VILLA DI VILLASTELLONE, Vittorio Ferdinando Ercole
VILLA DI VILLASTELLONE (Laville, La Ville, De la Ville), Vittorio Ferdinando Ercole. – Nacque a Torino il 27 novembre 1753, figlio del conte Carlo (1727-1753), secondo scudiere del duca di Savoia Vittorio Amedeo (erede al trono), e di Maria Prospera Carroccio del Villar (1730 ca.-1795), sposatisi nel 1749. La cerimonia di battesimo si tenne nella cappella del Palazzo Reale di Torino il 16 dicembre: Villa fu battezzato dal cardinal Vittorio Amedeo delle Lanze, grande elemosiniere di corte. Padrino e madrina furono i duchi di Savoia Vittorio Amedeo e Maria Ferdinanda.
Il padre era morto, venticinquenne, poco prima della sua nascita. La guida della casa era stata quindi assunta dall’avo Ercole Tomaso (1684-1766), gran maestro d’artiglieria, e dal 1763 cavaliere dell’Annunziata. La madre ebbe diversi incarichi a corte come dama di palazzo della duchessa di Savoia.
Nel 1771 Villa sposò Maria Giuseppina Gabriella San Martino della Motta (1757-1781), il cui padre Giuseppe Francesco (1736-1814) era allora primo scudiere dei duchi d’Aosta e Monferrato. Dal matrimonio nacquero tre figli maschi: Carlo Emanuele (1772-1832), Alessandro Felice (1774-1856) e Cesare Giuseppe Gaetano (1775-1848).
Il battesimo del primo fu l’occasione per ribadire lo stretto rapporto con la corte. La cerimonia si tenne il 9 ottobre 1773 nella cappella del castello di Moncalieri; il neonato fu battezzato dal grande elemosiniere Francesco Luserna Rorengo di Rorà, avendo come padrino il principe di Piemonte Carlo Emanuele e come madrina la principessa Maria Teresa (che poche settimane dopo avrebbe sposato il conte d’Artois, futuro Carlo X di Francia).
Negli anni Settanta i Villa di Villastellone conquistarono una crescente influenza, acquisendo diverse cariche, soprattutto nelle corti dei figli di Vittorio Amedeo III. L’analisi della carriera e delle strategie matrimoniali dei Villa mostra come essi facessero parte di una rete di famiglie che comprendeva i San Martino della Motta e i Fresia, che seguirono strategie comuni sino all’età napoleonica.
Il 2 luglio 1771 Villa fu nominato fra i secondi scudieri e gentiluomini del duca d’Aosta Vittorio Emanuele (futuro re) e del duca di Monferrato, Maurizio. Il 12 marzo 1772 la madre divenne dama di palazzo delle principesse Teresa e Marianna, e il 25 giugno 1775 dama d’onore della seconda. Il 21 marzo 1777 fu creato primo scudiere dei duchi. Il 2 maggio 1786, infine, Vittorio Amedeo III lo chiamò fra i propri gentiluomini di camera. Egli aveva già, inoltre, i gradi militari, come maggiore di fanteria.
La corte era il principale terreno d’azione di Villa, ma non l’unico. La sua presenza è attestata infatti almeno dal 1771 fra i membri della loggia Saint Jean de la Mysterieuse, la principale a Torino. Nel 1775 era tra i fratelli componenti il Gran priorato d’Italia, con il nome di Ferdinandus a Dracone, e il titolo di commendatore di Mortara.Lo scoppio della guerra delle Alpi (1792-96) con la Francia rivoluzionaria vide Villa e i suoi figli combattere contro le armate francesi. Qualcosa, tuttavia, stava cambiando. Probabilmente, grazie anche all’influenza del cognato Felice San Martino della Motta, Villa si avvicinò sempre più alle posizioni dei democratici filofrancesi. Dopo che Carlo Emanuele IV, la notte fra l’8 e il 9 dicembre, fu costretto a lasciare il Piemonte, iniziò una carriera al servizio francese destinata a durare sino al 1814. Fu uno dei due rappresentanti (l’altro era Stefano Giovanni Rocci) del governo provvisorio piemontese inviati il 17 dicembre 1798 (27 frimaio VII) a Parigi «per ringraziare il Direttorio del sacro dono della libertà» (Bianchi, 1877-1885, II, p. 719). I contatti stretti a Parigi (dove conobbe anche Talleyrand) si rivelarono proficui. Da allora egli adottò per il proprio nome la forma Ferdinando La Villa, anche nella variante francese La Ville (Laville). Rientrato a Torino, il 2 aprile 1799 (13 germinale IX) fu chiamato dal commissario politico francese Joseph-Mathurin Musset fra i membri della seconda Municipalità repubblicana. Restò tuttavia in carica meno di due mesi, sino alla fine del maggio, quando la città passò in mano alle truppe austro-russe di Aleksandr Vasil′evič Suvorov. Il 27, quando già era entrato in città, Villa firmava di nuovo come ‘conte della Villa’ l’ordine con cui si intimava di lasciare la città agli uomini di Branda de Lucioni. Di lì a poco fu arrestato, recluso insieme ad altri collaborazionisti e multato per 85.000 lire. Dopo la vittoria napoleonica a Marengo (14 giugno 1800), la Francia riprese il controllo del Piemonte. Liberato dalla prigionia, il 27 giugno 1800 (8 messifero IX) fu tra gli uomini scelti dal generale Alexandre Berthier per far parte dell’allora istituita Consulta del Piemonte. Questa diede vita a diverse commissioni, fra cui un Comitato politico-militare, dove sedette accanto a Carlo Botta. Il cognato San Martino della Motta fu invece posto nel Comitato di sicurezza pubblica. Tre giorni dopo, il 30 giugno 1800, fu insediata una nuova Municipalità repubblicana (la terza), in cui fu cooptato anche Carlo, figlio primogenito di Villa. Il 17 gennaio 1801 questi però si dimise, permettendo così il rientro in carica del padre, dal 25 febbraio al 1° aprile 1801. Sin dal 27 marzo 1801 Villa era stato chiamato a far parte del Conseil des édiles, allora istituto dalla Commissione esecutiva del Piemonte. Villa, però, ne uscì già il 19 aprile. Per lui si avvicinava un nuovo e ben più importante ruolo. Il 24 aprile 1801 (4 fiorile IX), infatti, il generale Jourdan aveva organizzato la divisione del Piemonte in sei prefetture; il 28 aprile (8 fiorile) lo nominò prefetto del département de l’Éridan (Raccolta di leggi, decreti [...] pubblicate dalle autorità costituite, IV, Torino s.d., p. 51). Nella stessa data, San Martino della Motta fu destinato alla prefettura della Sesia (Vercelli). Il 10 maggio (20 fiorile) Villa emanava un proclama in cui definiva se stesso un «guerrier magistrato», il cui scopo era garantire «il rispetto per le proprietà individuali, l’ordine sociale e la pubblica tranquillità», ma più di tutto vigilare che nessuno «osasse tuttora ricusar di piegarsi al nuovo ordine di cose che si vuole stabilire» (ibid., pp. 67 s.).
Fra le sue prime azioni come prefetto, su ordine di Jourdan, fu la riorganizzazione della massoneria torinese. A Torino diversi massoni, che avevano fatto parte delle logge esistenti nel periodo sabaudo (fra cui il medico Sebastiano Giraud, che era stato esponente di spicco del governo ‘giacobino’ piemontese), diedero vita alla loggia la Reunion. Villa ne appoggiò fortemente i lavori, arrivando a ospitare le sue prime riunioni nello stesso palazzo della prefettura. Grazie anche a ciò, il 26 maggio 1802 la loggia arrivò ad avere trentasette fratelli, saliti a sessanta nel 1802. Tale favore per la Reunion generò opposizioni e invidie, attirando su Villa accuse che giunsero sino a Parigi. Il 26 settembre 1802 Napoleone scrisse in una lettera di voler ordinare a Villa di far chiudere la loggia, perché «extrêmement dangereuse». È interessante che in tale lettera l’allora primo console definisse Villa «un homme très riche, mais d’un caractère faible» (Correspondance de Napoleon I, VIII, Paris 1861, p. 48, lett. n. 6344). Il 4 maggio 1805 (14 fiorile XIII) l’imperatore, durante il suo passaggio a Torino per recarsi a Milano all’incoronazione a re d’Italia, nominò Villa ciambellano di sua madre Letizia Ramolino. Per il cinquantenne Villa si riaprivano, quindi, le porte della corte. Non più la corte dei Savoia, ma quella decisamente differente che i Bonaparte avevano aperto a Parigi. La capitale francese fu da allora, per quasi un decennio, il nuovo spazio delle sua attività.
Alla corte di Letizia egli dipendeva dal primo ciambellano, il conte Agostino Timoleone Cossé de Brissac. Stando ai Mèmoires della duchessa d’Abrantès, Villa «était l’homme qui convenait à Madame [...] C’était un composé des meilleures manières des façons les plus courtoises, les plus exquises comme politesse de cour [...] Conduisait la petite cour de Madame, lorsqu’il était de service, avec une adresse toute charmante, dont la princesse elle-même ne se pouvait blesser. L’Empereur le sut, et je me rappelle qu un jour au dîner de famille il questionna Madame comme une petite fille sur ce qui se faisait chez elle» (Junot d’Abrantès, 1833, pp. 55 s.).
Legata al suo inserimento nella corte di «Madame Mère» è la presenza di Villa nel celebre Sacre de Napoleon di Jacques-Louis David. Come è noto, la madre aveva rifiutato di partecipare alla cerimonia. Il figlio volle però che essa comparisse, per cui ordinò a David di raffigurarla con la sua corte, in cui era Villa. Un anacronismo, considerando che l’incoronazione fu il 2 dicembre 1804, quando Villa era ancora a Torino (un ritratto a matita di Villa è nello Sketchbook n. 20 di David, c. 42r, conservato a Harvard).
Negli anni seguenti anche i figli di Villa fecero carriera nelle corti imperiali. Cesare (César de Laville) divenne nel 1806 scudiere della regina d’Olanda Hortense de Beauharnais, proseguendo insieme una brillante carriera militare, che lo vide divenire colonnello nel 1809 e generale di brigata durante la Campagna di Russia. Nel 1808 Carlo fu nominato ‘segretario dei comandi’ della corte aperta a Torino dal principe Camillo Borghese.
Gli anni successivi videro Villa percorrere un brillante percorso nel sistema degli onori napoleonico. Cavaliere dell’Impero il 3 giugno 1808, il 4 dicembre 1809 fu chiamato a far parte del Senato imperiale (s’affiancava così, ancora una volta, al cognato San Martino della Motta, che aveva ottenuto il laticlavio sin dal 1804) e il 9 marzo 1810 fu nominato conte dell’Impero (lo stesso anno il figlio Cesare divenne barone). Il 6 aprile 1813 fu creato ufficiale della Legion d’onore e commendatore dell’Ordine della Riunione. Un anno più tardi, nell’aprile del 1814, votò la decadenza dell’imperatore e rientrò in Piemonte. Qui però non sembra esser riuscito a reinserirsi né nella corte sabauda né nella società del Piemonte della Restaurazione. Scelse quindi di tornare a Parigi, dove ritrovò i figli Cesare e Alessandro (divenuti ufficiali dei Borbone) e morì il 13 giugno 1826.
Fonti e Bibl.: L. Junot d’Abrantès, Mémoires de Madame la duchesse d’A: ou souvenirs historiques sur Napoleon, IX, Paris 1833, pp. 55 s., 166, 298; A. Liévyns, Fastes de la Légion-d’honneur, V, Paris 1847, p. 571; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 sino al 1861, Torino 1877-1885, II, p. 719, III, pp. 340, 432, IV, pp. 22, 229, 371; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la rivoluzione e l’impero francese, II, Torino-Roma 1892, pp. 17, 61, 92, 133, 206, 402 (ma si faccia attenzione ai dati erronei, a partire dal nome); H. de Larrey, Madame mère (Napoleonis mater): essai historique, I, Paris 1892, pp. 378-379, 390, 511; F. Collaveri, La franc-maçonnerie des Bonaparte, Paris 1982, pp. 169-170; G.P. Romagnani, Prospero Balbo. Intellettuale e uomo di Stato (1762-1837), Torino 1988-1990, I, pp. 28, 57, 61, 65, 479-481, 489, II, pp. 31-32; G. Vaccarino, I giacobini piemontesi, I-II, Roma 1989, pp. 402, 413, 416, 483, 850, 891-892, 922; F. Collaveri, Le logge massoniche piemontesi nell’età napoleonica, in La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria, a cura di A.A. Mola, Foggia 1990, pp. 14-15; P. Maruzzi, La stretta osservanza templare e il regime scozzese rettificato in Italia nel secolo XVIII, Roma 1990, pp. 39, 57, 297, 309, 313-314, 329; R. Roccia, Mutamenti istituzionali e uomini «nuovi» nell’amministrazione municipale, in Ville de Turin, a cura di G. Bracco, I, Torino 1990, pp. 21, 26-28, 30-31, 52, 109; Ead., La municipalità di Torino nell’età repubblicana, in Dal trono all’albero della libertà. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna dall’antico regime all’età rivoluzionaria, I, Roma 1991, pp. 294, 297, 299 n. 68, 302; P. Rosenberg - L.A. Prat, Jacques-Louis David 1748-1825: Catalogue raisonné des dessins, Milano 2002, scheda n. 1698.