, una regione agricola tra Lione e Parigi – e mise a frutto gli studi ingegneristici (benché incompleti) acquisendo una notevole fama nel settore idraulico. Non a caso, nella seconda metà degli anni Quaranta, fu il progettista e il primo direttore dei lavori di scavo del canale della Sauldre, nella regione della Sologne (centro-nord della Francia).
Nel 1854, per ragioni sconosciute, la famiglia rientrò a Genova, dove Raffaele continuò l’attività di ingegnere, pubblicista e insegnante, prima come docente di francese nella locale Regia Scuola di Marina, poi, dal 1859 al 1862, come docente di contabilità e agricoltura nel nuovo istituto tecnico privato Leardi di Casale Monferrato (Alessandria), città in cui si trasferì con la famiglia. Il 4 aprile 1861 fu riconosciuto ingegnere laureato honoris causa e nel 1862 assunto nell’alta dirigenza ministeriale del neocostituito Regno d’Italia: la sua carriera ministeriale, svoltasi attraverso incarichi attinenti alle bonifiche, lo portò nel 1877 al grado di ispettore di prima classe del corpo reale del Genio civile.
Pareto trasse dai genitori quel bilinguismo franco-italiano che costituì un notevole atout per tutta la vita e, dal padre, la passione per gli studi matematico-ingegneristici. In effetti, il primo documento pervenuto, una sua lettera del 16 dicembre 1860, testimonia l’estrema attenzione di Raffaele verso gli studi matematici del figlio che, nell’autunno dello stesso 1860, aveva iniziato la sua formazione scolastica iscritto al terzo anno dell’istituto Leardi.
Terminati brillantemente gli studi scolastici, nell’estate 1864, e conseguita all’istituto tecnico Sommeiller di Torino quella maturità fisico-matematica che, in seguito alla recente riforma dell’istruzione pubblica, costituiva con la maturità classica titolo scolastico utile all’accesso universitario, si iscrisse in autunno alla facoltà di scienze fisiche matematiche e naturali dell’Università di Torino. Svolto il triennio previsto per il conseguimento della licenza in matematica, si iscrisse al biennio della Scuola di applicazione per ingegneri di Torino (creata nel 1859). Il 14 gennaio 1870 conseguì la laurea summa cum laude in ingegneria civile, discutendo una tesi sui Principi fondamentali della teoria della elasticità dei corpi solidi e ricerche sulla integrazione delle equazioni differenziali che ne definiscono l’equilibrio.
Pur in assenza di dettagli sui contenuti degli studi universitari si possono ricordare i docenti – Angelo Genocchi, professore di analisi matematica, e Jakob Moleschott, professore di medicina e sostenitore del metodo sperimentale – che più lo aiutarono a impadronirsi di due strumenti fondamentali della sua successiva attività scientifica: l’analisi matematica e il metodo sperimentale, segnatamente nella sua accezione di osservazione asettica della realtà.
Completati i corsi torinesi, tornò a Genova per compiere studi da «costruttore navale» i cui contenuti e il cui esito non sono noti.
Nell’estate del 1870 fu assunto dalle Strade ferrate romane di Firenze quale ingegnere del servizio materiale e trazione. La documentazione disponibile testimonia, dall’estate 1872, la sua frequentazione del famoso salotto dei coniugi Ubaldino ed Emilia Peruzzi, conosciuti in occasione di un convegno sulla rappresentanza proporzionale organizzato nel giugno 1872 dalla locale Accademia dei Georgofili.
Ubaldino (ex ministro del Regno d’Italia e in quel periodo sindaco di Firenze) ed Emilia furono i principali riferimenti pubblici del ventennio fiorentino di Pareto: Emilia gli dette molti stimoli intellettuali (non ultimo il continuo incitamento a migliorare la sua conoscenza dell’italiano scritto) e politici; Ubaldino, dopo averne immediatamente apprezzato la competenza ingegneristica e averne intuito le capacità manageriali, ne patrocinò la carriera nella nascente industria metallurgica toscana. Peruzzi infatti, colta l’insoddisfazione lavorativa alle Romane, gli offrì nell’autunno del 1873 la carica di direttore della ferriera di San Giovanni Valdarno (Arezzo) della Società per l’industria del ferro (SIF), di cui Peruzzi era presidente e tra i maggiori azionisti. Nel settembre 1880, la poco redditizia SIF vendette le sue attività a una neocostituita Società delle ferriere italiane (SFI) avente quale principale azionista la Banca generale di Roma (la maggiore banca mobiliare italiana dopo il Credito mobiliare di Firenze): della SFI, Pareto fu nominato direttore generale. Nonostante il genio tecnico e il vigore manageriale mostrati, neppure la SFI si rivelò all’altezza delle aspettative degli azionisti e così, il 16 maggio 1890, Pareto si dimise.
Nel triennio successivo svolse due attività parallele: quella, di cui si sa pochissimo, di consulente tecnico e di imprenditore senza particolare successo e quella di pubblicista. Durante il periodo dirigenziale aveva seguito i principali dibattiti politico-economici, partecipando a riunioni dell’Accademia dei Georgofili (della quale, nel 1874, fu nominato socio per la sezione di scienze naturali) e della liberista Società Adamo Smith, fondata da Francesco Ferrara per contrastare la diffusione dei socialisti della cattedra italiani riuniti nell’Associazione per il progresso degli studi economici.
Intervenne, in particolare, ai dibattiti organizzati nel 1875 sul rinnovo dei trattati di commercio in scadenza l’anno successivo, nel 1876 sulla poi abortita nazionalizzazione ferroviaria e, nel 1880, sull’appena annunciato progetto di Agostino Magliani per il rientro dal corso forzoso.
I suoi interventi furono all’insegna di una granitica coerenza libero-scambista, nutrita dalla lettura degli scritti di Ferrara, che lo portò a esprimersi a favore di un rinnovo dei trattati di commercio in senso antiprotezionistico, contro la nazionalizzazione delle ferrovie, contro il rientro dal corso forzoso mediante il prestito proposto da Magliani. Del liberismo di Pareto sono testimonianze interessanti anche una serie di scritti ardentemente antistatalisti (pubblicati nel 1876), suggeritigli dalla lettura degli Atti dell’inchiesta industriale e, nel maggio 1887, la sua partecipazione al convegno dei Georgofili contro la rottura delle relazioni commerciali con la Francia (in occasione di quella vicenda iniziò una collaborazione e un’amicizia più che decennale con Gustave de Molinari, l’economista belga liberista radicale, redattore-capo dell’importante rivista economica Journal des economistes).
Il periodo dirigenziale coincise anche con le due uniche esperienze politiche pratiche della sua vita: quella di consigliere comunale a San Giovanni Valdarno, dal settembre 1876 al gennaio 1883, e quella di candidato alla Camera dei deputati nelle elezioni dell’autunno 1882, le prime tenutesi secondo la legge che aveva allargato il suffragio e introdotto il voto di lista.
Si presentò nel collegio di Prato-Pistoia-San Marcello Pistoiese in una lista politicamente piuttosto ambigua completata dai candidati conservatori Ippolito Martelli-Bolognini (deputato uscente di Pistoia) e Michelangelo Bastogi (sindaco del Comune appenninico di Montale). La campagna elettorale fu dominata da polemiche personali indirizzate principalmente contro Pareto che, nonostante un ottimo risultato nella parte appenninica del collegio, fu l’unico non eletto della sua lista, per un’inopinata latitanza dei sostegni elettorali pratesi sui quali contava.
Nel triennio successivo alle dimissioni dalla SFI, lo sfondo liberistico paretiano si arricchì e si approfondì con innesti ideologici e scientifici. Dal 1888 fu in rapporti di amicizia politica e personale con uno dei capi riconosciuti del pacifismo internazionale, Ernesto Teodoro Moneta (premio Nobel per la pace nel 1907), da cui si allontanò gradualmente per il sostanziale velleitarismo pacifista, pur restando sempre antimilitarista e ritenendo la guerra esiziale al benessere dei popoli.
Intanto, il 26 dicembre 1889, a Firenze, sposò Alessandrina (detta Dina) Bakounine (1860-1937), figlia di un console russo. La coppia si separò alla fine del 1901 e Pareto da allora convisse con la governante parigina Jeanne Régis (1879-1948), che sposò il 19 giugno 1923 a Céligny (Svizzera, Canton Ginevra), dopo aver ottenuto il 15 settembre 1922, dall’effimera Reggenza del Carnaro, il divorzio dalla prima moglie, peraltro valido soltanto a Fiume e in Svizzera.
Dal 1890 al 1893 fu in stretti rapporti politici con Felice Cavallotti, il capo indiscusso dell’estrema sinistra radicale italiana, del quale fu una sorta di esperto economico per le elezioni politiche del 1892. Dal 1891 fu in contatto con Luigi Bodio, responsabile della Direzione di statistica, dopo aver attivato nell’ottobre del 1890 quel contatto con Maffeo Pantaleoni che contribuì in buona misura a indirizzare il resto della sua attività scientifica.
La breve ma intensa stagione fiorentina degli studi economici di Pareto produsse, dal punto di vista quantitativo, soprattutto articoli di polemica politica in origine fondata su interpretazioni critiche delle principali informazioni statistiche disponibili: il bersaglio fu il socialismo di Stato di Francesco Crispi e del primo Giovanni Giolitti, dove per socialismo di Stato intendeva la progressiva statalizzazione dell’economia che la borghesia al potere compiva per i propri interessi e con nocumento per il resto del Paese. L’interesse paretiano per l’economia pura (che nel suo caso era non solo matematica ma anche, e specialmente, sperimentale) originò proprio dal desiderio di dare rinnovati fondamenti teorici al liberismo, l’alternativa all’aborrito socialismo di Stato. Inizialmente l’economia pura paretiana fu una rielaborazione ammirata, ma critica, dell’opera di Francis Ysidro Edgeworth e Léon Walras e della prima scuola austriaca, che Pareto (ignorando il tedesco) conobbe attraverso la mediazione dei Principi di economia pura di Pantaleoni.
Dopo alcuni studi d’assaggio, si impegnò in un lavoro organico, le Considerazioni sui principi fondamentali dell’economia politica pura (apparsi in cinque puntate, tra il 1892 e il 1983, sul Giornale degli economisti diretto da Pantaleoni, Antonio De Viti De Marco e Ugo Mazzola) che furono importanti, vuoi dal punto di vista scientifico, vuoi dal punto di vista della carriera accademica di Pareto.
Con un ampio e accurato sfoggio della sua perfetta padronanza dell’analisi matematica, Pareto vi sottopose a una critica serrata il concetto fondamentale della nascente economia pura, quello del grado finale di utilità, di cui rilevò l’infondatezza empirica che, alla luce della citata metodologia sperimentale, inficiava l’attendibilità della teoria della razionalità delle azioni umane sostenuta dalla nuova scuola e della quale il grado finale di utilità era il fondamento analitico. Intendeva così contribuire al consolidamento della promettente economia pura indicando come fare per stimare il citato grado, rinviando alla disponibilità pratica di tali stime il confronto con la realtà delle innovative deduzioni analitiche che trasse dal concetto del grado finale di utilità tra cui, soprattutto, la relazione tra il grado finale di utilità e le leggi della domanda e dell’offerta. Per lo sperimentalista Pareto l’eventuale combaciare tra teoria e realtà, come descritta dalla statistica, era l’unico modo per stabilire il grado di veridicità della teoria che, peraltro, non avrebbe mai potuto aderire completamente alla realtà.
Le Considerazioni furono molto apprezzate, più per la loro raffinatezza matematica che per i loro frequenti spunti polemici libero-scambisti, da Walras, l’economista francese professore di economia all’Università di Losanna che aveva da poco inventato il fondamentale concetto dell’equilibrio economico generale (EEG) di libera concorrenza, cioè lo studio, compiuto mediante la matematica, dell’interdipendenza dei fenomeni economici. Così, alla fine del 1892, Walras, dopo aver deciso (per ragioni di salute) di ritirarsi dall’insegnamento e aver sondato un’altra candidatura, favorì quella di Pareto, accogliendo un suggerimento di Pantaleoni.
Il 25 aprile 1893 fu nominato professore straordinario di economia politica (e ordinario il 13 aprile 1894) alla facoltà di diritto dell’Università di Losanna, dopo un percorso ancora poco chiaro ma nel quale giocò un ruolo fondamentale la perfetta conoscenza del francese. Pareto tenne la lezione inaugurale il 12 maggio 1893. Fino al 1898 la priorità della sua vita losannese fu l’insegnamento, seguito dalle sue due ultime occupazioni fiorentine: la pubblicistica e la consulenza professionale (questo aspetto è il meno documentato ma fu comunque presente; si hanno testimonianze di sue consulenze attuariali per conto di un’associazione losannese di mutuo soccorso, La Fraternité, nonché delle casse pensionistiche dei dipendenti della ferrovia Jura-Simplon, delle Ferrovie federali svizzere e di consulenze al Comune di Losanna, per l’organizzazione della fornitura dell’acqua potabile, e al governo cantonale vodese, per il lancio di un prestito pubblico). Terminato il semestre estivo 1892-93, Pareto insegnò per i successivi tre anni accademici alternando l’economia pura e l’economia applicata, mentre dal 1896-97 insegnò anche la sociologia (inizialmente in sostituzione di un collega licenziato per comportamenti scorretti). Frutto di tale periodo intensissimo fu il Cours d’économie politique (pubblicato in due volumi, nel febbraio e nell’ottobre 1896, dall’editore Rouge di Losanna) che raccolse i summenzionati corsi.
Rifletteva efficacemente gli interessi paretiani dell’epoca il fatto che solo il 10% dell’opera fosse rivolto all’economia pura (formulata in larga misura attingendo non alle, didatticamente troppo progredite, Considerazioni, ma agli Éléments d’économie politique pure walrasiani), mentre il resto era dedicato all’economia applicata, ovvero allo studio della realtà concepito come indagini, compiute avvalendosi ampiamente dell’inquadramento teorico offerto dall’EEG, dei fenomeni economici fondamentali (i fattori produttivi, la produzione, la distribuzione, il consumo, l’evoluzione e la fisiologia della società, le crisi economiche) descritti in termini statistici e storici. Tali indagini applicate erano caratterizzate da una continua ma profonda critica del socialismo di Stato, che trovava il suo aspetto più innovativo nella formulazione della legge della distribuzione personale dei redditi (nota poi come la legge di Pareto), la quale dimostrava che tale distribuzione era stata in ogni tempo, luogo e organizzazione sociale, estremamente sperequata, con pochissimi redditieri molto facoltosi e la stragrande maggioranza della popolazione con redditi modesti. Da tale costanza distributiva Pareto traeva analiticamente il suo programma di politica economica: se si voleva una riduzione della diseguaglianza distributiva non bisognava cambiare la società ma farne aumentare il reddito procapite, in particolare lasciando operare la libera concorrenza (e rinunciando, quindi, all’inefficiente socialismo di Stato) e praticando il controllo delle nascite (Pareto fu un malthusiano dichiarato, restando anche personalmente fedele a tale impostazione, come prova la sua rinuncia ad avere figli).
Conformemente alla motivazione fornita a Walras circa la sua disponibilità a trasferirsi a Losanna, ovvero la possibilità di divulgarvi il proprio pensiero, Pareto associò, all’insegnamento e alle pubblicazioni accademiche, un’intensa collaborazione con la stampa locale di orientamento liberale, segnatamente la Gazette de Lausanne (organo della sezione losannese del Partito liberale) e la Bibliothèque universelle et Revue suisse. Pur ritenendo che la sua situazione di ospite di un Paese straniero gli imponesse un atteggiamento riservato verso i conflitti politici locali, Pareto, che inizialmente aveva visto nella Svizzera il Paese realizzatore del suo sogno liberale, guardò con crescente preoccupazione a quello che gli sembrava essere l’affermarsi, anche nella Confederazione e nella stessa Losanna, del socialismo di Stato a seguito di una strisciante alleanza tra il dominante Partito radical-democratico e il nascente Partito socialista: in questo modo contribuì, con conferenze e articoli, alla vittoriosa campagna referendaria del 1897 contro il monopolio statale dell’emissione di biglietti, ma dovette assistere impotente, nel 1898, ad aggravi della legislazione fiscale cantonale e comunale verso i contribuenti più facoltosi, tra i quali ormai si iscriveva.
Il 1898 fu l’anno di svolta nella vita di Pareto perché, oltre allo svanire del suo mito elvetico, nel marzo ereditò, dallo zio paterno Domenico, una fortuna tale da potersi dedicare completamente allo studio, e in particolare alla realizzazione di un innovativo trattato di sociologia. Così, mentre nel ventennio precedente la riflessione paretiana era passata gradualmente da un’ispirazione scientifica a una ideologica di tipo liberale, dal 1898, complici le amarezze politiche e l’acquisita prosperità materiale, indirizzò ogni energia verso la sua passione scientifica. Per la profonda gratitudine che, comunque, aveva verso l’Ateneo losannese, rinunciò a dimettersi, accettando complicati accomodamenti che lo videro farsi assistere inizialmente da Vittorio Racca (un promettente laureato in giurisprudenza dell’Università di Parma che insegnò economia a Losanna fino all’autunno del 1903, quando fu fatto licenziare da Pareto per non essersi presentato alla ripresa dei corsi e, probabilmente, anche per gli interessi più pubblicistici che scientifici che il giovane aveva manifestato) e poi da quelli che diventeranno i suoi successori, da lui poco amati, forse per la loro eccessiva indipendenza. Tra questi, Pasquale Boninsegni, un esule politico socialista romagnolo con studi matematici non conclusi, dal 1907 professore straordinario (dal 1925 ordinario) e docente fin quasi alla morte, nell’autunno del 1939, e Maurice Millioud, laureato in filosofia e teologia protestante a Losanna che, ottenuto l’ordinariato in filosofia nel 1900, fu professore straordinario di sociologia dal 1910 sino alla morte avvenuta nel 1925.
Nominato nel 1906 professore ordinario di scienze politiche e sociali, Pareto terminò ufficialmente il suo insegnamento nel semestre d’estate 1908-09. Alla decisione di dedicarsi completamente agli studi scientifici non fu peraltro estraneo il coevo maturare di un programma di ricerca originale, presentato in una relazione del dicembre 1898 alla Stella, una società di studenti universitari losannesi che lo aveva nominato socio onorario (a conferma dell’ottimo rapporto instaurato con gli studenti, estimatori della sua disponibilità personale e della capacità di parlare brillantemente a braccio, mentre Walras si limitava a leggere i suoi Éléments).
Se il grado finale di utilità (da Pareto ridenominato, nel Cours, ofelimità elementare) non era misurabile, tuttavia era ragionevole ammettere che ogni individuo fosse capace di stabilire se uno scambio di beni facesse aumentare, diminuire o rimanere inalterata l’utilità di cui complessivamente godeva: quest’ultima constatazione era a suo dire sufficiente per rifondare l’economia pura su basi completamente sperimentali, rappresentate dalle curve di indifferenza individuali. Inoltre gli scambi comportanti un aumento dell’utilità dei singoli scambisti venivano qualificati da Pareto come azioni sperimentali e logiche (studiate dall’economia pura), che rientravano in una tassonomia molto più ampia comprendente anche le azioni non logiche (che aumentavano l’utilità degli agenti solo per costoro ma non per chi ne sapeva di più) e quelle non sperimentali (non osservabili), le azioni umane di gran lunga più numerose e studiate dalla sociologia. In tale ambito si dedicò, nel ventennio successivo, alla preparazione dei suoi lavori più importanti: il Manuale di economia politica (pubblicato in italiano nel 1905 e ripubblicato in francese nel 1909, con notevoli ampliamenti), i Systèmes socialistes (1902-03) anticipazione del Trattato di sociologia generale (pubblicato in italiano nel 1916 e ripubblicato in francese, con qualche ampliamento, nel 1917-19).
Il cambiamento di impostazione, scientifica e didattica, del Manuale-Manuel rispetto al Cours fu sintetizzato editorialmente dal fatto che nel primo solo il 20% del testo era dedicato all’economia applicata mentre il resto all’economia pura, che si concretava nello sviluppo, grafico nel testo e analitico nell’ampia appendice, dei fondamenti sperimentali dell’EEG fino alla deduzione delle condizioni del massimo di benessere per la collettività, poi nota internazionalmente come la Pareto-ottimalità: una distribuzione di risorse era ottima secondo i criteri di Pareto (ognuno è l’unico giudice del proprio benessere; non è possibile confrontare oggettivamente il benessere di più individui) se, modificandola, qualcuno stava meglio ma qualcun altro stava peggio.
Dal canto loro, i Systèmes socialistes furono uno sviluppo (fondato su uno studio brillantemente critico di un’ampissima documentazione storica, che anticipava l’analogo metodo adottato nel Trattato) del carattere illusorio, vista la citata legge dei redditi, di tutte le ideologie (appunto quelle socialiste) che pretendevano di poter modificare la distribuzione personale dei redditi. Tra i sistemi socialisti teorici, quello che più richiamò la sua attenzione fu il marxismo, di cui contestava la tesi che le condizioni economiche determinassero le restanti condizioni sociali: ritenendo, invece, che vi fosse interazione. Peraltro Pareto, di Marx, apprezzava molto il concetto di lotta di classe che re-interpretava come lotta delle élites per la conquista o il mantenimento del potere: si trattava, a suo dire, di un elemento ineliminabile della vita sociale e sostanzialmente foriero di progresso. Nei Systèmes socialistes forniva, infine, anche i primi abbozzi di alcuni dei concetti fondamentali del successivo Trattato di sociologia: la circolazione delle élites e le derivazioni, ovvero i ragionamenti proposti per giustificare la formulazione dei sistemi socialisti. Pareto distingueva: ragionamenti falsi, dannosi ma persuasivi; ragionamenti falsi, ma persuasivi e utili; ragionamenti veri ma né persuasivi né utili; con il socialismo che si articolava sulle due prime categorie di ragionamenti mentre il liberalismo corrispondeva alla terza categoria. L’innovativa concezione paretiana della sociologia fu efficacemente sintetizzata negli ultimi due capitoli del Trattato (XII e XIII). Il punto di partenza era l’idea che il sistema sociale fosse molto più complicato di quello economico e dovesse essere considerato composto da molecole contenenti residui, derivazioni, interessi. Tali molecole (cioè gli esseri umani), sottoposte a numerosi vincoli, compivano appunto azioni logiche e non logiche: peraltro gli uomini amavano dare alle azioni non logiche giustificazioni solo pretesamente logiche (le derivazioni) tramite l’analisi delle quali Pareto individuava i residui, cioè le pulsioni psichiche che spingono gli uomini alle azioni non logiche. La società umana era, inoltre, eterogenea nel senso che il bisogno di uniformità comportamentale non era lo stesso per tutti i suoi membri: la società esisteva solo perché il numero dei membri possedenti tale bisogno in quantità medio-alta era molto più elevato del numero di coloro che tale bisogno lo possedevano in quantità minima o nulla. Non potendo far ricorso alla logica matematica, lo studio delle variazioni (peraltro solo locali) dall’equilibrio sociale doveva essere compiuto esponendo verbalmente l’interazione tra le citate categorie di elementi costitutivi della società, cioè i residui (indicati con a), gli interessi (b), le derivazioni (c), l’eterogeneità sociale (d).
Tra tali categorie erano logicamente possibili le seguenti combinazioni: I: a agente su b, c, d; II: b agente su a, c, d; III: c agente su a, b, d; IV: d agente su a, b, c. La combinazione I rappresenta una parte estremamente rilevante del fenomeno sociale, seguita, in ordine d’importanza, dalle combinazioni II e IV mentre la III è di gran lunga la meno importante. Pareto affermava, inoltre, che le azioni e le reazioni si susseguono ininterrottamente: per esempio, nella I combinazione a agisce su b, c, d (effetti immediati), ma nella IV d reagisce a sua volta su a dando luogo a nuove variazioni di b, c, d e così via. Infine e soprattutto, ribadiva che l’equilibrio sociale effettivo era la risultante di tutte tali azioni e reazioni. Pareto presentava quindi un lungo studio del sistema di azioni e reazioni, analizzando le dinamiche del protezionismo doganale, argomento che aveva segnato l’inizio della sua riflessione scientifico-sociale. L’economia politica, vale a dire la scienza degli interessi (cioè di b), quando studiava la protezione doganale si occupava solo dei suoi effetti diretti, con i prezzi bassi che venivano considerati un bene dai liberoscambisti (attenti solo al consumo) e un male dai protezionisti (attenti solo alla produzione): ma entrambe le impostazioni avevano scientificamente pochissimo valore poiché, appunto, originavano da un’analisi incompleta del protezionismo. Un passaggio importante verso il completamento dell’analisi consisteva nella dimostrazione che il protezionismo dava luogo a distruzione di ricchezza: per poter però asserire definitivamente che il protezionismo fosse un male bisognava ricercarne anche gli effetti indiretti. L’analisi di Pareto si concentrava allora sul protezionismo industriale (elemento b) il cui effetto: sulla categoria a era scarso perché i residui si modificano lentamente; sulla categoria c, favoriva la produzione di teorie economiche protezionistiche; sulla categoria d, accelerava la circolazione sociale, favorendo l’ascesa sociale di coloro che possedevano i residui dell’istinto delle combinazioni, in particolare quegli industriali che riuscivano a ottenere dai politici le misure di protezione. A loro volta le teorie protezionistiche agivano pochissimo sui residui e sugli interessi e un po’ di più sull’eterogeneità sociale perché aiutavano l’ascesa al potere degli adulatori. In definitiva, se l’incremento di produzione di lungo periodo ottenuto grazie al protezionismo era maggiore della distruzione immediata di ricchezza, si poteva verificare, a seguito del protezionismo, un incremento della prosperità economica di un paese, contrariamente alla nota proposizione liberoscambista sostenuta a lungo da Pareto.
Dedicò i suoi ultimi anni a una verifica delle tesi del Trattato. In particolare, il fascismo fu visto come una reazione (all’insegna del residuo della persistenza degli aggregati) al ciclo plutocratico-demagogico che, sotto la pressione del residuo degli istinti delle combinazioni, aveva portato la società italiana fuori equilibrio. Pareto intuì tuttavia immediatamente il pericolo di eccessi antiliberali del fascismo, denunciandoli con avvertimenti pubblici al primo governo di Benito Mussolini verso il quale, come larga parte degli intellettuali liberali dell’epoca, ebbe comunque una benevola attenzione.
Morì il 19 agosto 1923 a Céligny, nel cui piccolo cimitero è sepolto.
Fonti e Bibl.: La ‘paretologia’, ovvero gli studi sulla vita e l’opera di Pareto, attiva fin dalla sua morte, ha prodotto un quantitativo enorme di pubblicazioni di cui è impossibile dar conto anche solo a grandi linee. Bisogna peraltro osservare che, fino alla metà degli anni Sessanta, la qualità di larga parte degli studi lasciava molto a desiderare per faziosità, superficialità ed eccessiva lacunosità dell’amplissima produzione scientifica. La stagione scientifica della ‘paretologia’ è iniziata alla metà degli anni Sessanta grazie all’opera di Giovanni Busino, l’umanista e sociologo italiano dell’Università di Losanna che, con la fattiva collaborazione dell’editore Droz di Ginevra, pose gli studi paretiani sul binario dell’acribia filologica, della profondità analitica e di una sostanziale asetticità con la pubblicazione delle Œuvres complètes (OC), una collezione esaustiva delle opere di Pareto (32 volumi apparsi dal 1964 al 2005 sotto la direzione di Busino) comprendente buona parte dell’esteso epistolario; si tratta di un’edizione volutamente filologica tesa a mettere a disposizione degli studiosi gli scritti paretiani in edizione integrale, affidabile e con limitati commenti di contestualizzazione. Alle OC Busino fece seguire una rivista (la Revue européenne des sciences sociales-Cahiers Vilfredo Pareto, da lui diretta dal 1964 al 2009 e contenente innumerevoli articoli paretologici, comprese preziose rassegne bibliografiche) e studi paretologici di pregio tra i quali L’Italia di V. P., edita nel 1989 a Milano dalla Banca Commerciale Italiana, a tutt’oggi la migliore introduzione alla vita e alle opere di Pareto. Sul resto si possono fornire solo orientamenti rinviando, per ulteriori approfondimenti bibliografici, alle indicazioni presenti nelle pubblicazioni sotto elencate e nelle OC. Gli anni Settanta furono caratterizzati dal Convegno internazionale V. P. tenuto all’Accademia dei Lincei nel 1973, i cui atti vennero pubblicati dalla stessa nel 1975 (con comunicazioni, fra l’altro, dei premi Nobel John Hicks e Maurice Allais e dei grandi sociologi Talcott Parsons e Raymond Aron). Negli anni Ottanta vi fu l’edizione critica del Trattato di sociologia curata da Busino (Torino 1988). Gli anni Novanta si aprirono con l’importante dibattito interpretativo pubblicato nel volume Pareto oggi da il Mulino nel 1991, e continuarono con la notevole stagione paretologica occasionata dal centenario della pubblicazione del Cours e sfociata nei convegni di Pisa (1996), Parigi (1996), Torino (1997) e Losanna (1998) i cui atti furono pubblicati in: History of economic ideas, 1997, n. 3; Pareto aujourd’hui, sous la direction de A. Bouvier, Paris 1999; Economia, sociologia e politica nell’opera di V. P., a cura di C. Malandrino - R. Marchionatti, Firenze 2000; Revue européenne des sciences sociales-Cahiers V. P., 1999, n. 116. Nello stesso periodo videro la luce V. P. Critical assessments of leading economists, a cura di J. Cunningham Wood - M. McLure, London 1999.
Le più recenti pubblicazioni paretologiche sono l’edizione critica del Manuale-Manuel, a cura di A. Montesano - A. Zanni - L. Bruni, pubblicata da Egea nel 2006 associata alla raccolta New essays on Pareto’s economic theory, edita nel 2009, che fa il punto sugli studi paretiani di carattere economico.
Infine è d’uopo segnalare che la Banca popolare di Sondrio ha acquistato, nel 1996, diversi copialettere di Pareto contenenti circa ottomilacinquecento lettere in larga misura inedite (cioè non appartenenti al novero delle circa cinquemila pubblicate nelle OC): tali materiali sono attualmente consultabili a Sondrio nella biblioteca Luigi Credaro (www.popso.it/ fondopareto).