villania
Nelle tre occorrenze del D. canonico significa " scortesia " nel senso moderno del termine, " mancanza di tatto e di garbo ", " maleducazione ": villania fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno, perché né consentire né negare puote lo così estimato sanza cadere in colpa di lodarsi o di biasimare (Cv I II 11); e, di nuovo nella locuzione ‛ far v. ': il poeta si sente moralmente impegnato a parlare della leggiadria, ché altrimenti villania / far mi parria / sì ria, ch'a' suoi nemici sarei giunto (Rime LXXXIII 64).
Nel girone degli accidiosi, l'abate di San Zeno si scusa con Virgilio di non potersi fermare per rispondere alla sua domanda: Noi siam di voglia a muoverci sì pieni, / che restar non potem; però perdona, / se villania nostra giustizia tieni (Pg XVIII 117), " quasi dicat: ‛ Iuste facimus istam sceleritatem; ideo non debet putari rusticitas ' " (Serravalle).
La locuzione ‛ far v. ' s'incontra anche nel Fiore - ma con significato più energico -, quando Amore domanda a Falsembiante: affideròmmi in te, o è follia? / Fa che tu me ne facci conoscente; / chéd i' sarei doman troppo dolente, / se tu pensassi a farmi villania, " qualche brutto tiro " (Petronio, a CXXVII 8; cfr. per gran cortesia, v. 1).
In XIII 8 v. è di nuovo nell'accezione più ampia, alludendo a tutto il complesso delle virtù cavalleresche (Amante è un valletto... pien di larghezza / e prode e franco, sanza villania); in CLVII 5 la Vecchia dichiara che donar di femina si è gran follia (v. 1), a meno che essa non si limiti a piccoli doni, che tornino poi a suo vantaggio: Quella non tengh'i' già per villania, cioè per " pazzia ", come giustamente spiega il Petronio. v. VILLANO.